GLI ADATTAMENTI
Si distinguono sostanzialmente tre tipi di adattamenti: morfologico fisiologico comportamentale
Gli adattamenti morfologici riguardano la forma e la struttura degli organismi. La forma e la robustezza del becco del picchio, adatto per forare la corteccia degli alberi, sono un valido esempio di adattamento morfologico.
Gli adattamenti fisiologici riguardano il metabolismo Gli adattamenti fisiologici riguardano il metabolismo. Un esempio di questo tipo di adattamento è la presenza nel sangue dei pesci che vivono nei mari polari di particolari proteine “antigelo” che abbassano la temperatura di congelamento.
Gli adattamenti comportamentali sono particolari comportamenti degli organismi in risposta a determinati stimoli ambientali. La fedeltà all’uomo del cane è un adattamento dettato dalla necessità di procurarsi cibo e rifugio.
Organismi che vivono in condizioni ambientali simili, ma senza alcuna parentela evolutiva, sviluppano strutture simili dal punto di vista funzionale. Il topolino delle piramidi che vive in Egitto e quello dei deserti del Nuovo Messico hanno entrambi le zampe modellate allo stesso modo, adatte a saltare sulla sabbia che è la caratteristica comune degli ambienti in cui questi animali vivono.
Sia i cactus che le euforbie, piante diverse che vivono in ambienti aridi, possiedono spine carnose e tessuti in grado di accumulare acqua.
Molti mammiferi che si sono adattati alla vita marina, come i cetacei e i delfini, hanno assunto le caratteristiche dei pesci
FLORA D’ALTA QUOTA le piante devono lottare contro il vento, il gelo, la copertura di neve e la siccità. Per questo motivo esse presentano adattamenti specifici atti a difenderle dalle condizioni estreme dell’alta montagna.
Il vento e il carico della neve impediscono la crescita e l’attecchimento delle specie arboree e quindi gli arbusti si presentano nella norma a “cuscinetto“ come nel caso del ginepro prostrato (Juniperus nana), che forma larghe macchie sempreverdi lungo i pendii sassosi.
Il gelo e la neve condizionano a tal punto l’attività vegetativa che le fioriture vengono regolate esclusivamente dal periodo di scomparsa della neve.
La siccità che, ricordiamo non è propria solo dei climi caldi (l’acqua in alta montagna si disperde facilmente o è presente in forma di neve o di ghiaccio e quindi non è assimilabile dagli apparati radicali) determina adattamenti tendenti a conservare l’acqua (piante grasse) o a limitarne l’evaporazione attraverso la presenza di una fitta lanugine che conferisce al fusto e alle foglie una colorazione grigio-tomentosa.
Molte piante si adattano all’evoluzione dinamica dei ghiaioni con apparati radicali capaci di rispondere in modo “elastico” ai piccoli e continui movimenti del pietrame. Androsace hausmannii Androsace brevis Viola comollia
Il nanismo difende meglio dal vento e dagli altri agenti atmosferici, dalla traspirazione e dal peso della neve e permette l’insediamento e la crescita anche in piccoli spazi. In questo modo anche alcuni piccoli arbusti con aspetto tappezzante, dotati di rami legnosi e striscianti sulle rocce o sul terreno o addirittura sotterranei come è il caso del salice erbaceo (Salix herbacea) , possono svilupparsi anche a quote rilevanti.
Il rimpicciolimento può interessare anche solo alcune parti della pianta: spesso le foglie sono minuscole e coriacee, ridotte a scagliette o sottili aghi, una forma studiata apposta, peraltro, per limitare ancora di più perdita di acqua per traspirazione
Anche la lanugine vellutata che riveste molte piante alpine, più che una valida difesa dal freddo, è in realtà ancora una volta una difesa soprattutto dalla traspirazione: l’obiettivo infatti è quello di creare un sottile strato isolante che rende meno brusca la differenza di umidità tra l’atmosfera e l’interno della pianta, così da rallentare l’evaporazione dai tessuti interni.
E dato che anche l’eccessivo surriscaldamento contribuisce alla traspirazione, si può operare anche nel modo opposto: niente più lanugine, ma foglie ispessite e con una superficie lucida che, come un piccolo specchio, riflette le radiazioni solari più intense e, quindi più nocive.
