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Corso di Chimica Analitica
Obiettivi formativi Il corso di Chimica Analitica per la laurea in Scienze Farmaceutiche Applicate fornisce allo studente le nozioni fondamentali di chimica analitica e gli strumenti per poter valutare criticamente (anche per via statistica e chemiometrica) i risultati sperimentali ottenuti mediante le metodiche analitiche. La parte sperimentale del corso consente di acquisire la manualità necessaria e la conoscenza delle tecniche analitiche di base per poter operare in un laboratorio. Il programma del corso consente inoltre di acquisire le conoscenze culturali necessarie per affrontare i corsi degli anni seguenti, in particolare quelli dei laboratori. Prerequisiti Si presuppone che siano noti i fondamenti dei seguenti argomenti: Chimica generale: Reazioni chimiche, Classificazione delle reazioni chimiche, Reazioni di ossidoriduzione, Bilanciamento delle reazioni di ossidoriduzione, Soluzioni, Elettroliti e non-elettroliti, Solubilità, Processo di solubilizzazione, Attività e concentrazione, Concentrazione delle soluzioni. Definizione di acidi e basi, Sistemi acido-base in acqua, Autoprotolisi dell'acqua, Costanti acida e basica.
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Finalità della chimica analitica.
Contenuto del corso/1 Finalità della chimica analitica. Obiettivi e metodologia della chimica analitica Il processo analitico: fondamenti e terminologia. Campione e campionamento. Metodi quantitativi. Calibrazione. Caratteristiche fondamentali di un metodo analitico. Qualità del risultato in chimica analitica
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Statistica per la chimica analitica.
Contenuto del corso/2 Statistica per la chimica analitica. Qualità del dato analitico: Precisione e accuratezza. Tipi di errori. Distribuzione statistica degli errori. Curva gaussiana e probabilità. Propagazione dell’errore. Espressione del risultato analitico Cifre significative e arrotondamenti. Espressione degli intervalli di fiducia. Confronto tra risultati: test statistici di significatività. Statistica per la calibrazione: Metodo dei minimi quadrati.
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Contenuto del corso/3 Equilibri chimici in soluzione.
Metodi quantitativi volumetrici: Titolazioni Teoria delle titolazioni di neutralizzazione. Principi delle titolazioni di precipitazione. Principi delle titolazioni con formazione di complessi. Chimica analitica strumentale. Fondamenti di spettroscopia analitica. Fondamenti di scienza delle separazioni.
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Contenuto del corso/4 Esercitazioni di laboratorio
Esercitazioni su alcuni argomenti del corso. Comportamento e norme di sicurezza. L’interpretazione e l’applicazione di un protocollo di laboratorio. Applicazione di metodi fisici, chimici e strumentali. Comunicare i risultati del lavoro di laboratorio. Annotare procedure e risultati. Il quaderno di laboratorio. Condividere i propri risultati. Relazioni sulle esercitazioni.
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Testi consigliati Testi/Bibliografia:
- Lucidi delle lezioni prelevabili dal sito: - Chimica Analitica Quantitativa, Daniel C. Harris (Zanichelli Editore). Fondamenti di Chimica Analitica D.A. Skoog, D.M. West, F.J. Holler (EdiSES, 1998, Napoli). Chimica Analitica: una Introduzione, D.A. Skoog, D.M. West, F.J. Holler (EdiSES). - Elementi di Chimica Analitica, Daniel C. Harris (Zanichelli Editore). - Chimica Analitica, teoria e pratica, F.W. Fifield, D. Kealey (Zanichelli Editore).
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Orario del corso
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Sede dei laboratori ITIS-IPIA "F. Alberghetti" Via Pio IX, 3
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Esercitazioni di laboratorio
Gli studenti che intendono frequentare il laboratorio devono: Comunicare il proprio nome entro il 9 marzo Organizzare i gruppi di lavoro (di 2 o 3 persone, in base al numero degli studenti) Per accedere ai laboratori, dovrete: Avere letto con attenzione le norme di sicurezza che saranno distribuite 2. Indossare il camice (proprio) e gli altri presidi di sicurezza (occhiali, guanti) che saranno distribuiti. 3. Prendere in consegna il materiale di laboratorio.
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Modalità dell’esame Prima di sostenere l’esame è necessario avere consegnato le relazioni in tempo utile per la correzione (almeno 15 giorni prima). L’esame si svolgerà in forma orale, con domande sugli argomenti generali del corso e sulle esperienze di laboratorio L’iscrizione all’esame saranno disponibili le liste Uniwex per le date ufficiali, negli altri casi l’iscrizione potrà avvenire per .
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Ricevimento e Contatti
Ricevimento su appuntamento Tel. 051 e.mail: Dipartimento di Chimica “G. Ciamician” Via Selmi, 2 - Bologna Link altre eventuali informazioni: Pagina web docente
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IL PROCESSO ANALITICO - GENERALITA’
Chi è l’assassino? Interpretazione di un problema analitico Spesso chi si rivolge a un chimico analitico ha un problema che non è in grado di formulare in termini scientifici. Il ruolo del chimico analitico consiste in: Formalizzare il problema in termini “scientifici” Decidere la strategia migliore per risolvere il problema Eseguire tutte le operazioni necessarie ad arrivare alla soluzione Comunicare il risultato in termini comprensibili a chi ha posto il problema.
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IL PROCESSO ANALITICO - GENERALITA’
Che cosa o quanto? La risposta a un problema chimico-analitico può essere sempre formalizzata in termini di: Analisi qualitativa: il problema ci chiede se una o più specie chimiche sono presenti in un certo campione. La domanda potrebbe anche essere “Di quali specie è composto un certo campione?”, ma la risposta in questo caso è quasi sempre troppo complessa. Analisi quantitativa: il problema ci chiede la quantità (in assoluto, o rispetto ad altri componenti) di una specie nel campione
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IL PROCESSO ANALITICO - GENERALITA’
Campione e analita Per cominciare ad esprimere in termini scientificamente corretti il problema, è necessario utilizzare i termini corretti: Campione: è il materiale che deve essere analizzato. Può essere consegnato all’analista o prelevato “sul campo” dall’analista e portato in laboratorio Analita: è la specie di cui si vuole determinare la presenza (in analisi qualitativa) o la quantità (in analisi quantitativa) in un certo campione. Matrice: tutto ciò che è contenuto nel campione, tranne l’analita.
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IL PROCESSO ANALITICO - GENERALITA’
I passaggi comuni nell’analisi chimica In tutti i processi analitici è possibile individuare una serie di passaggi comuni: 1) Formulare la domanda: tradurre domande generiche in domande specifiche che possano trovare risposta mediante misurazioni chimiche. Ad es. identificare analita, campione e matrice. 2) Scegliere le procedure analitiche: cercare nella letteratura chimica e procedure più appropriate, oppure idearne di nuove per effettuare le misurazioni richieste. 3) Campionare: scegliere una porzione rappresentativa del materiale oggetto dell’analisi, su cui eseguire le misurazioni
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IL PROCESSO ANALITICO - GENERALITA’
I passaggi comuni nell’analisi chimica 4) Preparare il campione: trasformare il campione che abbiamo scelto come rappresentativo in una forma idonea per l’analisi chimica. 5) Analizzare il campione: misurare l’analita in più aliquote identiche del campione, applicando il metodo scelto. Si ottengono così misure ripetute della grandezza che vogliamo determinare. 6) Elaborare i risultati: valutare mediante gli strumenti della statistica i risultati ottenuti, in modo da ottenere la risposta “statisticamente” corretta alla domanda analitica 7) Riportare i dati: produrre un resoconto scritto sui risultati ottenuti, che sia comprensibile a chi ci ha posto il problema
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IL PROCESSO ANALITICO - GENERALITA’
La qualità del risultato di un’analisi dipende dalla accuratezza di tutte le procedure sperimentali che a partire dal materiale grezzo da analizzare portano al risultato finale: gli errori compiuti nei vari stadi della procedura determinano l’errore complessivo del risultato. Procedura sperimentale Possibile origine di errore Materiale grezzo da analizzare Campione da laboratorio Campione pronto per l’analisi Risultato finale Il campione da laboratorio è rappresentativo del materiale grezzo da analizzare? Campionamento L’analita è stato recuperato completamente? Trattamento del campione Sono stati eliminati tutti i componenti del campione che possono interferire nell’analisi? Il metodo analitico è accurato? Analisi
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IL PROCESSO ANALITICO SCALA DEL CAMPIONE
Le analisi possono essere classificate in funzione della quantità di campione da analizzare: molte tecniche di trattamento del campione utilizzate per macro analisi non sono applicabili per le ultramicro analisi.
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IL PROCESSO ANALITICO FRAZIONE DI ANALITA
Un altro parametro importante è la percentuale di analita del campione: gli analiti presenti in tracce richiedono tecniche più sensibili e le loro determinazioni sono particolarmente soggette ad errori dovute ad interferenze e contaminazioni. Analizzare un campione di piccole dimensioni non è equivalente a determinare un analita presente in tracce in un campione di grandi dimensioni, anche se la quantità assoluta di analita può essere simile.
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IL PROCESSO ANALITICO ATTENDIBILITA’ DEI RISULTATI
La precisione e l’accuratezza “accettabili” di un’analisi dipendono anche dalla frazione di analita nel campione: per analiti presenti in tracce ed ultratracce sono tollerate accuratezze e precisioni molto minori rispetto a quelle accettate per i costituenti principali di un campione.
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IL PROCESSO ANALITICO CAMPIONAMENTO
Spesso il campione è troppo grande per potere essere analizzato completamente, oppure la procedura analitica è inserita in un processo produttivo ed ha la funzione di controllare le caratteristiche di una materia prima o del prodotto finito. In entrambi i casi è necessario prelevare una parte del campione per l’analisi mediante un campionamento. Il risultato finale del campionamento è il campione da laboratorio, dal quale vengono ottenute le aliquote per effettuare le analisi in replicato. In generale, un’operazione di campionamento può essere divisa in due fasi distinte: Materiale grezzo da analizzare Campione grossolano Campione da laboratorio Prelievo di una serie di porzioni (che potrebbero avere composizione differente) selezionate in modo da ottenere un campione grossolano di dimensione adeguata e rappresentativo del materiale da analizzare. Trattamento del campione grossolano per ottenere un campione da laboratorio tale che ogni sua aliquota abbia la stessa composizione (campione omogeneo).
