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La prosa del mondo e la crisi del romanzo
IL “CASO” SVEVO La prosa del mondo e la crisi del romanzo
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IL “CASO” TRIESTE CROGIUOLO ETNICO E CROCEVIA COMMERCIALE
CASSA DI RISONANZA PER LA CULTURA MITTELEUROPEA (Freud, Kafka, Musil, Darwin e Schopenauer) POSIZIONE PERIFERICA MA PRIVILEGIATA PER VARIETA’ DI STIMOLI SITUAZIONE DI BILINGUISMO FORTE COMPONENTE EBRAICA
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UNA FORMAZIONE COMPOSITA
Si forma in Germania Da Aron Hector Schmitz a Italo Svevo Ebraismo non religioso, ma biografico e culturale Compie studi commerciali e lavorerà prima in banca e poi guiderà l’azienda di vernici del suocero. Si formerà autonomamente su vaste ed eterogenee letture e studiando i classici italiani: la “strana” lingua di Svevo
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TAPPE DEL “CASO” SVEVO 1892 pubblica il primo romanzo Una vita che si rivela un fallimento editoriale 1898 pubblica il secondo romanzo Senilità e anche questa volta non ottiene alcun riscontro positivo 1907 frequenta a Trieste James Joyce che lo incoraggia dando giudizi positivi sulle sue opere 1911 incontra grazie alla mediazione de cognato, la psicanalisi e le teorie freudiane 1923 pubblica La coscienza di Zeno – scoppia il “caso” Svevo. Anche Eugenio Montale interviene in quegli anni per sostenerne il tentativo letterario.
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INFLUENZE CULTURALI (1)
ARTHUR SCHOPENAUER Nel pensiero di Schopenauer riconosciamo il retroterra filosofico dei personaggi sveviani: l’inetto presenta affinità con il cosiddetto contemplatore: come il contemplatore, anche l’inetto, poi associato da Svevo alla figura dell’abbozzo, ha sollevato il velo della realtà fenomenica e ha scoperto l’esistenza sotto di esso della cieca volontà di vivere alla quale intende sottrarsi. Il contemplatore si oppone al lottatore, ovvero a quell’ individuo che esegue meccanicamente la Volontà e si integra perfettamente in un mondo da essa dominato.
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INFLUENZE CULTURALI (2)
CHARLES DARWIN Le teorie di Darwin sono per Svevo il modello per l’interpretazione dei rapporti tra singolo e società anche attraverso la ripresa del “darwinismo sociale”. Egli fa coincidere la lotta per la vita con la lotta per il successo individuale: da qui deriva lo schema dei personaggi sveviani nei quali un inetto si confronta con un antagonista. L’inetto è colui che si rivela perdente, inadatto alla vita, mentre l’antagonista, perfettamente integrato nelle dinamiche sociali, risulta vincente. Questo almeno fino alla fine della Coscienza di Zeno che svelerà la capacità di adattamento dell’inetto ai mutamenti proprio in virtù del suo non essere integrato in una forma. L’originalità di Svevo consister nel fatto che egli farà dell’inetto il punto di vista sulla realtà e sul mondo.
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INFLUENZE CULTURALI (3)
SIGMUND FREUD Le teorie di Freud fanno sì che Svevo maturi l’idea di un nuovo sguardo sull’esistenza, anche se solo la Coscienza si baserà sulle dottrine psicanalitiche. Ciò che del nuovo metodo interessava a Svevo non era tanto il versante della cura quanto la straordinaria possibilità che offriva di indagare nello spazio interiore dell’individuo. La psicanalisi diventerà un metodo di conoscenza più che una pratica da seguire per essere guariti.
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LA “STRANA” LINGUA Uno dei tratti caratteristici della prosa di Svevo è l’uso di una strana lingua, ai limiti della correttezza grammaticale ed ortografica. La doppia cultura italo-tedesca aveva provocato nel suo sistema linguistico una contaminazione tra le due lingue. Oltre ai calchi dal tedesco, i critici hanno rilevato, talvolta, dialoghi artificiosi o alcune scelte lessicali goffe o, sul piano dello stile, alcuni costrutti nominali tipici del francese, lingua su cui si era formato per le letture giovanili.
