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Le impugnazioni seconda parte - Il processo di appello.

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Presentazione sul tema: "Le impugnazioni seconda parte - Il processo di appello."— Transcript della presentazione:

1 Le impugnazioni seconda parte - Il processo di appello

2 APPELLO E RICORSO PER CASSAZIONE: QUALI DIFFERENZE ? Nell'attuale sistema processuale penale, il giudizio d'appello ha il compito di verificare e rivalutare l'adeguatezza del dispositivo deliberato in primo grado rispetto all'imputazione ed al contenuto, probatorio e in rito, del fascicolo processuale (nei limiti del devoluto, salvi i poteri d'ufficio ex artt. 129 e 597 c.p.p., con pienezza di apprezzamento e quindi con gli stessi poteri del primo giudice del merito). Costituisce REVISIO PRIORIS ISTANTIAE

3 Il giudizio di legittimità, invece, ha il compito di verificare se la decisione del giudice d'appello ha bene applicato norme sostanziali o processuali espressamente sanzionate e se è stata argomentata con una motivazione non apparente o inesistente su aspetti determinanti per la deliberazione e, altresì, immune dai vizi di contraddittorietà, interna o con specifici atti probatori determinanti (considerati esistenti quando così non è o ignorati quando in realtà erano presenti), e immune infine da "manifesta" illogicità.

4 Tale caratteristica della cognizione del giudice di legittimità fonda l'assunto comune secondo il quale nel processo di legittimità 'imputata” è la sentenza. Nel giudizio di appello la motivazione della sentenza di primo grado, invece, diviene un parametro essenziale per la decisione solo quando il giudice di secondo grado giudichi necessario modificarne il dispositivo (in ragione del c.d. obbligo rafforzato di motivazione: per tutte, Sez. VI, sentenza n. 8705/2013)

5 La diversità strutturale dei due giudizi di impugnazione spiega altresì il diverso contenuto che in essi assume il (medesimo) requisito di "specificità” del motivo. Nell'ambito del giudizio di appello è sufficiente che la parte indichi specificamente i punti della sentenza di primo grado che richiede che siano riesaminati dal giudice di appello, indicando le ragioni della richiesta (ex art. 581 c.p.p., lett. c). Nell'ambito del devoluto il giudice di appello potrà riesaminare liberamente il materiale del giudizio, senza essere vincolato alle ragioni dei motivi. Ciò che è necessario per l'ammissibilità dei motivi d'appello è pertanto (solo) che essi "non siano inficiati da una evidente genericità di per sé soli" (Sez. I n. 12066/1992).

6 Ciò vuol dire che, nell'ambito dei punti investiti dai motivi, la cognizione del giudice di appello non è vincolata alle alternative proposte con i motivi della parte (così come avviene per il giudizio di cassazione), bensì può estendersi, a guisa di nuovo giudizio, su tutte le questioni prospettabili e su tutto il materiale del giudizio.

7 NON TUTTE LE SENTENZE SONO APPELLABILI PERCHE' IL GIUDIZIO DI APPELLO COSTITUISCE UNA FASE EVENTUALE DEL PROCESSO INSTAURATO DA UN ATTO DI PARTE CHE SOLLECITA IL CONTROLLO DI UN GIUDICE SUPERIORE PER RIMUOVERE UN PROVVEDIMENTO CHE RITIENE A SE' SFAVOREVOLE

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9 Non sono appellabili esemplificativamente: 1) sentenze di patteggiamento, ad eccezione per il p.m. di quelle per cui non abbia dato il consenso; 2) sentenze di proscioglimento pronunciate prima del dibattimento ex art. 469 c.p.p. se imputato e p.m. non si oppongono e “”salvo quanto previsto dall'art. 129 c.2 c.p.p”. 3)sentenze di proscioglimento ex art. 459 c. 3 c.p.p.. pronunciate dal Gip ai sensi dell'art. 129 c.p.p. quando non abbia accolto la richiesta di decreto penale di condanna; 4)sentenze di applicazione della sola pena dell'ammenda ex art. 593 co.3 c.p.p.

10 La previsione di inappellabilità ex art. 469 c.p.p. delle sentenze predibattimentali non riguarda le pronunzie emesse ai sensi dell'art. 129 c.p.p., in relazione alle quali non vi è analoga previsione legislativa e che presuppongono l'instaurazione di un giudizio in senso proprio. In difetto delle condizioni previste dall'art. 469 c.p.p.(presenza di cause di estinzione o di improcedibilità) vengono infatti meno le ragioni che giustificano la deroga al principio generale di appellabilità delle sentenze, perché implicando necessariamente il proscioglimento nel merito un giudizio compiuto con la garanzia del pieno contraddittorio, appare irragionevole l'esclusione di una seconda verifica di merito (Sez I, 1 febbraio 2008 n 10776).

11 Alcune questioni in tema di sentenze di condanna alla pena dell'ammenda 1) Le Sezioni Unite (sentenza 3 febbraio 1995) hanno stabilito che quando la sentenza ha applicato la pena dell'ammenda quale pena sostitutiva, essa è appellabile sia perché la dizione normativa è riferita solo alle contravvenzioni punite esclusivamente con tale pena o con pena alternativa, sia perché la pena originaria può sempre rivivere nella evenienza dell'insorgere di uno dei presupposti di cui all'art. 72 legge 689/81.

12 2) Il caso delle sentenze in cui il giudice abbia erroneamente applicato la sola pena dell'ammenda: l'orientamento prevalente vuole che tale errore sia assolutamente inidoneo a modificare il regime normativo indicato dal codice di rito e ciò per la essenziale ragione che in caso contrario il soggetto, a causa di un colpevole errore del giudice, si vedrebbe privato del secondo grado del merito così da vedersi preclusa la possibilità di proporre questioni. Infatti l'errore del giudice non influisce sul normale svolgimento del regime delle impugnazioni. Ne consegue anche che ….

13 ...laddove il giudice di primo grado abbia qualificato multa la pena pecuniaria che il legislatore prevede come ammenda, erroneamente la Corte di appello tratterebbe nel merito l'appello, dovendo invece convertirlo in ricorso e trasmettere gli atti ex art. 568 c.p.p. comma 5, alla Corte di Cassazione (in tal senso Cass. sez. I, 28 marzo 2008 n. 14639; Cass. sez. feriale, 30 agosto 2005 n. 35653).

14 Il processo di appello è un nuovo giudizio o uno strumento di controllo della decisione impugnata? Dottrina e giurisprudenza sono schierate per tale seconda soluzione perché la cognizione del giudice di secondo grado è limitata dal devoluto e la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale è consentita solamente in casi eccezionali.

15 La Corte di cassazione (Sez.II sent.36406/2012) ha chiarito che il giudice d'appello è tenuto (nell'ambito e per l'effetto del principio devolutivo) a rivisitare "in toto" i capi ed i punti della sentenza di primo grado oggetto di impugnazione: da qui l'ammissibilità dell'appello che pur riproponga censure già esaminate e confutate dal giudice di primo grado. Tale pronuncia spiega che "in punto di genericità non possono applicarsi all'appello gli stessi parametri che operano rispetto al ricorso per cassazione proprio in considerazione dell'effetto devolutivo dei motivi di impugnazione, che consente ed impone al giudice di secondo grado la rivisitazione dei capi e punti impugnati".

