IL CIPPATO PUO' DIVENTARE UN PROGETTO ECONOMICO PER GLI AGRICOLTORI, PER LE NOSTRE CAMPAGNE?
LA BIOMASSA La biomassa è la sostanza organica derivante dalla fotosintesi clorofilliana: le piante assorbono dall’ambiente anidride carbonica che viene trasformata, con l’apporto di energia solare, acqua e sostanze nutrienti, presenti nel terreno, in materiale organico. Il potenziale contenuto energetico che viene dato dalla “creazione di biomassa” nel pianeta in un anno è equivalente a 70 miliardi di tonnellate di petrolio, circa 10 volte l’attuale fabbisogno energetico mondiale. La biomassa è la più diffusa e antica delle fonti energetiche, sostituita gradualmente, negli ultimi 150 anni, dai combustibili fossili. Anche i combustibili fossili hanno origine organica, ma non sono rinnovabili (la biomassa lo è).
LA BIOMASSA UTILIZZABILE A FINI ENERGETICI Tra le principali tipologie di biomassa utilizzabili per la produzione di energia, oltre alla legna derivante dalla cura dei boschi, ai residui dell’attività agricola (paglia, potature) e delle attività agroindustriali, oltre agli scarti della lavorazione del legno, e dai reflui industriali, civili, animali e della frazione organica dei rifiuti solidi organici, oltre a tutto questo, una biomassa ad utilizzo energetico può essere specificatamente data da apposite colture, o lignocellulosiche, o oleaginose, amidacee, zuccherine… cioè da piante coltivate per essere destinate alla produzione di energia.
UN MODELLO PRODUTTIVO AGRICOLO: IL PAE Piante appositamente destinate alla produzione energetica: non si chiamano queste produzioni “Biomasse”, ma “PAE”, cioè “Produzioni Energetiche di origine Agricola”. Infatti nel termine “Biomassa” vengono compresi materiali di scarto non certificabili e non solo agricoli. “PAE” sono prodotti vergini, materiali agro-forestali provenienti da coltivazioni erbacee e arboree, appositamente coltivati per destinarli alla produzione energetica. Pertanto, per gli operatori del settore, il PAE (le produzioni agricole energetiche) è un modello produttivo che si può controllare, testare, certificare, senza rischi per l’ambiente nella fase di trasformazione energetica.
QUALI PIANTE UTILIZZARE? 1^ IPOTESI: I PIOPPETI Anche l’elemento paesaggistico diventa importante: utilizziamo per le nostre campagne che cercano un “progetto economico” produzioni legnose che le rendano gradevoli, belle a vedersi? Una possibilità è data dal pioppo. I pioppeti sono l’elemento di attrazione del paesaggio, e allo stesso tempo economicamente compatibile, più di altre specie magari più pregevoli, come i platani, i salici, gli eucalipti. LA COLTIVAZIONE DEL PIOPPO SRF Il “pioppo a rapida crescita” (SRF sta per Short Rotation Forestry) ha il vantaggio di avere vari ibridi (non ogm!) in modo da trovare quello più adatto a ciascun particolare terreno ed area geografica. E’ una pianta inoltre che dà una produzione costante (pertanto un sicuro approvvigionamento per il consumo energetico), è molto produttiva (il taglio può avvenire ogni due anni con piante ad altezza di 7/8 metri; oppure ogni 5 anni con piante ad altezza di più di 12/15 metri), non è invasiva e ha un facile espianto; ed inoltre vi è un uso d’acqua senz’altro inferiore a quello utilizzato per la produzione di mais. Ciononostante l’uso dell’acqua in forme di irrigazione è essenziale per la buona resa del pioppeto.
I LIMITI DELLA COLTIVAZIONE DEL PIOPPO Il problema del futuro sarà, nelle nostre campagne, la razionalizzazione dell’acqua (proveniente dal Piave). Siamo in zona di “alta pianura”. Pertanto in un contesto di presenza d’acqua portata solo da sistemi di irrigazione artificiali, che tolgono molta capacità idrica ai fiumi (un problema con il quale, piaccia o non piaccia, dovremo fare i conti). Il pioppeto richiede terreni con disponibilità d’acqua e di nutrienti, e dipende anche da un diserbo accurato. Questa specie tollera male la siccità estiva, è sensibile a diversi parassiti e tende a sfruttare molto il terreno su cui cresce. Pertanto il pioppeto richiede diserbi, fertilizzazioni, irrigazione artificiale…. I risultati sono superiori a quelli di molte altre specie arboree, ma richiede interventi irrigui e chimici non indifferenti….
2^ IPOTESI: LA COLTIVAZIONE DELLA ROBINIA Un’alternativa, meno pregevole forse dal punto di vista estetico-ambientale, ma più valida dal punto di vista economico, e di non inquinamento e di risparmio d’acqua, potrebbe essere quello della coltivazione della Robinia. I vantaggi della robinia sono la notevole frugalità, la crescita iniziale molto rapida e la grande vitalità delle ceppaie. Si adatta a terreni relativamente poveri, tollera la siccità estiva. Ha una grande capacità di fissare l’azoto atmosferico, che rende superflui gli interventi di fertilizzazione, ed evita di depauperare il suolo anche in presenza di una gestione produttiva intensiva. Lo svantaggio della robinia potrebbe essere quello di “allargarsi troppo”, uscendo dagli allineamenti originali dei campi, con un’estensione a zone adiacenti. Questo problema mostra però la grande vitalità della specie è può essere risolto con misure di controllo (ad esempio passando con un trinciatutto) per mantenere gli allineamenti dei campi e i confini.
