Le opere di misericordia PARROCCHIA MARIA SS. ADDOLORATA OPERA DON GUANELLA – BARI Le opere di misericordia Consigliare i dubbiosi Anno Pastorale 2015-2016
Introduzione Per cogliere il senso di questa opera di misericordia occorre anzitutto prendere coscienza del carattere ambivalente di entrambi i termini che la compongono: il consiglio e l’atto di consigliare, il dubbio e l’atto di dubitare.
Il primo termine non è ambivalente solo perché un consiglio può essere buono o cattivo, adeguato o inadeguato, giusto o sbagliato, ma anche perché può essere un atto di presunzione il pensare di potere e sapere dare un consiglio.
La Bibbia mette in guardia da chi elargisce consigli, e suggerisce una serie di domande da porsi prima di lasciarsi consigliare. Da chi mi faccio consigliare ? E su quale argomento? Non chiunque, infatti, può consigliare su qualunque argomento. E poi: che cosa muove colui che mi consiglia? È disinteressato il suo consiglio? Ha di mira il mio bene?
In ascolto della Parola Scrive il libro del Siracide: Ogni consigliere esalta il consiglio che dà, ma c’è chi consiglia a proprio vantaggio. Guardati da chi vuole darti consiglio e prima informati quali siano le sue necessità: egli infatti darà consigli a suo vantaggio; perché non abbia a gettare un laccio su di te e ti dica: “La tua via è buona”, ma poi si tenga in disparte per vedere quel che ti succede. Non consigliarti con chi ti guarda di sbieco e nascondi le tue intenzioni a quanti ti invidiano. Non consigliarti con una donna sulla sua rivale e con un pauroso sulla guerra, con un mercante sul commercio e con un compratore sulla vendita, con un invidioso sulla riconoscenza e con uno spietato sulla bontà di cuore, con un pigro su una iniziativa qualsiasi e con un salariato sul raccolto, con uno schiavo pigro su un lavoro importante. Non dipendere da costoro per nessun consiglio (Sir 37,7-11).
Il testo ci istruisce più su ciò che un consiglio non deve essere che su ciò che deve essere.
L’ammonimento a “non dipendere” da chi dà un consiglio è importante perché mette in guardia dal rischio di fare del lasciarsi consigliare un atto di deresponsabilizzazione.
Il consiglio non esime dalla responsabilità della scelta che è sempre personale e libera.
Mendicare consigli a destra e a manca senza mai pervenire a una decisione è segno di incertezza patologica o di paura, anzi di terrore di fronte alla responsabilità.
Ma dal punto di vista di chi consiglia è indispensabile che il consigliare non diventi un manipolare, un forzare la volontà dell’altro per condurlo là dove si vuole, quand’anche si ritenesse che questo “là dove si vuole” fosse la cosa migliore per l’altro.
Può dare consigli buoni chi si astiene coscientemente dall’avere potere su colui a cui si rivolge.
Consigliare non è dunque adulare, né sedurre, e tantomeno manipolare o abusare, ma sta nello spazio del servire la libertà altrui.
Anche l’atto di dubitare è ambivalente: se vi sono dubbi paralizzanti che impediscono ogni decisione e dunque la vita, che finiscono in un relativismo indifferente e scettico, vi è anche un dubbio vitale, fecondo, connaturato all’umano in quanto tale e che è all’origine della conoscenza, che produce ricerca e creatività, che spinge l’uomo ad “andare oltre”, a non accontentarsi, a oltrepassare le proprie sicurezze e a uscire dal recinto delle proprie abitudini.
Quando mai, in una determinata situazione, possiamo dire di aver fatto tutto il possibile?
Vi è un principio di incertezza e di insicurezza che è salvifico per l’uomo in quanto è all’origine di quell’inquietudine che gli consente di continuare a interrogarsi, a domandare, cioè a essere uomo.
L’uomo è veramente tale quando si interroga su di sé e non cessa di chiedersi: “Chi è l’uomo ?”.
Nel mondo e nella storia noi ci muoviamo in un oceano di incertezze appoggiandoci su un arcipelago di certezze ... E nelle certezze dottrinali, dogmatiche e intolleranti che si annidano le peggiori illusioni; al contrario, la coscienza del carattere incerto dell’atto cognitivo costituisce un’opportunità di giungere a una conoscenza pertinente, la quale richiede esami, verifiche e convergenze degli indizi1. 1. Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina, Milano 2001, pp. 87-88.
Le certezze troppo forti, le parole gridate e troppo sicure di sé, si distaccano dalla povertà ontologica dell’umano e producono morte e aberrazioni. Qualcuno sostiene che “la luce è tenebra, quando è solo luce”.
Questa ambivalenza del dubbio vale anche nell’ambito della fede Questa ambivalenza del dubbio vale anche nell’ambito della fede. Se l’espressione “consigliare i dubbiosi” sembra delineare con chiarezza il campo positivo (consigliare) e quello negativo (dubbiosi), va detto che anche la fede non è esente dal dubbio e che il dubbio di fede non è necessariamente o sempre negativo.
La fede cristiana, infatti, non è totalitaria ma mite: non si impone come certezza irrefutabile, il che sarebbe una violenza della libertà umana, ma si offre alla scelta dell’uomo.
La fede ha anche una dimensione di rischio.
Il cristianesimo antico, che parlava della fede cristiana come del kalòs kíndynos (“il bel pericolo”)2, lo sapeva bene. 2. Clemente di Alessandria, Protrettico ai greci X,93, I, a cura di F. Migliore, Città Nuova, Roma 200,4, p. 175.
La fede è rischio mortale (si trova saldezza nell’affidamento a colui che non vediamo e che resta silenzioso) e, contemporaneamente, possibilità impensata di vita che sgorga proprio dalla traversata di questa morte.
Non che la fede non conosca la dimensione della certezza, ma la certezza della fede è di altro ordine rispetto a una certezza di tipo razionale.
Scrive Blaise Pascal: Se non convenisse far nulla se non per il certo, non si dovrebbe far nulla per la religione, perché essa non è certa3 (cioè, non è sulla stessa lunghezza d’on da della certezza comune). 3. Blaise Pascal, Pensieri 452, Bompiani, Milano 2000, p. 255.