Le piante alpine, infatti, spiccano per il loro colore bianco-argenteo, dato da una lanugine fine e compatta. Ed ancora, la succulenza di alcune specie alpine, specialmente quelle che vivono prevalentemente sulle rupi, risponde sempre ad una necessità di risparmio idrico, né più né meno come le piante dei deserti. La cosa è evidente nei Sedum e nei Sempervivum che hanno proprio l’aspetto di piccole piante grasse, ma anche alcune primule e sassifraghe possiedono foglie succulente.
Se l’impollinazione non va a buon fine molte piante alpine ripiegano su mezzi di propagazione alternativi: ad esempio l’allungamento di fusti striscianti-detti stoloni – che producono nuovi cespi a brevi distanze dalla pianta madre (ne è un bell’esempio il dorato Geum reptans che cresce sovente sulle morene a poca distanza dai ghiacciai) oppure la produzione di gemme o di bulbilli , da ognuna delle quali si sviluppa un nuovo individuo (come in Polygonun, viviparum e in Poa alpina, due comunissimi abitanti di pascoli e praterie alpine).
I semi delle piante alpine sono generalmente piccoli e leggeri o dotati di strutture che ne facilitano la dispersione ad opera del vento: sono così strutturati. ad esempio, i frutticini piumosi degli anemoni alpini (Pulsatilla alpina e Pulsatilla vernalis), dei salici nani e di altre piante.
La maggior parte delle piante alpine è perenne; possiede cioè un apparato radicale che rimane vitale per più anni, ben protetto d’inverno dal manto nevoso. Foglie e fusti foriferi invece vengono di norma ricambiati ogni anno e i loro residui secchi servono spesso a proteggere le gemme, situate a livello del terreno, che in primavera devono prontamente rigermogliare, e, per guadagnare tempo, magari quando la neve non è ancora completamente fusa, come usano fare abitualmente le graziose soldanelle.
Qualcuna è anche dotata di organi sotterranei carnosi (bulbi, tuberi) come è il caso del comunissimo croco (Crocus albiflorus), un’altra pianta tra le prime a fiorire dopo il disgelo. Pochissime e di piccola taglia sono invece le piante a ciclo annuale: troppo breve è infatti l’estate alpina per garantire un periodo di tempo sufficiente allo svolgimento di un ciclo completo, a partire dalla germinazione del semi alla piena fruttificazione e disseminazione.
A questi adattamenti se ne aggiungono altri di natura fisiologica, non meno fondamentali anche se non visibili in modo macroscopico. Basti citare il caso del ranuncolo dei ghiacciai (Ranunculus glacialis) che nel suoi tessuti, accumula zuccheri solubili come riserve - anzìchè amido come vuole la norma -, creando così una concentrazione tale nei suoi succhi cellulari da abbassarne notevolmente il punto di congelamento.
Piante di ambienti altrettanto particolari Le specie che vivono nelle pietraie e nelle colate detritiche, ad esempio, devono sopportare oltre alla carenza di acqua e nutrienti, il rotolamento continuo delle pietre che le possono spezzare o trascinare in basso, soprattutto in conseguenza di smottamenti o ruscellamenti superficiali di acque. Androsace mucronifolia Androsace nivalis
Alcune di queste specie (dette migratrici ) non offrono resistenze di sorta, limitandosi a ricoprire il detrito più fine con aspetto tappezzante e con brevi radici che vanno poco in profondità ma i loro fusticini sottili e delicati sono dotati di forte capacità rigenerativa e pertanto, quando vengono frammentati e trascinati a valle, sono in grado di originare nuovi cespugli. Dicotiledoni: Fam.Composite Tussillagine o farfara Monocotiledoni: Fam. Graminacee Dicotiledoni: Fam.Crucifere o Brassicacee Lunaria o monete del Papa
Altre specie (dette “stabilizzatrici”), sono viceversa fornite dì apparati radicali più forti ed organizzati, capaci spesso di approfondirsi notevolmente, ed in grado così non solo di ricercare acqua e nutrienti a maggiore profondità, ma anche di operare un primo serio tentativo di stabilizzare il pendio detritico in movimento gravitativo. Il bel papavero giallo (Papaver rhaeticum), presente sui ghiaioni calcarei, appartiene a questa seconda categoria.