PIOPPO O ROBINIA? La soluzione potrebbe essere di creare situazione di convivenza, di COMPLEMENTARIETA’, tra pioppeti e robineti, mettendo questi ultimi in luoghi dove il pioppo non può sviluppare tutto il suo potenziale. Il robineto ha spese ridotte (l’impianto, il controllo degli allineamenti, la raccolta), ed è adatto ad occupare anche appezzamenti relativamente piccoli, dove si desidera intervenire con la minor frequenza possibile. Il taglio può essere “a turno breve” (ogni 2-4 anni) o “a turno medio” (ogni 5-7 anni). A sua volta il pioppeto dà una pregevole produzione legnosa e attualmente gode pure di finanziamenti europei per i costi di impianto e manutenzione (ed è possibile, a proposito di contributi europei, coltivarlo su terreni a “set aside” come coltura “no food”, continuando a ricevere il contributo europeo per il terreno “a riposo”).
CONVIENE COLTIVARE CIPPATO? (CONTI DA VERIFICARE) il prezzo di cessione delle biomasse legnose in Italia si aggira attualmente tra i 40 e i 55 euro la tonnellata. Considerati i costi di raccolta, che oscillano oggi tra gli 11 ed i 18 euro la tonnellata, ed i costi di trasporto che devono essere contenuti in un massimo di 10 euro la tonnellata, la coltivazione può consentire all’agricoltore la remunerazione del materiale legnoso con almeno 20 euro la tonnellata di prodotto legnoso. Tenuto inoltre conto di possibili finaziamenti europei (“premio unico annuale seminativo” e “aiuto supplementare”), oppure dell’utilizzo di campi a “set aside” continuando ad usufruire dello specifico contributo per “colture a riposo”.
IL GUADAGNO DI UN CAMPO TREVIGIANO 50 euro (prezzo a tonnellata) – 10 euro (spese di raccolta) – 10 euro (sp. gestione, essiccazione, controllo, trinciamento, etc.) – 10 euro (trasporto) __________________ 20 euro (UTILE a tonnellata) 200 ton/ha x 20 euro = 4.000 euro : 2 anni per taglio = 2.000 euro all’anno a ettaro (2 campi) senza contributi diretti e indiretti (1.000 euro annue a campo senza contributi) MA NON E’ SOLO QUESTO…
I CONTRIBUTI Come prima detto, con l’attuale regolamentazione comunitaria le colture permanenti destinate ad uso energetico possono beneficiare sia del Premio Unico Annuale seminativi, che di aiuti supplementari di volta in volta stabiliti. Aiuti che l’azienda può ottenere solo contrattualizzando il ritiro a scopo energetico delle produzioni realizzate con una società accreditata presso gli organismi pagatori. E con la possibilità di coltivare la pianta destinata ad uso energetico anche su terreni “a set aside”, come coltura “no food”.
IL PROTOCOLLO DI KYOTO E I CREDITI DI ANIDRIDE CARBONICA Un’importante funzione ambientale delle piante è data dalla loro capacità di accumulare gas ad effetto serra, in particolare la Co2 (anidride carbonica), che sta aumentando considerevolmente nell’atmosfera (+35% negli ultimi 150 anni), determinando l’aumento dell’effetto serra che si ritiene una delle cause dei cambiamenti climatici in corso. Il Protocollo di Kyoto obbliga i paesi che lo hanno sottoscritto a ridurre del 6% le emissioni di Co2 nell’atmosfera. Le piantagioni forestali, anche quelle a turno breve, possono contribuire a immagazzinare il carbonio (ovvero la Co2) all’interno della parte legnosa e anche nel terreno. Se poi si usano tecniche colturali conservative che riducano al massimo le lavorazioni del terreno, la mancanza di disturbo al suolo consentirebbe negli anni di conservare e aumentare ulteriormente il contenuto di Carbonio dei terreni agricoli e forestali. Le piantagioni boschive a rapido accrescimento sono tra i sistemi agro-forestali più efficaci per l’assorbimento di gas serra. Il fatto che vari Paesi industriali si siano impegnati a ridurre le emissioni di Co2, questo sta portando allo sviluppo, a livello internazionale, di un sistema simile alle Borse finanziarie in cui, sul mercato libero, nazioni, imprese o singoli operatori privati possono vendere o comprare, a seconda delle proprie necessità, i crediti di Carbonio, cioè la capacità dimostrata e certificata di assorbire Co2.
AL POSTO DELLE CAVE: UN PROGETTO RURALE NELLE NOSTRE CAMPAGNE, NEL SEGNO DELLO SVILUPPO AGRICOLO E DELL’AMBIENTE Pertanto le piantagioni boschive consentono di sostituire i combustibili fossili con un combustibile rinnovabile come il legno. E qui sta un altro punto da valutare. Contemporaneamente al legno in combustione, usato per riscaldare o raffreddare edifici, si può sviluppare, con lo stesso processo, la COGENERAZIONE, cioè la possibilità che abbiamo di usare la stessa combustione per una percentuale di produzione energetica, da usare per l’autoconsumo o da mettere in rete (con l’introito dei cosiddetti certificati verdi, che remunerano il produttore di energia rinnovabile). Studi del CNR ci dicono che, se soltanto si raddoppiasse la quantità di energia prodotta con tali coltivazioni, l’Italia sarebbe in grado di soddisfare quasi completamente gli impegni di riduzione dei gas serra connessi al protocollo di Kyoto.