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IL PROCESSO ANALITICO INCERTEZZA COMPLESSIVA DELL’ANALISI
La procedura di campionamento rappresenta uno stadio chiave del processo analitico: è critica in particolare nel caso di materiali eterogenei in cui la composizione può variare da un punto all’altro. L’incertezza connessa all’operazione di campionamento, spesso compiuto al di fuori del laboratorio, concorre infatti a determinare l’incertezza complessiva dell’analisi: Se l’incertezza sul campionamento (s2campionamento) è elevata, la misura non sarà accurata indipendentemente dalla precisione del metodo analitico utilizzato, poiché sarà l’incertezza sul campionamento a determinare l’incertezza complessiva dell’analisi. In tal caso non è vantaggioso investire risorse nella messa a punto di un metodo analitico più preciso poiché il miglioramento di s2analisi non si riflette in un parallelo miglioramento di s2totale. All’opposto metodi meno precisi ma più veloci ed economici potrebbero permettere l’analisi di un numero più elevato di campioni (migliorando quindi la deviazione standard della media di un fattore √N).
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IL PROCESSO ANALITICO CAMPIONE GROSSOLANO
La procedura comune per ottenere un campione grossolano è quella di prelevare un certo numero di aliquote del campione da analizzare (elementi di campionamento) selezionate in modo tale da garantire che il campione grossolano sia rappresentativo del materiale da analizzare nel suo complesso. Le procedure di campionamento vengono stabilite in funzione di: Quantità del materiale da analizzare Stato fisico del materiale da analizzare (solido, liquido, gassoso…) Eterogeneità del materiale da analizzare (solido particolato, sospensione, soluzione…) Composizione chimica del materiale da analizzare (la procedura di campionamento non deve distruggere od alterare l’analita: ad esempio, il campionamento più richiedere operazioni di tipo meccanico nel caso in cui il campione da analizzare abbia una natura compatta). I problemi maggiori si incontrano ovviamente nel caso di materiali da analizzare solidi e di grandi dimensioni, caratterizzati da un elevato grado di eterogeneità.
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IL PROCESSO ANALITICO CAMPIONAMENTO DI SOLIDI
Terreno di tipo “A” (80% dell’area totale) Terreno di tipo “B” (20% dell’area totale) I punti di prelievo dei campioni vengono selezionati casualmente sulla griglia, in modo che l’80% cada nel terreno di tipo “A” ed il 20% nel terreno di tipo “B”. Griglia di campionamento
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IL PROCESSO ANALITICO CAMPIONAMENTO DI LIQUIDI E GAS
Il campionamento dei liquidi presenta minori problemi, anche se su grande scala l’approccio è simile a quello utilizzato per i solidi. La situazione è più complessa per le sospensioni, se nel campione devono venire inclusi anche i solidi: se le particelle della sospensione sono presenti in piccolo numero, è difficile ottenere un’aliquota rappresentativa del campione nel suo complesso. I campioni gassosi tendono ad essere relativamente omogenei, e quindi il prelievo è relativamente semplice. Le specie gassose che si vogliono analizzare possono però essere concentrate in piccoli volumi (preconcentrazione) durante il prelievo mediante una delle seguenti procedure: Condensazione: prelievo mediante passaggio allo stato liquido o solido per raffreddamento Intrappolamento: durante il prelievo l’analita viene legato chimicamente in una soluzione o su un solido mediante una opportuna reazione chimica (es. CO2(g) + NaOH Na2CO3) Adsorbimento: l’analita viene legato fisicamente sulla superficie di un adeguato materiale solido adsorbente (es. carbone attivo)
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IL PROCESSO ANALITICO CAMPIONE DA LABORATORIO
Pur essendo rappresentativo del campione nel suo complesso, il campione grossolano non è di solito omogeneo. In genere esso ha la dimensione minima necessaria per garantire che esso sia rappresentativo del campione originale, quindi non è possibile prelevare direttamente le aliquote per l’analisi. Prima dell’analisi esso deve essere reso omogeneo, in modo che ogni sua aliquota abbia la stessa composizione. L’operazione può consistere in una semplice agitazione (soluzioni, sospensioni) o implicare procedimenti meccanici (frantumazione, macinazione, miscelazione della polvere risultante) per la riduzione delle dimensioni delle particelle. Queste operazioni possono però alterare la composizione del campione: Perdita di componenti volatili in conseguenza del riscaldamento derivante dalla macinazione Variazioni dello stato di ossidazione dell’analita od altre trasformazioni legate al contatto con l’aria Variazione del contenuto di acqua del campione
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IL PROCESSO ANALITICO INTEGRITA’ DEL CAMPIONE
Il campione non dovrebbe subire alterazioni nel tempo che intercorre fra il campionamento e l’analisi. Questi fenomeni dipendono da un insieme di fattori (temperatura di conservazione, umidità, pH, contenuto di ossigeno, esposizione alla luce) oltre che dal tempo. Possono essere dovuti a: Processi fisici (evaporazione, sublimazione, degradazione fotochimica…) Processi chimici (reazioni con la matrice, ossidazione da parte dell’aria…) Processi biologici (attività enzimatica, contaminazione microbica…) Atri fattori da tenere in considerazione, in particolare per basse concentrazioni di analita, sono le possibili interazioni con il contenitore del campione, deve essere scelto in funzione dell’analita (es. le materie plastiche possono adsorbire analiti apolari o poco polari, il vetro può rilasciare ioni metallici, adsorbire analiti polari o catalizzare reazioni di decomposizione). Per relativamente instabili può essere necessario effettuare le analisi direttamente sul luogo del prelievo usando strumenti portatili (analisi in situ) o mediante strumenti on line che prelevano il campione ed eseguono direttamente l’analisi.
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IL PROCESSO ANALITICO LA FASE DI ANALISI
Glossario/1 Tecnica analitica: tecnologia (strumentazione, dispositivi, software) in grado di eseguire un determinato tipo di analisi Metodo analitico: procedura specifica per eseguire l’analisi di un determinato campione per la determinazione di uno specifico analita Standard: campione del tutto simile a quello da analizzare, ma contenente una quantità nota di analita Bianco: campione standard contenente una quantità nulla di analita
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IL PROCESSO ANALITICO LA FASE DI ANALISI
Glossario/2 Segnale analitico: quantità misurabile (ad es. corrente, quantità di carica, volume, massa) che si ottiene come risultato di un metodo analitico e che può essere messa in relazione con la quantità di analita. Calibrazione: operazione che permette di calcolare la quantità di analita a partire dal segnale analitico, mediante l’uso di standard. Curva di calibrazione: grafico che riporta il segnale analitico in funzione della concentrazione di una serie di standard, necessario per eseguire la calibrazione.
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Metodi analitici relativi
IL PROCESSO ANALITICO CALIBRAZIONE Metodi analitici relativi Richiedono la costruzione di una curva di calibrazione, che descrive la relazione fra il segnale misurato e la concentrazione dell’analita. A questa categoria appartiene la maggior parte dei metodi analitici strumentali. La curva di calibrazione si ricava attraverso la misura di standard chimici (campioni a concentrazione nota di analita). Metodi analitici assoluti La correlazione fra la grandezza misurata e la quantità di analita è univocamente determinata da leggi fisiche (es. tecniche gravimetriche e coulombometriche). A tale categoria appartengono anche le titolazioni, nelle quali la quantità di analita viene determinata sfruttando una reazione chimica con un reagente a concentrazione nota aggiunto fino all’equivalenza stechiometrica con l’analita presente nel campione (standardizzazione). Le principali procedure di calibrazione sono: Calibrazione con uno standard esterno Calibrazione con uno standard interno Metodo dell’aggiunta standard
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IL PROCESSO ANALITICO IL SEGNALE SULLA CURVA DI CALIBRAZIONE
Il segnale misurato in un metodo strumentale può avere varia natura, e talvolta è possibile scegliere fra diverse possibilità: ad esempio in un’analisi cromatografica si possono utilizzare sia le altezze che le aree dei picchi cromatografici. Solitamente in un’analisi strumentale non si utilizza direttamente il segnale misurato, ma si corregge il segnale sottraendogli il segnale del bianco, misurato in genere prima di tutti gli altri campioni, in modo da tenere conto di tutti i fattori (chimici, strumentali, ecc.) che influenzano la risposta in modo indipendente dalla concentrazione dell’analita. Il bianco dovrebbe essere idealmente identico al campione in analisi, ma non contenere l’analita, ed essere misurato utilizzando esattamente la stessa procedura impiegata per i campioni. In pratica, in particolare per campioni complessi, non è possibile ottenere un vero e proprio bianco poiché non è possibile simulare esattamente la composizione del campione. In tal caso si usano spesso: bianco del solvente: contiene semplicemente lo stesso solvente nel quale è disciolto il campione bianco dei reagenti: contiene il solvente più tutti i reagenti utilizzati nella preparazione del campione o necessari alla produzione del segnale che viene misurato
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IL PROCESSO ANALITICO CALIBRAZIONE CON UNO STANDARD ESTERNO
Nella calibrazione con standard esterno la curva di calibrazione viene ricavata dall’analisi di una serie di standard esterni a concentrazione nota di analita preparati separatamente dal campione. La concentrazione dei campioni incogniti - trattati nello stesso modo degli standard esterni - viene poi determinata per interpolazione del segnale misurato sulla curva di calibrazione. S S S S4 S3 S2 S1 ● ● ● ● S’ ● ● ● ● C C C3 C4 [A] [A] C’ [A] Misura degli standard esterni a concentrazione nota C1 - C4 Determinazione della curva di calibrazione (generalmente con un’analisi di regressione) Misura del segnale S’ del campione a concentrazione incognita ed interpolazione sulla curva di calibrazione
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IL PROCESSO ANALITICO LIMITAZIONI DELLA CALIBRAZIONE CON UNO STANDARD ESTERNO
La calibrazione con standard esterno è la procedura di calibrazione più comunemente usata se si ha a disposizione uno standard con caratteristiche adeguate (stabilità, purezza, ecc.): Semplice Rapida (una singola curva di calibrazione può essere utilizzata per tutte le analisi) Richiede un piccolo numero di standard (soprattutto se la curva di calibrazione è una retta) Questo metodo presuppone però che la risposta all’analita nello standard e nel campione sia identica: la forma chimica dell’analita negli standard deve essere identica a quella dell’analita presente nel campione e non si devono avere interferenze da parte della matrice del campione (con matrice del campione si intendono tutti i costituenti del campione - eccetto l’analita - che sono potenzialmente in grado di determinare variazioni nella risposta del metodo indipendenti dalla concentrazione della specie in esame). Questa condizione può essere difficile da soddisfare, soprattutto per campioni a composizione complessa (es. materiali biologici).