Simile per certi versi i problemi che devono affrontare le specie che vivono nelle fessure delle rupi che devono far fronte principalmente alla carenza di spazio, di terreno e di acqua. In questo habitat hanno dunque avuto un buon successo le cosiddette piante a “pulvino” che hanno un classico portamento a denso cuscinetto, costituito da un apparato radicale normalmente allungato ed ingrossato, capace di farsi largo nelle spaccature, e da numerosissimi fusticini raccorciati e pluriramificati a raggiera che si addensano tra loro creando una trama fittissima e composta nella quale l’acqua e l’umidità possono venire conservate a lungo. Limonium acutifolium
Hanno questo singolare aspetto diverse piante tra cui alcune androsace (Androsace vandelli, Androsace helvetica), il cosidetto “muschio fiorito” (Silene acaulis), il non-ti-scordar-di-me nano (Eritricumnanum) e alcune sassifraghe (Saxifraga vandelli, Saxifraga bryoides). Saxifraga bryoides Silene acaulis Saxifraga vandelli
Muschi, licheni ed alghe hanno la capacità di vivere a quote ben superiori a quelle raggiunte dalle piante con fiori. Destano sensazione in particolare le incredibili alghe “delle nevi” organismi unicellulari che si ammassano in colonie nelle nevi perenni, creando strane macchie verdastre o rosso-brunastre, e così adattate al loro habitat da vegetare in modo ottimale solo ad alcuni gradi sottozero e da con tollerare invece, temperature vicine allo 0° C. Queste piante sono modelli Interessanti perché hanno sviluppato strategie per sopportare radiazioni luminose elevate (fra cui radiazioni UV), rapide e ampie fluttuazioni termiche, venti violenti, stress idrico, deficit minerale del suolo e periodi ridotti di crescita.
FAUNA D’ALTA QUOTA Gli animali devono lottare contro il vento, il gelo, la copertura di neve e la siccità. Per questo motivo esse presentano adattamenti specifici atti a difenderle dalle condizioni estreme dell’alta montagna maggior concentrazione di globuli rossi per unità di sangue maggior presenza di acidi grassi insaturi nella zampa accorciamento delle appendici (lepre bianca) arrotondamento del corpo (marmotta) mute del pelo, mimetismo letargo adattamenti della zampa (camoscio, pernice bianca)
LEPRE ALPINA. E' dotata di manto mimetico che in inverno diviene bianco per confondersi con la neve, mentre in estate diventa rossiccio per confondersi con il terriccio circostante. E' un animale molto timido, ma dotato di agilità e velocità davvero notevoli. E' un'ottima scavatrice di gallerie che le consentono, sopratutto in inverno, di raggiungere radici e vegetali con cui si ciba. Lepus timidus
Marmota marmotta Grosso roditore (peso 4/8 Kg) di aspetto massiccio con testa arrotondata, orecchie brevi, coda corta. Colorazione giallo-brunastra, più scura alle estremità. La marmotta cade in letargo. In questo periodo, lungo anche sei mesi, la marmotta rallenta moltissimo le proprie funzioni vitali, senza mangiare né bere. Soltanto se la temperatura interna della tana scende sotto i 7 gradi la marmotta si sveglia per cercare un riparo più efficace. In passato oggetto di una caccia spietata a causa della pelliccia e del grasso che veniva utilizzato come medicinale
Rupicapra pyrenaica ornata
Pernice bianca (Logopus mutus)
DESERTO Un clima arido con precipitazioni annue inferiori a 25 cm è caratteristico della zone desertiche. La scarsità di acqua, le alte temperature del giorno, la notevole escursione termica diurna, per i deserti caldi anche oltre 40°C, annua per i deserti freddi, rendono molto difficile la vita. I deserti più estremi sono pressochè privi di vita, queste aree ricevono meno di 10 cm di pioggia annua e molte non ricevono pioggia per molti anni consecutivi. Sono poche le specie adatte a questo ambiente; oltre ai microrganismi estremofili troviamo piante xerofite e animali di piccola taglia: insetti, rettili, aracnidi,
Questi organismi hanno adottato interessanti adattamenti Questi organismi hanno adottato interessanti adattamenti. Le piante, spesso hanno le foglie trasformate in spine, strategia utile sia a diminuire la superficie traspirante sia a difendere la pianta dall'attacco di animali che potrebbero privarla dei pochi liquidi che riesce a trattenere. Phacelia crenulata Plagiobothrys Populus fremontii Ferocactus wislizenii
Gli animali stanno generalmente nascosti sotto la sabbia o le pietre ed escono solo nelle ore più fresche; alcuni producono l'acqua necessaria attraverso particolari metabolismi. Heloderma suspectus È un rettile pericoloso, il suo morso è infatti velenoso. Vive nel deserto cibandosi di piccoli mammiferi, ha un modo curioso di mettere da parte le provviste, la sua riserva alimentare invernale è infatti costituita dal grasso conservato nella coda.
