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Col. Giovanni VULTAGGIO
Jus ad bellum….Jus in bello…..Jus post bellum La nuova prospettiva del diritto dei conflitti armati Col. Giovanni VULTAGGIO La rapida trasformazione degli scenari geopolitici e strategici ed il conseguente adattamento delle politiche estere e di sicurezza hanno influenzato notevolmente gli interventi della comunità internazionale nelle emergenze complesse. In questa nuova prospettiva emerge che gli aspetti salienti di un’emergenza complessa sono duplici: da una parte, l’aspetto militare di risoluzione di un conflitto, dell’uso della forza per garantire la sicurezza, risolvere un conflitto e quindi dell’inevitabile presenza delle forze militari (aspetto conflittuale); dall’altro, l’aspetto dell’assistenza umanitaria, di ricostruzione, sviluppo e riconciliazione, proprio delle organizzazioni civili (aspetto cooperativo). Il confine non è netto e le sovrapposizioni sono inevitabili.
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CONCEZIONE DUALISTICA Jus ad bellum….Jus in bello
Tradizionalmente l’uso della forza si fonda sulla distinzione fra: - la normativa che prescrive il ricorso all’uso della forza (Jus ad bellum) determinazione se un conflitto sia giusto (justness of a war); - la normativa che disciplina la condotta delle ostilità (Jus in bello) il modo con il quale un conflitto viene condotto (justness of the way that war is fought). L’uso della forza si fonda tradizionalmente sulla distinzione fra: - la normativa che prescrive il ricorso all’uso della forza (Jus ad bellum); - la normativa che disciplina la condotta delle ostilità (Jus in bello).
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Jus ad bellum - Jus in bello
Jus ad bellum divieto del ricorso alla forza fonte: Carta delle Nazioni Unite ECCEZIONI: Legittima difesa: art. 51; Uso della forza autorizzato dal Consiglio di Sicurezza (Capitolo VII). Jus in bello: Diritto Internazionale Umanitario fonte: DIU Il DIU vincola le parti in conflitto, qualunque sia la legittimità del ricorso alla forza. Jus ad bellum divieto del ricorso alla forza fonte: Carta delle Nazioni Unite ECCEZIONI: Legittima difesa: art. 51; Uso della forza autorizzato dal Consiglio di Sicurezza (Capitolo VII). Jus in bello Diritto Internazionale Umanitario fonte: DIU Il DIU vincola le parti in conflitto, qualunque sia la legittimità del ricorso alla forza
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JUS AD BELLUM Lo jus ad bellum è formato da quelle regole che devono essere applicate nel caso in cui uno Stato dichiari guerra ad un altro Stato; Lo jus ad bellum si occupa di considerare le ragioni e la legittimità dei conflitti (prima di andare in guerra). Nelle controversie internazionali si ha normalmente l’insorgere di un conflitto quando la controversia passa da una forma statica ad una forma dinamica, quando, cioè, le parti in causa, portatrici di interessi e punti di vista diventati incompatibili, assumono atteggiamenti ostili nei confronti della controparti, atteggiamenti ostili dunque chiaramente diversi dalle forme giudiziarie e/o arbitrali. Nel diritto internazionale classico l’uso della forza per la risoluzione delle controversie internazionali era considerato lecito e poteva concretizzarsi sia nel ricorso alla guerra sia in misure di rappresaglia armata. Soltanto a partire della fine prima guerra mondiale tale principio subì dei cambiamenti che sfociarono nel completo divieto dell’uso della forza, sancito successivamente dalla Carta delle Nazioni Unite e ribadito in diverse risoluzioni dall’Assemblea generale. La Carta delle Nazioni Unite sancisce, infatti, inderogabilmente il divieto di minaccia o dell’uso della forza, precisando che gli Stati membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, con l’eccezione dell’autodifesa individuale o collettiva. Il capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite accentra nel Consiglio di Sicurezza il monopolio dell’uso della forza, giustificandolo esclusivamente con la necessità di mantenere la pace e la sicurezza internazionale.