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UNA VITA (1892) Trama Matrice autobiografica: la figura dell’inetto (un inadatto alla vita che termina la sua esistenza con il suicidio) I personaggi: Annetta Maller, Macario, Lucia Lanucci Un romanzo d’interni e un romanzo “d’analisi” La lingua e lo stile: narratore esterno tendenzialmente impersonale
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Alfonso: il primo “inetto”
Inetto come antieroe (in+aptus- inadatto) – Alfonso è inadatto alla vita, non riesce ad adattarsi alla normalità della vita. Non sopporta la vita impiegatizia ma quando può fare salto di qualità (con Annetta) scappa e inventa una scusa. Non sa più cosa vuole. Vive un deficit esistenziale, aggravato dalle sue velleità letterarie. Tutta la vita è vissuta all’insegna del segno(-), come Mattia Pascal. Anche il suicidio di Nitti non è come nel caso di Ortis un’ultima affermazione di sé, ma è una rinuncia. A partire dal Decadentismo e il decadere dell’io, cadono valori che non sono sostituiti da altri. Assistiamo ad una disgregazione dell’uomo e del personaggio coerente e unitario
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Da UNA VITA, cap. VIII Si udivano i piccoli gridi dei gabbiani. […] Fatti proprio per pescare e per mangiare, — filosofeggiò Macario. — Quanto poco cervello occorre per pigliare pesce! Il corpo è piccolo. Che cosa sarà la testa e che cosa sarà poi il cervello? Quello ch'è la sventura del pesce che finisce in bocca del gabbiano sono quelle ali, quegli occhi, e lo stomaco, l'appetito formidabile per soddisfare il quale non è nulla quella caduta così dall'alto.
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Da UNA VITA, cap. VIII Ma il cervello! Che cosa ci ha da fare il cervello col pigliar pesci? E lei che studia, che passa ore intere a tavolino a nutrire un essere inutile! Chi non ha le ali necessarie quando nasce non gli crescono mai più. Chi non sa per natura piombare a tempo debito sulla preda non lo imparerà giammai e inutilmente starà a guardare come fanno gli altri, non li saprà imitare. Si muore precisamente nello stato in cui si nasce, le mani organi per afferrare o anche inabili a te- nere.
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Da UNA VITA, cap. VIII Alfonso fu impressionato da questo discorso. Si sentiva molto misero nell'agitazione che lo aveva colto per cosa di sì piccola importanza. — Ed io ho le ali? — chiese abbozzando un sorriso. — Per fare dei voli poetici sì! — rispose Macario, e arrotondò la mano quantunque nella sua frase non ci fosse alcun sottinteso che abbisognasse di quel cenno per venir compreso.
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Una vita-La lingua e lo stile
Una vita è romanzo di impianto ancora ottocentesco. Il narratore è eterodiegetico e la focalizzazione prevalentemente O, ma talora interna. Il narratore a volte “sta” con Alfonso, ma a volte ci svela gli inganni della sua coscienza
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SENILITA’ (1898) Il titolo: non una condizione anagrafica ma una tonalità di vita, un atteggiamento senile verso l’esistenza La trama I personaggi: Emilio Brentani, Angiolina, Stefano Balli, Amalia L’ambiente: lo scenario è la città, Trieste, perché ci si allontana progressivamente dal romanzo naturalistico e quindi prevale l’attenzione all’analisi del protagonista più che su quella dell’ambiente. Il punto di vista e lo stile: narratore esterno ma crescente spazio alla focalizzazione interna, con frequenti uso del discorso indiretto libero
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Alfonso ed Emilio, “fratelli carnali”
Emilio si lascia spesso portare dalla vita: espressione della crisi del personaggio che riflette quella dell’uomo contemporaneo. È un sognatore e la sua senilità è un eccesso della vita interiore elevata a supremo e unico valore che rende inadatti ad affrontare la realtà. Letteraturizzazione dell’esistenza: desiderio di pienezza e perfezione
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Da SENILITA’ Per una sentimentalità da letterato il nome di Angiolina non gli piaceva. La chiamò Lina; poi, non bastandogli questo vezzeggiativo, le appioppò il nome francese, Angèle e molto spesso lo ingentilì e lo abbreviò in Ange. Le insegnò a dirgli in francese che lo amava. Saputo il senso di quelle parole, ella non volle ridirle, ma al prossimo appuntamento le disse senz'essere invitata: Sce tèm bocù. Egli non si meravigliava affatto d'esser giunto tanto oltre così presto. Corrispondeva proprio al suo desiderio. Certo ella lo aveva trovato tanto ragionevole che le sembrava di poter fidarsi di lui, e infatti per lungo tempo, ella non ebbe neppur l'occasione di rifiutargli qualche cosa. Si trovavano sempre all'aperto. Amarono in tutte le vie suburbane di Trieste. Dopo i primi appuntamenti, abbandonarono Sant'Andrea ch'era troppo frequentato, e per qualche tempo preferirono la strada d'Opicina fiancheggiata da ippocastani folti, larga, solitaria, una salita lenta quasi insensibile..
