La presentazione è in caricamento. Aspetta per favore

La presentazione è in caricamento. Aspetta per favore

09- 1 Corso di Laboratorio di Astrofisica Dipartimento di Fisica Università di Torino III Quadrimestre Silvano Fineschi.

Presentazioni simili


Presentazione sul tema: "09- 1 Corso di Laboratorio di Astrofisica Dipartimento di Fisica Università di Torino III Quadrimestre Silvano Fineschi."— Transcript della presentazione:

1 09- 1 Corso di Laboratorio di Astrofisica Dipartimento di Fisica Università di Torino III Quadrimestre Silvano Fineschi

2 09-2 Introduzione ai rivelatori a semiconduttore (photoconduttivi) Introduzione ai rivelatori a fotoemissione

3 09- Rivelatori per l’Astronomia Spaziale S. Fineschi 24 Febbraio 2010 3

4 09-4 Solar and Heliospheric Observatory (SOHO)

5 09-5 Immagini dei Rivelatori di SOHO

6 09-66 Rivelatori a semiconduttore: generalità I rivelatori a semiconduttore sono basati sull’effetto fotoconduttivo intrinseco, per cui un fotone incidente che possiede un’energia h maggiore dell’energy gap E g caratteristica del materiale è in grado di produrre una coppia elettrone- lacuna. Sia l’elettrone nella banda di conduzione, sia la lacuna nella banda di valenza partecipano al meccanismo di conduzione elettrica. Ecco quindi che dalla misura della corrente elettrica prodotta dall’interazione della radiazione luminosa con il materiale semiconduttore è possibile determinare l’intensità della radiazione incidente. Vi sono due categorie principali di rivelatori a semiconduttore:  costituiti da un unico materiale (ad esempio i fotoresistori in silicio per il visibile, o quelli in InSb e InGaAs per l’infrarosso)  costituiti dalla giunzione di due diversi materiali (fotodiodi): Fotovoltaici (non polarizzati) Fotoconduttori (polarizzati inversamente) Fotodiodi a valanga (necessitano sempre di alimentazione esterna)

7 09-77 Fotodiodi a giunzione Lo scopo dei fotodiodi è di rivelare la radiazione luminosa (visibile o infrarossa) che colpisce il corpo del diodo stesso. La struttura interna di un fotodiodo è molto simile a quella dei diodi PIN: la zona intrinseca è progettata per reagire alla luce generando una coppia di portatori (un elettrone e una lacuna) che contribuiscono al passaggio di corrente attraverso il diodo. Si usano in polarizzazione inversa: in questa condizione, la corrente che attraversa il diodo è dovuta (quasi) esclusivamente alla luce incidente, ed è proporzionale all'intensità luminosa.

8 09-88 Fotodiodi a giunzione in Si Quando si applica una tensione ad un fotodiodo al “buio”, si osserva la curva corrente-tensione . Quando però la luce incide sul fotodiodo, la curva corrente-tensione misurata è la . Se si aumenta il segnale luminoso, la curva trasla parallelamente come la, proporzionalmente all’intensità della radiazione incidente. Se il fotodiodo si trova in un circuito chiuso, allora esso produce una corrente dall’anodo al catodo proporzionale all’intensità della radiazione. Se il circuito è aperto, si genera una tensione ai capi del fotodiodo, con l’anodo come terminale positivo.

9 09-99 Fotodiodi PIN in InGaAs I fotodiodi PIN in InGaAs sono rivelatori per il NIR a basso rumore, con ottime caratteristiche di risposta in frequenza ed ad alta velocità. Possono essere raffreddati, raggiungendo bassissime correnti di buio ed elevata sensibilità.

10 09-10 Rivelatori HCT (HgCdTe) fotoconduttivi I rivelatori HCT hanno il grande vantaggio che l’energy gap del cristallo HgCdTe può essere variato variando il rapporto dei componenti base HgTe e CdTe: in questo modo si possono ottenere caratteristiche spettrali diverse.

11 09-11 Rivelatori a semiconduttore composti: risposta spettrale

12 09-12 Charge Coupled Device (CCD) Il CCD è un dispositivo in Si organizzato in modo da formare una matrice di elementi fotosensibili in cui accumulare cariche (prodotte dalla radiazione incidente) e leggerne il contenuto successivamente. La struttura di un elemento base del CCD è quella di una capacità MOS. Applicando un potenziale all'elettrodo, questa particolare struttura consente di creare una regione dove accumulare le cariche generate dai fotoni interagenti con il dispositivo.