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JUS AD BELLUM art. 39: accertamento di una minaccia;
art. 41:misure per mantenere e ristabilire la pace e la sicurezza internazionale”; art. 42: “se il Consiglio di Sicurezza ritiene che le misure previste nell’art. 41 siano inadeguate o si siano dimostrate inadeguate, esso può intraprendere, con forze aeree, navali e terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale….”. Va ricordato che i poteri coercitivi del Consiglio di Sicurezza sono stabiliti dal Cap. VII della Carta delle Nazioni. Tali poteri sono stati concepiti come strumento mirato ad assicurare il mantenimento o il ristabilimento della pace e della sicurezza internazionale quando violate o minacciate. In particolare, l’art. 39 stabilisce che il “Consiglio di Sicurezza accerta l’esistenza di una minaccia alla pace o di un atto di aggressione, e fa raccomandazioni o decide quali misure debbano essere prese per mantenere e ristabilire la pace e la sicurezza internazionale”. L’art. 41 prevede che “Il Consiglio di Sicurezza può decidere quali misure, non implicanti l’uso della forza armata, debbano essere adottate per dare effetto alle sue decisioni…”, mentre l’art. 42 prevede che “se il Consiglio di Sicurezza ritiene che le misure previste nell’art. 41 siano inadeguate o si siano dimostrate inadeguate, esso può intraprendere, con forze aeree, navali e terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale….”.
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JUS IN BELLO Lo jus in bello, invece, è costituito da quei principi sanciti dalle Convenzioni di Ginevra, dai Protocolli aggiuntivi e dalle norme consuetudinarie che costituiscono il diritto umanitario internazionale; Lo jus in bello si occupa di limitare mezzi e metodi durante la guerra: è il Diritto Internazionale Umanitario. Il diritto internazionale umanitario (DIU – Jus in Bello) è l'insieme delle norme di diritto internazionale che riguarda la protezione delle vittime di guerra o vittime dei conflitti armati. Comprende anche il diritto bellico, che tratta dei doveri comportamentali dei combattenti in un conflitto e dei mezzi e metodi di guerra. Il diritto internazionale umanitario (o diritto umanitario) costituisce una parte molto importante del diritto internazionale pubblico e include le regole che, in tempo di conflitto armato, proteggono le persone che non prendono, o non prendono più, parte alle ostilità e pongono limiti all’impiego di mezzi e metodi di guerra. Più precisamente, il Comitato Internazionale della Croce Rossa intende per diritto internazionale umanitario applicabile nei conflitti armati l’insieme dei trattati internazionali o delle regole consuetudinarie che sono specificamente tesi a risolvere le questioni di carattere umanitario direttamente causate da conflitti armati, di natura sia internazionale che interna; per motivi umanitari queste regole limitano il diritto delle Parti in conflitto nella scelta dei mezzi o metodi di combattimento e proteggono le persone e i beni coinvolti, o che rischiano di rimanere coinvolti, nel conflitto. La base fondamentale del diritto umanitario è attualmente costituita dalla I Convenzione di Ginevra del 22 agosto 1864 (data di nascita del Diritto Internazionale Umanitario) e dalle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e dai successivi due Protocolli aggiuntivi dell'Aja del A questi documenti vanno aggiunti molti altri, per esempio, la Convenzione di Ottawa del 1997 sull'eliminazione delle mine antipersona. Con l’implementazione del DIU, la comunità internazionale, per certi versi, ha accettato di “umanizzare” la guerra; in particolare per quanto attiene la protezione della popolazione civile, del trattamento dei prigionieri, dell’accesso alle vittime del conflitto da parte di organizzazioni neutrali ed indipendenti.
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CONFLITTI Epoca moderna ed inizio XX secolo: conflitti si concludevano prevalentemente con una pace negativa (disfatta militare) e conseguente capitolazione di una delle parti in conflitto. La disfatta era molte volte seguita dalla conquista, dall’occupazione o dallo smembramento territoriale di una delle parti) pace negativa; Epoca post moderna: maggiore consapevolezza che i conflitti si debbano concludere con una pace positiva, accompagnata da adeguate misure che consentano la stabilizzazione, la ricostruzione e lo sviluppo. Nel corso della storia e fino all’inizio del XX secolo la maggior parte dei conflitti si concludevano con un armistizio od una pace fra i belligeranti ed erano il risultato della disfatta militare e della conseguente capitolazione di una delle parti in conflitto. La disfatta era molte volte seguita dalla conquista, dall’occupazione o dallo smembramento territoriale di una delle parti (pace negativa). Non esistevano veri e propri processi di peacemaking o di state building. Nel mondo post moderno molto di questo è cambiato. Vi è una sempre maggiore consapevolezza che la conclusione delle ostilità non costituisce più la conclusione di un conflitto ma che invece siano necessarie altre misure che consentano una più adeguata costruzione della pace. Questi cambiamenti di percezione sono visibili in due aree: - nel consolidamento del concetto di “pace positiva”, concetto sviluppato dalle Nazioni Unite, pace accompagnata da adeguate misure che consentano la stabilizzazione. La ricostruzione e lo sviluppo; nella pratica sviluppata dagli Stati.
