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PubblicatoLuciano Colucci Modificato 8 anni fa
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Prof.ssa A. Damato Seminario del 6 novembre sul tema “Immigrazione irregolare” Carenza strutturale di sviluppo demografico e progressivo invecchiamento della popolazione mondiale immigrazione quale principale motore della evoluzione demografica dell’Unione fattore per far fronte alla penuria di forza lavoro e di competenze specializzate Carenza strutturale di sviluppo demografico e progressivo invecchiamento della popolazione mondiale immigrazione quale principale motore della evoluzione demografica dell’Unione fattore per far fronte alla penuria di forza lavoro e di competenze specializzate
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L’Unione europea con l’istituzione della cittadinanza europea, avvenuta con il Trattato di Maastricht nel 1992, ha posto le basi per un superamento della barriera dell’appartenenza fondata su criteri etnici e culturali. RESIDENZA quale criterio per l’attribuzione di diritti e fattore di appartenenza a una determinata comunità politica di natura sovranazionale L’Unione europea con l’istituzione della cittadinanza europea, avvenuta con il Trattato di Maastricht nel 1992, ha posto le basi per un superamento della barriera dell’appartenenza fondata su criteri etnici e culturali. RESIDENZA quale criterio per l’attribuzione di diritti e fattore di appartenenza a una determinata comunità politica di natura sovranazionale
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Normativa di riferimento in tema di immigrazione regolare Originariamente le Comunità europee non prestarono particolare attenzione al tema della migrazione dei cittadini di paesi terzi verso gli Stati membri in quanto il fenomeno non era quantitativamente rilevante. Attraverso la disciplina sulla libertà di circolazione dei lavoratori, l’interesse era concentrato prevalentemente sugli spostamenti tra gli Stati membri dei cittadini degli stessi. Assenza di una specifica competenza della Comunità nella materia Resistenze degli Stati membri Mancata adozione di misure tendenti ad affrontare i problemi indicati attraverso azioni comuni a livello comunitario. Con l’adozione dell’Atto Unico Europeo (AUE, 1986), il tema dell’immigrazione fu sostanzialmente ignorato.
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Divergenze nazionali e propensione per la cooperazione intergovernativa spinsero a soluzioni alternative che trovano una chiara testimonianza nella conclusione dell’Accordo di Schengen tra Germania, Francia e paesi del Benelux il 14 giugno 1985, con il fine di eliminare i controlli alle frontiere interne, disciplinando, tra l’altro, anche le condizioni di ingresso, soggiorno e circolazione degli stranieri nel territorio degli Stati contraenti.
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Trattato di Maastricht (1992) l’immigrazione riceve un primo quadro normativo creazione dell’Unione europea istituzionalizzazione della cooperazione intergovernativa anche per quanto concerne l’immigrazione nell’ambito del “terzo pilastro” del TUE Limiti Limiti: “metodo intergovernativo” con ruolo decisionale di esclusiva competenza dei governi degli Stati membri attraverso il Consiglio; Commissione associata ai lavori del “terzo pilastro” attraverso il potere d’iniziativa (condiviso, però con gli Stati membri), Parlamento europeo esclusivamente informato o consultato sui lavori del Consiglio
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Art. K. 1 TUE: ai fini del raggiungimento degli obiettivi dell’Unione, in particolare la libera circolazione delle persone – gli Stati membri consideravano “questioni di interesse comune” alcuni settori e tra questi “la politica d’immigrazione e la politica da seguire nei confronti dei cittadini dei paesi terzi”, in particolare per quanto concerne le condizioni di ingresso, circolazione e soggiorno (ivi compreso il ricongiungimento familiare e l’accesso all’occupazione) nel territorio degli Stati membri, nonché la lotta all’immigrazione, al soggiorno e al lavoro irregolari. Gli Stati membri si impegnavano esclusivamente a coordinare le loro azioni attraverso lo scambio di informazioni e la consultazione reciproca (art. K.3, par. 1, TUE). Inoltre, in relazione agli strumenti d’azione, era previsto che il Consiglio potesse – su iniziativa di uno Stato membro o della Commissione – adottare “posizioni comuni” e “azioni comuni” o elaborare “convenzioni” (art. K.3, par. 2, lett. a), b), c), TUE).
