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PubblicatoRiccardo Vacca Modificato 8 anni fa
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Applicazioni 1 principio della termodinamicaApplicazioni 1 principio della termodinamica Serio Marika Il secondo principio della termodinamicaIl secondo principio della termodinamica Marullo Dalila Rendimento di una macchina termica Scardino Roberta Rendimento di una macchina termica EntropiaEntropia Totaro Federica Il calorimetroIl calorimetro Zuccaro Martina 3 Lavoro
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INTRODUZIONE Secondo il primo principio della termodinamica non esiste limitazione teorica al passaggio di calore da un corpo più freddo a uno più caldo, poiché anche questa eventualità soddisfa il principio di conservazione dell'energia. Si può dimostrare questa affermazione con un semplice esempio: se si pone un cubetto di acciaio freddo in un bicchiere di acqua calda, sperimentalmente si osserva che l'acciaio si scalda e l'acqua si raffredda. Per il primo principio della termodinamica, infatti, l'acqua cede parte della sua energia interna all'acciaio, che si riscalda. Sempre per il primo principio, però, poteva verificarsi teoricamente anche che l'acqua si riscaldasse ulteriormente, aumentando la sua energia interna, e l'acciaio si raffreddasse ulteriormente, diminuendo la sua energia interna della medesima quantità, poiché anche questa seconda possibilità rispetta il principio di conservazione dell'energia. Questa osservazione ha aperto la strada al secondo principio della termodinamica, che afferma, nella sua forma più semplice, dovuta al fisico tedesco R. Clausius (1822-1888), che il calore non può passare spontaneamente da un corpo più freddo a uno più caldo.
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Il secondo principio ha una grande rilevanza per le macchine termiche, che convertono calore in lavoro; nella formulazione che si deve a Lord Kelvin si stabilisce che, mentre il lavoro può sempre e integralmente essere convertito in calore, ciò non avviene per il passaggio inverso, ovvero è impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia quello di assorbire calore da una sorgente e trasformarlo integralmente in lavoro. Il secondo principio della termodinamica pone, in sostanza, le limitazioni alle quali è soggetta la trasformazione di calore in lavoro.
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ENUNCIATO DI KELVINKELVIN È impossibile una trasformazione ciclica il cui unico risultato sia la sottrazione di calore ad una sorgente a temperatura T e la conversione completa di questa energia termica in lavoro meccanico. Conseguenze non esiste la macchina termica perfetta. Una macchina termica deve funzionare scambiando calore con almeno due sorgenti.
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ENUNCIATO DI CLAUSIUSCLAUSIUS È impossibile una trasformazione ciclica il cui unico risultato sia la trasmissione di calore da un corpo a temperatura più bassa ad uno a temperatura più alta. Conseguenze non esiste il frigorifero perfetto. Il calore fluisce spontaneamente solo dai corpi caldi a quelli freddi e non viceversa.
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Applicazione del primo principio della termodinamica
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La termodinamica La termodinamica è quella parte della Fisica che studia tutti gli aspetti riguardanti le trasformazioni di calore in lavoro e viceversa. La termodinamica è articolata in tre principi che regolano le trasformazioni termodinamiche, il loro procedere, i loro limiti.