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CONFLITTI DEL XXI SECOLO
la pratica post moderna ci porta verso una tendenza che ha comportato il superamento delle concezione statica della conclusione dei conflitti; la nuova generazione dei conflitti e dei conseguenti interventi della comunità internazionale diretti alla risoluzione dei conflitti si presenta con una natura più complessa e deve avere conseguentemente un approccio multifunzionale. La pratica post moderna ci porta verso una tendenza che ha comportato il superamento delle concezione statica della conclusione dei conflitti (pace negativa), concezione rivolta fondamentalmente agli interessi particolari degli Stati. La nuova generazione dei conflitti e dei conseguenti interventi della comunità internazionale diretti alla risoluzione dei conflitti si presenta con una natura più complessa e deve avere conseguentemente un approccio multifunzionale. Se si prende, ad esempio, il Trattato di Versailles, che venne firmato nella la Sala degli Specchi del Palazzo di Versailles, il 18 gennaio del 1919, si vede che contiene importanti tracce di modernità rispetto a quanto si vedeva in precedenza, quali ad esempio il riferimento all’autodeterminazione dei popoli, alla punizione dei criminali di guerra. Fu, inoltre, una sorta di premessa alla creazione della Società delle Nazioni il cui scopo sarà di arbitrare i conflitti tra le nazioni, in modo da evitare che le animosità tra le varie potenze mondiali sfociassero in un secondo conflitto.
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CONFLITTI Mentre nelle operazioni di “warfare” classico le Forze Militari rappresentavano l’unico strumento, ossia quello principale, nei contesti post moderni, esse da sole non possono più svolgere tale ruolo, ma saranno piuttosto uno degli elementi che contribuirà all’esito finale. Le crisi post moderne comprendono una fitta rete di interrelazioni interne, fra i molteplici soggetti che la costituiscono, ed esterne con l’ambiente circostante. Non è più possibile affidare la soluzione ad una sola componente. La partecipazione ad operazioni di stabilizzazione e ricostruzione determina per le Forze militari un ruolo nuovo, ma lo determina anche per le altre organizzazioni presenti in un’area di operazioni. Infatti, per quanto attiene le Forze Militari, mentre nelle operazioni di “warfare” classico le Forze Militari rappresentano l’unico strumento, ossia quello principale, nei contesti post moderni, esse da sole non possono più svolgere tale ruolo, ma saranno piuttosto uno degli elementi che contribuirà all’esito finale.
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CONFLITTI COMBAT OPS Instabilità; Caos;
Mancanza di sicurezza ed autorità sostituite/riempite da illegittimità. Importanza della fase post conflitto (stabilizzazione e ricostruzione). STABILIZZAZIONE: - stabilire e mantenere la sicurezza; RICOSTRUZIONE: - creare presupposti per uno sviluppo sostenibile e duraturo che comprenda: - sicurezza: nazionale/umana (human security); - economia; - governance, rule of law (everybody should be accountable to the law); Al termine delle operazioni militari è comunque necessario garantire una adeguata fase di stabilizzazione e ricostruzione. Infatti, qualora la fase di post conflitto non fosse adeguatamente supportata si arriverebbe all’instabilità, al caos, alla mancanza di sicurezza ed autorità che verrebbero sostituiti rapidamente da gruppi illegittimi. STABILIZZAZIONE:stabilire e mantenere la sicurezza; RICOSTRUZIONE:creare presupposti per uno sviluppo sostenibile e duraturo che comprenda: - sicurezza: nazionale/umana (human security); - economia; - governance, rule of law;
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INADEGUATEZZA DELLA CONCEZIONE DUALISTICA
