10.00 Capitolo 45 Ora ti mostrerò a chi fanno male, e a chi no, le spine e i triboli che germinò la terra per il peccato.

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Le preghiere del mattino
XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C Lc 7,36-8,3.
Preghiera a Dio.
Transcript della presentazione:

10.00

Capitolo 45

Ora ti mostrerò a chi fanno male, e a chi no, le spine e i triboli che germinò la terra per il peccato.

E poiché fino a ora ti ho parlato della dannazione dei reprobi e della mia bontà, e ti ho detto come essi siano ingannati dalla propria sensualità, ora ti voglio dire come essi soli siano quelli che sono offesi dalle spine della vita.

Nessuno, che nasca in questa vita, passa senza fatica, o corporale o spirituale.

ora è la volontà quella che dà pena all'uomo. I miei servi sopportano quella corporale, ma la loro mente è libera, cioè non sente il peso della fatica, perché hanno accordata la loro volontà con la mia;

Pena di mente e di corpo portano quelli i quali ti ho detto che in questa vita gustano l'anticipo dell'inferno, come i miei servi gustano l'anticipo della vita eterna.

Sai tu quale è il bene più singolare che hanno i beati?

Desiderano Me, e desiderando Me, mi posseggono e mi gustano senza alcuna ribellione, poiché hanno lasciata la gravezza del corpo, il quale aveva una legge che pugnava contro lo spirito.

Il corpo era un ostacolo che non lasciava conoscere perfettamente la verità, né essi potevano vedermi faccia a faccia, perché il corpo non lo permetteva.

Ma dopo che l'anima ha lasciato il peso del corpo, la volontà è appagata, poiché desiderando di vedermi, ella mi vede; e in questa visione sta la beatitudine.

Essa vedendo, conosce; conoscendo, ama; e amando, gusta me, Bene sommo ed eterno; gustando, sazia e riempie nella sua volontà quel desiderio che ha di vedermi e conoscermi.

Cosicché desiderando, mi ha; ed avendomi, mi desidera; ma, come già ti dissi, è lungi la pena dal desiderio e il fastidio dalla sazietà.

Così vedi come i miei servi ricevano beatitudine principalmente nel vedere e conoscere me.

Tale visione e conoscenza riempie la loro volontà, che ha quanto desidera, e così è saziata. Perciò ti dissi in particolare che gustare la vita eterna non è altro che avere ciò che la volontà desidera; ora ella si sazia nel vedere e conoscere me.

In questa vita gustano i giusti la caparra della vita eterna, gustando quel medesimo bene, dal quale ti ho detto che sono saziati.

Nel riscontrare la mia bontà in se stessi, e nel conoscere la mia verità. L'intelletto, che è l'occhio dell'anima, ha una tale cognizione quando è illuminato da me.

Quest'occhio ha la pupilla della santissima fede, illuminata da una luce, che fa discernere, conoscere e seguire la via e la dottrina della mia Verità, il Verbo incarnato. Senza questa pupilla della fede non vedrebbe che alla maniera di un uomo, che pur avendo l'organo dell'occhio, avesse la pupilla ricoperta da un panno.

Pupilla dell'occhio dell'intelletto è la fede; se le viene posto dinanzi il panno della infedeltà, cavato dall'amor proprio, non vede; ha l'organo dell'occhio, ma non il lume, perché esso se l'è tolto.

Comprendi dunque come essi, nel vedere, conoscono; conoscendo, amano; e amando, annegano e perdono la loro volontà. Perduta questa, si vestono della mia, che non vuole altro che la vostra santificazione.

Subito poi si danno a volgere indietro il capo dalla via di sotto, cominciano a salire il ponte e passano sopra le spine. E poiché hanno i piedi del loro affetto calzati con la mia volontà, non risentono male.

Perciò ti dissi che sopportano corporalmente, non spiritualmente, perché è morta in essi la volontà sensitiva, che dà pena e affligge la mente della creatura. Tolta la volontà, è tolta la pena, e così sopportano tutto con riverenza di me, ascrivendosi a grazia d'essere tribolati per me, non desiderano se non quello che voglio io.

Se io do loro pena da parte dei demoni, permettendo molte tentazioni per provarli nelle virtù, essi resistono con la volontà, che hanno fortificata in me, Così passano con allegrezza e conoscenza di se stessi, senza pena afflittiva. umiliandosi e reputandosi indegni della pace e quiete della mente, ma degni della pena.

Se hanno tribolazione dagli uomini, infermità, povertà, mutamento di stato nel mondo, privazione di figlioli e d'altre creature che amano molto, spine tutte germogliate dalla terra dopo il peccato, tutto sopportano col lume della ragione e della santa fede, tenendo l'occhio a me, che sono somma bontà, né posso volere altro che bene, e solo a scopo di bene concedo queste spine, per amore e non per odio.

Conosciuto il mio amore, guardano a se stessi, e riconoscono i loro difetti; vedono col lume della fede che il bene deve essere rimunerato, e la colpa punita.

Vedono che ogni piccola colpa meriterebbe pena infinita, perché è fatta contro di me, che sono bene infinito; e si reputano a grazia che io li voglia punire in questa vita, che dura un tempo finito.

E così scontano il peccato con la contrizione del cuore, e insieme acquistano meriti con la perfetta pazienza, di modo che le loro fatiche sono rimunerate con un bene infinito.

Conoscono poi che ogni fatica di questa vita è piccola per la piccolezza del tempo. Il tempo è quanto una punta d'ago e non più: passato il tempo, è passata la fatica.

Vedi dunque come sia piccola. Essi sopportano con pazienza, passano attraverso alle spine presenti, che non toccano loro il cuore; perché questo è sciolto dall'amore sensitivo, è posto in me e unito a me per affetto d'amore.

E' dunque vero che costoro gustano la vita eterna, ricevendone il pegno in questa vita; stando nell'acqua non s'ammollano;

passando sulle spine, non si pungono, perché hanno conosciuto me, sommo Bene, e lo hanno cercato là dove si trova,