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PubblicatoGiuditta Marconi Modificato 8 anni fa
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L’esistenzialismo
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Esistenzialismo – Contesto Cronologia: nasce nel periodo tra le due guerre mondiali; si diffonde e diventa “moda” nel secondo dopoguerra. Contesto storico-culturale: Crisi delle certezze e dei miti ottocenteschi.
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Esistenzialismo – Caratteri Tematizza l’esistenza come modo d’essere proprio dell’uomo nella sua individualità concreta. Sottolinea gli aspetti di finitezza, di non definitività e di precarietà dell’esistenza e degli stati emotivi che li esprimono (paura, angoscia, nausea, ecc.).
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Esistenzialismo - Fonti Il pensiero di Sören Kierkegaard (1813- 1855) Il metodo fenomenologico proposto da Edmund Husserl (1859-1938)
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Kierkegaad e Hegel Kierkegaard contesta a Hegel: La pretesa di costruire un sistema onnicomprensivo. La scissione filosofia-vita. L’aver posto come protagonista lo Spirito invece del Singolo. La sintesi dialettica facile e astratta L’identificazione finito-infinito. L’Assoluto è invece oggetto di una tensione incompiuta.
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La dialettica dell’aut-aut L’esistenza richiede delle scelte inconciliabili. Kierkegaard distingue tra: Stadio estetico (Don Giovanni): ricerca dell’ infinito nell’istante, che porta alla disperazione Stadio etico: accettazione della scelta, responsabilità, continua “ripresa”. Stadio religioso (Abramo): si compie il “salto nella fede” affidandosi a Dio al di là di ogni garanzia etica e logica.
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Fenomenologia Rifiuto delle riduzioni positiviste. Tendenza al concretezza: la filosofia deve aderire all’esperienza in tutte le sue dimensioni. Più che contenuti propone un metodo di indagine (che sarà fatto proprio dagli esistenzialisti).
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Fenomeno Non inteso kantianamente ma come la manifestazione immediata alla coscienza degli oggetti: compito del fenomenologo è descrivere i fenomeni (invece che interpretarli) e di ricercare gli aspetti essenziali. L’ “intuizione eidetica” (= delle essenze) richiede nell’osservatore, l’assunzione di un atteggiamento di spettatore disinteressato.
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I filosofi esistenzialisti Tedeschi: Karl Jaspers (1883-1969) Martin Heidegger (1889-1976) limitatamente all’opera Essere e tempo (1927) Francesi: Gabriel Marcel (1889-1973) Jean Paul Sartre (1905-1980)
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L’analitica esistenziale in Essere e tempo Heidegger
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Essere e tempo Heiddeger muove da un interesse ontologico: vuole riproporre la domanda sul senso dell’essere: Dal momento che l’unico fra gli enti che si interroga sull’essere è l’uomo, egli gode di un rapporto privilegiato con l’essere. L’indagine sul senso dell’essere presuppone quindi una preliminare indagine fenomenologica sull’uomo
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L’Esserci come esistenza L’uomo (che Heidegger chiama “Dasein”, Esserci): È poter-essere: non ha una “essenza” data: è ciò che ancora ha da essere qualche cosa, è autotrascendenza, progetto. È esistenza: nel senso di ex-sistere, dello stare fuori di sé in direzione di una possibilità da attuare.
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L’essere-nel-mondo L’Esserci è anzittuto caratterizzato dall’essere-nel-mondo Il mondo non è contrapposto al soggetto: è un carattere dell’Esserci stesso. L’Esserci è già da sempre presso le cose. Le cose non sono “oggetti”, semplici presenze: sono strumenti, hanno un significato.
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Esistenza inautentica Il modo in cui l’Esserci si trova a realizzarsi nel mondo è l’omologazione a comportamenti e opinioni già date: L’Esserci agisce e pensa come si agisce e come si pensa, come si rivela nelle tre “figure” dell’esistenza inautentica: chiacchiera: discorso senza comunicazione curiosità: superficiale interesse per nuovo; equivoco: non si sa di cosa si parla.