16 Concludendo: la riproposizione di questioni già esaminate e disattese dal giudice del provvedimento impugnato non è causa di genericità del motivo d'appello perché il giudizio di secondo grado ha per contenuto la rivisitazione integrale del punto "attaccato", con i medesimi poteri del primo giudice ed anche a prescindere dalle ragioni dedotte nel motivo. Quindi, è fisiologico il rivedere ed il modificare l'apprezzamento con cui il primo giudice aveva disatteso una certa richiesta della difesa (per esemplificare: il diverso possibile giudizio sulla "equità” di una determinata pena per un determinato fatto e in relazione ad un determinato imputato).

17 Se ne ricava il principio di diritto seguente: il motivo d'appello è inammissibile per mancanza di specificità quando, in sé considerata (e quindi prescindendo dalla motivazione del provvedimento impugnato), la deduzione che lo sorregge non è pertinente al caso concreto e non è formulata in termini tali da indicare dove la verifica autonoma del giudice d'appello deve indirizzarsi e da consentire, sulla base di quanto dedotto, un apprezzamento tendenzialmente idoneo ad orientare la decisione del punto devoluto.

18 Nel giudizio di cassazione invece la censura deve colpire uno dei vizi della motivazione tassativamente indicati dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) cioè mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione sicché una deduzione che invece riproponga la censura presentata al giudice d'appello senza confrontarsi con la risposta da questi argomentata e le sue ragioni, per ciò solo esula dalla struttura del giudizio di legittimità (Sez. V, sent. 28011/2013) e colpisce di inammissibilità il ricorso.

19 APPLICAZIONE PRATICHE 1) La difesa dell'imputato condannato interpone appello, invocando la riduzione della pena con richiamo agli elementi di cui all'art. 133 c.p., al principio di ragionevolezza, alla finalità rieducativa di cui all'art. 27 Cost., comma 3, e sostenendo la sproporzione della pena inflitta in relazione alla gravità del reato, alla gravità del danno e alla assenza di pericolosità sociale. La Corte di appello ne ritiene la inammissibilità e sul ricorso così pronuncia la Cassazione (sez. III, 19 aprile 2012 n. 19099): il ricorso in esame risulta palesemente carente del requisito della specificità dei motivi, ex art. 581 c.p.p., lett. c, visto che gli argomenti dedotti consistono in una mera riproposizione dei motivi esposti con l'atto di appello, rispetto ai quali non viene minimamente precisato come gli stessi fossero sufficientemente puntuali nella indicazione degli elementi di dissenso della impugnata decisione, in modo da confutarne la tesi.

20 2) La Corte di appello di Brescia dichiara inammissibile l'appello avverso la sentenza con cui XY era condannato per il reato di furto aggravato, nonché della contravvenzione di porto di un coltello multiuso e motiva che il gravame contiene censure del tutto generiche perché il difensore non ha svolto alcun rilievo critico nei confronti della motivazione della sentenza impugnata e si è limitato ad affermare, del tutto apoditticamente, che gli indizi non sono gravi, precisi e concordanti, senza spiegare le ragioni di tale censura. Con riferimento poi al reato di porto abusivo di un coltello, l'appellante si è limitato ad affermare che si tratterebbe di un piccolo accessorio multiuso non idoneo ad offendere.

21 La Cassazione (Sez. IV 8 luglio 2014 n. 44099) osserva che l'appello che non indichi con chiarezza e precisione gli elementi fondanti le censure dedotte deve essere dichiarato inammissibile perché i motivi di appello devono essere specifici allo stesso modo di quanto richiesto per il ricorso in cassazione e quindi, pur nella libertà della loro formulazione, devono indicare con chiarezza le ragioni di fatto e di diritto su cui si fondano le censure, al fine di delimitare con precisione l'oggetto del gravame ed evitare, di conseguenza, impugnazioni generiche o meramente dilatorie. Stima corretta la decisione di appello la quale aveva evidenziato come le affermazioni fatte con l'atto di appello risultassero meramente assertive, non essendo argomentate con riferimento ad una revisione critica delle oggettive risultanze istruttorie.

22 La Corte di appello di Brescia dichiara inammissibile per genericità l'appello con cui il condannato aveva chiesto la determinazione di una pena contenuta nel minimo. Sul ricorso la Cassazione (sez. V 21 novembre 2012 n. 49062) osserva che correttamente la corte di merito ha ritenuto privo della necessaria specificità i motivi, tenuto conto anche del fatto che il tribunale, riconoscendo la non gravità del fatto, aveva comminato una pena prossima al minimo edittale. L'appellante non aveva indicato una sola ragione che potesse legittimare una ulteriore diminuzione della pena non presa in considerazione dal giudice di primo grado; quindi non è ravvisabile alcuna critica o censura alla decisione del primo giudice.

23 LE CARATTERISTICHE DEL GIUDIZIO DI APPELLO

24 1) l'effetto devolutivo (art. 597 c.p.p., comma 1), che è strettamente connesso e conseguente al principio della necessaria specificità dei motivi di impugnazione; 2)i limitatissimi poteri di integrazione d'ufficio dell'ambito conoscitivo ; 3) l'obbligo di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità (art. 129 cpp.); 4) l'eccezionalità del potere di annullamento (art. 604 c.p.p.); 5) la soggezione del giudice di appello alla sola verifica propria delle tassative e limitate ragioni del controllo di legittimità (art. 606 c.p.p., lett. b, c e specialmente e);

25 1) l'effetto devolutivo (art. 597 c.p.p., comma 1), che è strettamente connesso e conseguente al principio della necessaria specificità dei motivi di impugnazione; 2)i limitatissimi poteri di integrazione d'ufficio dell'ambito conoscitivo ; 3) l'obbligo di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità (art. 129 cpp.); 4) l'eccezionalità del potere di annullamento (art. 604 c.p.p.); 5) la soggezione del giudice di appello alla sola verifica propria delle tassative e limitate ragioni del controllo di legittimità (art. 606 c.p.p., lett. b, c e specialmente e);

26 La pienezza di cognizione e di rivalutazione del merito di quanto è stato devoluto spiega la ragione dell'insegnamento delle Sezioni Unite (sent. 27.11.2008 n. 3287) in cui si afferma che il caso della mancanza assoluta della motivazione non rientra tra quelli, tassativamente previsti dall'art. 604 c.p.p., nei quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e disporre la trasmissione degli atti al giudice di primo grado"; ma è nullità ex art. 125 c.p.p., comma 3 alla quale, allorquando la sentenza è appellabile, il giudice di appello può rimediare in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto assegnatigli dalla legge.

27 Il giudice dell'appello deve confrontarsi, nell'ambito del devoluto, innanzitutto con gli atti del fascicolo processuale e non solo con la motivazione della sentenza di primo grado, traendo dal confronto tra la sentenza impugnata ed i motivi d'impugnazione gli spunti per verificare ed eventualmente far propria, o modificare, l'adeguatezza della decisione come esposta nel dispositivo alla valutazione di merito corretta e congrua rispetto al contenuto di tutti gli atti processuali utilizzabili per ciò che attiene ai punti della decisione, devolutigli con i motivi specifici.

28 Punto delle decisione: E' quella statuizione della sentenza che può essere considerata in modo autonomo e non le argomentazioni esposte nella motivazione sicché il giudice di appello può pervenire allo stesso risultato cui è giunto il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato anche sulla base di argomenti diversi da quelli considerati da quest'ultimo ovvero alla luce di dati di fatto non valutati in primo grado, senza in tal modo violare il principio devolutivo.