la tradizionale concezione dualistica del diritto internazionale in jus ad bellum….jus in bello è superata ed appare inadeguata; la restaurazione della pace e della giustizia in una situazione di post conflitto sono diventati aspetti predominanti negli interventi della Comunità Internazionale anche perché è la fase di post conflitto che determinerà se un conflitto sia stato veramente giusto; jus post bellum: nuova categoria di legge, legge che governa la restaurazione della pace e la ricostruzione dopo un conflitto. I cambiamenti verificatisi nel sistema internazionale nel corso degli ultimi anni hanno avuto una profonda incidenza sul dibattito teorico circa l'uso della forza, sul concetto di sicurezza, di stabilizzazione e ricostruzione. Rispetto al passato, infatti, la fase successiva ai conflitti assume una rilevanza sempre maggiore. Conseguentemente la tradizionale concezione dualistica del diritto internazionale in jus ad bellum….jus in bello è dunque superata ed appare inadeguata; La restaurazione della pace e della giustizia in una situazione di post conflitto sono diventati aspetti predominanti negli interventi della Comunità Internazionale anche perché è la fase di post conflitto che determinerà realmente se un conflitto sia stato veramente giusto. In effetti per poter dimostrare che un conflitto sia stato giusto o meno è comunque necessario dimostrare che la fase di post conflitto sia in linea con i motivi che hanno portato al conflitto: come ad esempio rendere più sicura una regione e più stabile, eliminare la violenza e l’oppressione. Lo jus post bellum: nuova categoria di legge: la legge che governa la restaurazione della pace e la ricostruzione dopo un conflitto.
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INADEGUATEZZA DELLA CONCEZIONE DUALISTICA
jus post bellum Diritto dopo la guerra, il cui oggetto è di costringere le nazioni a oltrepassare lo stato di guerra e trovare uno stato di diritto in cui possa essere ristabilita un’adeguata condizione di pace. In realtà la concezione dell’jus post bellum non è proprio una novità. Kant, nel XVIII secolo, divideva il diritto delle Nazioni rispetto allo stato di guerra in tre differenti categorie: il diritto ad andare in guerra; diritto durante la guerra; diritto dopo la guerra, il cui oggetto è di costringere le nazioni a oltrepassare lo stato di guerra e trovare uno stato di diritto in cui possa essere ristabilita una condizione di pace.
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CONFLITTI POST MODERNI
Jus post bellum “il perseguimento rapido ed effettivo di una pace definitiva e stabile, che poi sarebbe il solo ammissibile obiettivo per l’uso della forza”. “La seconda guerra mondiale ha mostrato quanto sia necessario pianificare le operazioni postbelliche allo scopo di ricostruire giustizia, pace e protezione. Dopo lo ius ad bellum e lo ius in bellum è tempo di considerare anche una terza dimensione della guerra: lo ius post bellum”. Vale a dire “il perseguimento rapido ed effettivo di una pace definitiva e stabile, che poi sarebbe il solo ammissibile obiettivo per l’uso della forza”.
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CONFLITTI POST MODERNI
Jus ad bellum…. Jus in bello….. Jus post bellum. Paradigma della GUERRA GIUSTA Il principio della “guerra giusta” sancisce il diritto di uno Stato e di una nazione (o di un insieme di Stati) all’uso della forza (e delle armi) per rispondere alla violenza, all’odio e all’ingiustizia: questo diritto non è solo moralmente permesso, ma moralmente necessario. Sant' Agostino scriveva: «Fare la guerra è una felicità per i malvagi, ma per i buoni una necessità […] è ingiusta la guerra fatta contro popoli inoffensivi, per desiderio di nuocere, per sete di potere, per ingrandire un impero, per ottenere ricchezze e acquistare gloria. In tutti questi casi la guerra va considerata un “brigantaggio in grande stile”» (De Civitate Dei, IV, 6). Secondo Michael Walzer un filosofo statunitense che si occupa di filosofia politica e morale, l'intrapresa di una guerra presuppone da chi la mette in atto una giustificazione morale che riguarda la sua legittimità (lo ius ad bellum, il diritto di fare la guerra) e il modo di condurla (lo ius in bello, la guerra combattuta secondo giustizia). Lo "ius in bello" è la situazione di chi combattendo si interroga sui motivi, se siano giusti o meno, di ciò che sta facendo e quali limiti debba avere la sua azione violenta come ad esempio quelli di escludere i civili dai combattimenti. Gli interventi post moderni hanno di fatto cambiato significativamente il problema della fine della guerra. L'idea di «ripristino» o di disfatta sono stati soppiantati dall’idea di trasformazione: se la fine di una guerra moderna classica poteva essere definita 'giusta' qualora fosse riuscita a ristabilire lo status quo ante, l'intervento post moderno implica invece una trasformazione post-bellica dello stato precedente l'inizio del conflitto.
