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PubblicatoAlfonso Milani Modificato 8 anni fa
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L’opera di Pirandello
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Opere da ricordare: Romanzi: L’esclusa 1901 Il turno1902 Il fu Mattia Pascal1904 I vecchi e i giovani1909 Quaderni di Serafino Gubbio Operatore1915 Uno, nessuno, centomila1925 Saggio: L’umorismo1908 Opere teatrali: Pensaci, Giacomino! 1916 Così è se vi pare1917 Sei personaggi in cerca d’autore 1921 Enrico IV 1922 I giganti della montagna1933- 34 Raccolta di novelle: Novelle per un anno1922
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L’ESCLUSA E’ il primo romanzo di Pirandello, pubblicato nel 1901, inizialmente col titolo Marta Ajala. Ambientato nella provincia siciliana, narra la storia di Marta, che viene cacciata di casa dal marito Rocco con l’ingiusta accusa di adulterio, nonostante sia incinta del marito stesso. Marta non trova compassione né nella famiglia né nella gente del paese che mantiene il pregiudizio verso di lei. Il bambino, poi, nasce senza vita. Marta non si dà per vinta e tenta di rifarsi una vita, riprendendo gli studi e vincendo un concorso per insegnare all’Istituto Magistrale. Il caso le farà reincontrare l’uomo per il quale era stata accusata di adulterio, e in seguito Marta diventerà davvero la sua amante, non per amore ma per affermare la sua libertà di donna. Nel frattempo, il marito si convince dell’innocenza della moglie e la riaccoglie in casa, nonostante la confessione del tradimento della moglie.
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La protagonista Marta è una donna forte, consapevole della propria dignità che vuole farsi artefice del proprio destino, tuttavia rimane vittima del pregiudizio della società nei suoi confronti e della maschera che le è stata imposta fino a diventare davvero colpevole. Emergono i seguenti temi: La frantumazione dell’io: Marta perde la sua identità per diventare come gli altri la vedono: moglie fedifraga, oggetto del desiderio, figlia scapestrata ecc. La solitudine della donna che si sente perennemente inadeguata, esclusa da una società gretta. L’assurdità e l’incomprensibilità della vita
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IL FU MATTIA PASCAL
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Forte distacco dai romanzi precedenti L’esclusa, Il turno si ispirano al Naturalismo Narrazione oggettiva in III persona Il fu Mattia Pascal Racconto soggettivo del protagonista in chiave retrospettiva Narrazione in prima persona
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Romanzo del 1904 Ambientato in un paesino immaginario della Sicilia Protagonista: Mattia Pascal, personaggio piccolo borghese imprigionato in una forma, una trappola sociale, costituita da: Un matrimonio infelice e un difficile rapporto con la moglie e la suocera Lavoro frustrante di bibliotecario. Il CASO gli fornisce un’ occasione per uscire dalla trappola: vince a Montecarlo una fortuna, al suo ritorno in Sicilia scopre che la moglie e la suocera lo hanno riconosciuto nel cadavere di un uomo annegato. SI COSTRUISCE UNA NUOVA IDENTITA’ (ADRIANO MEIS) E FUGGE in giro per l’Europa, fino a Roma. Ma lì si sente un FORESTIERE DELLA VITA, un uomo ESTRANIATO dal mondo perché burocraticamente non esiste, quindi non può stabilire legami sinceri con gli altri, sposare la donna che ama (Adriana), lavorare, avere giustizia quando viene derubato QUESTANUOVA IDENTITA’ E’ UNA MASCHERA PEGGIORE DELLA PRIMA Decide di tornare, quindi, alla prima identità, ma scopre che la moglie, nel frattempo, ha sposato un altro uomo e ha una figlia Va a vivere nella biblioteca, luogo da cui osserva dall’esterno lo scorrere della vita e scrivendo il proprio memoriale, che è il romanzo stesso. ORA NON HA PIU’ UN’IDENTITA’, è un vero FORESTIERE DELLA VITA, che sa di non essere più nessuno, infatti conclude dicendo « IO NON SO PIU’ CH’IO MI SIA […] IO SONO IL FU MATTIA PASCAL» (Il fu: NEGAZIONE DELL’IDENTITA’)
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Il romanzo è una CRITICA ALLE CONVENZIONI E ALLE IDENITA’ CHE LA SOCIETA’ CI IMPONE Soluzione finale: essere un FORESTIERE DELLA VITA: è colui che ha capito che la società è dominata dalla finzione e dalle maschere e sceglie di vivere isolato, guardando lo scorrere della vita degli altri dall’esterno, con atteggiamento di IRRISIONE E PIETA’ E’ presente il concetto di UMORISMO: la realtà è rappresentata nei suoi aspetti più bizzarri e orrendi, che però suscitano la riflessione (il sentimento del contrario) sulla sofferenza dell’uomo tragico e comico sono uniti
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Tratto da Il fu Mattia Pascal: la «lanterninosofia» Anselmo Paleari, il padrone di casa di Adriano Meis, è una sorta di «filosofo» che ama intrattenere il protagonista enunciando le sue bizzarre teorie. Una sera, trovandosi in camera di Adriano, gli racconta una sua particolare concezione, che Adriano definisce «lanterninosofia».
