Con la Bolla Caeca et obdurata del 1593 il Papa Clemente VIII cacciava definitivamente gli Ebrei da Perugia; a più riprese essi tentarono di tornare in.

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Con la Bolla Caeca et obdurata del 1593 il Papa Clemente VIII cacciava definitivamente gli Ebrei da Perugia; a più riprese essi tentarono di tornare in città, ma non vi riuscirono, se non in maniera sporadica e solo in occasione della Fiera dei Morti. Risale al 1849 un elenco esatto dei commercianti, tra i quali Servadio Isach Nissim Vito, originario di Senigallia, commerciante di “pannina e tessuti”, domiciliato nel Corso di Perugia; questo negozio è tra quelli citati nella distruzione operata dalle truppe pontificie il 20 giugno 1859. A partire dal 1853 si ha notizia di un altro negozio di stoffe, quello degli Ajò, provenienti da Senigallia come i Servadio. Al 1860 vi 4 nuclei familiari, 18 maschi e 13 femmine.

Dieci anni dopo, al censimento della popolazione del 1871 il numero degli ebrei era triplicato e arrivò a 103 all'inizio del '900. Dai centri minori, soprattutto del centro Italia (ex Stato pontificio), vi fu una sorta di migrazione di famiglie, richiamate dalle opportunità economiche della nuova situazione politica e dalla maggiore mobilità loro concessa in seguito alla mutata situazione politica; queste famiglie si insediarono stabilmente e i loro figli diedero luogo ad una generazione di professionisti (medici, avvocati, docenti) che rimase fino alla II guerra mondiale, anche se con qualche variazione numerica. Va però detto che a Perugia l'integrazione fu eccellente e questo ebbe come conseguenza molti matrimoni misti, che allontanarono dall'appartenenza ebraica le nuove generazioni

Enrico Ferro da Livorno, merciaio Cesare Norza da Livorno, merciaio Il settore in cui gli ebrei si affermarono furono soprattutto legati al commercio di tessuti e mercerie; eccone un elenco parziale (oltre agli Ajò e ai Servadio già nominati): Enrico Ferro da Livorno, merciaio Cesare Norza da Livorno, merciaio Pellegro Nissim da Siena, negoziante di tessuti Giacomo Piperno, da Roma, negoziante di tessuti Giacomo veneziano da Roma, negoziante di tessuti Aroldo Servadio da Senigallia, negoziante di tessuti (negozio ancora attivo al 1939) Vittorio Ascoli da Ancona, grossista di stoffe, liberale e massone Giuseppe Ajò, negoziante Arnaldo Coen da Urbino, imprenditore Giulio Kuhn, dalla Baviera, ottico, con un negozio sul corso Giuseppe Ottolenghi, negoziante Leone Piattelli, negoziante Achille Calef da Gubbio Elio Mortara da Reggio Emilia, medico chirurgo e direttore dell'Ospedale di Santa Maria della Misericordia Gino de Rossi da Pisa, docente di Microbiologia agraria, oggetto di espulsione in seguito alle leggi razziali Ciro Salmoni da Ascoli Piceno A.R. Levi,direttore dell'”Unione liberale”, giornale dei liberali moderati perugini

Norza proveniva da Livorno e fu uno degli ultimi a essere sepolto nel cimitero ebraico di via San Girolamo. Piperno proveniva da Roma e aveva aperto un negozio di tessuti nel Palazzo Ajò, sul corso cittadino; Giacomo Veneziano, giunto poi da Roma, si associò allo zio. Andò molto bene a Vittorio Ascoli: giunto da Roma, aprì un ingrosso di stoffe in Palazzo Donini, il primo in Umbria; fu liberale e massone. Abramo Ajò compare tra i soci del conte Zefferino Faina nell'esportazione di seta greggia in Francia. Non mancava un notevole spirito d'impresa e di innovazione: nel 1874, Arnaldo Coen, originario di Urbino, impiantava a Ponte San Giovanni un molino a cilindri, all'avanguardia in quegli anni, a cui seguì la costruzione di un pastificio. Leone Ascoli, nei primi anni del '900 finanziava l'avventura dei coniugi Annibale e Luisa Spagnoli, che avrebbe dato vita alla Perugina e alla Luisa Spagnoli. Giuseppe Ottolenghi era negoziante, come Leone Piattelli e Achille Calef.

Anche nelle libere professioni c'era qualche importante presenza: il medico-chirurgo Elia Mortara, che fu direttore (1864-84) dell'Ospedale di Santa Maria della Misericordia; Gino de Rossi, cattedra di Microbiologia agraria dal 1898 fin all'espulsione per le leggi razziali del 1937; Ciro Salmoni, ragioniere capo alla Prefettura.

La comunità degli ebrei era profondamente integrata nella città, anche grazie ai numerosi matrimoni misti avvenuti in quei decenni; molti ebrei fecero parte del Consiglio comunale cittadino, i loro nomi appaiono tra quelli citati nelle varie manifestazioni patriottiche e anticlericali dell'epoca, soprattutto quelle commemorative dei terribili fatti del 20 giugno 1859. Interessante è, ad esempio, trovare le firme di Vittorio Ascoli, Arnaldo e Augusto Ajò, Alberto Aroldo e Ruggero Servadio tra i firmatari di una richiesta del 1888 al Comune di Perugia per intitolare a Giordano Bruno la piazza antistante San Domenico. Si trattava di ebrei benestanti e colti, appartenenti all'élite cittadina: queste famiglie intrattenevano rapporti con i notabili con cui condividevano interessi e stili di vita.

Il nuovo cimitero ebraico Il vecchio cimitero ebraico, collocato ancora oggi in via San Girolamo, era rimasto a lungo abbandonato; si ha notizia di un'ultima tumulazione nel 1887, ma era ormai piccolo e insufficiente per l'aumentata popolazione ebraica. Nel 1874 8 ebrei perugini chiesero al Comune l'assegnazione di uno spazio nel pubblico cimitero, con ingresso separato e camera mortuaria. Sotto l'amministrazione di Ulisse Rocchi, il 19 marzo 1883, l'Ufficio tecnico del Comune fece la concessione, incaricando Vitale Ajò di rappresentare la comunità ebraica.