29 DA RICORDARE Ciò che viene devoluto è il punto della decisione e non gli argomenti logici, le singole questioni che sono dibattute e proposte con il motivo sicché il giudice di appello può modificare la sentenza di primo grado, sui punti devoluti, anche per ragioni diverse da quelle dedotte nell'atto di impugnazione, così come può confermarla con argomentazioni integrative o addirittura del tutto differenti da quelle svolte dal giudice del primo grado, come avviene quando le deduzioni dell'appellante sono condivisibili ma dagli atti emergono ulteriori, diversi e sufficienti elementi di prova per confermare il dispositivo della decisione (Sez. IV, sent. 15461 del 14 gennaio 2003)

30 Il giudice dell'appello può ricorrere alla "motivazione per relazione" ? Sì ma solo quando l'appellante a sua volta si limita alla mera riproposizione di questioni di fatto (o di diritto) già espressamente ed adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, ovvero propone deduzioni generiche, apodittiche, superflue o palesemente inconsistenti. No quando si è in presenza di una contestazione specifica, che introduca valutazioni e considerazioni nuove, non svolte prima o che critichino con puntualità le argomentazioni disattese dal primo giudice. Allora non si può richiamare in termini meramente ripetitivi e stereotipati la motivazione della sentenza impugnata (Sez. VI sent.12 giugno 2008 n.35346).

31 EFFETTO ESTENSIVO DELL'IMPUGNAZIONE Il tema della estensione soggettiva delle impugnazioni è parte di un problema complesso e centrale del rapporto tra l'ambito del giudizio che si conclude con la decisione impugnata e l'ambito del giudizio che con l'impugnazione si apre. Nel caso dell'appello si deve tenere conto che tale mezzo di impugnazione è a censura illimitata ma a cognizione limitata (salvo quanto previsto dall'art. 129 c.p.p.) e al giudice è rimessa una decisione di tipo sostitutivo della sentenza impugnata.

32 L'effetto estensivo è la possibilità che l'impugnazione proposta da uno degli imputati abbia effetto anche per gli altri, anche per l'imputato che non abbia proposto impugnazione ovvero abbia proposto un'impugnazione inammissibile. Non è invece previsto un effetto estensivo dell'impugnazione del pubblico ministero per ragioni di economia processale in quanto l'accoglimento dell'impugnazione del pubblico ministero contro una sentenza di assoluzione potrebbe comportare l'esigenza di un accertamento ex novo dell'intera fattispecie controversa nei confronti di tutti gli imputati.

33 Vi è uno stretto collegamento tra l'ambito della devoluzione ed il possibile effetto estensivo, perché l'effetto estensivo non può essere uguale per tutte le impugnazioni, ma dipende dalle questioni sulle quali si richiede una nuova pronuncia. Un'impugnazione con effetto devolutivo limitato non può avere la stessa estensione soggettiva di un'impugnazione a effetto devolutivo illimitato. E dunque l'estensione soggettiva dell'impugnazione dipende dall'ambito della devoluzione. Il tipo e l'entità delle censure, l'ambito della devoluzione oggettiva e anche il tipo di decisione emessa possono incidere sull'estensione soggettiva del giudizio di impugnazione.

34 UNA SERIE DI PROBLEMI POSTI DALL'ART. 587 c.p.p L'effetto estensivo dell'impugnazione vale anche quando non si tratti di impugnazione proposta contro la stessa sentenza? Il dubbio deriva dal fatto che l'art. 587 si riferisce anche al caso in cui si tratti di impugnazione proposta da uno dei concorrenti nello stesso reato, ma ciò non significa affatto che l'identità del reato giustifichi l'estensione dell'impugnazione in modo indipendente dalla identità del procedimento nell'ambito del quale l'impugnazione viene proposta. L'opinione dominante esige l'identità della sentenza.

35 IL REQUISITO DELL'IDENTITÀ DEL REATO. Nonostante che un'interpretazione letterale dell'art. 587, restringa l'effetto estensivo solo al caso di concorso di persone nello stesso reato, la dottrina ne tende a dare un'interpretazione estensiva in bonam partem includendo nella disciplina il caso della cooperazione colposa e del concorso di cause nella produzione dello stesso evento lesivo. Sicché in tutti i casi in cui il tema della discussione sia riconducibile a un unico evento lesivo, deve ammettersi l'effetto estensivo.

36 IL IL REQUISITO DELL'INVALIDITA' NEL CASO DI RIUNIONE DI PROCEDIMENTI PER REATI DIVERSI: Infatti alla dichiarazione dell'invalidità possono avere interesse tutte le parti del procedimento indipendentemente dalla diversità delle accuse. Il riferimento dell'art. 587 alle violazioni della legge processuale deve essere interpretato nella prospettiva dell'art. 606, lett. c), c.p.p., laddove si ammette il ricorso per Cassazione per "inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità inammissibilità inutilizzabilità o decadenza". La legge processuale ex art. 587 è quella la cui violazione è prevista a pena di invalidità vale a dire di nullità, inutilizzabilità inammissibilità o decadenza.

37 IL IL REQUISITO DELL'INVALIDITA' NEL CASO DI RIUNIONE DI PROCEDIMENTI PER REATI DIVERSI: Infatti alla dichiarazione dell'invalidità possono avere interesse tutte le parti del procedimento indipendentemente dalla diversità delle accuse. Il riferimento dell'art. 587 alle violazioni della legge processuale deve essere interpretato nella prospettiva dell'art. 606, lett. c), c.p.p., laddove si ammette il ricorso per Cassazione per "inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità inammissibilità inutilizzabilità o decadenza". La legge processuale ex art. 587 è quella la cui violazione è prevista a pena di invalidità vale a dire di nullità, inutilizzabilità inammissibilità o decadenza.

38 LA NECESSITÀ DEI MOTIVI D'IMPUGNAZIONE NON PERSONALI Mancando una definizione esplicativa di cosa debba intendersi per motivi non personali occorre avere riguardo al tenore delle richieste che possono essere limitate solo all'imputato proponente o avere effetti espansivi anche nei confronti degli altri coimputati. Non rilevano in questa prospettiva le ragioni per cui si chiede l'accoglimento di quelle richieste, ma è appunto il petitum che può essere esteso a tutti. Infatti l'imputato non impugnante non si giova certo delle ragioni addotte a sostegno dell'impugnazione, bensì dell'accoglimento delle richieste.

39 Esempi tratti dalla giurisprudenza: 1) motivo attinente la continuazione sempreché dagli atti per tutti i coimputati emerga identità di situazioni e di elemento psicologico; 2) motivo relativo all'aspetto psicologico del reato quando i presupposti della censura siano comuni ad altri coimputati e sussista identità di situazioni processuali; 3) motivo relativo alla concessione di attenuanti generiche quando si fondino su ragioni comuni ad altri coimputati; 4) motivo inerente la erroneità della scelta della pena base in caso di reato continuato; 5) motivo inerente la esclusione di aggravante oggettiva.

40 LA ESTENSIONE DEL CONTRADDITTORIO L'art. 601 c.p.p. prescrive che, ricorrendo ii casi previsti dall'art. 587, l'impugnazione sia notificata anche al soggetto non impugnante. Questo invito a partecipare al contraddittorio è previsto solo per l'appello e per il giudizio di revisione, ma non è previsto per il giudizio di cassazione. È' l'art. 627, comma 5, c.p.p. a disciplinare l'effetto estensivo del ricorso per cassazione, prevedendo che, se taluno degli imputati, condannati con la sentenza annullata, non aveva proposto ricorso, l'annullamento pronunciato rispetto al ricorrente giova anche al non ricorrente, salvo che il motivo di annullamento sia esclusivamente personale.