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E mi svolse (fors'anche perché fossi preparato a gli esperimenti spiritici, che si sarebbero fatti questa volta in camera mia, per procurarmi un divertimento) mi svolse, dico, una sua concezione filosofica, speciosissima, che si potrebbe forse chiamare lanterninosofia. […] E il signor Anselmo, seguitando, mi dimostrava che, per nostra disgrazia, noi non siamo come l'albero che vive e non si sente, a cui la terra, il sole, l'aria, la pioggia, il vento, non sembra che sieno cose ch'esso non sia: cose amiche o nocive. A noi uomini, invece, nascendo, è toccato un tristo privilegio: quello di sentirci vivere, con la bella illusione che ne risulta: di prendere cioè come una realtà fuori di noi questo nostro interno sentimento della vita, mutabile e vario, secondo i tempi, i casi e la fortuna. E questo sentimento della vita per il signor Anselmo era appunto come un lanternino che ciascuno di noi porta in sé acceso; un lanternino che ci fa vedere sperduti su la terra, e ci fa vedere il male e il bene; un lanternino che projetta tutt'intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di là dal quale è l'ombra nera, l'ombra paurosa che non esisterebbe, se il lanternino non fosse acceso in noi, ma che noi dobbiamo pur troppo creder vera, fintanto ch'esso si mantiene vivo in noi. Spento alla fine a un soffio, ci accoglierà la notte perpetua dopo il giorno fumoso della nostra illusione, o non rimarremo noi piuttosto alla mercé dell'Essere, che avrà soltanto rotto le vane forme della nostra ragione? - Dorme, signor Meis? - Segua, segua pure, signor Anselmo: non dormo. Mi par quasi di vederlo, codesto suo lanternino. - Ah, bene... […] Ma domando io ora, signor Meis: e se tutto questo bujo, quest'enorme mistero, nel quale indarno i filosofi dapprima specularono, e che ora, pur rinunziando all'indagine di esso, la scienza non esclude, non fosse in fondo che un inganno come un altro, un inganno della nostra mente, una fantasia che non si colora? Se noi finalmente ci persuadessimo che tutto questo mistero non esiste fuori di noi, ma soltanto in noi, e necessariamente, per il famoso privilegio del sentimento che noi abbiamo della vita, del lanternino cioè, di cui le ho finora parlato? Se la morte, insomma, che ci fa tanta paura, non esistesse e fosse soltanto, non l'estinzione della vita, ma il soffio che spegne in noi questo lanternino, lo sciagurato sentimento che noi abbiamo di essa, penoso, pauroso, perché limitato, definito da questo cerchio d'ombra fittizia, oltre il breve àmbito dello scarso lume, che noi, povere lucciole sperdute, ci projettiamo attorno, e in cui la vita nostra rimane come imprigionata, come esclusa per alcun tempo dalla vita universale, eterna, nella quale ci sembra che dovremo un giorno rientrare, mentre già ci siamo e sempre vi rimarremo, ma senza più questo sentimento d'esilio che ci angoscia? Il limite è illusorio, è relativo al poco lume nostro, della nostra individualità: nella realtà della natura non esiste.
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Noi, - non so se questo possa farle piacere - noi abbiamo sempre vissuto e sempre vivremo con l'universo; anche ora, in questa forma nostra, partecipiamo a tutte le manifestazioni dell'universo, ma non lo sappiamo, non lo vediamo, perché purtroppo questo maledetto lumicino piagnucoloso ci fa vedere soltanto quel poco a cui esso arriva; e ce lo facesse vedere almeno com'esso è in realtà! Ma nossignore: ce lo colora a modo suo, e ci fa vedere certe cose, che noi dobbiamo veramente lamentare, perbacco, che forse in un'altra forma d'esistenza non avremo più una bocca per poterne fare le matte risate. Risate, signor Meis, di tutte le vane, stupide afflizioni che esso ci ha procurate, di tutte le ombre, di tutti i fantasmi ambiziosi e strani che ci fece sorgere innanzi e intorno, della paura che c'ispirò!