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Trattato di Amsterdam del 1997. “comunitarizzazione” della politica dell’immigrazione attraverso l’inserimento di un Titolo IV nel TCE dedicato a “Visti, asilo, immigrazione e altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone”. Vengono ricondotti nell’ambito del primo pilastro non solo i settori in precedenza contemplati dall’art. K.1, ma anche tutte le questioni in qualche modo connesse alla circolazione delle persone, ricomponendo la pertinente disciplina nel contesto del sistema comunitario. Direttiva 2003/86/CE sul ricongiungimento familiare e la direttiva 2003/109/CE sullo status dei soggiornanti di lungo periodo. Programma dell’Aja (2004-2009) relativo alle politiche concernenti lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, nel contesto del quale l’integrazione dei cittadini di paesi terzi costituisce un elemento di sicura centralità,. Trattato di Lisbona (2007).
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L’Unione, al fine di realizzare lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, ha COMPETENZA a sviluppare una politica comune in materia di immigrazione che deve essere equa nei confronti dei cittadini di paesi terzi. Art. 79 TFUE. Tale norma conferma l’impegno dell’Unione a sviluppare una politica comune dell’immigrazione finalizzata ad assicurare una efficace gestione dei flussi migratori, l’equo trattamento dei cittadini di paesi terzi e la prevenzione e il contrasto all’immigrazione illegale e alla tratta degli esseri umani. Il salto di qualità rispetto agli assetti normativi precedenti è evidente se si considera che questi non ponevano l’obiettivo della realizzazione di una politica comune nella materia, bensì garantivano all’Unione la competenza ad adottare “misure” di politica dell’immigrazione.
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Immigrazione irregolare Politica di gestione integrata delle frontiere; funzione preventiva all’ingresso irregolare di stranieri Norme repressive che sanzionano in modo uniforme i comportamenti che favoriscono e rendono possibile l’immigrazione irregolare prevenzione movimenti secondari di persone che potrebbero crearsi qualora alcuni Stati membri avessero un atteggiamento più tollerante verso il fenomeno in esame.
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Spazio Schengen Accordo del 14 giugno 1985 a Schengen tra Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi, con il quale tali Stati convenivano di creare fra di essi un territorio senza frontiere. Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen del 19 giugno 1990, che ha permesso di abolire i controlli interni tra gli Stati firmatari e di creare una frontiera esterna unica lungo la quale i controlli all’ingresso nello spazio Schengen vengono effettuati secondo procedure identiche. La Convenzione di Schengen e le decisioni ed atti adottati in applicazione di essa dalle parti contraenti sono stati rifusi nel sistema comunitario con il Trattato di Amsterdam cui è stato allegato il Protocollo sull’integrazione dell’acquis di Schengen nell’ambito dell’Unione europea (c.d. acquis di Schengen) Con le due decisioni n. 1999/435/CE del 20 maggio 1999 e n. 1999/436 del 20 maggio 1999 sono state individuate le singole disposizioni o decisioni che costituiscono l’acquis di Schengen e ne è stata determinata la base giuridica al fine di determinarne il regime di applicazione, diverso a seconda che rientrassero nel primo o nel terzo pilastro comunitario. Anche dopo la comunitarizzazione, l’acquis di Schengen non si applica ad alcuni Stati membri ed è invece esteso a Stati che non partecipano all’Unione. L’acquis di Schengen è rifuso nel Regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, meglio noto come Codice frontiere Schengen.
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Le frontiere interne Va precisato che per frontiere interne si intendono le frontiere terrestri comuni tra gli Stati Schengen, i loro aeroporti adibiti al traffico interno ed i porti marittimi e lacustri degli Stati Schengen per i collegamenti regolari effettuati da traghetti; la nozione di frontiere esterne è invece residuale perché include tutte le frontiere marittime, terrestri, aeree, fluviali e lacustri che non possano essere considerate interne. L’attraversamento delle frontiere interne è regolato dal principio della assenza di controlli. Tuttavia, in caso di minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna, un paese dell’UE può, in via eccezionale, ripristinare il controllo alle frontiere interne per un periodo limitato (art. 23). Tale decisione può essere assunta seguendo la procedura di cui all’art. 24, applicabile quando sia conosciuta o prevedibile la grave minaccia all’ordine pubblico o alla sicurezza, ad esempio nel caso di importanti manifestazioni sportive o politiche. Essa prevede una previa comunicazione agli altri paesi dell’UE e alla Commissione nella quale devono essere indicate, dallo Stato membro che intende ripristinare i controlli, la durata della misura, le frontiere cui è applicata, i controlli previsti e ogni altro dato utile. La Commissione può emettere un parere che formerà oggetto di una consultazione tra lo Stato membro interessato, gli altri Stati membri e la Commissione stessa, al fine di organizzare una cooperazione reciproca ed esaminare la proporzionalità delle misure rispetto agli avvenimenti all’origine del ripristino del controllo; la consultazione deve svolgersi almeno quindici giorni prima della data prevista per il ripristino. La decisione di ripristinare il controllo alle frontiere interne è presa secondo criteri di trasparenza e ne viene data piena informazione al pubblico, salvo che imprescindibili motivi di sicurezza lo impediscano.