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Essere-per-la-morte L’esistenza autentica si realizza nell’ anticipazione della morte. Essa è, infatti: autentica possibilità (non è mai attuale); possibilità autentica (= la più propria) per l’Esserci in quanto poter-essere: è la “possibilità dell’impossibilità di ogni possibilità” Anticipare la morte significa assumere ogni possibilità in quanto possibilità.
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[…] “Si muore”; ma […] si sottintende: di volta in volta non sono io. Infatti il Si è il nessuno. [...] Il morire, che è mio in modo assolutamente insostituibile, è confuso con un fatto di comune accadimento che capita al Si. […] Con quest‘equivoco l’esserci si pone nella condizione di perdersi nel Si proprio rispetto al poter-essere che più di ogni altro costituisce il suo se-Stesso più proprio. Il Si fonda e approfondisce la tentazione di coprire a se stesso l’essere- per-la-morte più proprio. […] Il Si non ha il coraggio dell’angoscia davanti alla morte. [...] Nell’angoscia davanti alla morte, l’esserci è condotto davanti a se stesso in quanto rimesso alla sua possibilità insuperabile. Il Si si prende cura di trasformare quest’angoscia in paura di fronte a un evento che sopravverrà. [...] Un essere-per-la-morte è l‘anticipazione di un poter-essere di quell’ente il cui modo di essere è l’anticiparsi stesso. Nella scoperta anticipante di questo poter-essere, l’esserci si apre a se stesso nei confronti della sua possibilità estrema. Ma progettarsi sul poter essere più proprio significa poter comprendere se stesso entro l’essere dell’ente così svelato: l’anticipazione dischiude all’esistenza, come sua estrema possibilità, la rinuncia a se stessa, dissolvendo in tal modo ogni solidificazione su posizioni esistenziali raggiunte. Heidegger, Essere e tempo
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L’Essere e il nulla (1943) Sartre
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Essere in sé e essere per sé Sartre distingue due strutture dell’essere: L’in sé, il dato che la coscienza si trova davanti, opaca fattualità, gratuità. il per sé, cioè la coscienza, l’aprirsi alle cose inserendole in una rete di significati. Proprio in quanto la coscienza non è il dato Sartre chiama il per sé nulla: la coscienza in quanto dà dei significati al dato, lo nega come dato, lo nullifica;
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Libertà Il potere nullificante della coscienza che proietta sul mondo i suoi significati è per Sartre la chiave della libertà. L’uomo è interamente responsabile di se stesso e del mondo: Non c’è nulla di inumano, o di accidentale: un avvenimento sociale che erompe e mi trascina se non mi sottraggo ad esso, l’ho scelto.
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Non senso La libertà è però anche una condanna: Ogni coscienza tende a nullificare l’altra: il rapporto con gli altri è necessariamente conflittuale. Non sono libero di essere libero: il fatto di essere al mondo per l’uomo e per gli enti è qualcosa di assurdo, che non ha spiegazioni: scopi e fini nascono solo con l’uomo che tenda di dare senso non ne ha.
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Eravamo un mucchio di esistenti impacciati, imbarazzati da noi stessi, non avevamo la minima ragione d'esser lì, né gli uni né gli altri, ciascun esistente, confuso, vagamente inquieto si sentiva di troppo in rapporto agli altri. Di troppo : era il solo rapporto ch'io potessi stabilire tra quegli alberi, quelle cancellate, quei ciottoli. Invano cercavo di contare i castagni, di situarli in rapporto alla Velleda, di confrontare la loro altezza con quella dei platani: ciascuno di essi sfuggiva dalle relazioni nelle quali io cercavo di rinchiuderli, s'isolava, traboccava. Di queste relazioni (che m'ostinavo a mantenere per ritardare il crollo del mondo umano, il mondo delle misure, delle quantità, delle direzioni) sentivo l'arbitrarietà; non avevano più mordente sulle cose. Di troppo, il castagno, lì davanti a me, un po' a sinistra. Di troppo la Velleda… Ed io - fiacco, illanguidito, osceno, digerente, pieno di cupi pensieri - anch'io ero di troppo. Sartre, La nausea
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