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Spiegazione della «lanterninosofia» A differenza delle piante e degli altri esseri viventi, noi esseri umani ci sentiamo vivere, abbiamo percezione del nostro essere e della nostra identità; tutto il resto ci sembra qualcosa «fuori di noi». Questo «sentimento del vivere» è come un lanternino acceso dentro di noi: la luce che proietta ci fa vedere solo una parte dell’universo che è la nostra percezione soggettiva e personale delle cose, è solo ciò che noi vediamo e che la luce ci mostra. Il fatto che esista la luce ci fa pensare che al di fuori di essa ci sia il buio, qualcosa di pauroso, ma in realtà esso non deve farci paura. La luce, infatti, ci imprigiona e ci fa vivere dentro a un’illusione; noi, in realtà, facciamo parte dell’universo, di un ciclo eterno di cui la vita è solo una parentesi e, quando muoriamo (quando il lanternino si spegne), questa illusione cessa e torniamo a immergerci nella vita eterna del cosmo, liberandoci da quel «sentimento di esilio che ci angoscia».
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Romanzo pubblicato nel 1926 E’ un racconto retrospettivo del passato del protagonista, Vitangelo Moscarda, sotto forma di monologo. Vitangelo scopre casualmente (attraverso un commento della moglie sul suo naso) che gli altri hanno di lui un’immagine diversa da quella che lui ha di sé: egli non è «uno», ma 100.000 a seconda delle prospettive degli altri, e quindi, in realtà, è «nessuno». Ciò lo getta in una crisi profonda: vuole liberarsi da tutte le «forme» in cui gli altri lo costringono, in particolare da quella di «usuraio», perciò ricorre a gesti folli e sconcertanti Alla fine cede tutti i suoi averi per fondare un ospizio per i poveri, dove si fa ricoverare.
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Qui riesce così a trovare un po’ di pace e di serenità solo nella fusione totalizzante con il mondo di Natura: si abbandona al «puro fluire della vita» identificandosi in tutto ciò che lo circonda. Solo così egli può abbandonare tutte le "maschere" che la società gli ha imposto. Anche questo romanzo racconta la crisi dell’ identità individuale, la trappola della società Ma se Mattia Pascal aveva trovato come soluzione essere un «forestiere della vita», Moscarda risolve con la follia (lo stesso accadrà nella tragedia Enrico IV).
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LE NOVELLE DI PIRANDELLO Pirandello scrisse novelle per tutto il corso della sua vita Nel 1922 progettò una raccolta in 24 volumi dal titolo «Novelle per un anno» di cui pubblicò solo 14 libri più uno uscito postumo (1936) Non c’è un ordine determinato ma raccolgono situazioni e personaggi diversi. Possiamo distinguere:
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Novelle di ambientazione siciliana Non c’è nulla dell’oggettività del Verismo: i personaggi sono deformati in modo grottesco e bizzarro Es. La patente, La giara, Ciaula scupre la luna Novelle di ambientazione romana Rappresenta la condizione del ceto impiegatizio piccolo borghese: misera, grigia, frustrata Personaggi avviliti e intrappolati in una famiglia soffocante o in un lavoro monotono e mortificante Convenzioni sociali che impongono una maschera Reazione: gesti inaspettati e goffi, oppure fuga dalla metropoli
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Ultime novelle degli anni ‘30 Attenzione all’inconscio Alienazione e meccanizzazione della moderna metropoli bisogno di autenticità, di una vita genuina, di un ritorno alla natura Clima surreale e fantastico, quasi «allucinato» Tutte le novelle presentano un atteggiamento umoristico: i tratti fisici e i gesti dei personaggi sono deformati fino a farli sembrare bizzarre marionette Le situazioni sono portate all’estremo dell’inverosimile fino all’assurdità La vita è dominata dal caso, è incomprensibile, non c’è un destino predefinito Il riso è sempre accompagnato dalla riflessione e dalla pietà per la sofferenza umana
