LE INVENZIONI DI ARCHIMEDE

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Transcript della presentazione:

LE INVENZIONI DI ARCHIMEDE Visita alla mostra presso i musei capitolini il 5/12/2013 Chiara D’Ignazio 1M

Le invenzioni di Archimede La leva La vite di Archimede o idraulica La vite senza fine La fontana di Erone Macchine di difesa Planetario L’inganno della corona

La leva Nei due libri del trattato sull'Equilibrio dei piani, opera che ha esercitato una grande influenza sulla nascita della scienza moderna, Archimede dimostra la fondamentale legge della leva, che è al centro di tutta la statica: in una leva si ha equilibrio quando i pesi sono inversamente proporzionali alle distanze dal fulcro. Posizionandosi opportunamente sul braccio più lungo del modello è possibile equilibrare una persona più pesante posta dalla parte corta. Da qui la celebre frase: «Datemi un punto d’appoggio e vi solleverò il mondo».

La vite di Archimede o idraulica Lo storico Diodoro Siculo attribuisce l'ideazione di questo dispositivo ad Archimede "all'epoca in cui aveva visitato l'Egitto". La vite idraulica era utilizzata per irrigare i terreni, per svuotare le gallerie e le sentine delle imbarcazioni. La macchina è costituita da una grossa vite posta all'interno di un cilindro ligneo cosparso di pece per impermeabilizzarlo. La parte inferiore del tubo è immersa nell'acqua dopodiché, ponendo in rotazione la vite, ogni passo raccoglie un certo quantitativo di liquido, che viene sollevato lungo la spirale fino ad uscire dalla parte superiore, dove viene scaricata in un bacino di accumulo. Vitruvio descrive uno o più addetti che, in un'epoca in cui la manovella non era ancora nota, dovevano darsi il cambio nella faticosa operazione di far ruotare il cilindro con i piedi.

La vite senza fine Secondo Plutarco (Marcello, XIV), Archimede aveva pubblicamente dichiarato che con una forza data avrebbe potuto muovere qualunque peso, anche la Terra, se ne avesse avuta un'altra sulla quale stare. Richiestagli dunque una dimostrazione, Archimede avrebbe optato per lo spostamento di una nave della flotta reale. Il modello mostra il dispositivo della vite senza fine grazie al quale il Siracusano sarebbe riuscito a far compiere un lieve movimento all'imbarcazione.

La fontana di erone Nei trattati composti ad Alessandria a partire dal III secolo a.C. troviamo numerose descrizioni di fontane zampillanti e con effetti a sorpresa, rapidamente entrate a far parte dei giardini e delle mense di coloro che volevano suscitare la meraviglia dei propri invitati. Descritto da Erone verso la metà del I secolo d.C., ma certamente già noto a Filone di Bisanzio se non anche a Ctesibio (III secolo a.C.), questo apparato funziona come segue: una volta riempito d'acqua il contenitore D, si comincia a versare il liquido nella coppa superiore. Attraverso il tubo A l'acqua raggiunge il recipiente E posto alla base e scaccia l'aria che vi si trova, obbligandola a incanalarsi nel cannello B. Una volta raggiunto il contenitore D, l'aria spinge l'acqua nel cannello C, facendola zampillare.

Il modello mostra il funzionamento di uno degli apparati più spettacolari della pneumatica antica. Descritto da Erone nella Pneumatica, il dispositivo è costituito da un altare sul quale è posto un ramo con finti uccellini. L'acqua versata nella coppa superiore s'incanala attraverso il cannello T verso il recipiente di base R dove, una volta uscita, costringe l'aria a salire nel tubo U. A questo punto la stessa aria 'rimbalza' sulla superficie dell'acqua contenuta nel recipiente V, per entrare poi nel condotto Z che attraversa il finto ramo, entra nel corpo dell'uccellino e termina in un fischietto, ovvero la strozzatura che genera il sibilo a imitazione del cinguettio. Queste meraviglie meccaniche erano già in voga nell'Alessandria del III secolo a.C., epoca in cui anche Archimede soggiornò nella città egizia.

Le macchine di difesa LA MANUS FERREA Archimede inventò le macchine belliche più strane per aiutare la sua città dall’assedio dei romani, una di queste è sicuramente la Manus ferrea. A riferirci di questa invenzione sono gli storici Polibio, Tito Livio e Plutarco, che nei loro scritti raccontano che la Manus ferrea contribuì a molte perdite romane. Il funzionamento del macchinario consisteva in un artiglio di ferro, di cui non si conosce precisamente la forma, che veniva fissato all’estremità di una corda e lanciato dalle mura di Siracusa; l’artiglio permetteva di agganciare la prua della nave avversaria, di sollevarla e, tirando la corda, di rovesciarla.

LO SPECCHIO USTORIO Nell'immaginario collettivo gli specchi ustori sono indissolubilmente legati all'assedio di Siracusa, durante il quale Archimede li avrebbe usati per bruciare le navi romane. I raggi del Sole concentrati dagli specchi in un unico punto sarebbero stati in grado di bruciare il legno delle navi romane. La struttura è costituita da almeno 24 grandi specchi piani, disposti in una figura esagonale su un graticcio ruotante su un palo fissato al terreno: lo specchio centrale serviva a dirigere il raggio solare riflesso sull'obiettivo, mentre gli specchi laterali venivano fatti convergere con un sistema di cinghie.

IL PLANETARIO Cicerone (106-43 a.C.) riferisce che, dopo la conquista di Siracusa nel 212 a.C., il console romano Marcello aveva portato a Roma un globo celeste e un planetario costruiti da Archimede (287-212 a.C.). Il planetario era un oggetto straordinario che mostrava a ogni rotazione la Luna levarsi dopo il Sole sopra la Terra immobile, le eclissi di Luna e di Sole a intervalli di tempo debiti, nonché i moti degli altri cinque pianeti noti: Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno.

L’inganno della corona Si narra che Gerone II, tiranno di Siracusa nel III secolo a.C., consegnò a uno stimato orafo una quantità d’oro per foggiare una corona a forma di rami intrecciati. A lavoro terminato la corona pesava effettivamente quanto l’oro di partenza, ma Gerone era sospettoso dell’artigiano e dubitava che questi vi avesse mescolato dei metalli meno pregiati. Per sciogliere il dubbio del re bisognava però escogitare un sistema per misurare esattamente il volume della corona senza distruggerla. Vitruvio narra che Archimede stesse facendo il bagno quando gli venne un’idea geniale; preso dall’entusiasmo uscì dalla vasca da bagno e andò in giro nudo per la città gridando «Eureka!». L’idea nacque dall’osservazione che il suo corpo, entrando nella vasca piena d’acqua, faceva traboccare una quantità di liquido uguale al volume immerso. Archimede suggerì dunque di confrontare la quantità d’acqua spostata dalla corona con la quantità d’acqua spostata da un blocchetto d’oro di ugual peso: se i due corpi avessero avuto volumi uguali avrebbero innalzato di pari quantità il livello dell’acqua in un recipiente. Ciò non avvenne, perché il volume della corona risultò maggiore di quello del blocchetto d’oro di uguale peso: l’orafo aveva effettivamente mescolato metalli diversi, come Gerone II aveva sospettato.

FINE