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Le frontiere esterne L’attraversamento delle frontiere esterne è soggetto ad un regime uniforme di controlli. Tale regime è a sua volta distinto a seconda che l’attraversamento venga attuato da soggetti che godono del diritto alla libera circolazione nel territorio comunitario, ovvero da cittadini di Stati terzi che non godono di tale diritto. La nozione di “soggetti che godono del diritto alla libera circolazione” è più ampia di quella di cittadino dell’Unione e, introdotta per la prima volta nel Codice frontiere Schengen.
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Nella nozione rientrano: i cittadini dell’Unione, nonché i cittadini dei paesi terzi membri della famiglia di un cittadino dell’Unione che esercita il suo diritto alla circolazione sul territorio dell’Unione europea ai sensi della direttiva 2004/38/CE del 29 aprile 2004; i cittadini dei paesi terzi e i membri delle loro famiglie, quale che sia la loro nazionalità che, ai sensi di accordi conclusi dalla Comunità e dai suoi Stati membri, da un lato, e dai suddetti paesi, dall’altro, godono di diritti in materia di libera circolazione equivalenti a quelli dei cittadini dell’Unione. Qualora l’attraversamento delle frontiere riguardi i soggetti ora indicati, è previsto un controllo minimo, volto ad accertare l'identità della persona che viaggia tramite la semplice e rapida verifica della validità del documento di viaggio e della assenza di indizi di falsificazione. A tale principio della assenza di controlli è posta una deroga nel caso in cui esistano indizi che la persona interessata rappresenti una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da poter compromettere l’ordine pubblico, la sicurezza nazionale o la salute pubblica di uno Stato membro.
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Negli altri casi, i cittadini di paesi terzi sono invece sottoposti, all’ingresso e all’uscita dal territorio dell’Unione, a controlli approfonditi che includono: a) la verifica del possesso di un documento di viaggio, incluso un visto valido, se richiesto; b) controlli relativi allo scopo del soggiorno e alla disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti; c) controlli tesi a verificare che il soggetto non costituisca una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la saluta pubblica o le relazioni internazionali dei paesi UE, ovvero che non sia segnalato i fini della non ammissione. I controlli di cui alla lett. c) sono svolti nelle banche dati nazionali e nel Sistema d’informazione Schengen (SIS) sostituito dal SIS II in base al regolamento (CE) n. 1987/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 dicembre 2006. Si tratta di un sistema informativo contenente determinate categorie di dati forniti da ciascuno Stato membro per le segnalazioni ai fini del rifiuto d’ingresso o di soggiorno. Tali dati devono risultare dalla segnalazione di una autorità amministrativa o giudiziaria la cui decisione deve essere fondata su una valutazione individuale che la persona di cui si esclude l’ingresso costituisca una minaccia per l'ordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sicurezza nazionale. È inoltre possibile inserire una segnalazione quando la decisione è fondata sul fatto che la persona di cui si tratti è stata oggetto di una misura di allontanamento.
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In caso di mancato rispetto delle condizioni previste per l’attraversamento delle frontiere esterne, ha luogo il respingimento che, tuttavia, «non pregiudica l’applicazione di disposizioni particolari relative al diritto d’asilo e alla protezione internazionale o al rilascio di visti per soggiorno di lunga durata» (art. 13). Deve ritenersi che nella eccezione così prevista al respingimento rientrino i soggetti che richiedono il riconoscimento dello status di rifugiato, ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951 e coloro che rischiano di vedere violati, nel paese in cui sono respinti, i diritti fondamentali individuati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – ad esempio, con riguardo all’art. 3 della Convenzione – e dagli altri organi di garanzia di accordi in materia di diritti umani al cui rispetto gli Stati siano vincolati.
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Agenzia Frontex e squadre RABIT Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea (Agenzia Frontex) e squadre di intervento rapido alle frontiere esterne (RABIT). L’Agenzia, istituita con regolamento (CE) n. 2007/2004 del Consiglio, adottato il 26 ottobre 2004, ha la sua sede a Varsavia ed è operativa dal 1° maggio 2005. Essa è un organismo europeo dotato di personalità giuridica e di una struttura organizzativa incentrata sul Consiglio di amministrazione e sul Direttore esecutivo. Il primo organo è composto di un rappresentante di ciascuno Stato Schengen e di due rappresentanti della Commissione. Ogni Stato membro nomina inoltre un supplente, mentre la Commissione ne nomina due. Il mandato dei membri del Consiglio di amministrazione è di quattro anni, rinnovabile per un secondo termine. Il Direttore esecutivo è invece un organo indipendente dagli Stati, nominato per cinque anni dal Consiglio di amministrazione sulla base del merito e della provata competenza in materia amministrativa e gestionale, nonché della relativa esperienza in materia di gestione delle frontiere esterne; egli è affiancato da un vicedirettore esecutivo.