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Il teatro di Pirandello Interesse per il teatro sin dalla gioventù (1896 dramma «Il nibbio» Produzione molto intensa tra il 1916-1918 (Pensaci Giacomino, Liolà, Così è se vi pare, Il berretto a sonagli, Il giuoco delle parti, ecc.) 1921: Sei personaggi in cerca d’autore: successo mondiale 1925: direzione del Teatro d’arte di Roma Scrive testi in dialetto siciliano e in italiano
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Riforma teatrale di Pirandello Obiettivo: dissacrare il dramma borghese
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DRAMMA BORGHESE PIRANDELLO TEMIPROBLEMI DELLA SOCIETA’ BORGHESE ( difficoltà economiche, famiglia, adulterio) I RUOLI IMPOSTI DALLA SOCIETA’ BORGHESE: il marito, l’uomo d’affari.. ATTEGGIAMENTO IDEOLOGICO DELLA RAPPRESENTAZIONE DIFENDE I VALORI BORGHESI DELLA FAMIGLIA E LA RISPETTABILITA’ DEL LAVORO LA RAPPRESENTAZIONE E’ VEROSIMILE CRITICA LE CONVENZIONI DELLA SOCIETA’ BORGHESE, SMASCHERA LE LORO CONTRADDIZIONI (rivela la loro finzione e ipocrisia) GLI EVENTI SONO INVEROSIMILI E ASSURDI, APPARENTEMENTE INCOMPRENSIBILI PERSONAGGICARATTERI BEN DEFINITI E COERENTIPERSONAGGI SCISSI, SDOPPIATI, CONTRADDITTORI TONOSERIO«GROTTESCO»: rappresentazione umoristica della realtà, i personaggi sono caricature del reale. Tragico e comico si fondono
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Altra innovazione: il METATEATRO O «TEATRO NEL TEATRO»: si mette in scena il teatro stesso e le sue componenti (gli attori, il regista, l’autore, ecc.), il teatro parla di se stesso. Sei personaggi in cerca d’autore Fa parte della cosiddetta «trilogia metateatrale», un gruppo di tre commedie basate sul metateatro: Sei personaggi in cerca d’autore, Ciascuno a suo modo, Questa sera si recita a soggetto Enrico IV
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Sei personaggi in cerca d’autore Trama. Sei personaggi, un Padre, una Madre, un Figlio, una Figliastra, una Bambina, un Giovinetto, sono nati vivi dalla mente di un autore, che si è però rifiutato di scrivere il loro dramma, perché si trattava del classico dramma borghese, esageratamente romantico e perbenista. Pertanto, i personaggi si presentano su un palcoscenico dove una compagnia sta presentando un dramma (Il giuoco delle parti di Pirandello), affinchè gli attori diano al loro dramma quella forma che l’autore non ha voluto fissare. I personaggi sono quindi delle entità a sé stanti, vive e autonome dal loro autore, e sono essi stessi che definiscono la trama della commedia.
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Enrico IV Trama. In una villa solitaria nella campagna umbra vive rinchiuso da vent’anni un uomo che, impazzito per una caduta da cavallo durante una mascherata in costume, si è fissato nella parte che rappresentava, quella dell’imperatore medievale Enrico IV. Nella villa si introduce la donna che un tempo egli amava, Matilde, con l’amante Tito Belcredi e la figlia Frida. Un dottore, mascherando la figlia come era un tempo la madre durante la cavalcata storica, vuol provocare nel pazzo uno choc che lo riconduca alla ragione. Ma «Enrico IV» rivela di essere rinsavito da molti anni e di essersi chiuso nella sua parte per disgusto della società corrotta e vile. Così facendo, però, è anche rimasto escluso dalla vita, e la vita gli è sfuggita, a poco a poco. Ora vorrebbe rappropriarsene, vivere ciò che non ha vissuto, possedendo la domma che non aveva potuto avere, nella forma di allora, cioè non Matilde ormai vecchia ma la giovane Frida. Belcredi interviene per difendere la fanciulla, ma «Enrico IV» lo uccide con la sua spada. Così, da quel momento, sarà costretto a chiudersi di nuovo, per sempre, nella sua pazzia.
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Il dramma si collega al ciclo del «teatro nel teatro» perché anche qui avviene una recita in scena, quella di Enrico IV Ricompaiono in questa commedia degli elementi tipici dell’arte pirandelliana: La follia come rifugio dalla realtà La finzione dell’eroe che rappresenta l’estremizzazione della finzione di tutti, costretti ogni giorno ad indossare una maschera L’eroe estraniato dalla vita, che, consapevole della perdita dell’identità, guarda con commiserazione, dall’esterno, la commedia umana.
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