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Da SENILITA’ (2) Si fermavano a un pezzo di muricciuolo che divenne la meta delle loro passeggiate soltanto perché la prima volta vi si erano assisi. Si baciavano lungamente, la città ai loro piedi, muta, morta, come il mare, di lassù niente altro che una grande estensione di colore misterioso, indistinto: e nell'immobilità e nel silenzio, città, mare e colli apparivano di un solo pezzo, la stessa materia foggiata e colorita da qualche artista bizzarro, divisa, tagliata da linee segnate da punti gialli, i fanali delle vie. La luce lunare non ne mutava il colore. Gli oggetti dai contorni più precisi non s'illuminavano, si velavano di luce. Vi si stendeva un candore immoto, ma di sotto, il colore dormiva intorpidito, fosco, e persino nel mare che ora lasciava intravvedere il suo eterno movimento, baloccandosi con l'argento alla sua superficie, il colore taceva, dormiva. Il verde dei colli, i colori tutti delle case rimanevano abbrunati e la luce di fuori, inaccolta, distinta, un effluvio che saturava l'aria, era bianca, incorruttibile, perché nulla in lei si fondeva. Nella vicina faccia della fanciulla, la luce lunare s'incarnava, sostituiva quel colore di bambino roseo senz'attenuare il giallo diffuso ch'Emilio credeva di percepire con le labbra; tutta la faccia diveniva austera e, baciandola, Emilio si sentiva più corruttore che mai. Baciava la bianca, casta luce.
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La senilità, dunque… Non è un dato cronologico, ma scelta di vita.
Ma anche quando raggiunge la senilità anagrafica, rimane in lui un’inguaribile attitudine del protagonista a rapportarsi ad immagini ideali, a non resistere alla tentazione di una volontaria evasione dalla realtà. È una scappatoia, comunque, non molto diversa, alla fine, dal suicidio di Alfonso.
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LA COSCIENZA DI ZENO (1923) Nuclei tematici Caratteri e struttura
Il titolo Da Alfonso ed Emilio a Zeno: l’evoluzione della figura dell’inetto
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Nuclei tematici Prefazione e Preambolo Il fumo La morte del padre
Il matrimonio L’amante Collaborazione di Zeno all’attività commerciale di Guido Psico-analisi
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Caratteri e struttura Narratore interno
Lo svolgimento della storia non rispetta la cronologia degli eventi Due piani narrativi: il racconto di Zeno degli eventi della propria vita e la cornice, ossia il rapporto col Dottor S., il narratario del romanzo. La sua presenza, sempre costante, fa della voce di Zeno quella di un narratore inattendibile. In narratologia l’inserzione del narratario consente all’autore di moltiplicare il gioco delle interpretazioni possibili del racconto, di metterne in rilievo le sottili ambiguità.
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Il titolo Ciò che Zeno sa di se stesso
Consapevolezza, sempre deficitaria, bugiarda, che a Zeno appartiene Coscienza morale
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I tre “fratelli carnali”
Evoluzione della figura dell’inetto nei tre romanzi: 1. Alfonso, inetto perché accecato dall’illusione della propria superiorità, tutto ripiegato su se stesso e 2. Emilio, inetto che sceglie la senilità come giustificazione della sua inerzia. 3. Zeno, il lavoro di analisi compiuto dal personaggio sul proprio disagio trasformerà l’inadeguatezza in un modello di conoscenza e alla fine del romanzo l’incapacità di prendere la stessa forma del mondo circostante gli aprirà una via di salvezza preclusa ai “sani”.
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Modernità della Coscienza
Il punto di vista del soggetto Il tempo della narrazione L’inattendibilità del narratore L’ironia
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Il punto di vista del soggetto
Metro e misura del racconto diventano il soggetto e il suo punto di vista. Come ne Il fu Mattia Pascal, il narratore è interno e si assiste ad uno sdoppiamento tra l’io narrante (lo Zeno che racconta) e l’io narrato (lo Zeno protagonista)
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Il tempo della narrazione
Nella ricostruzione la voce narrante non allinea in modo ordinati i fatti sull’asse cronologico, ma procede per blocchi tematici. All’interno di ciascun blocco, l’autore oscilla tra i piani temporali, zigzagando nella memoria. Ogni avvenimento è riflesso nella coscienza e ne acquista la misura. Il tempo è un tempo misto, costantemente assorbito dalla coscienza soggettiva di Zeno. Lo scardinamento della narrazione, le continue analessi o prolessi, producono dilatazioni e contrazioni de tempo narrato.
