LA PARABOLA DEL RICCO EPULONE E DEL POVERO LAZZARO Lc. 16,19-31

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Transcript della presentazione:

LA PARABOLA DEL RICCO EPULONE E DEL POVERO LAZZARO Lc. 16,19-31

Questa parabola è un’esortazione all’amore concreto che siamo chiamati a donare ai nostri fratelli poveri e alla responsabilità che abbiamo nei loro confronti. Ma Gesù va ben oltre la sola esortazione alla carità.

L’antica sapienza di Israele si fondava sul presupposto che Dio premia il giusto e punisce il peccatore. Questo modo di pensare però strideva con la storia del popolo eletto in quanto non solo come popolo aveva patito più di altri, ma era stato costretto persino all’esilio.

Anche nella vita di tutti i giorni diventava sempre più evidente che chi si comportava in modo cinico, chi disprezzava Dio e le sue regole, era umanamente avvantaggiato passando da un successo all’altro e godendo tutta la felicità della terra, a differenza del giusto che spesso è destinato solo a soffrire.

Molti salmi sono stati scritti nell’affannosa ricerca di sciogliere questa contraddizione: possibile che Dio si mostra ingiusto o addirittura del tutto assente? Possibile che Dio non vede che il giusto che soffre e subisce ingiustizie continue corre il pericolo di smarrire la fede? Quante volte anche noi abbiamo sentito da persone che conosciamo, anche da cristiani, frasi del tipo: “ma perché Dio non interviene? Perché permette tutto questo?”. Forse anche a noi è passato per la mente qualche dubbio del genere!

Nella Bibbia il cambiamento improvviso sopraggiunge quando il giusto sofferente volge lo sguardo verso Dio e guardandolo allarga la sua prospettiva. Alzando lo sguardo verso il Cielo, adesso vede che l’apparente intelligenza dei cinici è stupidità: il salmista (salmo 73,22) per questo li descrive “stolti… come una bestia”. Essi, cioè, rimangono nella prospettiva delle bestie e hanno perduto la prospettiva dell’uomo che va oltre l’aspetto materiale, va verso Dio e la vita eterna.

In questi salmi si contrappongono, così, la sazietà dei beni materiali a quella dovuta alla “presenza di Dio”, cioè la sazietà del cuore mediante l’incontro con l’Amore Infinito. Sotto questo punto di vista la tanto invidiata felicità dei cinici è destinata a svanire “come un sogno al risveglio” per questo il salmista dirà “il mio bene è stare vicino a Dio” (Sal 73, 28).

Bisogna, però, fare una precisazione: leggendo questi salmi ci si accorge che non si tratta di una condanna meschina della ricchezza che non si riesce a raggiungere e dei ricchi, generata dall’invidia, ma una presa di coscienza profonda del fatto che il ricco epulone già in questo mondo era un uomo dal cuore vuoto, che nei suoi stravizi voleva solo soffocare il vuoto che era in Lui. Il giudizio nell’aldilà, di conseguenza, non è altro che un venire alla luce della verità che era già ormai presente anche nell’aldiquà!

Nella descrizione dell’aldilà Gesù si attiene ai concetti correnti nel giudaismo del tempo senza elevarli al rango di verità di fede.

L’uomo ricco dice ad Abramo quello che allora come oggi tanti uomini vorrebbero dire a Dio: “Se vuoi che ti crediamo e che conformiamo la vita alla tua parola allora devi essere più chiaro: mandaci qualcuno dall’aldilà che ci possa dire che le cose stanno davvero come tu dici”.

La risposta di Abramo è la stessa data più volte da Gesù: “Chi non crede alla parola della Sacra Scrittura non crederà nemmeno a quella di qualcuno che torni dall’aldilà!”

La prova di ciò ci viene data, ad esempio, dalla resurrezione di Lazzaro di Betania: il vangelo di Giovanni ci conferma che, sebbene molti credettero in Gesù dopo il miracolo, molti altri (soprattutto coloro che invece avrebbero dovuto più facilmente comprendere e credere, come i membri del sinedrio) reagirono al miracolo con l’indurimento del cuore (Gv 11,45-53) al punto da desiderare la morte del Signore.

Qual è, dunque, la risposta di Gesù, ora come allora, alla richiesta di segni da parte della gente? Questa parabola ci aiuta a comprenderla.

Dietro la figura di Lazzaro che giace, coperto di piaghe, fuori della porta dell’uomo ricco si nasconde il mistero di Gesù che patì “fuori dalla porta della città” (Eb 13,12) nudo e disteso sulla croce. A chi gli chiedeva ancora un segno per credere, Egli infatti disse che non avrebbe dato altro segno che quello di Giona, il profeta del Vecchio testamento che rimase tre giorni e tre notti nel ventre di un pesce. Gesù stesso è, dunque, il segno! La sua passione, morte e resurrezione che lo ha visto per tre giorni e tre notti nel “ventre della terra” (Mt 12,39s). Gesù, vero Lazzaro, infatti, è risorto ed è tornato dall’Aldilà per dircelo e dare testimonianza alla verità della nostra fede.

GRAZIE