41 Questa differenza tra giudizio di appello e giudizio di cassazione trova ragione fondamentalmente perché il ricorso per cassazione è un'impugnazione a devoluzione limitata ai motivi; mentre il giudice di appello può prendere cognizione di tutto il punto investito dal motivo, sicché nel giudizio d'appello può risultare utile la partecipazione di chi può estendere l'impugnazione anche ad aspetti ulteriori rispetto a quelli individuati dal motivo dedotto: anche ad aspetti che non sono di interesse di colui che ha proposto l'impugnazione.

42 L'imputato non appellante, che, pur avvisato ex art. 601 c.p.p., non compare nel giudizio d'appello deve essere dichiarato contumace e gli va nominato un difensore d'ufficio? La risposta è ragionevolmente negativa, se si considera che, secondo quanto prevede l'art. 595 c.p.p., l'appello incidentale del pubblico ministero rende possibile la reformatio in peius della sentenza appellata dall'imputato, ma non ha effetti nei confronti del coimputato non appellante che non abbia partecipato al giudizio di appello, benché debbano osservarsi le norme dell'art. 587c.p.p. (segue)

43 Ciò vuol dire che, mentre l'imputato appellante è parte del giudizio d'appello anche se rimane contumace, l'imputato non appellante può scegliere di non essere parte del giudizio d'appello. E se gli venisse nominato un difensore d'ufficio, non si potrebbe certo dire che non abbia partecipato al giudizio. Con la conseguenza che gli si dovrebbero estendere gli effetti (presumibilmente negativi) dell'eventuale appello incidentale del pubblico ministero.

44 L'imputato che non ha proposto l'impugnazione ha il potere di impugnare la sentenza conclusiva del giudizio di impugnazione attivato dal coimputato? Si tenda per lo più a riconoscere che l'imputato non impugnante possa proporre una successiva impugnazione ma solo per lamentare la mancata applicazione dell'art. 587 c.p.p. e solo se i motivi dell'impugnante siano stati accolti. In altri termini, l'imputato che non ha proposto appello può proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di secondo grado per lamentare la mancata applicazione dell'effetto estensivo, ma solo nel caso in cui l'appello del coimputato sia stato accolto.

45 Inoltre, la prevalente giurisprudenza afferma che, per giovarsi degli effetti estensivi della decisione, i quali prescindono dalla sua partecipazione al processo, l'imputato può rivolgersi anche direttamente al giudice dell'esecuzione, sicché sembrerebbe che chi deve chiedere che gli si estendano gli effetti della decisione di accoglimento dell'appello, possa rivolgersi direttamente al giudice dell'esecuzione, sebbene possa proporre anche ricorso per cassazione, adducendo le stesse ragioni. il che però risulta incompatibile con il giudizio di legittimità essendo di merito la valutazione circa la natura non personale dei motivi (ma si obietta che nelle questioni processuali la Cassazione è giudice del fatto).

46 L'art. 588 c.p.p. prevede che fino all'esito del giudizio d'impugnazione l'esecuzione del provvedimento impugnato è sospesa; mentre l'art. 648, comma 1, c.p.p. dichiara irrevocabili le sentenze pronunciate in giudizio contro le quali non è ammessa impugnazione diversa dalla revisione. Ci si chiede allora: l'impugnazione proposta da un imputato ha nei confronti del coimputato non impugnante l'effetto di sospensione previsto dall'art. 588 e/o l'art. 648 c.p.p. rende irrevocabile per il non impugnante la sentenza impugnata dal coimputato? Si tratta di una questione fondamentale ai fini della eseguibilità della condanna nei confronti del non appellante.

47 Secondo la giurisprudenza prevalente la proposizione dell'impugnazione da parte del coimputato non ha effetti sospensivi per l'imputato non impugnante, nei cui confronti la sentenza diviene definitiva, passa in giudicato. L'effetto estensivo dell'impugnazione, l'estensione della decisione di accoglimento dell'impugnazione proposta dal coimputato, comporta dunque la rescissione di un giudicato già formatosi. Benché sia passata in giudicato, la condanna risulta revocata in seguito all'accoglimento dell'impugnazione proposta da parte del coimputato. Ma prima che l'impugnazione del coimputato venga accolta, quel giudicato può essere eseguito nei confronti dell'imputato non impugnante. E tuttavia...

48 VI è un'impugnazione per la quale l'effetto sospensivo è automatico anche nei confronti dell'imputato non impugnante. È l'opposizione al decreto penale. Ex art. 463 c.p.p. " l'esecuzione del decreto di condanna pronunciato a carico di più persone imputate dello stesso reato rimane sospesa nei confronti di coloro che non hanno proposto opposizione fino a quando il giudizio conseguente all'opposizione proposta da altri coimputati non sia definito con pronuncia irrevocabile ". In dottrina vi è chi sostiene l'ammissibilità di un'applicazione analogica dell'art. 463 dimenticando che l'opposizione è un caso tipico di impugnazione totalmente devolutiva, tanto che si può proporre anche senza formulare motivi. E quindi non è possibile definirne preventivamente la portata estensiva.

49 La ratio dell'effetto estensivo dell'impugnazione non è dunque nell'esigenza di prevenire contrasti di giudicati, come talora si sostiene anche in giurisprudenza ma sta nella logica dell'impugnazione che impone di definirne gli effetti (soggettivamente) estensivi entro i limiti dei suoi effetti (oggettivamente) devolutivi. Infatti, quando il giudice dell'impugnazione deve decidere su un tema che coinvolga più parti, è ragionevole che decida anche in favore di chi la sentenza non l'abbia impugnata. Solo se è ammissibile ed estensibile, l'impugnazione del coimputato può rendere rilevabile la sopravvenuta prescrizione anche nei confronti dell'imputato non impugnante (giurisprudenza non concorde).

50 Infatti, sulla applicabilità alla prescrizione dell'istituto dell'effetto estensivo dei motivi di impugnazione non esclusivamente personali all'imputato non impugnante si registrano due diversi orientamenti. Secondo un primo indirizzo, infatti, la rilevanza, in forza dell'effetto estensivo dell'impugnazione, di una causa estintiva del reato legata al decorso del tempo, come la prescrizione, implica la preesistenza della stessa alla proposizione del ricorso da parte dell'imputato non appellante, restandone altrimenti preclusa l'operatività dal passaggio in giudicato della decisione nei suoi confronti (Sez. II, 20 maggio 2009 n. 26076),

51 Il fondamento logico-giuridico di questo indirizzo è costituito dalla formazione del giudicato rispetto al coimputato non impugnante, implicando necessariamente che della prescrizione successivamente maturata non possa beneficiare la persona nel cui confronti la sentenza è divenuta irrevocabile e, quindi, suscettibile di esecuzione; in tale situazione, infatti, il successivo decorso del tempo non potrebbe più esplicare alcuna influenza nei confronti del non impugnante (Cass. sez. III, 24 gennaio 2013 n. 10223).