Vulpes zerda Presente nel deserto del Sahara, è il più piccolo rappresentante della famiglia dei canidi. Ha orecchie con smisurati padiglioni auricolari che gli consentono non solo di percepire suoni e vibrazioni ma anche di disperdere il calore del corpo. La sua pelliccia gli permette di resistere alle basse temperature della notte, e, poiché riveste anche la pianta delle zampe, alle alte temperature della sabbia durante il giorno. Può resistere molto a lungo senza acqua che ricava generalmente dalle prede, inoltre limita molto la dispersione emettendo urina molto concentrata.Questi adattamenti gli consentono di poter vivere nel deserto, di giorno in tane scavate nella sabbia e di notte cacciando topi delle piramidi, uccelli, rettili e uova.
ABISSI MARINI I principali fattori che influiscono sulla distribuzione degli esseri viventi sono la luce e i nutrienti. La luce solare penetra solo fino a 200 m e qui si concentra la maggior parte degli organismi marini. Procedendo verso il basso, la temperatura dell'acqua tende a diminuire: a 2000 m si registra una temperatura di 3°C e a 3000 m di soli 2°C, sui fondali si può sfiorare lo 0°C. La pressione invece aumenta, 1 atm ogni dieci metri. Il mare profondo è dunque un ambiente estremo, abitato da pochi organismi, ma riserva numerose sorprese.
La più interessante per la vita marina è stata la scoperta, nei pressi della dorsale pacifica orientale, dei "camini" Black smokers dai quali fuoriesce acqua a temperatura altissima (400°C) ricca di gas e particelle di diversi solfuri. La sostanza presente in maggior quantità in queste emissioni è l'idrogeno solforato, questo è utilizzato da batteri ipertermofili che rappresentano il primo anello di una catena alimentare costituita da vermi, molluschi, crostacei e anche pesci tutti con caratteristiche particolari, adatti a vivere in un ambiente tanto "strano". Copepode ARCHEBATTERI Methanococcus janaschii Anemone Carnegiella strigata
Riftia pachyptilia Vermi tubicoli con rossi pennacchi all'apice. Non hanno apparato digerente, dipendono dai batteri con i quali vivono in simbiosi. I pennacchi sono rossi perché ricchissimi di emoglobina che cattura l'acido solfidrico e lo trasporta ai batteri che stanno dentro al verme, questi ossidano lo zolfo e costruiscono sostanza organica dall'anidride carbonica. Si riproducono rilasciando sperma e uova nell'acqua, qualche studioso crede che le uova abbiano già la loro dotazione di batteri nutrienti e forse uno stadio larvale libero. Alcuni individui raggiungono notevoli dimensioni.
Cryptosaras couesi Ci sono circa 200 specie di pesce lanterna, sono generalmente piccoli pesci lunghi circa 15 cm, e sono chiamati così a causa degli organi laterali luminosi, che gli consentono di adescare le prede, attrarre i loro partner e anche a scopo di difesa. Vivono in acque semiprofonde e si cibano di crostacei che catturano ogni notte risalendo alla superficie del mare.