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Jus Post Bellum Jus post bellum è collegato con jus ad bellum;
Jus post bellum è collegato con jus in bello; Jus post bellum è collegato allo State-building. Lo Jus post bellum è dunque collegato con jus ad bellum : la fine di un conflitto, un conflitto riconosciuto giusto dalla comunità internazionale (jus ad bellum ) non esime questa dal verificare le conseguenze dello stesso nella fase di post conflitto e soprattutto di verificare se i motivi che lo hanno determinato persistano nella fase di post conflitto o se sono stati raggiunti o meno gli obiettivi che la comunità internazionale si prefiggeva di raggiungere; Lo Jus post bellum è collegato con jus in bello. Jus in bello richiede proporzionalità nell’uso della forza. Il modo con il quale vengono condotte le operazioni militari giocherà, infatti, un ruolo molto importante dopo la fine del conflitto; Lo jus post bellum, i cui criteri si prestano particolarmente a giustificare quella forma di proseguimento dell'intervento umanitario nota come State-building. In Kosovo, a Timor-Est, e, adesso, in Afghanistan, l'intervento militare, al di là delle differenze significative che si riscontrano tra questi casi, è stato motivato principalmente da preoccupazioni collegate alle conseguenze destabilizzanti per l'ordine internazionale del disordine politico interno che imperava in questi paesi. Di conseguenza, dopo una più o meno rapida vittoria militare in virtù di un'evidente asimmetria tra le forze in campo, la vera sfida delle diverse coalizioni che di volta in volta sono intervenute (ONU, NATO, o Stati Uniti e Willing States) è diventata la creazione di forme di governo relativamente stabili in grado di garantire ai rispettivi cittadini i servizi e la sicurezza minimi nel rispetto del rule of law, e di prevenire la propagazione della violenza e la creazione di «cattivi vicinati». Oggi, quindi, valutare l'esito degli interventi militari significa in primo luogo esaminare i risultati della trasformazione raggiunta attraverso la cosiddetta «ricostruzione materiale ed istituzionale» (State-building).
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Jus Post Bellum E’ dunque necessario prendere in considerazione gli effetti di un conflitto; La prima delle responsabilità jus post bellum è quella di “uscire” il prima possibile. Implica: - giustizia di transizione e restaurazione della giustizia; - ricostruzione politica; - ricostruzione economica E’ dunque necessario prendere in considerazione gli effetti di una guerra. Anche se un conflitto, infatti, è stato determinato da una giusta causa ed è stato condotto in maniera giusta, il conflitto deve comunque condurre ad una fase post conflitto che sia incentrata sulla giustizia. La fase post conflittuale implica, ad esempio, che per superare una guerra civile, un periodo di dittatura, e riguadagnare la pace e la democrazia, i cittadini di una nazione hanno bisogno che giustizia sia fatta, che le violazioni dei diritti dell'uomo siano riconosciute e punite. Questo è il concetto di giustizia di transizione. La giustizia di transizione interviene sul modo in cui le società, e i popoli, si confrontano ai torti subiti in un recente passato. Violazione dei diritti dell'uomo ad opera di un regime dittatoriale, atrocità di massa, genocidi, guerra civile ed altri pesanti traumi devono essere superati collettivamente perché una società possa diventare democratica e pacifica. Varie strategie permettono di raggiungere quest'obiettivo: l'arresto ed il giudizio dei criminali, la creazione di commissioni ad hoc per scoprire la verità, l'incoraggiamento degli sforzi per la riconciliazione nazionale, la distribuzione di indennità, la costruzione di monumenti commemorativi dedicati alle vittime o anche la riforma delle istituzioni. Con "giustizia di transizione" si intende il processo legale e amministrativo che ha luogo dopo una transizione politica, generalmente da un regime autoritario verso uno democratico: lo scopo è quello di punire i responsabili dei regimi precedenti e i loro sostenitori oltre che di risarcire le vittime. Si tratta di un'esperienza più volte occorsa nella storia degli ultimi sessant'anni, basti pensare ai processi avviati alla fine della Seconda guerra mondiale in Germania, Francia, Italia e Giappone o alle transizioni, più recenti, avvenute nei paesi dell'Europa orientale dopo il 1989. Implica anche ricostruzione politica e ricostruzione economica.