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Primo principio della termodinamica Durante una trasformazione termodinamica, indipendentemente dal modo in cui essa si realizza, il calore assorbito dal sistema è uguale alla somma tra lavoro compiuto dal sistema stesso e la variazione della sua energia interna ΔU : Q= L+ ΔU
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Applicazione del primo principio della termodinamica Il lavoro nel piano pV Per dimostrare intuitivamente che nel piano pV il lavoro in una trasformazione termodinamica è dato dall’area sotto la curva che la identifica consideriamo due semplici esempi di trasformazioni termodinamiche. Osserviamo che non e possibile in una classe quarta dimostrare questo con gli integrali in quanto in matematica questo argomento non e ancora stato affrontato. Come primo esempio consideriamo una trasformazione isocora, per la quale sappiamo che il lavoro L = 0. Dalla rappresentazione nel piano pV, che e un segmento parallelo all’asse ´ p, di questa trasformazione facciamo notare che l’area sottesa dalla curva e nulla, come lo è il lavoro. Come secondo esempio consideriamo invece una trasformazione isobara, per la quale si puo´ calcolare il lavoro secondo la seguente relazione: L = F · ∆h = p · S · ∆h = p · ∆V (1.2) Considerando il segmento parallelo all’asse V che rappresenta la trasformazione isocora nel piano pV si vede facilmente come l’area sottesa da questa curva coincida con il lavoro L = p · ∆V. Con questi due semplici esempi possiamo intuire che in generale il lavoro coinvolto in una qualsiasi trasformazione termodinamica sia dato dall’area sottesa dalla curva che rappresenta tale trasformazione nel piano pV. Ovviamente questa e una generalizzazione intuitiva che deve es- ´ sere accettata dagli studenti senza pretesa di ulteriore dimostrazione
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Con questi due semplici esempi possiamo intuire che in generale il lavoro coinvolto in una qualsiasi trasformazione termodinamica sia dato dall’area ostesa dalla curva che rappresenta tale trasformazione nel piano pV. Ovviamente questa e una generalizzazione intuitiva che deve essere accettata dagli studenti senza pretesa di ulteriore dimostrazione. Per determinare se il lavoro sia positivo oppure negativo, quindi se sia corrispondentemente un lavoro compiuto dal sistema o sul sistema, adottiamo la seguente convenzione: Espansione 7−→ L > 0 Compressione 7−→ L < 0 In generale possiamo dire che il lavoro compiuto durante una trasformazione termodinamica dipende dalla particolare trasformazione considerata. Anche il calore scambiato dipende dalla particolare trasformazione e questo si dimostra molto semplicemente facendo notare che in una trasformazione adiabatica il calore scambiato e nullo, mentre in una qualsiasi altra trasformazione ´ no. Nel primo principio della termodinamica abbiamo quindi sicuramente due quantita´ Q e L che dipendono dalla particolare trasformazione termodinamica.
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L’esperienza di Joule Introduciamo l’esperienza di Joule di espansione adiabatica nel vuoto di un gas perfetto. Richiamando il concetto di temperatura dalla teoria cinetica dei gas facciamo notare agli studenti che in questa espansione non si verifica nessuna variazione del modulo della velocita delle molecole ´ del gas. Questa fatto implica che stato iniziale e stato finale sono caratterizzati dalla stessa temperatura. Questa espansione adiabatica e quindi caratterizzata dagli stati iniziale e finale: pi, Vi, Ti 7−→ pf, Vf, Ti Facciamo inoltre notare che durante questa espansione non si ha scambio di calore (Q = 0), essendo il contenitore adiabatico, e non si ha nemmeno lavoro meccanico (L = 0) in quanto il sistema non compie nessun lavoro di espansione. Dal primo principio della termodinamica segue che anche la variazione di energia interna e nulla, quindi l’energia interna dello stato iniziale ´ coincide con quella dello stato finale, cioè: ∆U = Q − L = 0 − 0 = 0 ⇒ Ui(pi, Vi, Ti) = Uf (pf, Vf, Ti)
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Il rendimento delle macchine termiche Scardino Roberta Classe 4AL
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Supponiamo di avere due macchine termiche con caratteristiche tecniche diverse,in conseguenza delle quali a parità di calore assorbito,esse forniscono un lavoro diverso. Riteniamo più produttiva fra le due quella che compie un lavoro maggiore. Per tenere conto di questa possibilità e per quantificarla, viene introdotta una nuova grandezza che prende il nome di rendimentorendimento.