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IL PROCESSO ANALITICO ERRORE NELLA CALIBRAZIONE CON UNO STANDARD ESTERNO
Gli errori casuali influenzano l’accuratezza di una determinazione basata su di una curva di calibrazione (a) determinando una incertezza ss sul segnale misurato per il campione e (b) attraverso le incertezze sm e sb sui parametri della curva di calibrazione (anch’essa derivante da misure di segnale). Se si tiene conto di questo secondo fattore, l’incertezza sulla concentrazione (s’’) può essere molto maggiore di quella ricavata soltanto sulla base dell’incertezza sul segnale (s’). S ss s’ s’’ [A]
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IL PROCESSO ANALITICO ELIMINAZIONE DELL’EFFETTO MATRICE
La relativa semplicità delle procedure di calibrazione con standard esterno ha portato allo sviluppo di metodi per la riduzione o l’eliminazione dell’effetto matrice: Metodi separativi Filtrazione, precipitazione, dialisi, estrazione, volatilizzazione, scambio ionico, cromatografia, ecc. Sono i più efficaci perché permettono di separare l’analita da tutti i componenti interferenti. Sono però in genere lunghi e complessi e possono portare a perdite di analita. Metodi di saturazione Un eccesso di specie interferente viene aggiunto a campioni, standard e bianchi in modo che l’effetto dell’interferente diventi costante ed indipendente dalla sua concentrazione originale nel campione. Richiedono la conoscenza della natura dell’interferente e l’eccesso di interferente può ridurre la sensibilità dell’analisi. Modificatori di matrice Un modificatore di matrice è una specie non interferente che viene aggiunta a campioni, standard e bianchi ed è in grado di rendere la risposta indipendente dalla concentrazione della specie interferente.
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IL PROCESSO ANALITICO ELIMINAZIONE DELL’EFFETTO MATRICE
Metodi di mascheramento Un agente mascherante è una specie aggiunta ai campioni in grado di reagire selettivamente con la specie interferente e convertirla in un complesso che non influenza la determinazione dell’analita. Richiedono la conoscenza della natura dell’interferente e la disponibilità di un adatto agente mascherante. Metodi di diluizione Prevedono la diluizione del campione fino a ridurre la concentrazione dell’interferente ad un valore tale da non produrre alcun effetto significativo sull’analisi. Comportano un incremento del limite di rivelazione, quindi non sono applicabili se le concentrazioni di analita da determinare sono già vicine ad esso. Metodi di uguaglianza della matrice Consistono nella riproduzione della matrice in standard e bianchi, effettuata aggiungendo a queste soluzioni i principali costituenti del campione. Presuppongono una buona conoscenza della matrice del campione, od almeno delle specie in esso presenti e potenzialmente in grado di interferire con l’analisi.
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IL PROCESSO ANALITICO CALIBRAZIONE CON UNO STANDARD INTERNO
Nella calibrazione con standard interno una quantità nota di una specie di riferimento (standard interno) che può essere determinata separatamente dall’analita viene aggiunta prima dell’analisi a standard, campioni e bianco. Il segnale di risposta, utilizzato per la costruzione della curva di calibrazione, è il rapporto fra il segnale dell’analita e quello della specie di riferimento. Il metodo della standard interno può compensare diversi tipi di errori a condizione che essi influenzino nello stesso modo sia l’analita che la specie di riferimento. Perché ciò avvenga, la specie di riferimento deve avere caratteristiche chimico-fisiche quanto più possibile simili a quelle dell’analita. Una delle possibilità più interessanti è quella di utilizzare come specie di riferimento un analita marcato con un isotopo stabile poco diffuso in natura (ad esempio 13C per una molecola organica). In tal modo analita e specie di riferimento hanno esattamente le stesse proprietà chimico-fisiche ma restano comunque distinguibili mediante tecniche di spettrometria di massa. Una tecnica strettamente correlata con l’uso di analiti marcati con isotopi stabili è l’analisi mediante diluizione isotopica.
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dello standard interno
IL PROCESSO ANALITICO CALIBRAZIONE CON UNO STANDARD INTERNO (II) Nella calibrazione con standard interno la specie di riferimento viene aggiunta alla stessa concentrazione a standard, campioni e bianco. Misura del segnale dell’analita Sanalita dello standard interno Sstandard interno Calcolo del rapporto Bianco Campione (Cx) Standard C C C C4 Aggiunta di standard interno a concentrazione Cs B X 1 2 3 4 Analita Standard interno Cx C C C C4 Cs Cs Cs Cs Cs Cs (trascurando l’effetto dell’eventuale diluizione)
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IL PROCESSO ANALITICO CORREZIONE DEGLI ERRORI MEDIANTE CALIBRAZIONE CON STANDARD INTERNO
Un tipico errore corretto con uno standard interno, aggiunto prima delle operazioni di trattamento del campione, è il recupero incompleto che può verificarsi durante le fasi pre-analitiche. Sanalita Cs ● ○ C1 C2 C3 C4 Calibrazione convenzionale Perdita di analita e standard interno ● ● ● [A] Perdita di analita e standard interno Sanalita Sstandard interno ● ● Calibrazione con standard interno ● ● standard interno analita [A]
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IL PROCESSO ANALITICO METODO DELL’AGGIUNTA STANDARD
Nel metodo dell’aggiunta standard il campione viene analizzato sia da solo che in presenza di quantità note di soluzione standard dell’analita. L’aggiunta di analita può essere singola (metodo dell’aggiunta standard singola) o possono essere effettuate più aggiunte a concentrazioni crescenti (metodo dell’aggiunta standard multipla). La concentrazione dell’analita viene determinata sulla base della risposta assumendo una relazione lineare tra la risposta e la concentrazione dell’analita. Poiché il segnale dello standard viene misurato in presenza della matrice del campione, questo metodo permette in linea di principio di compensare qualunque effetto di interferenza da parte della matrice, anche se non noto a priori, assumendo che la matrice influenzi nello stesso modo l’analita aggiunto e quello già presente nel campione. Per evitare errori eccessivi le concentrazioni dell’analita aggiunto dovrebbero essere dello stesso ordine di grandezza di quelle già presenti nei campioni.
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IL PROCESSO ANALITICO METODO DELL’AGGIUNTA STANDARD (II)
Le limitazioni principali di questo metodo sono: L’analisi richiede un tempo maggiore, poiché per ogni campione sono richieste almeno due misure (nel metodo dell’aggiunta standard multipla deve essere costruita e misurata una curva di calibrazione per ogni campione in esame) E’ indispensabile avere una risposta lineare alla concentrazione dell’analita nella matrice del campione (questo può essere comunque verificato direttamente nel corso dell’analisi se si utilizza il metodo dell’aggiunta standard multipla). L’analita aggiunto deve essere esattamente nella stessa forma chimica di quello già presente nel campione e subire le stesse interferenze (è possibile che alcuni tipi di interferenze da parte della matrice si instaurino solo dopo un certo tempo – es. reazioni di complessazione relativamente lente) E’ fondamentale avere a disposizione un bianco adeguato, che permetta di eliminare qualunque segnale di tipo aspecifico.
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IL PROCESSO ANALITICO METODO DELL’AGGIUNTA STANDARD SINGOLA
Nel metodo dell’aggiunta standard singola la concentrazione dell’analita nel campione viene ricavata dal confronto fra i segnali misurati in assenza e presenza dell’analita aggiunto, assumendo una dipendenza lineare del segnale dalla concentrazione (S = kC) e nessun segnale aspecifico. Campione (Cx) Bianco Aggiunta di analita B 1 Analita aggiunto Conc. effettiva C1 Cx Cx+C1 (trascurando l’effetto dell’eventuale diluizione)
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IL PROCESSO ANALITICO METODO DELL’AGGIUNTA STANDARD MULTIPLA (I)
Nel metodo dell’aggiunta standard multipla la concentrazione dell’analita nel campione si può ricavare in modo molto semplice mediante un metodo grafico, che prevede una estrapolazione della curva di calibrazione (per questo motivo è indispensabile verificare la sua linearità prima di utilizzare questo metodo). Campione (Cx) Bianco Sanalita ● 4 Aggiunta di analita ● 3 ● 2 ● B 1 2 3 4 1 ● Analita aggiunto Conc. effettiva C C C C4 - Cx C C C C4 [A] Cx Cx+C1 Cx+C2 Cx+C3 Cx+C4 (trascurando l’effetto dell’eventuale diluizione) Concentrazione di analita nel campione ricavata mediante estrapolazione della curva di calibrazione
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IL PROCESSO ANALITICO METODO DELL’AGGIUNTA STANDARD MULTIPLA (II)
Una seconda possibilità di applicazione del metodo dell’aggiunta standard multipla, utilizzabile però soltanto con metodi analitici non distruttivi, consiste nell’effettuare aggiunte sequenziali di analita, misurando il segnale prima di ogni ulteriore aggiunta. Campione (Cx) Bianco Sanalita Aggiunta di analita ● 4 ● 3 ● 1 2 2 3 ● B 4 1 ● Analita aggiunto Conc. effettiva C C C C - Cx C C C C [A] Cx Cx+C Cx+2C Cx+3C Cx+4C Concentrazione di analita nel campione ricavata mediante estrapolazione della curva di calibrazione (trascurando l’effetto dell’eventuale diluizione)
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L’ERRORE NELL’ANALISI QUANTITATIVA
Ogni misura quantitativa è soggetta ad un errore sperimentale e di conseguenza esiste una incertezza nel risultato che non può mai essere completamente eliminata: siccome un dato quantitativo non ha valore se non è accompagnato da una stima dell’errore associato, è necessario valutare questa incertezza. Poiché un singolo risultato non fornisce informazioni sull’incertezza, un’analisi viene normalmente effettuata su di una serie di replicati (aliquote di uno stesso campione analizzate esattamente nello stesso modo). Dall’insieme dei replicati si ottengono: Un valore “migliore” per il risultato dell’analisi, rappresentato dalla media aritmetica dei replicati: Una misura dell’incertezza legata al risultato dell’analisi, rappresentata dalla dispersione dei dati e generalmente espressa attraverso parametri quali la deviazione standard, la varianza o il coefficiente di variazione.
