Il mito classico e l'orrore

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Transcript della presentazione:

Il mito classico e l'orrore Nell’antichità i filosofi classici avevano da subito identificato il bene e il giusto con il bello, essendo esso ciò che, secondo loro, più si avvicina alla perfezione. I greci però erano anche attenti all’istruzione, che non praticavano soltanto attraverso l’insegnamento delle varie discipline in uso in quei tempi, ma anche inventando storie con un forte valore etico: i miti. Questi miti avevano come protagonisti dei e eroi perfetti e bellissimi, immagini da imitare per condurre una vita virtuosa; ma, dato che le storie erano state inventate per istruire, molto spesso erano presenti nei racconti mostri orribili o dei corrotti che compiono azioni ignobili, questi rappresentavano il male e si doveva evitare tutto ciò che riconduceva a loro senza prenderli come esempio. Quindi fin da subito il brutto è stato utilizzato per rappresentare il male, l’errore; questa usanza si protese anche in epoca cristiana dove, oltre a storie con valore didattico, anche l’arte cominciò a accettare questo collegamento, limitato al mito in precedenza dato che l’arte veniva considerata una espressione del bello, addirittura si decorarono, nel medioevo, parti di chiese con spaventosi personaggi, rappresentanti il diavolo, che avrebbero dovuto spaventare i fedeli. Infine nel manierismo si riaccende un gusto per la realtà e l’orrido viene frequentemente rappresentato, prendendo spunto talvolta dalle macabre storie dei miti classici o dalle cruente vicende delle leggende bibliche.

La punizione di Marsia, Tiziano APOLLO E MARSIA La leggenda narra che la dea Atena gettò il suo flauto sulla terra ritenendo che gli deformasse le gote. Un giovane satiro, Marsia, lo raccolse e cominciò a suonarlo acquisendo col tempo tanta bravura da venir paragonato da tutti al pari del dio Apollo. Egli non contraddì tali voci per orgoglio, scatenando cosi l’ira del dio che lo sfidò a chi suonasse meglio il proprio strumento. Inizialmente finirono pari ma Apollo, non soddisfatto, per terminare la disputa decise d far suonare gli strumenti all’incontrario. Il dio non ebbe problemi a ribaltare la sua lira ma Marsia non vi riuscì e Apollo per punirlo della sua superbia lo scuoiò vivo. La punizione di Marsia, Tiziano Al centro del dipinto il satiro Marsia, inerme e appeso a testa in giù, viene seviziato da Apollo, chinato verso di lui con un coltello in mano, e dallo Scita, in piedi in secondo piano. Alle spalle di Apollo un giovane vestito di rosso suona la lira. A destra troviamo re Mida, riconoscibile dalla corona e dalle orecchie asinine, che assiste pensoso al tragico evento, mentre un satiro accorre con un secchio d’acqua, forse per alleviare le pene del suo compagno. In primo piano un piccolo putto trattiene un cane da caccia e guarda verso l’esterno del dipinto; un cane più piccolo lecca il sangue che fuoriesce dalle ferite di Marsia. Tiziano dipinge questa tavola nell’ultimo periodo della sua vita quando suo figlio è affetto da peste e presto morirà. Nel pieno della sua disperazione, l’artista riprende una scena orribile per esporre il suo stato d’animo tormentato, egli ha ormai capito che la sua arte non potrà mai raggiungere la perfezione che aveva cercato nel corso della sua vita. Infatti nel quadro Re Mida simboleggia Tiziano in stato meditativo mentre è circondato dalla sofferenza che affligge lui e l’Italia in quel periodo, rappresentata con la sofferenza di Marsia. Quindi l’orrido viene utilizzato dall’artista perché meglio spiega ciò che vuole essere trasmesso: un sentimento di tristezza e disperazione incolmabile. Un quadro del genere potrebbe suscitare disgusto in un primo momento ma Tiziano riesce a dare una sfumatura che permette a un osservatore che comprende il quadro di vedere nell’orrido una carica di malinconia. Tiziano Vecellio, La punizione di Marsia, 1570 – 1576, Kromeriz, Palazzo arcivescovile, olio su tela 212 x 207cm