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Il rendimento Il rendimento (η) misura l’efficienza con cui una macchina termica converte il calore in lavoro. Il rendimento è il rapporto tra il lavoro utile sviluppato dalla macchina termica e il calore assorbito da essa: rendimento=lavoro utile/calore assorbito
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La formula corrispondente è: η=Lu/Q η è una lettera greca che si legge “eta”. Poiché il rapporto è tra due grandezze che si misurano entrambe in joule,il rendimento è adimensionale,cioè un numero puro e spesso è riportato in percentuale. Ritornando al ciclo Otto, il rapporto r tra il volume massimo V₁ del cilindro (pistone al PMI) e il volume minimo V₂ della Camera di combustione (pistone al PME) è detto RAPPORTO DI COMPRESSIONE:
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r=V₁/V₂ Allora si può dimostrare che il rendimento del ciclo è dato da: η=1-1/rᴷ⁻¹ in cui K è la costante delle trasformazioni adiabatiche e che per la miscela aria-benzina vale circa 1,4. Dalla formula si vede che il rendimento η del motore è tanto maggiore quanto più si innalza il rapporto di compressione r. Tuttavia,indicativamente r non può superare il valore di 10, perché in
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in caso contrario si hanno problemi di cattivo funzionamento del motore, quali l’accensione del combustibile prima del tempo.
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Video rendimento macchine che lavora tra due sorgenti una a 100°C e l’ambiente esterno a 0°C.
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ENTROPIA E’ una grandezza che viene interpretata come una misura del disordine presente in un sistema fisico qualsiasi, incluso, come caso limite, l'universo. Viene generalmente rappresentata dalla lettera S. Nel Sistema Internazionale si misura in joule fratto kelvin (J/K).
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Che cos’è l’entropia? Il secondo principio della termodinamica afferma che l’energia termica (il calore) fluisce sempre da un corpo più caldo a uno meno caldo e mai in direzione contraria. L’energia, cioè, si ridistribuisce finché il sistema costituito dai due corpi raggiunge un equilibrio completo, entrambi hanno la stessa temperatura e non è più possibile il passaggio di calore dall’uno all’altro. L’entropia può essere definita proprio come la misura del grado di equilibrio raggiunto da un sistema in un dato momento. A ogni trasformazione del sistema che provoca un trasferimento di energia (ovviamente senza aggiungere altra energia dall’esterno), l’entropia aumenta, perché l’equilibrio può solo crescere.
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L’aumento dell’entropia nell’universo In teoria, si può considerare un “sistema” anche l’intero universo e allora la conclusione è: anche nel cosmo l’energia tende a distribuirsi dai corpi più caldi a quelli meno caldi e l’entropia aumenta. Quando tutto l’universo si troverà alla stessa temperatura (gli scienziati ipotizzano a pochi gradi al di sopra dello zero assoluto), l’entropia sarà massima e nessuna trasformazione sarà più possibile. Sarà la cosiddetta morte fredda dell’universo. Se si considera l'intero Universo come un sistema isolato termicamente, nel quale tutti gli scambi di calore con un eventuale ambiente esterno sono nulli e nel quale le trasformazioni spontanee sono irreversibili, il secondo principio della termodinamica si può scrivere:
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Esempi di entropia: Si consideri un sistema fisico costituito da un recipiente contenente un gas, libero di espandersi in un altro contenitore vuoto, collegato al primo tramite una valvola inizialmente tutte le molecole del gas si trovano nel primo contenitore, ma se la valvola viene aperta il gas tende spontaneamente a passare nel secondo contenitore, e le sue molecole si distribuiscono uniformemente all'interno dell'intero volume disponibile, rappresentato dai due contenitori. Nulla vieta che le molecole del gas restino nel primo contenitore, o, analogamente, si trasferiscano interamente nel secondo, svuotando il primo, ma questo non accade. Una volta che il processo è avvenuto, ovvero una volta che tutte le molecole si sono uniformemente distribuite all'interno dei due contenitori, è altamente improbabile che il sistema ritorni spontaneamente allo stato di partenza, ovvero che tutte le molecole del gas ritornino spontaneamente nel primo contenitore. Il processo dunque è irreversibile.
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Applicazione del primo principio della termodinamica
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La termodinamica La termodinamica è quella parte della Fisica che studia tutti gli aspetti riguardanti le trasformazioni di calore in lavoro e viceversa. La termodinamica è articolata in tre principi che regolano le trasformazioni termodinamiche, il loro procedere, i loro limiti.