13 09-13 Funzionamento del CCD Schematizzando, si possono individuare quattro operazioni fondamentali:  generazione delle cariche per effetto fotoelettrico  raccolta delle cariche nelle capacità MOS, tramite la creazione di buche di potenziale  trasferimento delle cariche, variando i potenziali degli elettrodi in modo opportuno, verso lo stadio di lettura (shift register analogico);  estrazione del segnale mediante il circuito di uscita che converte la carica in una tensione proporzionale e la amplifica opportunamente

14 09-14 Funzionamento del CCD: raccolta delle cariche La raccolta delle cariche nel CCD avviene tramite la creazione di una buca di potenziale nella struttura MOS: questo avviene tramite la tensione applicata ad un contatto in polisilicio cristallino trasparente alla radiazione visibile depositato sopra il sottile strato di ossido. Dopo la generazione buca-elettrone, gli elettroni si accumulano nello strato di inversione.

15 09-15 Funzionamento del CCD: il pixel Un pixel (picture element) del CCD è realizzato (in un CCD a tre fasi) tramite tre elettrodi in polisilicio posti trasver- salmente a due regioni channel-stop. Se il potenziale nell’elettrodo mediano è più positivo degli altri due, si crea un minimo locale di energia potenziale ed i fotoelettroni si raccolgono sotto a questo elettrodo. Le lacune diffondono nel materiale e vengono raccolte nel substrato P. La carica raccolta nella buca è linearmente collegata all’intensità del flusso di fotoni e al tempo di integrazione. NB Esistono anche CCD con pixel a due e a quattro fasi

16 09-16 Funzionamento del CCD: trasferimento della carica Il trasferimento di carica è l’operazione che sposta i pacchetti di carica lungo gli elementi del CCD fino alla porta di lettura.

17 09-17 Il CCD come rivelatore bidimensionale Tipicamente il CCD consiste di un array rettangolare di pixels: attualmente si realizzano CCD fino a 2k  4.6k pixels (tipicamente per applicazioni scientifiche).

18 09-18 Il CCD a frame transfer e a full frame Vi sono due modi principali di funzionamento per i CCD bidimensionali:  modalità TV (frame transfer)  modalità full frame Nel primo caso, il CCD è diviso in due zone identiche: area immagine, sensibile alla radiazione incidente, e area memoria, in cui l’immagine è trasferita per la successiva lettura sequenziale. Nel secondo, l’intera superficie del CCD costituisce l’area immagine.

19 09-19 Il CCD a interline transfer Una telecamera digitale tipicamente ha un CCD a interline transfer. Questo tipo di CCD trasferisce la carica accumulata in una colonna di pixel in uno shift registers adiacente (uno per ogni colonna). A causa della “extra” elettronica richiesta, il “fill factor”, cioè l’area sensibile del pixel è relativamente piccola (circa il 30% dell’area del pixel). Per migliorare quindi l’efficienza di rivelazione di questi dispositivi si mettono delle microlenti sull’are attiva, in modo da raccogliere più luce; in questo modo si hanno dei fill factor effettivi dell’ordine del 70%.

20 09-20 Risposta spettrale del CCD Front Illuminated CCD Back Illuminated CCD

21 09-21 Il CMOS APS (Active Pixel Sensor) Il CMOS (Complementary Metal-Oxide-Semiconductor) active pixel sensor (APS) è un sensore a stato solido di seconda generazione inventato nel 1980 al JPL (NASA Jet Propulsion Laboratory, Pasadena, CA, USA). Il goal di questa tecnologia è quello di realizzare una “camera on a chip” che abbia una completa interfaccia digitale. In questo modo, un sistema di acquisizione di immagini completo consiste di: ottiche, un alimentatore, un array CMOS APS con on-chip ADC ed un microprocessore per caricare le istruzioni al sistema e scaricare i dati. Tra CCD e APS non ci sono sostanziali differenze nei processi di generazione delle cariche (eccitazione fotonica) e della raccolta delle cariche nelle buche di potenziale; le differenze tra i due sensori si hanno nel trasferimento e nella lettura delle cariche.