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Competenze Le competenze dell’Agenzia sono limitate alle frontiere esterne e consistono essenzialmente nel coordinare la cooperazione operativa tra gli Stati membri. In particolare, l’Agenzia assiste gli Stati membri in materia di attività di ricerca, formazione del corpo delle guardie di frontiera, sostegno per organizzare operazioni di rimpatrio congiunte, gestione di circostanze che richiedono un’assistenza tecnica e operativa rafforzata alle frontiere esterne. Quest’ultima funzione è stata migliorata con la creazione, nel 2007, di squadre di intervento rapido alle frontiere (RABIT) di cui l’Agenzia coordina la composizione, la formazione e l’impiego in situazioni di emergenza. Tali squadre sono state istituite con regolamento (CE) n. 863/2007 dell’11 luglio 2007 – che ha modificato il regolamento (CE) n. 2007/2004 del Consiglio, istitutivo di Frontex – e sono costituite da guardie di frontiera particolarmente addestrate fornite da tutti gli Stati Schengen. La loro funzione è offrire sostegno ad uno Stato membro per un periodo di tempo limitato in situazioni urgenti ed eccezionali che si verificano, ad esempio, quando esso si trovi a fare fronte ad un afflusso massiccio di cittadini di paesi terzi che tentano di entrare illegalmente nel suo territorio. In tali situazioni, lo Stato membro interessato, che da solo non riesca ad operare un efficace controllo alle frontiere, può chiedere al direttore esecutivo di Frontex l’intervento di una squadra. Alla richiesta deve essere dato seguito entro cinque giorni e le squadre, una volta inviate nel territorio dello Stato membro, cooperano con le guardie di frontiera di quest’ultimo operando sotto la sua responsabilità ed il suo controllo.
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La disciplina repressiva Armonizzazione degli ordinamenti degli Stati membri per pervenire ad incriminazioni e sanzioni uniformi delle condotte di favoreggiamento dell’ingresso e del soggiorno irregolari. Tali condotte includono, oltre l’aiuto fornito allo straniero per realizzare l’ingresso e il soggiorno irregolari, anche il comportamento dei datori di lavoro che, assumendo manodopera clandestina, creano una forte attrattiva per i movimenti irregolari di persone. La prima tipologia di condotte è stata oggetto della direttiva 2002/90/CE e dalla decisione quadro 2002/946/GAI, entrambe adottate il 28 novembre 2002 e volte a rafforzare il quadro penale per la repressione del favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali. L’assunzione di migranti clandestini è stata invece contrastata con la direttiva 2009/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi soggiornanti illegalmente nell’Unione europea. La direttiva e la decisione quadro del 2002 vanno considerate unitariamente in quanto la prima definisce le condotte cui la seconda ricollega obblighi in materia di sanzioni, giurisdizione penale, estradizione: l’esistenza di due atti distinti per porre la disciplina di un unico fenomeno è dovuta al fatto che, prima della decisione della Corte di Giustizia del 13 settembre 2005, causa C-176/3 e della riforma di Lisbona, si riteneva che con una direttiva non potessero essere posti obblighi relativi a sanzioni, richiedendosi a tal fine un atto, come la decisione quadro, adottato sulla base del terzo pilastro.
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La direttiva pone in capo agli Stati l’obbligo di incriminare le condotte di chi a) intenzionalmente aiuti (o tenti di aiutare) un cittadino di paese terzo ad entrare o a transitare nel territorio di un paese membro, in violazione della legislazione di quest’ultimo relativa all'ingresso o al transito degli stranieri; b) intenzionalmente aiuti (o tenti di aiutare), a scopo di lucro, un cittadino di paese terzo a soggiornare nel territorio di uno Stato membro, in violazione della legislazione di detto Stato relativa al soggiorno degli stranieri. La previsione di due distinte fattispecie di reato di favoreggiamento è giustificata dall’esigenza di prevedere per la seconda, e non per la prima, il dolo specifico del fine di lucro, per evitare che possa assumere rilievo penale l’aiuto fornito ad immigrati in difficoltà dalle organizzazioni umanitarie che operano a tutela dei diritti umani o dai privati mossi da ragioni umanitarie. La direttiva obbliga gli Stati membri a sanzionare parimenti il tentativo, l’istigazione e la complicità nel favoreggiamento.