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Primo principio della termodinamica Durante una trasformazione termodinamica, indipendentemente dal modo in cui essa si realizza, il calore assorbito dal sistema è uguale alla somma tra lavoro compiuto dal sistema stesso e la variazione della sua energia interna ΔU : Q= L+ ΔU
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Applicazione del primo principio della termodinamica Il lavoro nel piano pV Per dimostrare intuitivamente che nel piano pV il lavoro in una trasformazione termodinamica è dato dall’area sotto la curva che la identifica consideriamo due semplici esempi di trasformazioni termodinamiche. Osserviamo che non e possibile in una classe quarta dimostrare questo con gli integrali in quanto in matematica questo argomento non e ancora stato affrontato. Come primo esempio consideriamo una trasformazione isocora, per la quale sappiamo che il lavoro L = 0. Dalla rappresentazione nel piano pV, che e un segmento parallelo all’asse ´ p, di questa trasformazione facciamo notare che l’area sottesa dalla curva e nulla, come lo è il lavoro. Come secondo esempio consideriamo invece una trasformazione isobara, per la quale si puo´ calcolare il lavoro secondo la seguente relazione: L = F · ∆h = p · S · ∆h = p · ∆V (1.2) Considerando il segmento parallelo all’asse V che rappresenta la trasformazione isocora nel piano pV si vede facilmente come l’area sottesa da questa curva coincida con il lavoro L = p · ∆V. Con questi due semplici esempi possiamo intuire che in generale il lavoro coinvolto in una qualsiasi trasformazione termodinamica sia dato dall’are aosttesa dalla curva che rappresenta tale trasformazione nel piano pV. Ovviamente questa e una generalizzazione intuitiva che deve es- ´ sere accettata dagli studenti senza pretesa di ulteriore dimostrazione
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Con questi due semplici esempi possiamo intuire che in generale il lavoro coinvolto in una qualsiasi trasformazione termodinamica sia dato dall’area ostesa dalla curva che rappresenta tale trasformazione nel piano pV. Ovviamente questa e una generalizzazione intuitiva che deve essere accettata dagli studenti senza pretesa di ulteriore dimostrazione. Per determinare se il lavoro sia positivo oppure negativo, quindi se sia corrispondentemente un lavoro compiuto dal sistema o sul sistema, adottiamo la seguente convenzione: Espansione 7−→ L > 0 Compressione 7−→ L < 0 In generale possiamo dire che il lavoro compiuto durante una trasformazione termodinamica dipende dalla particolare trasformazione considerata. Anche il calore scambiato dipende dalla particolare trasformazione e questo si dimostra molto semplicemente facendo notare che in una trasformazione adiabatica il calore scambiato e nullo, mentre in una qualsiasi altra trasformazione ´ no. Nel primo principio della termodinamica abbiamo quindi sicuramente due quantita´ Q e L che dipendono dalla particolare trasformazione termodinamica.