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PRECISIONE La precisione (o riproducibilità) di una misura esprime il grado di concordanza fra misure ripetute di uno stesso campione – ovvero la dispersione dei dati rispetto al loro valore medio. Dal punto di vista sperimentale, la sua determinazione è abbastanza semplice poiché una stima della precisione di un’analisi si può ottenere direttamente dalla misura dei replicati. La precisione di una misura sperimentale è sempre positiva e viene espressa da: Deviazione standard del campione Varianza Coefficiente di variazione (in genere preferito in quanto permette di avere una indicazione diretta dell’importanza dell’incertezza rispetto al valore della misura) s2
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ACCURATEZZA L’accuratezza di una misura indica la vicinanza del valore ottenuto (generalmente espresso attraverso la media) al valore vero. Dal punto di vista sperimentale, la determinazione dell’accuratezza di una misura non è sempre facile, poiché il valore “vero” della grandezza da misurare potrebbe non essere noto. In tal caso è necessario utilizzare un valore “accettato” o usare altri criteri di valutazione. L’accuratezza di una misura viene espressa in termini assoluti o relativi attraverso l’errore (il segno dell’errore indica se si ha una sovrastima od una sottostima): Errore (o errore assoluto) Errore relativo (anche in questo caso il dato relativo permette di avere maggiori informazioni, poiché indica direttamente l’importanza dell’errore). Altre unità comunemente usate per l’errore relativo sono le parti per mille o le parti per milione (ppm)
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PRECISIONE vs. ACCURATEZZA
Precisione ed accuratezza sono indipendenti fra di loro; misure precise possono essere poco accurate e viceversa. Elevate precisione ed accuratezza Bassa precisione ed accuratezza Elevata precisione, bassa accuratezza Bassa precisione, elevata accuratezza
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TIPI DI ERRORE Gli errori sperimentali possono essere suddivisi in grossolani, sistematici e casuali. Questi errori hanno spesso origini diverse fra di loro → è fondamentale identificare il tipo di errore in una misura poiché da esso dipende il trattamento del dato ottenuto. L’errore grossolano deriva da occasionali errori macroscopici compiuti durante la procedura analitica e non è trattabile in modo sistematico. Spesso è molto evidente ed esistono criteri statistici per stabilire se un dato apparentemente aberrante all’interno di una serie di misure (“outlier”) sia dovuto o non ad un errore di questo tipo. L’errore sistematico (o determinato) è unidirezionale e fisso per una serie di misure effettuate nelle stesse condizioni sperimentali ed influenza l’accuratezza di una misura. Almeno in linea di principio, esso può essere corretto (correzioni teoriche, calibrazione dello strumento, uso di standard o di un bianco, ecc.). L’errore casuale (o indeterminato) è l’errore associato ad una misura derivante dalle limitazioni naturali insite nelle misure fisiche, ed influenza la precisione di una misura. Esso può assumere valori positivi o negativi e non può essere eliminato. Il suo effetto sul risultato di una misura può essere però valutato in quanto l’errore casuale può essere studiato mediante un approccio di tipo statistico.
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ERRORE SISTEMATICO Gli errori sistematici hanno un valore definito ed una causa di solito determinabile, ed agiscono nello stesso modo su di ogni misura replicata. Le loro cause principali sono: Errori strumentali: derivano, fra le altre cose, da malfunzionamenti nella strumentazione, errori nella calibrazione delle apparecchiature utilizzate, esecuzione delle misure in condizioni non appropriate. Errori di metodo: rappresentano la forma di errore sistematico più difficile da individuare e derivano dal comportamento chimico o fisico non ideale dei reagenti o delle reazioni durante l’analisi. Esempi tipici sono la lentezza o l’incompletezza di alcune reazioni, l’instabilità di alcune specie, la non perfetta specificità dei reagenti, il verificarsi di reazioni secondarie che interferiscono con quella principale. Errori personali: si possono avere tutte le volte che all’operatore viene richiesta una valutazione soggettiva per determinare il valore di una grandezza (ad esempio la lettura di un indicatore o l’osservazione di un cambiamento di colore). Un’altra possibile origine è rappresentata dal pregiudizio dell’operatore (spesso involontario) nella lettura di un risultato numerico.
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EFFETTO DELL’ERRORE SISTEMATICO
Errore sistematico costante: il valore dell’errore è costante e non dipende dalla quantità misurata Errore sistematico proporzionale: aumenta o diminuisce in proporzione alla quantità misurata Gli errori sistematici possono anche essere composti, cioè risultare dalla somma di errori sistematici costanti e proporzionali. L’effetto dell’errore sistematico sulla analisi presenta un andamento opposto: - per un errore sistematico costante, l’errore relativo è inversamente proporzionale alla quantità da determinare (è maggiore per campioni più piccoli e diminuisce aumentando la dimensione del campione) - per un errore sistematico proporzionale l’errore relativo è costante, indipendente dalla quantità di campione. Errore sistematico proporzionale (positivo) Nessun errore sistematico Valore sperimentale Errore sistematico costante (positivo) Valore vero I due tipi di errori sistematici possono essere differenziati confrontando i risultati di analisi effettuate variando la quantità di campione
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CORREZIONE DELL’ERRORE SISTEMATICO
Gli errori sistematici strumentali e quelli dovuti alle interferenze da parte della matrice del campione sono in genere corretti utilizzando opportune tecniche di calibrazione (ad esempio, utilizzando il metodo delle aggiunte standard). Gli errori sistematici personali possono essere minimizzati attraverso il controllo delle operazioni effettuate e la scelta del metodo analitico. Gli errori sistematici di metodo sono i più difficili da rivelare in quanto per la loro individuazione è necessario conoscere il valore “vero” del risultato dell’analisi. Alcune procedure utilizzabili sono le seguenti: Utilizzo di materiali standard di riferimento reperibili in commercio (es. presso il National Institute of Standards and Technology – NIST): consistono in materiali naturali di varia natura (o eventualmente ottenuti per sintesi in modo da riprodurne al meglio la composizione) contenenti uno o più analiti a concentrazione nota. Essi permettono quindi non solo di effettuare l’analisi, ma anche di riprodurre le eventuali interferenze dovute alla matrice del campione. La concentrazione dei componenti nei materiali standard di riferimento viene determinata (a) utilizzando metodi analitici di riferimento, (b) utilizzando due o più metodi analitici indipendenti o (c) attraverso le analisi effettuate da una rete di laboratori.
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CORREZIONE DELL’ERRORE SISTEMATICO
Uso di due o più metodi analitici indipendenti: in assenza di materiali standard di riferimento adeguati, è possibile confrontare i risultati ottenuti mediante il metodo in esame con quelli ricavati dall’analisi dello stesso campione con un differente metodo analitico. I due metodi dovrebbero essere il quanto più possibile diversi fra di loro (e possibilmente basarsi su principi fisici differenti) in modo da evitare che uno stesso fattore possa influenzare entrambe le analisi. Analisi del bianco: l’analisi di un bianco contenente i reagenti ed i solventi utilizzati in un’analisi e, se possibile, i costituenti del campione escluso l’analita (matrice del campione) permette di valutare l’errore dovuto alle interferenze da parte di contaminanti, reagenti ed altri materiali. I risultati ottenuti possono poi essere applicati come correzioni alle misure effettuate sul campione. Spesso sono comunque necessari metodi statistici di confronto per stabilire se la differenza fra i risultati ottenuti nell’analisi ed il valore atteso sia o no dovuta ad un errore di tipo sistematico.
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NATURA DELL’ERRORE CASUALE
L’errore casuale complessivo in una misura è determinato dall’accumularsi di una serie di errori estremamente piccoli dovuti a molte variabili incontrollate nella maggior parte dei casi non identificabili singolarmente. La loro somma determina però una fluttuazione misurabile dei dati di una serie di replicati intorno al loro valore medio. Sebbene questo errore non possa essere eliminato, il suo effetto può essere analizzato in quanto l’errore casuale presenta caratteristiche ben determinate, interpretabili mediante un approccio di tipo statistico. Quando la variazione è determinata dall’errore casuale, i valori tendono a disporsi attorno al valore medio secondo un andamento a campana, detto curva gaussiana o curva normale dell’errore. Valore sperimentale Normalmente nel trattamento statistico dell’errore casuale si assume una distribuzione di tipo gaussiano. Questa approssimazione è valida nella maggior parte dei casi, ma alcuni tipi di misure seguono una statistica differente (es. le misure di decadimento radioattivo seguono una statistica detta di Poisson).
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COME SI GENERA UNA CURVA GAUSSIANA
Una curva gaussiana può essere generata attraverso una procedura molto semplice, assumendo che la deviazione dalla media di un replicato sia il risultato della somma di N errori, ognuno di ampiezza U, ognuno dei quali ha eguale probabilità di avere segno positivo o negativo, e valutando la probabilità di ognuna delle possibili deviazioni complessive. N = 4 N = 10 N → ∞ -4U U -10U U Deviazione Con l’aumento del numero degli errori considerati si passa da una distribuzione discontinua ed approssimata (istogramma) ad una curva indistinguibile da una vera e propria curva gaussiana.
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CAMPIONE E POPOLAZIONE
Le leggi statistiche vengono derivate assumendo di trattare una popolazione di dati, cioè l’insieme - idealmente infinito - di tutte le misure che si potrebbero effettuare per una certa analisi. In pratica lo sperimentatore ha accesso soltanto ad un campione, ovvero ad numero limitato di dati, che non possono essere rappresentativi di tutta la popolazione. Le leggi statistiche devono quindi venire modificate quando vengono applicate a piccoli campioni di dati. POPOLAZIONE Insieme (reale o ideale) di tutte le misure di interesse CAMPIONE Insieme di dati sperimentali accessibile all’operatore (in pratica, insieme delle misure realmente effettuate)
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GRANDEZZE STATISTICHE DELLA POPOLAZIONE E DEL CAMPIONE
Le grandezze statistiche vengono definite in modo differente a seconda che si riferiscano alla popolazione o ad un campione. Media della popolazione: rappresenta la media reale relativa alla popolazione. In assenza di errori sistematici, la media della popolazione coincide con il valore “vero” della quantità misurata. Media del campione: è la media aritmetica di un campione limitato preso da una popolazione di dati. Molto spesso, in particolare se N è piccolo, le due medie non coincidono, poiché un campione limitato non rappresenta esattamente la popolazione dalla quale proviene (la media del campione è quindi una stima della media della popolazione). Le due medie (come tutte le altre grandezze statistiche) tendono a coincidere all’aumentare del numero delle misure N del campione. Buona parte del trattamento statistico dei dati sperimentali riguarda perciò come ottenere informazioni affidabili sul valore di m avendo a disposizione soltanto dati sperimentali, quindi valori di x.