52 Un secondo orientamento afferma che l'effetto estensivo dell'impugnazione, quando maturi una causa di estinzione del reato nel corso del giudizio di gravame, opera a vantaggio dei soggetti non ricorrenti e che unica condizione preclusiva è costituita dalla natura strettamente personale del motivo di ricorso. In particolare, l'effetto estensivo della impugnazione produce i suoi effetti anche con riferimento all'imputato non ricorrente ed indipendentemente dalla fondatezza dei motivi dell'imputato validamente ricorrente purché non di natura esclusivamente personale: ciò sia quando la prescrizione sia maturata nella pendenza del ricorso, sia quando sia maturata antecedentemente (Sez.IV,11/11/2004 n.10180),

53 Si afferma che l'istituto della estensione è diretto a consentire all'imputato non impugnante di usufruire del trattamento più favorevole di quello della sentenza di primo grado che egli avrebbe potuto ottenere ove avesse, invece, proposto gravame sicché, una volta intervenuta la pronuncia idonea a riverberare i propri effetti sul coimputato non impugnante, il passaggio in giudicato nel frattempo intervenuto con riguardo a questi ne viene inevitabilmente travolto. Dunque (sez. II 12 maggio 2015 n.33429) l'estensione al coimputato non appellante della prescrizione del reato, si produce anche ove essa sia maturata successivamente al passaggio in giudicato della sentenza nei confronti del non appellante.

54 In dottrina si trova una terza opinione secondo cui la stretta correlazione fra effetto estensivo soggettivo e ampiezza oggettiva del devoluto porta alla conclusione aggiuntiva che, essendo estensibili solo le questioni devolute con i motivi d'impugnazione, allora la prescrizione, sopravvenuta o preesistente, non può giovare né al coimputato non impugnante né al coimputato che abbia proposto un'impugnazione inammissibile, quando la relativa questione non sia stata sollevata con uno specifico motivo di censura da parte dell'imputato validamente impugnante.

55 Appello incidentale (art. 595 c.p.p.) Secondo l'insegnamento delle Sezioni unite della Corte (sent. 9 marzo /2007 n.10251), l'appello incidentale può essere proposto solo in relazione ai punti della decisione oggetto dell'appello principale nonché a quelli che hanno con essi una connessione essenziale. Esempio n 1: l'imputato impugna in punto di responsabilità ed entità della pena; il P.M. può impugnare incidentalmente per una diversa qualificazione giuridica in pejus sia sull'ammontare della pena, entrambi gli aspetti essendo strettamente connessi ai punti trattati dall'appello dell'imputato.

56 Esempio n. 2: l'imputato con l'appello principale "attacca" il punto della decisione afferente l'affermazione di responsabilità per ottenere una deliberazione che si risolva in una delle formule assolutorie che, ex art. 652 c.p.p., pregiudicano irrimediabilmente le ragioni della parte civile anche nella successiva sede propria, davanti al giudice civile. In questo caso, vi è piena legittimazione all'utilizzo dell'appello incidentale perché sia affermata la sussistenza della responsabilità dell'imputato. Nessun dubbio, infatti, sussiste sul fatto che, in tal caso, proprio il "punto della decisione" relativo all'affermazione di responsabilità sia "oggetto" tanto dell'appello principale che di quello incidentale.(sez. V 21 marzo 2013 n. 19540)

57 La rinuncia alla impugnazione L'art. 589 c.p.p., statuendo le forme e i termini della rinuncia alla impugnazione, non prevede alcuna decadenza; ne deriva che l'inosservanza del termine previsto per la dichiarazione di rinuncia, e cioè "l'inizio della discussione", non comporta alcuna decadenza nè determina l'invalidità o l'inefficacia della rinuncia all'impugnazione, non essendo tali effetti previsti dalla legge, ma si configura come una mera irregolarità che non incide sugli effetti della dichiarazione di rinuncia. (sez. II 20 gennaio 2003 n. 12845).

58 La rinunzia alla impugnazione non preclude il rilievo ex officio della intervenuta causa di non punibilità ex art. 129 c.p.p., con riferimento ad un reato il cui termine di prescrizione sia maturato anteriormente alla rinuncia medesima, giacché essa, in quanto causa di inammissibilità sopravvenuta, e salvo il caso di impugnazione affetta da una diversa causa di inammissibilità originaria, opera solo dal momento in cui perviene a conoscenza dell'autorità giudiziaria procedente (sez. V 26 maggio 2014 n.42844)

59 RIFORMA DELLA ASSOLUZIONE E CONDANNA IN GRADO DI APPELLO L'obbligo motivazionale del giudice di appello assume connotati ancor più originali e stringenti nel caso in cui la sentenza di appello affermi una responsabilità negata in primo grado. Essa presenta una peculiarità delicata perché a fronte dI condanna inflitta per la prima volta in appello ed è argomentata con apprezzamenti di stretto merito che coinvolgono elementi di fatto, l'imputato non ha più la possibilità di confutare il nuovo apprezzamento di merito, se non nel limitato ambito della sua logica motivazionale ai sensi in particolare dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Nasce così in via di interpretazione l'obbligo di motivazione rafforzata.

60 La giurisprudenza di legittimità ha quindi elaborato 3 punti fermi relativi ai requisiti che la motivazione del giudice di appello deve avere in tale evenienza: 1) la pretesa di un particolare rigore nell'adempimento dell'obbligo di motivazione, accentuando i richiami alla specificità e completezza della confutazione delle ragioni assolutorie (tanto da parlare, con efficace locuzione, di "piena sovrapposizione"); e ciò specialmente nei casi in cui il materiale probatorio valutato rimanga il medesimo e nei quali pertanto il giudice d'appello non può limitarsi alla citazione formale delle fonti di prova (Sez. Unite, sent. 12 luglio 2005 n.33748);

61 2) l'estensione dei confini del perimetro delle argomentazioni con cui il giudice di appello ha il dovere di confrontarsi, comprendendovisi oltre alla motivazione della sentenza di assoluzione tutte le memorie e le deduzioni integrative comunque proposte dalla parte beneficiaria dell'assoluzione dopo la sentenza di primo grado e prima della sentenza di appello (Sez. Unite, sent. 24 novembre 2003 n. 45276)

62 3) l'obbligo di confrontarsi anche con eventuali violazioni di legge intervenute nel giudizio di primo grado in danno dell'imputato, da questi non dedotte per mancanza di interesse e di confrontarsi con tutte le richieste "subordinate" (in termini di eccezioni, qualificazione giuridica, circostanze del reato o trattamento sanzionatorio) svolte dall'imputato in sede di conclusioni dopo la discussione della causa nel primo grado.

63 IN DEFINITIVA: non basta che il giudice di appello operi una diversa valutazione delle medesime prove su cui si era basato il giudice di primo grado per emettere la sentenza di assoluzione, in quanto in tal caso permarrebbe il ragionevole dubbio tra due diverse ricostruzioni delle stesse risultanze probatorie e l'imputato dovrebbe essere assolto. Occorre invece che tale diverso apprezzamento sia configurabile come l'unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o di inadeguatezze probatorie che abbiano minato la permanente sostenibilità del primo giudizio, di modo che la sentenza del giudice di appello sia dotata di forza persuasiva superiore.

64 Attualmente la giurisprudenza di legittimità è ancorata ad una posizione netta e radicale nel denso che non ci si limita più a richiedere un particolare impegno motivazionale del giudice di appello che voglia ribaltare l’esito della sentenza di primo grado ma si qualificano come “illegittime” le pronunce che dichiarino la colpevolezza in luogo di una precedente assoluzione, nel caso in cui il giudice del gravame si limiti a ritenere maggiormente persuasiva una lettura del materiale probatorio formatosi integralmente in primo grado, che porti a conclusioni difformi con l’esito precedente. Essa rileva sotto il profilo del difetto di motivazione, ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.