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L’esperienza di Joule Introduciamo l’esperienza di Joule di espansione adiabatica nel vuoto di un gas perfetto. Richiamando il concetto di temperatura dalla teoria cinetica dei gas facciamo notare agli studenti che in questa espansione non si verifica nessuna variazione del modulo della velocita delle molecole ´ del gas. Questa fatto implica che stato iniziale e stato finale sono caratterizzati dalla stessa temperatura. Questa espansione adiabatica e quindi caratterizzata dagli stati iniziale e finale: pi, Vi, Ti 7−→ pf, Vf, Ti Facciamo inoltre notare che durante questa espansione non si ha scambio di calore (Q = 0), essendo il contenitore adiabatico, e non si ha nemmeno lavoro meccanico (L = 0) in quanto il sistema non compie nessun lavoro di espansione. Dal primo principio della termodinamica segue che anche la variazione di energia interna e nulla, quindi l’energia interna dello stato iniziale ´ coincide con quella dello stato finale, cioè: ∆U = Q − L = 0 − 0 = 0 ⇒ Ui(pi, Vi, Ti) = Uf (pf, Vf, Ti)
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Il calore
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In fisica, in particolare in termodinamica, il calore è definito come il contributo di energia"consumata" o "generata" a seguito di una reazione chimica o nucleare e trasferita tra due sistemi o tra due parti dello stesso sistema, non imputabile ad un lavoro o ad una conversione tra due differenti tipi di energia. Il calore è energia in transito. In presenza di un gradiente di temperatura, il calore fluisce dai punti a temperatura maggiore a quelli a temperatura minore, finché non viene raggiunto l'equilibrio termico. In quanto energia, il calore si misura nel sistema Internazionale in joule. Nella pratica viene tuttavia ancora spesso usata come unità di misura la caloria, che è definita come la quantità di calore necessaria a portare la temperatura di un grammo di acqua distillata, sottoposta alla pressione di 1 atm, da 14,5 °C a 15,5 °C. joulecaloria
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I processi di propagazione del calore Il trasferimento (o scambio o propagazione) del calore tra sistemi può avvenire in tre modi: per conduzione: in uno stesso corpo o fra corpi a contatto si ha una trasmissione, per urti, di energia cinetica tra le molecole appartenenti a zone limitrofe del materiale. Nella conduzione viene trasferita energia attraverso la materia, ma senza movimento macroscopico di quest'ultima; per convezione: in un fluido in movimento, porzioni del fluido possono scaldarsi o raffreddarsi per conduzione venendo a contatto con superfici esterne e poi, nel corso del loro moto, trasferire l'energia acquistata ad altre superfici, dando così luogo ad un trasferimento di calore per avvezione. In un campo gravitazionale quale quello terrestre, tale modalità di trasferimento di calore, detta convezione libera, è dovuta al naturale prodursi di correnti avvettive, calde verso l'alto e fredde verso il basso, dovute a diversità di temperatura e quindi di densità delle regioni di fluido coinvolte nel fenomeno, rispetto a quelle del fluido circostante;
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per irraggiamento: tra due sistemi la trasmissione di calore può avvenire a distanza (anche nel vuoto), per emissione, propagazione e assorbimento di onde elettromagnetiche: anche in questo caso il corpo a temperatura inferiore si riscalda e quello a temperatura superiore si raffredda. Il meccanismo dell'irraggiamento non richiede il contatto fisico tra i corpi coinvolti nel processo.
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Il calorimetrocalorimetro Un calorimetro è un dispositivo utilizzato in calorimetria per misurare il flusso di calore durante una trasformazione, come calori specifici, calori latenti di fusione/ebollizione e cal ori di reazione. Se il calorimetro è formato da una miscela di due fasi di una stessa sostanza, esso è detto isotermico. Un calorimetro consiste in un termometro attaccato ad un contenitore metallico pieno d'acqua sospeso su una fonte di calore.calori specificicalori latenti di fusione
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I tipi di calorimetro Il calorimetro delle mescolanze è costituito da un vaso di Dewar in cui viene versata dell'acqua e, successivamente, la sostanza in esame; all'interno del calorimetro sono posti un termometro e un agitatore. Il calore specifico della sostanza viene dedotto dalla variazione di temperatura dell'acqua: a causa della non nulla capacità termica del calorimetro è necessario introdurre un equivalente in acqua del calorimetro, che tenga conto del calore assorbito o ceduto da esso durante la misura.
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Il calorimetro a ghiaccio è un calorimetro isotermico formato da tre recipienti concentrici: nel più interno si colloca il corpo in esame; in quello intermedio il ghiaccio; in quello più esterno si colloca dell'altro ghiaccio che ha la funzione di isolante, evitando che il calore dell'ambiente esterno fonda il ghiaccio del recipiente intermedio. In base alla quantità d'acqua che fuoriesce dal recipiente intermedio mediante un apposito condotto si può misurare il calore fornito dal corpo nel contenitore più interno, ed eventualmente calcolarne il calore specifico. Il calorimetro a ghiaccio
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