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GRANDEZZE STATISTICHE DELLA POPOLAZIONE E DEL CAMPIONE (II)
Deviazione standard della popolazione: come già visto, è una misura della precisione della popolazione di dati. Deviazione standard del campione: le differenze sostanziali dall’espressione relativa alla popolazione sono la sostituzione di m con x e l’introduzione del denominatore (N – 1) al posto di N. Il denominatore (N – 1) rappresenta il numero di gradi di libertà del sistema, cioè il numero di risultati indipendenti che rientrano nel calcolo della deviazione standard: se il valore di s è noto, N – 1 valori di xi possono variare arbitrariamente mentre l’ultimo valore xN deve necessariamente assumere un certo valore perché il risultato della deviazione standard sia quello desiderato. L’uso del fattore (N – 1) porta da un aumento del valore calcolato di s: se non si usa questo fattore, il valore calcolato di s per il campione sarà, in media, inferiore alla deviazione standard vera s della popolazione.
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CURVA GAUSSIANA E PROBABILITA’
In statistica, la curva gaussiana è la funzione che riporta la frequenza relativa – o probabilità - (y) delle varie deviazioni dalla media in funzione del valore della deviazione. Una curva gaussiana è definita univocamente da due soli parametri, la media della popolazione (m) e la deviazione standard della popolazione (s). Il fattore moltiplicativo che appare nell’equazione della curva è un fattore di normalizzazione: esso garantisce che l’area complessiva compresa sotto la curva sia unitaria (la curva gaussiana descrive una probabilità, quindi la probabilità totale deve essere unitaria). Le proprietà fondamentali della gaussiana sono: (a) la media si trova nel punto centrale, corrispondente alla massima frequenza (b) la curva è simmetrica rispetto alla media (c) la frequenza delle deviazioni decresce esponenzialmente all’aumentare del loro valore m x
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PARAMETRI DELLA CURVA GAUSSIANA
I valori di m e s (media e deviazione standard della popolazione) sono legati rispettivamente alla posizione della curva sull’asse x e la sua larghezza. Si noti come l’area sottesa dalla curva gaussiana resta costante: un incremento della deviazione standard (larghezza della curva) determina una riduzione dell’altezza della curva stessa. 1 2 m1 < m2, s1 = s2 2 1 m1 = m2, s1 < s2 Per i calcoli statistici, essenzialmente basati sulla valutazione dell’area sottesa da determinate sezioni della curva gaussiana sfruttando in genere tabelle precalcolate delle aree, si deve però utilizzare una diversa curva gaussiana, definita curva gaussiana normalizzata.
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CURVA GAUSSIANA NORMALIZZATA
La curva gaussiana normalizzata utilizza una nuova variabile z, espressa come che rappresenta la deviazione di un dato dalla media espressa in unità di deviazione standard. In questo modo è possibile ottenere una curva gaussiana che descrive tutte le popolazioni di dati, indipendentemente dalla loro media e dalla loro deviazione standard, di equazione: La curva gaussiana normalizzata ha s = 1 e m = 0. Per localizzare sulla curva un punto appartenente ad una generica distribuzione bisogna prima calcolare il suo scostamento dal valor medio della distribuzione (xi - m) e quindi esprimerlo in unità di deviazione standard (xi - m)/s. m x z
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AREA SOTTESA DA UNA GAUSSIANA
L’area sottesa da una gaussiana normalizzata fra due valori z1 e z2 corrisponde alla probabilità di ottenere un valore compreso appunto fra z1 e z2. Le tabelle precalcolate della curva gaussiana normalizzata riportano per ogni valore x il corrispondente valore di probabilità e l’area della curva nell’intervallo compreso fra 0 ed x, ovvero la probabilità P(0,x) che il dato sperimentale presenti una deviazione compresa in questo intervallo. 0 x P(0,x)
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AREA SOTTESA DA UNA GAUSSIANA (II)
Combinando i valori riportati in tabella, si possono ottenere facilmente le probabilità relative a qualsiasi intervallo: P(-x1,x2) = P(-x1,0) + P(0,x2) = P(0,x1) + P(0,x2) e, come caso particolare, P(-x1,x1) = P(-x1,0) + P(0,x1) = 2P(0,x1) P(x1,x2) = P(0,x2) - P(0,x1) (se x2 > x1) P(x1,) = P(0,) - P(0,x1) = 0,5 - P(0,x1) Particolarmente interessanti dal punto di vista statistico sono le probabilità che il singolo dato sia compreso entro ±s, ±2s e ±3s dalla media della poplazione: Intervallo Probabilità m ± 1s 68,3% m ± 2s 95,5% m ± 3s 99,7% 3s 2s 1s m x
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ERRORE STANDARD DELLA MEDIA
La deviazione standard calcolata per il campione o per la popolazione si riferisce al probabile errore su di una singola misura. Se invece della singola misura si considera la popolazione delle medie ottenute da campioni costituiti da N dati, essa presenta una deviazione standard tanto minore di quella del singolo dato quanto più alto è il valore di N. La deviazione standard della media è data dalla: La media dei risultati è quindi più precisa di una singola misura. Aumentare il numero dei replicati non è comunque un modo molto efficiente di aumentare la precisione della misura, poiché il miglioramento dipende soltanto dalla radice quadrata di N. In effetti è più conveniente diminuire s, poiché sm è direttamente proporzionale ad s. sm s N
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L’AFFIDABILITA’ DELLA MISURA DELLA PRECISIONE
In molti test statistici la correttezza del risultato dipende dall’affidabilità della stima della deviazione standard della popolazione s attraverso la determinazione di s. L’affidabilità di questa stima aumenta all’aumentare di N, e come criterio generale se N ≥ 20 s è una buona stima di s: se la misura non è molto lunga e/o complessa, si può quindi ottenere s effettuando la misura di un numero adeguato di replicati. Nel caso la ripetizione della misura sia problematica, è possibile che si abbiano a disposizione soltanto piccoli gruppi di dati ottenuti in momenti differenti. Nell’ipotesi che questi dati siano omogenei (es. campioni di composizione analoga analizzati nello stesso modo) e che facciano parte della stessa popolazione è possibile calcolare la deviazione standard raggruppata, sg: dove N1, N2, … Nk sono i numeri degli elementi dei k gruppi di dati, N è il numero totale dei dati ed N – k è il numero di gradi di libertà.
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ALTRE MISURE DI PRECISIONE
La varianza (della popolazione o del campione) è il quadrato della deviazione standard. In genere è meno utilizzata della deviazione standard poiché non ha le stesse unità di misura della grandezza alla quale si riferisce, e quindi non è direttamente confrontabile (d’altra parte, a differenza delle deviazioni standard, le varianze sono additive). Varianza del campione: Varianza della popolazione: Spesso per maggiore praticità la deviazione standard viene espressa in termini relativi: queste grandezze forniscono infatti una rappresentazione più chiara ed immediata della qualità dei dati: Deviazione standard relativa: Coefficiente di variazione: Talvolta per descrivere un insieme di dati è anche usata la dispersione o range, che non è altro che la differenza fra il valore più grande e quello più piccolo dell’insieme.
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PROPAGAZIONE DELL’ERRORE
In molte misure il risultato finale deriva dalla combinazione di più grandezze sperimentali, ad ognuna delle quali è associata una deviazione standard. In generale, la deviazione standard del risultato non corrisponde semplicemente alla somma delle singole deviazioni standard, in quanto gli errori casuali possono essere sia positivi che negativi e quindi almeno in parte si annullano. Il calcolo della deviazione standard del risultato dipende comunque dalle operazioni aritmetiche coinvolte Addizione e sottrazione La deviazione standard assoluta del risultato di una somma (o sottrazione) è pari alla radice quadrata della somma dei quadrati delle deviazioni standard assolute dei singoli addendi: y =1,76 (± 0,03) + 1,89 (± 0,02) - 0,59 (± 0,02) = 3,06 (± s) y = 3,06 (± 0,04)
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PROPAGAZIONE DELL’ERRORE (II)
Moltiplicazione e divisione La deviazione standard relativa del risultato di una moltiplicazione (o divisione) è pari alla radice quadrata della somma dei quadrati delle deviazioni standard relative: Occorre quindi prima convertire tutte le deviazioni standard assolute in deviazioni standard relative, quindi calcolare la deviazione standard relativa del prodotto: y = 1,76 (± 0,03) . 1,89 (± 0,02)/0,59 (± 0,02) = 5,64 (± s) Per completare il calcolo si valuta la deviazione standard assoluta del risultato: sy = y . 0,040 = 0, y = 5,6 ± 0,2
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PROPAGAZIONE DELL’ERRORE (III)
Calcoli esponenziali La deviazione standard relativa del risultato di una elevazione a potenza (assumendo che l’esponente sia privo di errore) è pari al prodotto dell’esponente per la deviazione standard relative del numero considerato: La differenza fra le formule relative alla moltiplicazione ed all’elevazione a potenza è determinata dal fatto che nell’elevazione a potenza le deviazioni standard all’interno dell’operazione di elevamento a potenza non sono indipendenti fra di loro. Logaritmi La deviazione standard assoluta di un logaritmo decimale è data dalla deviazione standard relativa del numero considerato moltiplicata per 0,434: Per l’antilogaritmo vale una relazione inversa:
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PROPAGAZIONE DELL’ERRORE (IV)
Le espressioni viste sono casi particolari di una espressione generale che descrive la propagazione dell’errore per una generica funzione y = f(x1,x2,x3…). Per una funzione di questo tipo, la deviazione standard di y, sy, è legata alle deviazioni standard di x1,x2,x3… dalla relazione: dove con f/xi si indica la derivata parziale della funzione f(x1,x2,x3…) rispetto alla variabile xi.