65 IL DIVIETO DI REFORMATIO IN PEJUS I l più complesso dei problemi è costituito dall'accertare se il divieto di peggiorare la situazione del condannato appellante vale con riguardo al trattamento finale ovvero anche a proposito dei passaggi intermedi nel calcolo della pena. La risposta della Cassazione a sezioni unite 27 settembre 2005 n. 40910

66 La decisione ha affermato che il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall'imputato non riguarda solo l'entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, per cui il giudice di appello, anche quando escluda una circostanza aggravante e per l'effetto irroghi una sanzione inferiore a quella applicata in precedenza, non può fissare la pena-base in misura superiore rispetto a quella determinata in primo grado.

67 Infatti, l'art. 597 c. 4 c.p.p. individua quali elementi autonomi sia gli aumenti o le diminuzioni apportati alla pena- base per le circostanze, sia l'aumento conseguente al riconoscimento del vincolo della continuazione e di conseguenza deve ritenersi precluso l'aumento della pena inflitta per ciascuno degli indicati elementi, pur risultando diminuita quella complessiva.

68 Un ulteriore approfondimento è stato offerto in proposito dalla recente sentenza della Sezione V dal 10 luglio 2014 n. 41188

69 Vi si afferma che per risolvere il problema occorre avere riguardo, oltre che al numero e alla natura degli elementi fattuali e giuridici, che concorrono alla determinazione della pena, anche ai loro rapporti reciproci, giacchè l'incidenza di ogni elemento varia a seconda della relazione in cui viene a trovarsi con tutti gli altri, perché "la pena" non è il risultato di una sommatoria di "elementi" neutri, ma è il risultato della combinazione delle diverse componenti sanzionatorie (pena base, pena per i reati satellite, aumenti o diminuzioni di pena per circostanze aggravanti e attenuanti) ).

70 Solo quando non muta la relazione tra gli elementi che compongono la pena ed il rapporto fra di essi il giudice dell'appello è obbligato - per non incorrere nella violazione dell'art. 597 c.p.p., - a sussumere ogni elemento nella misura determinata dal primo giudice, ovvero a conservare il rapporto proporzionale tra gli elementi della pena (ove sia venuto meno, per effetto dell'impugnativa, uno di essi). In caso contrario, il giudice d'appello rimane libero di valutare le varie componenti secondo il suo prudente apprezzamento purché la pena complessivamente inflitta con la sentenza gravata non sia superiore a quella inflitta nei gradi precedenti.

71 Non costituisce violazione del divieto di "reformatio in peius" il fatto che il giudice di appello, nel rideterminare, su gravame del solo imputato, la pena a seguito di una diversa valutazione del fatto di reato su cui è stata commisurata la pena base, applichi per le attenuanti generiche una diminuzione proporzionalmente inferiore a quella praticata dal giudice della sentenza riformata, giacchè la diversa qualificazione giuridica del fatto comporta una diversa incidenza degli elementi circostanziali. Infatti, ben diversa è l'incidenza delle generiche su un delitto di tentato omicidio volontario rispetto ad un reato di violenza privata. Se muta il reato muta anche il giudizio sull'elemento circostanziale.

72 Se viene mutata, nel giudizio di appello, la qualificazione giuridica del reato su cui è stata commisurata la pena base, non muta però la situazione per i reati satellite unificati dalla continuazione ma che conservano la loro autonomia indipendentemente dal reato cui accedono, per cui non muta la loro "posizione”. Diversamente da quanto accade per l'elemento circostanziale, il giudice non può ricalcolare gli aumenti per i reati satellite rispetto a quanto è stato valutato nella sentenza impugnata. Le Sezioni Unite hanno però dato una risposta diversa (vedi in seguito)

73

74 Con Sezioni Unite, del 18 aprile 2013, n. 33752 si è affermato il principio secondo cui il giudice di appello, dopo aver escluso una circostanza aggravante o riconosciuto un'ulteriore circostanza attenuante in accoglimento dei motivi proposti dall'imputato, può, senza incorrere nel divieto di reformatio in peius, confermare la pena applicata in primo grado, ribadendo il giudizio di equivalenza tra le circostanze, purché questo sia accompagnato da adeguata motivazione, perché l'obbligo di corrispondente diminuzione della pena... è limitato al caso di accoglimento dell'appello dell'imputato relativo a circostanze o reati concorrenti (ex art. 597cpp c.4)

75 Con Sezioni Unite, del 18 aprile 2013, n. 33752 si è affermato il principio secondo cui il giudice di appello, dopo aver escluso una circostanza aggravante o riconosciuto un'ulteriore circostanza attenuante in accoglimento dei motivi proposti dall'imputato, può, senza incorrere nel divieto di reformatio in peius, confermare la pena applicata in primo grado, ribadendo il giudizio di equivalenza tra le circostanze, purché questo sia accompagnato da adeguata motivazione, perché l'obbligo di corrispondente diminuzione della pena... è limitato al caso di accoglimento dell'appello dell'imputato relativo a circostanze o reati concorrenti (ex art. 597cpp c.4)

76 La risposta offerta dalle Sezioni Unite con sentenza 27 marzo 2014 n. 16208 in tema di divieto di reformatio in pejus e reato continuato

77 Nel caso concreto la Corte era chiamata a decidere se il giudice del rinvio, che doveva rideterminare la pena in riferimento ad una diversa e del tutto nuova sequenza tra i reati legati da vincolo della continuazione (reato più grave doveva essere ritenuta la concussione anziché la violenza sessuale come stimato nel giudizio di merito) e apportando per uno di essi un aumento superiore rispetto a quello che era stato applicato in precedenza, avesse violato il divieto di reformatio in peius. La soluzione è stata negativa sostenendosi che non potesse dirsi applicabile, quanto meno nella sua forma più estesa, la regola del divieto di reformatio in peius.

78 Prendendo spunto dall'art. 597 c.p.p., comma 4 che fissa il principio in virtù del quale se è accolto l'appello dell'imputato in relazione a circostanze o reati concorrenti, anche se unificati dalla continuazione, la pena "complessivamente irrogata" è "corrispondentemente diminuita",il legislatore avrebbe preso in considerazione, come termine di riferimento e vincolo per il nuovo giudice, soltanto la pena complessiva e non certo i singoli segmenti - o passaggi di giudizio - che hanno concorso a determinare quella pena; in tal modo finendo per accreditare la logica che il nuovo giudizio sul punto, conta solo, agli effetti che qui interessano, nel suo approdo conclusivo. E dunque...

79 Conclusivamente: Non viola il divieto di reformatio in peius di cui all'art. 597 c.p.p., comma 3, il giudice di rinvio che, individuata la violazione più grave a norma dell'art. 81 cpv. c.p., in conformità a quanto stabilito nella sentenza della Corte di cassazione pronunciata su ricorso del solo imputato, apporti per uno dei reati in continuazione un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore

80 In motivazione si è affermato che, affinché il divieto di reformatio in peius possa essere applicato, non è sufficiente che ad impugnare sia il solo imputato ma deve esistere un requisito implicito e logicamente intrinseco al divieto di applicazione di un trattamento sanzionatorio per qualità o per quantità più gravoso: il divieto di reformatio in peius può trovare spazio solo laddove il giudice di seconde cure si trovi a giudicare del medesimo oggetto sottoposto all'attenzione del primo giudicante. Qualora muti l'oggetto del giudizio viene meno la possibilità stessa di operare una valutazione comparativa.