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L’inattendibilità del narratore
Zeno mente a se stesso quando agisce e forse quando racconta; né Zeno narratore, né Zeno personaggio sono attendibili. Il lettore sospetta che Zeno, quando racconta, finisca per essere vittima della sua nevrosi e rimuova dalla sua memoria particolari scomodi. Zeno non ha certezze. Arriva ad affermare che l’uomo dà spesso forma alla verità basandosi sulle parole di cui dispone si spinge a pensare che la nostra vita sarebbe diversa se, per raccontarla, invece delle parole usassimo i dialetto Narratologicamente l’inaffidabilità si concretizza nell’uso del monologo interiore.
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L’ironia Una comica assurdità è colta fin dalle prime battute del romanzo laddove il Dottor S. dice che pubblica le memorie di Zeno “per vendetta”. Scrive anzi “le pubblico per vendetta e spero che gli dispiaccia”. La dimensione dell’ironia induce il lettore ad un atteggiamento di sorriso distaccato rispetto alle vicende narrate, di limitata partecipazione emotiva. Allo stesso modo Zeno mostra di guardare ironicamente tutti coloro che pretendono di avere verità, certezze: i cosiddetti “sani”, ossia il padre, Augusta, i medici
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Il tema della malattia La malattia come modo d’essere, metafora di uno stato dell’esistenza Svevo, Freud e la psicanalisi Zeno, straniero alla vita
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La malattia come stato dell’esistenza
La malattia viene ad essere una metafora esistenziale a partire dalla metà dell’Ottocento. Il primo male che diviene immagine di una sofferenza interiore è la tubercolosi. Il Decadentismo poi assumerà il disagio fisico, la debolezza come espressioni costanti del malessere, del cupio dissolvi, cioè del desiderio di disfacimento. Quando Svevo parla di malattia si riferisce ad un disagio interiore, spirituale. I mali che Zeno individua su di sé stanno per un male interiore: la zoppìa si manifesta sempre quando si sente fuori posto. I sintomi esterni sono manifestazione della nevrosi, ossia quel disadattamento alla vita che si acuisce nel contatto coi “sani”.
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Malattia come conoscenza di sè
Quando al disagio si viene incontro con la terapia analitica si crea un nesso tra la malattia e la sua possibile spiegazione da parte del malato. Con la Coscienza di Zeno la malattia, sintomo del disagio interiore, diviene privilegiata occasione per conoscere se stessi. “Solo noi malati sappiamo qualcosa di noi stessi”- affermerà Zeno. La malattia diventa strumento di conoscenza. Che si conosce? Che non c’è cura.
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La nuova “coscienza” dell’inetto
Zeno scopre che non è lui ad essere malato, ma è la vita a esserlo. Zeno è attratto dalla vita, vorrebbe un’interezza di vita, che la nevrosi gli svela non essere possibile. La vita, però, non concede interezza, è inquinata, e Zeno smette la cura perché ha scoperto che lui è sano, il vero sano, perché ha capito che la vita degli altri è intera perché non si preoccupa di interezza. È un’illusione. Il sano è colui che è inadatto ma non lo sa, accetta la forma come se fosse vita, ci si cristallizza e muore. Per Zeno la vita è un’infinita serie di possibilità. Se ti adatti muori. L’unica speranza è nell’essere abbozzo. “Da me la vita non fu mai privata del desiderio”.
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Svevo, Freud e la psicoanalisi
Il legame con la psico-analisi non va inteso in senso stretto, ma come indicazione di un campo d’interesse, come partecipazione ad un clima intellettuale e culturale nel quale si confrontavano diverse teorie relative allo studio della psiche. Svevo non ha mai creduto all’efficacia terapeutica della psicoanalisi freudiana: questa rappresentò per lui l’occasione di contato tra l’individuo e la propria storia.