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CIFRE SIGNIFICATIVE Per essere effettivamente utile, ogni dato numerico deve contenere informazioni relative alla sua accuratezza. Questo può essere fatto in vari modi, ad esempio fornendo un intervallo di fiducia al livello del 90% o del 95% oppure indicando una deviazione standard assoluta o relativa, eventualmente riportando anche il numero di dati dalla quale essa è stata ricavata (in modo da indicare anche la sua affidabilità). Un indicatore meno soddisfacente, ma molto comune, si basa sulla convenzione delle cifre significative. Il numero di cifre significative di un numero è il numero minimo di cifre richieste per rappresentarlo in notazione scientifica senza comprometterne la precisione. In base alla definizione, gli zeri sono significativi solo se si trovano in mezzo ad un numero o alla fine di un numero, a destra della virgola (0, oppure 6,302 oppure 6302,0) 9, cifre significative 9, cifre significative 9, cifre significative In base alla convenzione delle cifre significative, l’ultima cifra significativa di un numero (che può essere anche uno zero) è la prima cifra incerta, alla quale è quindi associato un errore il cui valore minimo è ±1.
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CIFRE SIGNIFICATIVE NEI CALCOLI NUMERICI
Esistono regole empiriche che permettono di stabilire quale numero di cifre significative debba essere conservato nelle operazioni aritmetiche. Addizione e sottrazione Il numero di cifre significative del risultato è determinato dalla posizione della cifra significativa di “valore” più alto fra i numeri considerati: 3,4 + 0, ,31 = 10,730 → 10,7 Moltiplicazione e divisione Una regola empirica prevede che il numero di cifre significative del risultato sia pari a quello del numero di partenza con il minor numero di cifre significative. 24 × 4,52 /100,0 = 1,08 → 1,1 24 × 4,02 /100,0 = 0,965 → 0,96 Logaritmi e antilogaritmi Il logaritmo di un numero mantiene a destra della virgola dei decimali un numero di cifre pari a quelle contenute nel numero originale. L’antilogaritmo di un numero mantiene tante cifre quante sono quelle a destra della virgola dei decimali nel numero originale. log 4,000 × 10-5 = -4,3978 antilog 12,5 = 3 × 1012
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ARROTONDAMENTO DEI RISULTATI
Una volta definito l’entità dell’errore associato, il risultato di una misura analitica deve essere arrotondato di conseguenza. In primo luogo si può arrotondare la deviazione standard associata al risultato: generalmente la deviazione standard può essere riportata con una sola cifra significativa. Sulla base del valore della deviazione standard si arrotonda il risultato alla cifra più vicina compatibile con l’errore associato (nel caso di una cifra “5” finale, entrambi gli arrotondamenti in eccesso ed in difetto sono possibili; per evitare arrotondamenti sistematici in un senso o nell’altro per convenzione in questo caso si arrotonda alla cifra pari più vicina). Come criterio generale, l’arrotondamento andrebbe rimandato fino al momento in cui il calcolo è completo, conservando nei risultati parziali sempre almeno una cifra in aggiuinta a quelle significative: questo evita che arrotondamenti prematuri portino ad un risultato non corretto.
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Probabilità di trovare m = livello di fiducia
INTERVALLO DI FIDUCIA Nella maggior parte delle situazioni che si possono presentare in chimica analitica, non è possibile conoscere il valore vero m poiché questo richiederebbe un numero infinito di misure. Utilizzando la statistica è però possibile ricavare una stima del valore di m basata sul valore x della media sperimentale, definita mediante l’intervallo di fiducia. Intervallo di fiducia: intervallo di valori centrato attorno al valore della media sperimentale x, all’interno del quale con una certa probabilità (livello di fiducia) cadrà il valore della media m della popolazione. Limite di fiducia inferiore Limite di fiducia superiore Intervallo di fiducia x x Probabilità di trovare m = livello di fiducia
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ESPRESSIONE DELL’INTERVALLO DI FIDUCIA (I)
Se è noto il valore della deviazione standard della popolazione s, o se comunque si può supporre che il valore di s sia una buona stima del valore di s, l’intervallo di fiducia assume l’espressione generale dove il parametro numerico z non è altro che il valore per il quale l’area della curva gaussiana normalizzata compresa nell’intervallo ±z è pari al livello di fiducia richiesto. P(-z,+z) = livello di fiducia -z z
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ESPRESSIONE DELL’INTERVALLO DI FIDUCIA (II)
Alcune considerazioni: L’ampiezza dell’intervallo di fiducia è proporzionale al valore di s: se s è piccolo, l’intervallo di fiducia ha una ampiezza minore. L’ampiezza dell’intervallo di fiducia è inversamente proporzionale a √N: a parità di altri fattori, l’ampiezza può essere ridotta aumentando il numero delle misure. Come già visto nel caso della deviazione standard della media, questo è conveniente solo fino ad un certo punto, oltre al quale il miglioramento ottenibile nell’intervallo di fiducia non giustifica il tempo richiesto per effettuare analisi aggiuntive. L’ampiezza dell’intervallo di fiducia cresce all’aumentare del livello di fiducia richiesto: in genere si deve cercare un compromesso fra un livello di fiducia elevato ed un’ampiezza dell’intervallo ragionevole, che permetta di dare un dato di una qualche utilità pratica. Gli intervalli di fiducia così definiti valgono soltanto in assenza di errori di tipo sistematico e se si conosce s oppure il valore sperimentale di s è una buona approssimazione di s.
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ESPRESSIONE DELL’INTERVALLO DI FIDUCIA (III)
Spesso il numero di misure non è sufficiente ad ottenere una buona stima di s, e quindi da un insieme di dati relativamente limitato dobbiamo valutare sia la media che la precisione. Siccome il valore di s calcolato da un piccolo insieme di dati può essere molto incerto, quando dobbiamo usare un valore di s determinato in questo modo gli intervalli di fiducia sono più ampi. In questo caso l’intervallo di fiducia è dato dalla formula dove il parametro numerico t (“t di Student”) dipende sia dal livello di fiducia che dal numero di gradi di liberta, cioè in ultima analisi dal numero di dati disponibili. In accordo a quanto detto sopra (maggiore ampiezza dell’intervallo di fiducia), a parità di livello di fiducia t è sempre maggiore di z, e la differenza fra t e z è tanto più grande quanto più basso è il numero N dei dati (all’opposto, per N → ∞ si ha t → z). I valori di t sono reperibili in apposite tabelle, in funzione del livello di fiducia e dei gradi di libertà dell’insieme di dati.
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VALORI DELLA “t di Student”
t diminuisce all’aumentare dei gradi di libertà t = z t aumenta all’aumentare del livello di fiducia
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TEST STATISTICI DI SIGNIFICATIVITA’
Spesso è necessario stabilire se un dato sperimentale ed un dato teorico o due dati sperimentali differiscano fra di loro in modo significativo, cioè valutare se la differenza osservata sia effetto di un errore di tipo casuale (dovuto al fatto che si stanno confrontando risultati ottenuti su due diversi campioni appartenenti alla stessa popolazione) o di tipo sistematico (dovuto al fatto che si stanno confrontando dati appartenenti a due popolazioni diverse). Esiste una serie di test statistici (globalmente definiti test statistici di significatività) che permettono di stabilire se le differenze osservate sono, ad un certo livello di fiducia, dovute ad errori sistematici. Tutti questi test si basano fondamentalmente sullo stesso principio, ovvero sul calcolo mediante opportune formule di un parametro statistico a partire dai dati sperimentali. Questo parametro verrà poi confrontato con opportuni valori tabulati, allo scopo di stabilire se l’eventuale discordanza sia statisticamente significativa. Gli esempi riportati in seguito si riferiscono a test statistici a doppia coda, nei quali il segno dell’eventuale differenza non è importante (esistono anche test ad una coda, per i la differenza è significativa soltanto se ha un segno determinato).
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TEST T CONFRONTO FRA MEDIA SPERIMENTALE E VALORE VERO
Questo test permette di confrontare una media sperimentale con un valore vero m. Può essere utilizzato ad esempio per determinare l’accuratezza di un metodo analitico attraverso l’analisi di uno standard di riferimento a concentrazione nota. Per effettuare questo test si calcola a partire dai dati sperimentali un valore tsperim dato dalla equazione Che in effetti non è altro che una versione riarrangiata dell’espressione che dà il limite di fiducia quando è noto soltanto il valore di s): Questo valore viene poi confrontato con il valore teorico tteor che viene ricavato dalla tabella dei valori del parametro t di Student, per un numero di gradi di libertà pari a (N – 1) ed un determinato livello di fiducia. Se tsperim > tteor si può concludere che, a quel determinato livello di fiducia, la differenza è statisticamente significativa (ovvero dovuta ad un errore determinato). Se invece tsperim < tteor l’eventuale differenza è, a quel livello di fiducia, non significativa, ovvero dovuta ad errori casuali.
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CONFRONTO FRA DUE MEDIE SPERIMENTALI
TEST T CONFRONTO FRA DUE MEDIE SPERIMENTALI Questo test permette di confrontare due medie sperimentali risultanti da diversi esperimenti e trova applicazione, per esempio, nel confronto di due diversi campioni o, se il campione analizzato è lo stesso, di due diverse metodiche analitiche. Il valore tsperim è in questo caso dato dall’equazione: dove sg è la deviazione standard raggruppata dell’insieme dei dati, data dalla: Il valore calcolato tsperim viene confrontato con quello teorico tteor, ricavato per un certo livello di fiducia e per N1 + N2 -2 gradi di libertà. Come in precedenza, se tsperim > tteor si può concludere che a quel livello di fiducia esiste una differenza statisticamente significativa fra le due medie; in caso contrario, la differenza è dovuta ad un errore di tipo casuale. L’applicazione di questo tipo di test prevede che le deviazioni standard delle due serie di dati siano simili tra di loro.
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TEST T CONFRONTO FRA MEDIE OTTENUTE DA DATI APPAIATI
E’ possibile che le medie da confrontare si riferiscano a dati appaiati, che sono stati raccolti in coppie allo scopo di focalizzare l’interesse sulle differenze all’interno di ogni coppia (può essere il caso ad esempio di una serie di analisi effettuate prima e dopo il trattamento in un animale da laboratorio). Oppure la quantità di campione è talmente piccola che ognuno di essi può essere analizzato solo una volta con due differenti metodi analitici. In questo caso il test t deve essere applicato tenendo conto che i dati sono appaiati, e quindi esiste una correlazione fra i valori ottenuti sullo stesso campione. Il valore di tsperim si calcola dall’equazione: dove N è il numero delle coppie di dati che sono stati analizzati, di è la differenza (positiva o negativa) xi(1) – xi(2), all’interno di ogni coppia, è la media delle differenze di fra le vaie coppo di dati e sd è la deviazione standard delle differenze. Come in precedenza, se tsperim > tteor si può concludere che a quel determinato livello di fiducia esiste una differenza significativa fra le due medie; in caso contrario la differenza non è significativa ed è dovuta ad un errore di tipo casuale.