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Quanto alle sanzioni, l’armonizzazione è più incisiva per i casi in cui il reato sia realizzato da un’organizzazione criminale o metta in pericolo la vita delle persone che ne sono vittime: in tal caso, infatti la decisione quadro prevede che debbano essere applicate pene privative della libertà il cui massimo non può essere inferiore a otto anni. Negli altri casi, invece, l’atto in esame si limita a prescrivere che le sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive. Puramente facoltativa è la previsione di misure accessorie, quali la confisca del mezzo di trasporto utilizzato per commettere il reato, il divieto di continuare ad esercitare l’attività professionale svolta e l’espulsione.
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Responsabilità e sanzioni per le persone giuridiche La Decisione quadro introduce, all’art. 2, in parallelo a quella delle persone fisiche, la nozione di responsabilità delle persone giuridiche, imponendo agli Stati membri di garantire che le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili degli illeciti di cui agli artt. 1 e 2 perpetrati per loro conto da qualsiasi persona che agisca individualmente o in quanto parte di un organo della persona giuridica in cui detenga una posizione dominante. Non occorre che detta responsabilità sia esclusivamente di natura penale. Secondo la Decisione quadro, la persona giuridica verrà impegnata dalla condotta criminosa tenuta da parte di qualsiasi persona fisica che agisca individualmente o in quanto parte di un organo della persona giuridica in cui detenga una “posizione dominante”, “per conto” della persona giuridica stessa. La leading position può derivare dal potere di rappresentanza, dall’autorizzazione ad adottare decisioni a nome della persona giuridica, dall’esercizio del controllo in seno alla persona giuridica. Rilevano anche l’omessa sorveglianza o controllo dei dipendenti, se abbiano reso possibile la commissione degli illeciti in questione da parte di questi ultimi. Le sanzioni “proporzionate, effettive e dissuasive”, anche di natura non penale, possono comprendere, in forza dell’art. 3, per quanto riguarda gli illeciti dei soggetti di vertice, l’esclusione dal godimento di un vantaggio o aiuto pubblico, il divieto di esercitare un’attività commerciale, l’assoggettamento a sorveglianza giudiziaria, lo scioglimento giudiziario. Per quanto riguarda gli illeciti dei dipendenti ci si limita a dire che le sanzioni dovranno essere “proporzionate, effettive e dissuasive”.
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Giurisdizione L’art. 4 della Decisione quadro precisa i casi in cui gli Stati membri sono tenuti a definire la propria competenza giurisdizionale in merito agli illeciti di cui all’art. 1. La regola principale è il principio della territorialità, secondo il quale ciascuno Stato membro è tenuto a dichiarare competente la propria giurisdizione per gli illeciti commessi totalmente o parzialmente nel proprio territorio. Inoltre, gli Stati membri sono tenuti a dichiarare la propria giurisdizione per illeciti commessi da un cittadino o per conto di una persona giuridica stabilita nel territorio dello Stato membro, a meno che essi non decidano di avvalersi delle clausole di non applicabilità di cui all’art. 4, par. 2, conformemente con i requisiti procedurali di cui all’art. 4, par. 3. Quanto all’estradizione, va ricordato che al reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare si applica la decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato di arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri.
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I due atti dell’Unione non hanno ricevuto specifica attuazione nel nostro ordinamento. Art. 12, d.lgs. n. 286 del 1998, a seguito della modifica ad opera della l. 189/2002, ha esteso la previsione punitiva, dalle attività dirette a favorire l’ingresso illegale in Italia, alle condotte consistenti nel procurare l’immigrazione clandestina in un diverso Stato attraverso il transito su territorio italiano. Anche il suddetto art. 12, inoltre, prevede un dolo generico per il favoreggiamento all’ingresso e il dolo specifico del conseguimento del profitto per il favoreggiamento del soggiorno; la finalità di lucro è prevista come circostanza aggravante per la prima ipotesi di reato. Inoltre, l’art. 12, 4° comma, dispone la confisca obbligatoria del mezzo utilizzato, mentre le modifiche apportate dalla l. 189/2002 hanno determinato la rimodulazione delle sanzioni a seconda della presenza di circostanze aggravanti (quali l’avviamento alla prostituzione), sanzioni successivamente aumentate ad opera del d.l. 241/2004 prevedendo anche sconti di pena per chi collabora con la giustizia (art. 12, comma da 3 a 3-sexies).
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