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Jus ad bellum….Jus in bello…..Jus post bellum
PROBLEMATICHE Nel post conflitto la Comunità Internazionale deve affrontare molte difficoltà; Casi emblematici: fallimento Somalia; Esperienza dei Balcani, Irak e Afghanistan, Libia. La Comunità internazionale ha grandi difficoltà nell’affrontare le situazioni di post conflitto perché richiedono tempo (molto tempo), vaste risorse umane, grandi investimenti. Casi emblematici: fallimento Somalia, Irak e Afghanistan, Libia. La fase post conflitto nei Balcani ha richiesto molto tempo e molte risorse finanziarie ed umane ed è tuttora in corso. Il fallimento della Somalia è emblematico e la Comunità Internazionale ha mostrato in questo caso tutti i suoi limiti di intervento. In Irak, la transitional stability non ha prodotto grandi progressi e la coalizione sta lasciando il paese ad un futuro insicuro. In Afghanistan la fase post conflitto è lunga e deve far fronte alla disaffezione della comunità internazionale (specie delle comunità nazionali). In Libia, dove la fase conflittuale è stata ufficialmente dichiarata conclusa dalla NATO nel mese di ottobre 2011, la fase post conflitto è complicata e, al momento sembra essere ignorata dalla Comunità internazionale. Elementi di complicazione sono: Transizione politico – istituzionale; Il ruolo delle tribù; Il ruolo degli islamisti; Disarmo delle milizie; Il ruolo dei nuovi ma anche dei vecchi partners. Tutte queste problematiche dimostrano quanto una fase di post conflitto sia importante e che qualora non adeguatamente affrontate potrebbero portare un paese o una regione ad una situazione ben peggiore di quella di partenza, il caso della Somalia ne è un esempio.
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Jus ad bellum…. Jus in bello…
Jus ad bellum….Jus in bello…..Jus post bellum La nuova generazione dei conflitti internazionali Il ruolo delle forze militari da un ambiente dominato da una logica amico/nemico - pace/guerra si è passati ad un ambiente amico/nemico/non nemico; la funzione del soldato è cambiata e la capacità di adeguamento richiesta a questi ultimi è elevatissima, dovendo perseguire una continua conciliazione di più opposti; in tale situazione l’organizzazione militare ha dovuto fare nel tempo un grande sforzo di razionalizzazione ed adeguamento delle proprie strutture; l’obiettivo delle forze militari è quello di stabilire le condizioni grazie alle quali i conflitti possano essere risolti, anche con la partecipazione di altre componenti; tutto ciò ha comportato la necessità di un’evoluzione nell’atteggiamento del militare, un soldato sempre più qualificato per preparazione culturale e competenza tecnica, sempre più motivato al compito e proteso all’obiettivo e al risultato. Da un ambiente dominato da una logica binaria amico/nemico (pace/guerra) si è passati ad un ambiente amico/nemico/non nemico (possiamo definire non nemico, ad esempio, l’organizzazione umanitaria presente in una situazione di crisi che non intende però collaborare con le forze militari presenti) in cui non esistono contrapposizioni nette, la funzione del soldato è cambiata e la capacità di adeguamento richiesta a quest’ultimi è elevatissima, dovendo perseguire una continua conciliazione di più opposti. In tale situazione l’organizzazione militare ha dovuto fare nel tempo un grande sforzo di razionalizzazione ed adeguamento delle proprie strutture. Tradizionalmente l’obiettivo strategico e tattico delle forze militari impegnate in una guerra (amico/nemico) è la vittoria, ma in un ambiente post moderno caratterizzato da molteplici parti belligeranti con una grande variabilità di alleanze e una debole distinzione fra combattenti e non combattenti, in una situazione operativa piena di soggetti diversi, civili innocenti, neutrali e terzi, l’obiettivo delle forze militari è quello di stabilire le condizioni grazie alle quali i conflitti possano essere risolti, anche con la partecipazione di altre componenti. tutto ciò ha comportato la necessità di un’evoluzione nell’atteggiamento del militare, un soldato sempre più qualificato per preparazione culturale e competenza tecnica, sempre più motivato al compito e proteso all’obiettivo e al risultato.
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