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CONFRONTO DELLA VARIANZA s2
TEST F CONFRONTO DELLA VARIANZA s2 Il test F viene utilizzato per stabilire se esiste una differenza significativa fra le precisioni di due serie di misure. Ad esempio, può essere utilizzato per stabilire se due metodi analitici hanno una differente precisione, o per assicurarci che le due serie di misure abbiano deviazioni standard simili in modo da poterle confrontare utilizzando il test t. Per questo test si calcola il parametro F, dato da: dove s1 ed s2 sono le deviazioni standard delle due serie di dati, assumendo che s1 > s2. I valori di Fteor sono disponibili in tabelle statistiche in funzione dei gradi di libertà n1 e n2 (possono essere differenti fra di loro poiché il numero di misure può essere diverso per i due metodi) e del livello di fiducia richiesto. Quando Fsperim > Fteor si conclude che a quel determinato livello di fiducia s1 ed s2 sono differenti, mentre quando Fsperim < Fteor non c’è differenza significativa fra s1 ed s2.
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TEST F TABELLA DEI VALORI CRITICI DI F
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DETERMINAZIONE DI ERRORI GROSSOLANI
Talvolta un dato in una serie di replicati (outlier) può sembrare incompatibile con tutti gli altri, generando il sospetto che sia il risultato di un errore grossolano. Sebbene lo scarto di un dato sperimentale sia una operazione che va effettuata con cautela (soprattutto per piccoli insiemi di dati) il test Q è generalmente riconosciuto come un metodo appropriato per prendere tale decisione. Per eseguire questo test i dati vengono disposti in ordine crescente e si calcola il valore del parametro Qsperim, dove xq è il valore sospetto (il più alto o il più basso dell’insieme di dati) ed xn è il valore ad esso più vicino. Si cerca poi in tabella il valore di Qteor corrispondente al numero di osservazioni considerato ed al livello di fiducia richiesto. Se Qsperim > Qteor il dato in esame dovrebbe essere scartato in quanto, con una probabilità almeno pari al livello di fiducia considerato, non appartiene alla popolazione in esame. Se necessario, l’operazione può essere ripetuta per il dato immediatamente precedente, e così via. intervallo
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DETERMINAZIONE DI ERRORI GROSSOLANI:
TABELLA DEI VALORI CRITICI DI Q N Q90% Q95% Q99% 3 0,94 0,98 0,99 4 0,76 0,85 0,93 5 0,64 0,73 0,82 6 0,56 0,74 7 0,51 0,59 0,68 8 0,47 0,54 0,63 9 0,44 0,06 10 0,41 0,48 0,57
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METODO DEI MINIMI QUADRATI
Un’operazione comune in chimica analitica consiste nel ricavare la curva di calibrazione, cioè la relazione fra il segnale misurato durante un’analisi e la concentrazione dell’analita, e da essa ricavare la concentrazione di un campione incognito per interpolazione del segnale misurato. Anche se la forma (equazione) di questa relazione è nota il calcolo dei suoi coefficienti è complicato dalla presenza degli errori indeterminati, che fanno si che i punti sperimentali non si trovino effettivamente sulla curva, ma se ne discostino in maniera casuale. Caso ideale: nessun errore di misura Caso reale: misure affette da un errore indeterminato ? ● ● segnale segnale ● ● ● ● ● ● concentrazione concentrazione Dal punto di vista matematico l’analisi di regressione applicata attraverso il metodo dei minimi quadrati permette, una volta definita la forma della relazione che lega il segnale (y) alla concentrazione (x), di ottenere i coefficienti della “migliore” curva che passa attraverso una serie di punti sperimentali (xi, yi).
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ASSUNZIONI DI BASE DEL METODO DEI MINIMI QUADRATI
Nel caso più semplice la relazione fra il segnale (y) e la concentrazione (x) è lineare e si può utilizzare un’analisi di regressione lineare. La dipendenza di y da x ha la forma y = mx + b ed è definita una volta che vengono determinati i coefficienti m (pendenza) e b (intercetta) della retta. Per semplicità si assume poi che ogni deviazione dei punti sperimentali dalla retta dipenda da un errore commesso durante la misurazione. In altre parole, lo scostamento dei punti sperimentali dalla retta si ha soltanto lungo la direzione y, mentre ai valori di x non è associato alcun errore. Lo stesso concetto può essere utilizzato anche se la correlazione fra y ed x non è lineare (regressione non lineare). Esistono poi tecniche di regressione più complesse che prevedono errori associati ad entrambi gli assi, oppure assegnano differente importanza ai vari punti in funzione dell’entità dell’errore ad essi associato. Dy/Dx = pendenza (m) y Dy Dx intercetta (b) x errore solo su y
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CALCOLO DEI COEFFICIENTI (I)
Il calcolo dei coefficienti della retta con il metodo dei minimi quadrati si basa sulla seguente considerazione (ricavabile su base statistica): punto sperimentale yi la retta migliore che approssima i punti sperimentali è quella per la quale la somma dei quadrati dei residui è minima residuo mxi + b corrispondente punto “teorico” sulla retta di calibrazione xi In termini matematici: Per calcolare i valori di m e b, in primo luogo si definiscono per semplicità le quantità Sxx, Syy e Sxy dove (xi, yi) sono le coordinate dei singoli punti, in numero di N, ed ed sono i valori medi delle coordinate x ed y dei punti.
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CALCOLO DEI COEFFICIENTI (II)
La condizione di minimo sulla somma dei quadrati dei residui conduce ai seguenti valori per i coefficienti: ai quali, attraverso il parametro sr (deviazione standard della regressione) possono essere associate le rispettive deviazioni standard sulla pendenza (sm) e sulla intercetta (sb): Un ultimo parametro significativo dal punto di vista statistico è il coefficiente di determinazione (R2), che descrive in modo quantitativo l’effettiva aderenza dei punti sperimentali alla retta determinata mediante regressione lineare:
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INTERPOLAZIONE DI UN VALORE DI y
Limite superiore della deviazione standard di x0 Utilizzando i valori così calcolati è possibile tracciare la retta che meglio approssima i dati sperimentali, che passerà nel loro punto medio E’ infine possibile ricavare una equazione approssimata che fornisce la deviazione standard di un valore di x (x0) ottenuto per interpolazione sulla retta a partire da un dato valore di y , supponendo che esso rappresenti la media di M replicati: Limite inferiore della deviazione standard di x0 y y3 sx3 y2 ● sx2 y1 sx1 x1 x2 x3 x E’ interessante notare che la deviazione standard dei valori di x0 così ottenuti è minima nella parte centrale della retta: l’errore nel dato interpolato è minimo al centro della retta di calibrazione.
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IL SIGNIFICATO DEL COEFFICIENTE DI DETERMINAZIONE
Il valore del coefficiente di determinazione è compreso nell’intervallo 0 – 1: nell’ipotesi di una dipendenza lineare, per R2 = 1 y è esattamente proporzionale ad x, mentre per R2 = 0 y ed x non sono correlati fra di loro. R2 = 1 0 < R2 < 1 R2 = 0 y ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● x x x Il coefficiente di determinazione è però valido solo nell’ambito della relazione fra y ed x per la quale è stato definito. Un valore di R2 elevato non implica necessariamente che la relazione ipotizzata fra y ed x sia quella corretta, mentre un valore basso potrebbe semplicemente significare che y ed x sono legati fra di loro in un altro modo. R2 alto ● R2 basso y ● y ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● x x
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ANALISI DEI RESIDUI Informazioni sulla validità della relazione ipotizzata in un’analisi di regressione possono essere ottenute dal grafico dei residui. ● ● ● y y ● ● y ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● x x x D D D ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● x ● ● x ● ● x I residui sono distribuiti in modo omogeneo: la relazione ipotizzata fra y ed x è presumibilmente quella corretta I residui presentano una variazione regolare: la relazione fra y ed x potrebbe essere diversa da quella ipotizzata I residui presentano una ampiezza che dipende da x: potrebbe essere conveniente una regressione pesata
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TRASFORMAZIONE DELLE VARIABILI
Se la dipendenza di y da x non è di tipo lineare, è necessario ricorrere ad un procedura di regressione non lineare. In certi casi è però possibile ricondurre i dati ad una dipendenza lineare effettuando una opportuna trasformazione delle variabili in oggetto: Funzione Trasformazione Funzione risultante Esponenziale: y = bemx y’ = ln(y) y’ = ln(b) + mx Potenza: y = bxm y’ = log(y) ed x’ = log(x) y’ = log(b) + mx’ Reciproco: y = b + m(1/x) x’ = 1/x y = b + mx’ E’ però da tenere presente che la regressione lineare effettuata dopo la trasformazione fornisce la migliore stima delle variabili trasformate, non di quelle originali. Sebbene la trasformazione inversa permetta di riottenere le variabili originali, per ottenere un stima di queste variabili sarebbe più corretto utilizzare le procedure di regressione non lineare.
