VESUVIO e MESTIERI AMBULANTI Di Oscar Limpido.

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VESUVIO e MESTIERI AMBULANTI Di Oscar Limpido

I MESTIERI AMBULANTI Com’erano, come sono se ci sono di Oscar Limpido Sommario: 1. Premessa, 2. barbiere, 3. capera, 4. capillò

Premessa Per rammentare i “mestieri” ambulanti del passato, ho attinto nei documenti e nella memoria. Così come per lo scrittore calabrese Corrado Alvaro, l’intendimento non è la nostalgia di un mondo che è scomparso o profondamente mutato, ma il ricordare, il custodire la memoria: nell’uomo convive sempre il moderno e l’antico. I “mestieri” erano tanti, tantissimi, per cui trattarli tutt’insieme, in una sola volta, con le loro peculiarità, avrebbe richiesto molto tempo. Ho preferito, pertanto, al momento, portare all’attenzione del lettore soltanto alcuni di essi, rinviando gli altri a successivi “appuntamenti”. Dovendo iniziare, m’è parso logico principiare dalla “testa” e, quindi dai mestieri di barbiere, capera e cavillò.

2. Barbiere I barbieri ambulanti radevano barbe e tagliavano i capelli a domicilio. La loro attrezzatura consisteva in una sedia, ove si poneva il cliente, davanti al basso, sul marciapiede, in casa; una catinella, un asciugamani di colore incerto per l’incerto candore e igiene, una ciotola, forbici, pennello, sapone da barba, rasoio a mano libera e rimasugli di giornale per la pulizia della lama. L’igiene “sui generis” era un requisito affidato alla casualità e non indispensabile. In merito è da rammentare il “barbiere d’a palluccella mmocca”. Questi per eseguire la rasatura speciale detta “a zizza ‘e pacchjana”, introduceva nella bocca del cliente, una pallina di legno che consentiva una perfetta distensione della pelle e, quindi, una perfetta e levigata rasatura. 

Per integrare i suoi guadagni, il barbiere svolgeva anche altri mestieri: mediatore nella ricerca di un’abitazione, sensale di matrimonio, “sanguettaro”. Il “sanguettaro” era colui che applicava le sanguisughe alle orecchie dei colpiti da ictus, alle spalle degli ammalati di polmonite, alle gambe dei sofferenti di tromboflebite. Questi animaletti di stagno succhiavano il sangue dell’infermo con la conseguente diminuzione della pressione sanguigna. La “caccia” al “lavoro nero” e la migliore e appariscente organizzazione delle botteghe artigiane, sotto insegne esterofile: figaro, coiffeur pour homme; hanno portato alla quasi estinzione del barbiere ambulante.

3. Capera Parrucchiera mobile andava là dove la clientela chiamava. Clientela che proprio perché fatta di donne, era esigente e difficile, tant’è che un “detto” affermava che “lo denaro de la capera è denaro che sa di fele (fiele n.d.r.)” Andando ovunque e a contatto con donne di diversa età ed estrazione sociale, di essa ne ascoltava le confidenze, che prometteva di non riferire ad alcuno. Promessa che quasi mai manteneva, sicché “capera” divenne sinonimo di donna pettegola. La capera vestiva con ricercatezza e con una certa qual eleganza, sentendo di essere -e lo era- anche un “modello” per le sue clienti. Così come per il barbiere a domicilio, la “caccia” al “lavoro nero” e i saloni di “coiffeur” hanno portato la capera alla quasi estinzione.

4. Capillò Il capillò detto anche “capillone” era un uomo che attraversava le strade e i vicoli delle città e paesi al grido di “capillò”, per comprare capelli di donne che, riposti in un sacco o in una sporta, rivendeva, poi, ai fabbricanti di parrucche. Il sacrificio di lunghi capelli in cambio di denaro, consentiva a molte donne di aiutare l’economia familiare soprattutto quando questa era in condizioni miserevoli. Da ciò il dolore popolare, avvertito anche dal poeta Salvatore Di Giacomo e riportato nella poesia titolata “capillò”.

CAPILLÒ Capillò! … (Sissignore, è overo, è overo c’Angelarosa nun me po’ vedé: sarrà n’antipatia pe stu mestiero, o a n’ato penzarrà, cchiu mmeglio ‘e me! N’ato?! Ah, destino! Sti capille d’oro, st’uocchie, sta vocca n’ato ha dda vasà! N’ato! E io mme songo strutto, io me ne moro, e chisto scellerato ha dda campà!) Capillò! … Capillò! … (Si è destinato, core scuntento mio, che buo’, che buo’? …) Capillooò!... (P’o vico ‘e Sant’Arcangelo a Baiano passo ogne ghiuorno pe vedé sta nfama: appresso ‘a chiesella, a ‘o primmo piano, Angelarosa sta: canta e ricama. Passo, mme vede e addio: lle cade ll’aco, se ferma ‘a voce … Ma pecché? Pecché? E io rummano abbeluto e mme ne vaco … Angelarosa nun me po’ vedé! …)

(Ma si mme vuò fa tanto sfurtunato, sciorta, ammeno e tu famme vennecà! Nun so’chiù chillo ‘e primma, io mo so’ n’ato, e capace ‘e qualunqua nfamità! Morta ‘a vurria vedé! Morta o malata, dint’o tavuto, o ncopp’a nu spitale, e spià lle vurria cu na resata: <<Che se n’è fatto ‘e chillo tale e quale? Mo nun rispunne? No? Nun me rispunne? Nun me canusce cchiu? Nun saie chi so’? …>>) Capillooò!... Capillò! … - Chi mme chiama? … Essa! … Ah, destino! Ll’hanno arrestato a Ppasca ‘o nnammurato, E s’ha tagliate ‘e trezze d’oro fino Pe ne mannà denare a ‘o carcerato. È scesa anfino a mmiez’e gradiate: - Tengo sti trezze; oi ni’, t’e buò accattà? … - L’aggio mise tre lire e mme l’ha date (e nun me so’ fidato d’a guardà …) L’aggio sentuta chiagnere scennenno, ma nteneruto no, no, nun me so’! Sti trezze d’oro mm’e voglio i’ vennenno! Capillò! … Capillooò! …

WWW.VESUVIOWEB.COM Testo di Oscar Limpido