81 Quando la configurazione del reato continuato ex art. 81 c.p. viene stravolta nei suoi elementi interni, il rapporto tra reato base e reati satellite a sua volta viene alterato e va ridefinito. Mutando l'ordine dei fattori interni non si dà solo vita a strutture giuridicamente non uniformi tra loro ma, come espressamente previsto dal codice, anche a conseguenze diverse in punto pena. Di qui la necessità di sottrarre l'ipotesi oggetto di giudizio alla sfera applicativa dell'art. 597, comma 4, c.p.p. data l'impossibilità per il giudice di rinvio di operare una valutazione tra strutture giuridiche differenti.

82 La fattispecie esaminata delle Sezioni unite si pone in realtà su un piano completamente distinto dal divieto di reformatio in pejus perché carente anche di quei minimi presupposti in grado di ricondurlo all'interno del raggio applicativo dell'art. 597, commi 3 e 4, c.p.p. Si tratta di soluzione coerente con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., per il quale è giusto trattare situazioni identiche con medesime modalità e, all'opposto, situazioni diverse in modo distinto. il caso, pertanto, fuoriesce dalla problematica interpretativa del divieto di reformatio in peius, lasciando al contempo intatta la disposizione di cui all'art. 597 c.p.p., così come interpretata dalla maggioranza della dottrina e giurisprudenza.

83 LA RINNOVAZIONE DELLA ISTRUTTORIA DIBATTIMENTALE Al costante insegnamento giurisprudenziale per cui la rinnovazione dell'istruzione ex art. 603 c.p.p. dibattimentale nel giudizio di appello è evenienza eccezionale, subordinata ad una valutazione giudiziale di assoluta necessità conseguente all'insufficienza degli elementi istruttori già acquisiti, che impone l'assunzione di ulteriori mezzi istruttori pur se le parti non abbiano provveduto a presentare la relativa istanza nel termine stabilito dall'art. 468 c.p.p. (per tutte: Sez. II, sent. del 27/09/2013 n. 41108 e 2 luglio 2015 n. 3197) si è affiancata in senso ampliativo la giurisprudenza Cedu (sentenza Dan c/ Moldavia).

84 La incapacità descritta in termini di “non essere in grado di decidere allo stato degli atti” descrive una situazione cognitiva di stallo: all'atto del controllo, i risultati della sentenza di primo grado non sono sostenibili, gli standard probatori non sono stati raggiunti, l'articolazione logica e argomentativa della sentenza è crivellata di fallacie o peggio, del tutto incomprensibile. In senso ampio, le espressioni si proiettano tuttavia verso una decisione che suggerisce almeno un sentiero percorribile: il giudice non è in grado di decidere, ma allo stato di quegli atti, diverrebbe in grado di decidere se l'istruttoria venisse ampliata o ripercorsa.

85 La Corte europea dei diritti dell'uomo infatti ha stabilito che una condanna in appello basata su una rivalutazione cartolare delle stesse prove dichiarative che in primo grado hanno consentito di assolvere costituisce una violazione dei diritti difensivi dell'imputato, che non può esercitare il diritto al confronto con il suo accusatore di fronte al giudice che decide. La valutazione dell'attendibilità di una testimonianza, in effetti, è un compito complesso che non può essere adeguatamente adempiuto senza un contatto diretto con la fonte dichiarativa; un processo del genere, insomma, non è equo e contrasta con l'art. 6 della Cedu (sentenza 5 luglio 2011).

86 Per la Corte europea discende dalla nozione di equo processo che il giudice che decide il fatto osservi e ascolti l'imputato difendersi e portare personalmente, in pubblica udienza, le proprie prove a discarico; che lo osservi e lo ascolti confrontarsi personalmente coi suoi accusatori. L'immediatezza nella formazione della prova è apprezzata soprattutto come luogo privilegiato della difesa e in secondo luogo come condizione imprescindibile per un accurato accertamento da parte del giudice. Ciò significa che il giudice, che si trovi a riconsiderare per ultimo e da principio la quaestio facti, per valutare diversamente l'attendibilità di una prova dichiarativa deve ripeterne l'escussione. Conseguentemente...

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88 La Cassazione, armonizzando il principio Cedu con l'ordinamento interno, ha inteso non decidibili allo stato degli atti tutti i dibattimenti d'appello con prove dichiarative che il giudice di secondo grado intende rivalutare.L'art. 603 c.p.p., prevede, infatti, la facoltà del giudice di disporre, su richiesta di parte, la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, quando ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, e di disporla d'ufficio quando la ritiene "assolutamente necessaria". La necessità deriva, in questo caso, dall'obbligo di conformarsi alla Convenzione e dalla necessità di evitare l'insorgere di una responsabilità internazionale dello Stato. (sez, V 30 settembre 2014 n. 52208).

89 L'istruzione viene rinnovata a priori perché il giudice, come se dopo una sorta di pre- comprensione dei fatti di causa, intendesse rivalutare l'attendibilità di certe prove dichiarative ai fini di una condanna, e non perché ritenga sinceramente di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, visto che la riescussione è diventata un elemento costitutivo della condanna in appello. Ma in tal modo la ordinanza di rinnovazione non anticipa il giudizio?

90 La Corte di Cassazione ha poi precisato (sez. IV 4 giugno 2014) che si debba procedere alla rinnovazione della prova dichiarativa solo ed in quanto, avuto riguardo al complessivo apparato argomentativo svolto nella sentenza d'appello, la prova risulti essere stata ritenuta decisiva ai fini del ribaltamento del giudizio di penale responsabilità dell'imputato, non essendovi - di contro - materia per far valere nessuna lesione del diritto al giusto processo. Nel caso di specie, la Corte d'appello di Catania era pervenuta ad una valutazione in ordine alla attendibilità di un collaboratore di giustizia diversa da quella compiuta dal Tribunale ed il contributo dichiarativo del collaboratore era stato ritenuto determinante ai fini del ribaltamento dell'assoluzione.

91 Cass. Sezione V 11 gennaio 2013 n 10965 ha altresì precisato che lo schema della sentenza Dan/Moldavia non è invocabile quando non si tratta di pura e semplice rivalutazione delle dichiarazioni, ma dell'apprezzamento di tali dichiarazioni, alla luce di ulteriori elementi, trascurati dal primo giudice e valorizzati dal secondo. Nel caso concreto, la corte d'appello è giunta a ritenere la credibilità della persona offesa vittima di estorsioni facendo riferimento all'esito di altri procedimenti penali nei quali il teste era persona offesa, conclusisi con la condanna delle persone denunciate ed alla natura seriale delle richieste estorsive subite e, quindi, alla ipotizzabile confusione dovuta alla similitudine delle "prassi operative criminose”.

92 L'applicazione nell'ordinamento interno della sentenza Cedu riveste un importante profilo di criticità che riguarda la protezione della vittima nei reati sessuali ove la testimonianza della persona offesa rappresenta quasi sempre l'unica prova a carico dell'imputato. Qui occorre contemperare il diritto dell'imputato ad essere giudicato in maniera equa con le esigenze di tutela della vittima e a tal proposito la stessa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, a tutela della vittima, ha statuito l'utilizzabilità delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari e l'audizione della stessa con modalità protette, Nell'ordinamento interno si veda l'art. 190 bis c.p.p.