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CARATTERISTICHE DI UNA METODICA ANALITICA
Le prestazioni di un metodo analitico possono essere definite attraverso una serie di grandezze: Accuratezza Precisione Specificità/selettività Intervallo di linearità Limite di rilevabilità (LOD) Limite di quantificazione (LOQ) Robustezza (Robustness) Solidità (Ruggedness) La definizione esatta di questi parametri, anche in funzione delle differenti tecniche analitiche utilizzate, è stata stabilita da varie istituzioni (es. IUPAC) nell’ambito delle linee guida generali per la validazione di una metodica analitica. Esistono anche variabili più direttamente connesse all’applicazione pratica del metodo, quali ad esempio la definizione dei costi e dei tempi richiesti per l’analisi o lo studio della stabilità dei rettivi. 95
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ACCURATEZZA L’accuratezza è definita come la concordanza del risultato ottenuto in un’analisi con il valore accettato come “vero” (valore di riferimento). Viene espressa attraverso l’errore relativo (detto anche bias): Un altro parametro comunemente utilizzato è il recupero: L’accuratezza (e la precisione) di un metodo analitico spesso variano in funzione della concentrazione dell’analita. Per definire meglio le caratteristiche di un metodo queste grandezze vengono spesso determinate per tre concentrazioni diverse di analita (“bassa”, “media”, “alta”) comprese dell’intervallo di analisi. Le caratteristiche di accuratezza e precisione minime richieste per un metodo analitico variano con l’importanza relativa del componente da analizzare. Per componenti in tracce sono tollerate accuratezze e precisioni minori rispetto a quelle richieste per componenti presenti in grandi quantità. 96
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PRECISIONE La precisione esprime la riproducibilità dei risultati ottenuti da una serie di misure ripetute dello stesso campione. Viene espressa attraverso deviazione standard, deviazione standard relativa, coefficiente di variazione, ottenute effettuando analisi ripetute dello stesso campione. In un metodo analitico possono essere definiti svariati livelli di precisione. In particolare si può parlare di Ripetibilità (precisione intra-assay): è il parametro base per il calcolo della precisione di un metodo analitico. Viene definita come la riproducibilità di una serie di analisi effettuate in un breve periodo di tempo (replicati). Riproducibilità (precisione inter-assay): è la precisione di una serie di misure effettuate con lo stesso metodo analitico, ma in momenti differenti. La riproducibilità è in genere più elevata della ripetibilità, poiché è più difficile mantenere la costanza delle variabili sperimentali su di un lungo arco di tempo. 97
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SENSIBILITA’ La sensibilità rappresenta una misura della capacità del metodo analitico di discriminare fra campioni con concentrazioni simili fra di loro. La sensibilità della calibrazione è la pendenza della curva di calibrazione ed esprime la variazione della risposta per unità di variazione della concentrazione dell’analita. In funzione della forma della curva di calibrazione, un metodo analitico può avere sensibilità della calibrazione costante oppure no all’interno dell’intervallo di concentrazioni nel quale esso è applicabile. Segnale DS D[A] [A] La minima differenza di concentrazione rilevabile dipende però sia dalla pendenza della curva di calibrazione che dalla precisione della determinazione. La sensibilità di un metodo è quindi definita mediante la sensibilità analitica, cioè il rapporto fra la sensibilità della calibrazione e la deviazione standard del segnale analitico misurato. Siccome quest’ultima solitamente dipende dall’entità del segnale (e quindi dalla concentrazione di analita) la sensibilità analitica è in genere funzione della concentrazione, anche per curve di calibrazione lineari. 98
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LIMITE DI RIVELABILITA’ E LIMITE DI QUANTIFICAZIONE
Il limite di rivelabilità (LOD) di un metodo analitico è definito come la minima concentrazione di analita rivelabile ad un determinato livello di fiducia. In genere in corrispondenza del LOD la precisione del metodo analitico è relativamente bassa e non permette di ottenere dati quantitativi affidabili: il LOD viene quindi utilizzato a fini qualitativi, ad esempio come concentrazione limite per definire la presenza o l’assenza dell’analita. Per i metodi che ammettono una curva di calibrazione, il LOD viene definito come la concentrazione di analita che produce un segnale pari al segnale del bianco più k volte la sua deviazione standard: Il valore di k dipende dal livello di fiducia prescelto (es. per k = 3 il livello di fiducia è del 98,3%). Segnale SB + ksB SB LOD [A] A fini quantitativi si usa il limite di quantificazione (LOQ), definito come la concentrazione alla quale l’analita è determinabile con precisione ed accuratezza accettabili. Può essere espresso come il LOD, ma con valori di k più elevati (es. k = 10). 99
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LIMITE DI RIVELABILITA’ E LIMITE DI QUANTIFICAZIONE (II)
La definizione di limite di rivelabilità e limite di quantificazione può essere più complessa se il metodo non usa una curva di calibrazione o se è difficile definire il segnale del bianco. Ad esempio, nelle tecniche cromatografiche si può determinare la deviazione standard del segnale in un’area del cromatogramma nella quale certamente non vi sono analiti (“bianco”), e considerare quindi significativi solo i segnali con un’intensità pari al segnale medio in assenza di analita più k volte la sua deviazione standard. Segnale significativo Segnale Segnale Sezione del cromatogramma priva di analiti (“bianco”) Segnale non significativo SB + ksB SB Tempo Tempo Calcolo di SB ed sB 100
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INTERVALLO DINAMICO DI LINEARITA’
L’intervallo dinamico di linearità rappresenta l’intervallo di concentrazioni dell’analita che può essere determinato con una curva di calibrazione lineare. Nelle tecniche analitiche vengono preferite le curve di calibrazione lineari, poiché possono essere trattate in modo semplice e la loro costruzione richiede un numero limitato di standards. L’intervallo dinamico di linearità è delimitato dal limite di rivelabilità e dalla concentrazione alla quale diventano rilevanti le deviazioni dalla linearità (dovute a comportamento non ideale del sistema o a limitazioni del rivelatore). L’ampiezza dell’’intervallo dinamico di linearità dipende anche dalla tecnica di rivelazione utilizzata. Se le variazioni della concentrazione dell’analita sono relativamente piccole non è comunque necessario un’intervallo dinamico di linearità molto ampio. Se la curva di calibrazione non è lineare, si può definire semplicemente un intervallo dinamico, all’interno del quale il segnale dipende dalla concentrazione dell’analita. Segnale LOD [A] [A]max 101
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SENSIBILITÀ, INTERVALLO DINAMICO DI LINEARITÀ E LOD
Sensibilità, intervallo dinamico di linearità e limite di rivelazione sono spesso correlati fra di loro: a causa delle limitazioni insite nelle tecniche di misura e nei rivelatori una tecnica molto sensibile presenta spesso un limite di rivelazione inferiore (a parità di analita il segnale è più alto e quindi più facilmente misurabile con accuratezza) ma anche un intervallo dinamico di linearità più ristretto, poiché il segnale raggiunge valori troppo elevati a concentrazioni di analita inferiori. Sensibilità2 > Sensibilità1 2 1 Segnale [Amax]2 [Amax]1 [A] LOD1 LOD2 102
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ROBUSTEZZA (ROBUSTNESS) SOLIDITA’ (RUGGEDNESS)
La robustezza di un metodo analitico misura la sua capacità di non essere influenzato da piccole variazioni dei parametri sperimentali nell’intorno dei loro valori ottimali. Un metodo analitico “robusto” fornisce quindi risultati riproducibili anche senza un controllo rigoroso delle condizioni sperimentali. Questo parametro può essere valutato variando deliberatamente le condizioni sperimentali in un ristretto intervallo e verificando se il risultato analitico risulta soggetto, oltre che alle fluttuazioni casuali, anche a variazioni sistematiche legate ai parametri modificati. SOLIDITA’ (RUGGEDNESS) La solidità è una valutazione del grado di riproducibilità del metodo analitico, espressa attraverso il rapporto fra la deviazione standard ottenuta da studi di riproducibilità e la deviazione standard ottenuta da studi di ripetibilità. In modo simile alla grandezza precedente, descrive la suscettibilità del metodo alle variazioni incontrollate dei parametri sperimentali. Per un metodo analitico la deviazione standard ottenuta da studi di riproducibilità dovrebbe essere al massimo 2-3 volte maggiore di quella ottenuta da studi di ripetibilità. 103
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SPECIFICITA’ La specificità è la capacità di un metodo analitico di rispondere soltanto all’analita in esame anche in presenza degli altri componenti del campione. Pochi metodi in realtà sono realmente specifici, soprattutto in presenza di altri composti con caratteristiche chimico-fisiche simili a quelle dell’analita (da questo punto di vista le tecniche bioanalitiche, basate su anticorpi od enzimi, danno maggiori garanzie). In generale i metodi analitici mostrano soltanto un certo grado di preferenza (selettività) per la sostanza che interessa nei confronti della altre specie presenti. La selettività di un metodo nei confronti di un possibile interferente può essere definita come il rapporto fra le concentrazioni di interferente [X] ed analita [A] che danno lo stesso segnale: Tanto più la selettività del metodo è elevata, tanto più grandi sono le concentrazioni della specie interferente che possono essere presenti durante l’analisi senza interferire nella determinazione dell’analita.
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VALIDAZIONE DI UNA METODICA ANALITICA
Con questo termine si intende la valutazione complessiva dell’affidabilità di una metodica analitica. Tale procedura si può effettuare mediante: Uso di campioni standard di riferimento Essi permettono di verificare l’affidabilità di tutti gli stadi della procedura, inclusi quelli pre-analitici. I campioni standard di riferimento devono comunque essere molto simili ai campioni da analizzare per quanto riguarda la concentrazione dell’analita e la composizione totale. In alternativa, in assenza di tali materiali, è possibile sintetizzare standard combinando composti puri in modo da riprodurre la composizione dei campioni (tecnica adatta solo per campioni di composizione relativamente semplice), o utilizzare soluzioni di analita a concentrazione nota di composizione simile a quella delle soluzioni che verranno analizzate realmente (questo non permette però di avere informazioni sull’accuratezza dei processi di decomposizione e dissoluzione) Aggiunta standard al campione Vengono analizzate aliquote di campioni alle quali sono state aggiunte quantità note di analita, e viene valutato il recupero della procedura nei confronti della quantità nota addizionata.
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VALIDAZIONE DI UNA METODICA ANALITICA
Utilizzo parallelo di altri metodi Un metodo analitico può essere validato mediante l’analisi simultanea degli stessi campioni con un secondo metodo di riferimento (cioè di cui è gia stata dimostrata l’accuratezza), possibilmente basato su principi differenti da quelli del metodo in esame. Questo confronto si effettua spesso mediante i diagrammi di correlazione: I due metodi danno lo stesso risultato Il metodo in esame presenta una sovrastima sistematica Metodo in esame Metodo valido Sottostima sistematica Il metodo in esame presenta una sottostima sistematica Metodo di riferimento Sovrastima costante
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CONTROLLO DI QUALITÀ Una carta di controllo permette di tenere sotto controllo le prestazioni di una metodica analitica nel tempo, in modo da individuare il verificarsi di errori sistematici. Una tipica carta di controllo prevede l’analisi, ad intervalli regolari, di N replicati di uno o più campioni di controllo, per i quali sono stati determinati in precedenza s e m. Qualunque deviazione del risultato oltre i limiti di controllo superiore (LCS) od inferiore (LCI) viene considerata indicativa di un errore nella procedura, che deve essere individuato e corretto. Possibile errore sistematico tempo
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