Apollo e Marsia, Spagnoletto Jusepe de Ribera, detto lo Spagnoletto, Apollo e Marsia, 1637, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte, olio su tela 182 x 232 cm Apollo e Marsia, Spagnoletto Lo stesso soggetto viene riproposto dallo Spgnoletto che dà alla composizione un effetto completamente diverso secondo il suo gusto. Infatti Ribera non è particolarmente afflitto da crisi psicologiche e il quadro gli viene affidato da un nobile napoletano, Andrea d’Avalos, che gradiva avere un’opera del genere nella sua collezione. Il dipinto quindi vuole semplicemente ritrarre la scena con Marsia rivolto verso l’esterno sovrastato da Apollo che lo scortica, il tutto osservato da dei satiri atterriti dalla sorte del compagno. È presente un forte contrasto e il quadro sembra diviso in due: a sinistra vi è Apollo impassibile e sereno, circondato dal suo mantello rosso e da un cielo orato che rappresenta il volere divino che colpisce Marsia nella parte opposta del dipinto, dove il tema dell’orrido fa da padrone. L’espressione sofferente del satiro e gli sguardi inorriditi degli spettatori danno il senso della grandezza del peccato commesso dal punito di paragonarsi a un dio. Osservando un’opera tale capiamo che il significato del brutto varia a seconda di ciò che l’artista vuole trasmettere, infatti Tiziano vuole trasmettere il suo stato d’animo, che viene incarnato dall’orrido, mentre lo Spagnoletto carica l’espressione del personaggio principale della tavola di dolore fisico circondato dalla maestosità divina per dare un effetto di stupore all’osservatore che coglie immediatamente il significato della scena.

SATURNO E L’ASCESA DI ZEUS Saturno divora i figli, Rubens Peter Paul Rubens, Saturno divora i figli, 1636-1637, Madrid, Museo del Prado SATURNO E L’ASCESA DI ZEUS Saturno viene identificato come figlio di Urano, il Cielo, e di Gea, la Terra. Saturno salì al potere, evirando e detronizzando il padre Urano ma venne profetizzato che un giorno uno dei figli di Saturno lo avrebbe a sua volta detronizzato così, per evitarlo, divorò tutti i figli appena nati. La moglie di Saturno, Opi, nascose il suo sesto figlio, Giove, nell'isola di Creta, ed al suo posto offrì a Saturno un grosso masso avvolto in fasce. In seguito Giove detronizzò Saturno e gli altri titani, diventando il nuovo governatore del Cosmo. Saturno divora i figli, Rubens L’intera composizione è occupata dalla macabra scena di un vecchio, Saturno, che divora uno dei suoi figli per evitare di perdere il trono del Cosmo. Il quadro presenta i classici colori freddi che spesso Rubens utilizza, questa atmosfera grigia contribuisce a dare maggior risalto al dio che non è più un essere perfetto e bello, ma è un vecchio cadente e crudele come la sua azione. L’orrido assume un valore simbolico che completa il significato dell’opera, Saturno, o Kronos in greco, rappresenta il tempo che senza sosta distrugge ciò che ha creato e il brutto sottolinea la tragicità di questa realtà che pone l’uomo in una condizione di triste insignificanza.

La testa di Medusa, Rubens Qui viene rappresentata la testa di Medusa strappata al suo corpo ancora grondante di sangue, dalla quale fuggono i serpenti e le altre bestie che la gorgone aveva fra i capelli. La faccia di Medusa anche se priva di vita sembra guardare l’osservatore fuori dalla tavola con una strana espressività, che spaventa chi guarda la macabra scena. Questo quadro sembra raccontare alla perfezione la leggenda di Medusa che, dipinta con i chiarissimi colori che Rubens era molto abile a usare, veniva considerata una dei mostri più orridi della mitologia greca e che anche dopo la sua morte fosse in grado di pietrificare con il suo malefico sguardo. Il brutto è d’obbligo in una composizione del genere, che sembra voler argomentare riguardo una certa storia, infatti con l’orrido si riassume perfettamente il significato simbolico maligno di Medusa. MEDUSA Poseidone era innamorato di Medusa, e una notte la portò al tempio di Atena per consumare il loro amore. In risposta a questa offesa, la dea tramutò i capelli di Medusa in serpenti e fece sì che chiunque le guardasse gli occhi venisse tramutato in pietra. Medusa fu uccisa da Perseo, che le mozzò la testa guardandola attraverso uno scudo lucido. Peter Paul Rubens, La testa di Medusa, 1618 ca., Wien, Kunsthistorisches Museum

Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, Medusa, 1596 – 1598, Olio su tela riportata su scudo ligneo, Firenze, Galleria degli Uffizi. Medusa, Caravaggio Quest’opera ha moltissime analogie con la tela studiata precedentemente: innanzitutto il soggetto è lo stesso e anche il modo in cui è rappresentato ricorda molto bene la composizione di Rubens. Medusa anche qui sembra essere stata appena decapitata e il sangue sporca il fondo della rappresentazione e i serpenti, nonostante colei che li ospita sia ormai morta, continuano a suscitare un senso di disgusto contorcendosi e muovendosi attorno al cadavere. La smorfia di Medusa pure ricorda quella del Rubens infatti la testa, che quasi sembra viva, rivolge verso l’esterno uno sguardo di terrore, accompagnato quasi da un urlo, che è allo stesso tempo terrificante. L’unica differenza superficiale è la tecnica di Caravaggio che riproduce alla perfezione il volto inorridito di una donna soffermandosi anche sulle rughe che deformano la faccia esprimendo lo spaventoso sentimento, secondo la sua tendenza a rappresentare il reale anche con i suoi difetti. Ma un’altra grande differenza sta nel significato e quindi nell’utilizzo dell’orrido: mentre la prima tavola sembrava essere stata fatta per rappresentare il mito di Medusa, questa viene commissionata da Francesco del Monte, ambasciatore fiorentino a Roma, per decorare uno scudo per una parata nella capitale. Quindi Medusa avrebbe dovuto simbolicamente “pietrificare” i nemici con lo sguardo, ossia spaventarli con la sua terrificante espressione. L’orrido quindi va a rappresentare una sorta di superiorità che i nemici spaventati vedranno nel possessore dello scudo.

Davide e Golia, Caravaggio L'episodio biblico più famoso riguardante Davide è quello dello scontro con Golia, il gigante filisteo che terrorizzava e insolentiva gli ebrei, sfidandoli a duello. Dopo quaranta giorni Davide accettò la sfida e riuscì, grazie all'aiuto di Dio, ad avere la meglio sulla forza, tramortendo Golia con un sasso lanciato da una fionda e poi decapitandolo con la spada del gigante. La vittoria lo rese popolare presso gli ebrei e gli valse l'amicizia di Gionata, figlio del re Saul. Successivamente Davide sposerà la figlia del re, Micol. Davide e Golia, Caravaggio La scena è dipinta nel fondo nero, spesso usato da Caravaggio, che utilizza la luce per mettere in risalto le parti più significative dei corpi dei protagonisti. La tela è interamente occupata da Davide che sovrasta il corpo morto di Golia, al quale è stata mozzata la testa. Il quadro ritrae il ragazzo in maniera molto realistica rendendolo un normalissimo giovane, non muscoloso e perfetto come le precedenti riproduzioni dei testi sacri celebranti le grandi virtù del futuro re ebreo. Il volto di Golia è l’autoritratto di Caravaggio che, rendendo macabra una scena epica, si impersona in un peccatore punito e utilizza l’orrido per sottolineare il suo pentimento cristiano e il suo senso di colpa per i suoi peccati e i suoi vizi. Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, Davide e Golia, 1597 – 1598, Madrid, Museo del Prado, olio su tela, 116 × 91 cm

Davide con la testa di Golia, Caravaggio Caravaggio dopo una vita trascorsa a fuggire dai suoi accusatori dipinge questo drammatico quadro prima di tornare a Roma. Al centro della tela compare da un fondo scuro un ragazzo che con la mano destra brandisce la spada con la quale ha tagliato la testa al gigante Golia ancora grondante di sangue che è rimasta con l’espressione sofferente cha avrebbe dovuto avere prima di morire. Il significato religioso della tavola è evidenziato dalla scritta presente sulla spada “HASOS”, alcuni critici ritengono l’iscrizione un rebus che vuol dire “l’umiltà uccide la superbia”, che può essere considerato anche il vero messaggio dell’atto biblico, ma niente riguardo tale argomento viene espresso con certezza. Ma la vera intenzione dell’artista è contenuta nella testa di Golia, che anche in quest’opera è il ritratto di Caravaggio, ma, a differenza del precedente Davide e Golia, qui attraverso l’orrido il pittore vuole commuovere o convincere coloro che lo volevano arrestare a rimuovere l’accusa. Quindi Caravaggio cerca addirittura di utilizzare il brutto per chiedere pietà e perdono per i suoi peccati che hanno reso la sua vita senza sosta tremenda e angosciante. Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, Davide con la testa di Golia, 1605 – 1606, Roma Galleria Borghese

speriamo vi sia piaciuto FINE speriamo vi sia piaciuto