93 A conferma la Cassazione ha individuato due eccezioni alla menzionata regola, rispettivamente per il caso che l'escussione risulti a priori superflua perché le dichiarazioni rese in primo grado non necessitano di chiarimenti o integrazioni; e per l'ipotesi che la persona da escutere non sia terza rispetto alla vicenda, ma vittima di un reato che ne ha leso gravemente e violentemente la libertà personale ed il cui effetto è stato, in misura maggiore o minore, pregiudizievole per la vittima medesima e tale da far ritenere che la rievocazione ulteriore del fatto in sede processuale possa per essa essere oggettivamente lesiva (Sez. III, n. 32798 del 05/06/2013).

94 APPELLO E PRESCRIZIONE DEL REATO (art. 578 c.p.p) La decisione del giudice dell'impugnazione sugli effetti civili del reato estinto presuppone che la causa estintiva sia sopravvenuta alla sentenza emessa dal giudice di primo grado che ha pronunciato sugli interessi civili, mentre, qualora la causa di estinzione del reato preesista alla sentenza di primo grado ed il giudice erroneamente non l'abbia dichiarata, non sussistono i presupposti di operatività dell'art. 578 c.p.p., poiché tale decisione presuppone una precedente pronuncia di condanna sulle statuizioni civili validamente emessa e gli effetti della sentenza di secondo grado devono essere riportati al momento in cui è stata emessa quella di primo grado

95 I IL CASO DRASSICH E LE SUE RICADUTE SUL PROCESSO DI APPELLO La Corte d'appello di Venezia condannava Drassich per il reato di falso ideologico in continuazione con episodi di "corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio". La Corte di cassazione rigettava il ricorso dell'imputato e riqualificava ex officio i fatti come reati di "corruzione in atti giudiziari". La diversa definizione dei fatti corruttivi impediva la declaratoria di estinzione per prescrizione. di cui il ricorrente avrebbe dovuto beneficiare. In proposito, si escludeva che la riqualificazione del reato avesse determinato una violazione del divieto di reformatio in peius (in mancanza di un aggravamento della pena).

96 Drassich adiva la Corte europea dei diritti dell'uomo lamentando l'iniquità del processo a suo carico a causa della riqualificazione dei fatti per i quali era stato perseguito e dell'impossibilità di difendersi dalla nuova accusa, non essendo stato informato in tempo utile. La Corte di Strasburgo accoglieva il ricorso, constatando la violazione del par. 1 e del par. 3, CEDU in quanto era stata "commessa una violazione del diritto del ricorrente ad essere informato in maniera dettagliata della natura e dei motivi dell'accusa formulata nei suoi confronti, nonché del suo diritto a disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie alla preparazione della sua difesa".

97 In particolare, la Corte Edu, nella suddetta sentenza, ha precisato che, al fine di verificare se vi sia stata o meno violazione della Convenzione, il giudice deve procedere ad un triplice accertamento: a) deve, innanzitutto, verificare, in concreto "se fosse sufficientemente prevedibile per il ricorrente che l'accusa inizialmente formulata nei suoi confronti fosse riqualificata"; b) "la fondatezza dei mezzi di difesa che il ricorrente avrebbe potuto invocare se avesse avuto la possibilità di discutere della nuova accusa formulata nei suoi confronti"; c) quali siano state "le ripercussioni della nuova accusa sulla determinazione della pena del ricorrente".

98 Una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 521 primo comma c.p.p impone che la correlazione tra sentenza ed accusa deve sussistere, assicurando all'imputato la garanzia del contraddittorio, anche in relazione alla qualificazione giuridica del fatto, escludendosi la possibilità dell'attuazione "a sorpresa" del potere di nuova e diversa qualificazione della condotta. Quindi, il giudice deve promuovere il contraddittorio tra le parti anche sulla "quaestio juris" relativa a una diversa qualificazione giuridica del fatto a meno che (ad es.) nell'impugnazione dallo stesso, tale eventualità sia stata espressamente presa in considerazione ovvero nel procedimento incidentale de libertate.

99 La riqualificazione dell'imputazione operata in sentenza senza il previo contraddittorio è quindi, causa di nullità generale a regime intermedio, per violazione del diritto di difesa, e ciò anche nelle ipotesi in cui la riqualificazione sia più favorevole per l'imputato ( Sez. I, sent. n 28590/2011) perché anche in tal caso,la difesa potrebbe essere pregiudicata dalla mancata informazione, in quanto impedita di adottare diverse opzioni strategiche e modularsi in rapporto alla differente qualificazione giuridica della condotta, rispetto alla quale, oltretutto, le emergenze processuali potrebbero assumere, a loro volta, diversa e nuova rilevanza.

100 Recentemente si è venuta consolidando giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui l'osservanza del diritto al contraddittorio in ordine alla natura e alla qualificazione giuridica sancito dall'art. 6 CEDU è assicurata anche quando il giudice d'appello provveda alla riqualificazione dei fatti direttamente in sentenza, senza preventiva interlocuzione sul punto, in quanto l'imputato può comunque pienamente esercitare il diritto di difesa proponendo ricorso per cassazione ai sensi dell' art. 606 lett. b) c.p.p. trattandosi di questione di diritto la cui trattazione non incontra limiti nel giudizio di legittimità (sent. nn. 32840/2012; 17782 /2014; 464011/2014 e 12612/2015)

101 Sulla base di tale orientamento “restrittivo” la Casazione (Sez. II 12 dicembre 2014 n. 1378) ha affermato che quando il fatto ravvisato all'esito del grado d'appello costituisce un minus rispetto a quello originariamente contestato, deve escludersi violazione dell'art. 521 c.p.p o concreta menomazione del diritto di difesa. La diversa qualificazione giuridica non collide neppure con la sentenza Drassich: infatti, essa riguarda il caso di una qualificazione giuridica più grave o che comunque abbia dato luogo a conseguenze negative e sia avvenuta nell'ultimo grado di giudizio senza che al riguardo l'imputato abbia potuto interloquire.

102 Quindi se la diversa qualificazione giuridica è stata fornita nella sentenza d'appello, con successiva possibilità per il ricorrente di difendersi nel giudizio di legittimità; è risultata meno grave e non ha comportato alcuna conseguenza deteriore per l'imputato, neppure in termini di diversa strategia difensiva non è invocabile la violazione dell'art. 6 Cedu. Sempre su tale filone interpretativo si inserisce Sez. II 4 marzo 2015 n.12612 per la quale non sussiste violazione della Cedu anche in caso di modificazione della imputazione in sentenza da contravvenzione a delitto (il caso del marchio CE) sempreché i fatti oggetto di contestazione sostanzialmente coincidano (identità del fatto storico).

103 In tema di rapporto fra modifica della imputazione e oblazione è intervenuta Sezioni Unite 26 giugno 2014 n.32351: o ve la contestazione elevata nei confronti dell'imputato faccia riferimento ad un reato per il quale non è consentita l'oblazione di cui agli art. 162 – 162 bis c.p. qualora l'imputato ritenga non corretta la relativa qualificazione giuridica del fatto è suo onere formulare istanza di ammissione all'oblazione in rapporto alla diversa qualificazione che contestualmente solleciti al giudice, con la conseguenza che, in mancanza di tale richiesta, il diritto a fruire della oblazione stessa resta precluso ove il giudice provveda di ufficio, a norma dell'art. 521 c.p.p., comma 1, ad assegnare al fatto la diversa qualificazione che consentirebbe l'applicazione del beneficio, con la sentenza che definisce il giudizio.


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