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Zeno straniero alla vita
Il nome proprio Zeno risale etimologicamente alla parola greca “xènos”, che significa “straniero, esule”. E in effetti Zeno è straniero alla vita perché inadatto, incapace di aderire a quella che Schopenauer chiama “cieca volontà di vivere”. Eppure quell’abbozzo d’uomo si rivelerà, in ultima istanza, il più adatto a sopravvivere. La sua natura incompiuta lo metterà nella condizione di conformarsi e adattarsi, meglio degli altri, al conformarsi delle condizioni e delle circostanze di vita. Nell’estraneità sta dunque paradossalmente la sua forza.
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La “teoria dell’abbozzo”
Io credo che l'animale più capace ad evolversi sia quello in cui una parte è in continua lotta con l'altra per la supremazia, e l'animale, ora o nelle generazioni future, abbia conservata la possibilità di evolversi da una parte o dall'altra in conformità a quanto gli sarà domandato dalla società di cui nessuno ora può prevedere i bisogni e le esigenze. Nella mia mancanza assoluta di uno sviluppo marcato in qualsivoglia senso io sono quell’uomo. da L’uomo e la teoria darwiniana
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La “teoria dell’abbozzo” (2)
Lo sento tanto bene che nella mia solitudine me ne glorio altamente e sto aspettando sapendo di non essere altro che un abbozzo. Naturalmente quando l’evoluzione avrebbe messo su quest’abbozzo degli organi più decisi, questi sarebbero per quanto superiori a quelli che vengono richiesti oggi pur un arresto. Il presente può avere il futuro in germe non in azione. da L’uomo e la teoria darwiniana
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La “teoria dell’abbozzo” (3)
La bestia nuova era nata e le sue membra invece che perfezionarsi quali ordigni divennero capaci di maneggiare quelli ch’essa creò. Anzi una volta che gli ordigni erano nati le sue membra non poterono più mutarsi e come gli altri animali si riprodussero sempre uguali a se stessi per la cessazione in loro di ogni conato avendo perduta l’anima così l’uomo benché sempre torvo e malcontento si riprodusse uguale per poter maneggiare gli ordigni che s’erano cristallizzati. da La corruzione dell’anima
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Da La coscienza di Zeno, I, Prefazione
Io sono il dottore di cui in questa novella si parla talvolta con parole poco lusinghiere. Chi di psico-analisi s’intende, sa dove piazzare l’antipatia che il paziente mi dedica. Di psico-analisi non parlerò perché qui entro se ne parla già a sufficienza. Debbo scusarmi di aver indotto il mio paziente a scrivere la sua autobiografia; gli studiosi di psico-analisi arricceranno il naso a tanta novità. Ma egli era vecchio ed io sperai che in tale rievocazione il suo passato si rinverdisse, che l’autobiografia fosse un buon preludio alla psico-analisi. Oggi ancora la mia idea mi pare buona perché mi ha dato dei risultati insperati, che sarebbero stati maggiori se il malato sul più bello non si fosse sottratto alla cura truffandomi del frutto della mia lunga paziente analisi di queste memorie. Le pubblico per vendetta e spero gli dispiaccia. Sappia però ch’io sono pronto di dividere con lui i lauti onorarii che ricaverò da questa pubblicazione a patto egli riprenda la cura. Sembrava tanto curioso di se stesso! Se sapesse quante sorprese potrebbero risultargli dal commento delle tante verità e bugie ch’egli ha qui accumulate!... DOTTOR S.
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La “catastrofe cosmica”
Qualunque sforzo di darci la salute è vano. Questa non può appartenere che alla bestia che conosce un solo progresso, quello del proprio organismo. Allorché la rondinella comprese che per essa non c’era altra possibile vita fuori dell’emigrazione, essa ingrossò il muscolo che muove le sue ali e che divenne la parte più considerevole del suo organismo. La talpa s’interrò e tutto il suo corpo si conformò al suo bisogno. Il cavallo s’ingrandì e trasformò il suo piede. Di alcuni animali non sappiamo il progresso, ma ci sarà stato e non avrà mai leso la loro salute.
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La “catastrofe cosmica” (2)
Ma l’occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c’è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l’uomo diventa sempre più furbo e più debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, oramai, l’ordigno non ha più alcuna relazione con l’arto. Ed è l’ordigno che crea la malattia con l’abbandono della legge che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del più forte sparì e perdemmo la selezione salutare. Altro che psico-analisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del maggior numero di ordigni pro- spereranno malattie e ammalati.
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La catastrofe cosmica (3)
Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali inno- cui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie.
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