22 09-22 Confronto CMOS APS - CCD (I)  La tecnologia CMOS APS è completamente CMOS compatibile (largamente utilizzata in elettronica per realizzare componentistica digitale basata sui transistor), per cui è facile integrare il timing on-chip e l’elettronica di controllo, riducendo i costi e la complessità di realizzazione.  Il costo per realizzare un wafer CMOS è un terzo di quello necessario per fabbricare un simile wafer per CCD (che utilizza una tecnologia dedicata)  Per realizzare una qualsiasi operazione con i circuiti CMOS basta una sola alimentazione (il CCD ha tipicamente tre diverse linee di alimentazione). Inoltre, lo shuttering elettronico, la finestratura della regione attiva, l’impostazione del tempo di integrazione possono essere fatti in modo completamente indipendente.

23 09-23 Confronto CMOS APS - CCD (II)  I CMOS presentano una maggiore flessibilità nelle architetture e geometrie dei pixel  Nei CMOS basta una bassa potenza: sono stati realizzati array APS che hanno operato a 3.3 V con una potenza di soli 300 mW.  È possibile implementare la tecnologia CMOS per realizzare componenti rad hard, che sono di estremo interesse per le applicazioni spaziali.  La corrente di buio è minore nei CCD: CMOS:1 nA/cm² CCD:1-10 pA/cm²  La qualità delle immagini ottenute con rivelatori APS è minore di una corrispondente immagine a CCD a causa dell'architettura dei pixel CMOS  Attualmente i rivelatori APS presentano una relativamente scarsa uniformità dei pixel (Fixed Pattern Noise)  Siccome molta area del pixel CMOS è occupata dai transistor di amplificazione, i rivelatori APS hanno un basso fill-factor

24 09-24 Problema del Fill-Factor negli APS Oscuramento da metallizazione La maggior parte della superficie del pixel è usata per il circuito di lettura e di amplificazione: di conseguenza, il fill-factor per i normali APS è piccolo (meno del 30%). Purtroppo un semplice aumento delle dimensioni del fotodiodo aumenta la dimensione del pixel e la capacità parassita del fotodiodo (e quindi il rumore). Un’altra tecnica utilizzata è quella di porre delle microlenti di fronte al fotodiodo: purtroppo queste microlenti hanno una bassa efficienza per grandi aperture, non hanno un buon coating antiriflesso, e necessitano di processi di fabbricazione non standard (aumento dei costi di produzione). Fotoelettroni raccolti dalle giunzioni non sensibili del pixel Dimensioni ridotte della giunzione sensibile Ricombinazione dei fotoelettroni fotodiodo

25 09-25 APS: il sensore IBIS4-14000 (FillFactory-Cypress)

26 09-26 Sorgenti di rumore nei rivelatori ad array ARRAY (CCD/APS) Photon shot noise Dark current shot noise Fixed pattern noise Photo Response Non Uniformity SENSE NODE Reset noise AMPLIFIERS White noise 1/f noise ADC Quantization noise

27 09-27 Rumore fotonico e distribuzione di Poisson Per rumore fotonico si intende sia la casualità nel tempo di arrivo dei singoli fotoni emessi da una sorgente, sia la casualità nella rivelazione dei fotoni, e quindi nella casualità delle fluttuazioni temporali del segnale dal rivelatore. A causa della natura probabilistica dell’emissione di fotoni (o della loro rivelazione), il numero di fotoni effettivamente emesso durante un intervallo di tempo T in generale devierà dal valore medio µ di fotoni emessi nello stesso intervallo di tempo. La probabilità p(N) che durante un intervallo di tempo di lunghezza T siano emessi N fotoni è dato dalla funzione di distribuzione di Poisson. Quando il valor medio tende a infinito, la distribuzione di Poisson tende ad una distribuzione normale. Un’altra proprietà della distribuzione di Poisson è che la varianza della distribuzione è uguale alla media µ ; quindi la deviazione standard, che è data dalla radice quadrata della varianza, è. Quindi il rapporto segnale/ rumore del flusso di fotoni è

28 09-28 Rumore fotonico e distribuzione di Poisson Consideriamo ora un rivelatore con efficienza quantica , e indichiamo con n q il numero medio di fotoni incidenti sul rivelatore (quindi n q si identifica con µ ). Il numero n e di elettroni creati nel rivelatore dall’assorbimento di n q fotoni è pari a Siccome la statistica degli elettroni generati nel rivelatore segue anch’essa una distribuzione di Poisson, possiamo dire che la deviazione standard nel numero di elettroni generati è pari a Di conseguenza, il rapporto segnale/rumore del segnale rivelato è Questo rapporto segnale/rumore è funzione della natura dell’emissione dei fotoni, e non può essere migliorato usando migliori rivelatori o migliori elettroniche: è una limitazione fisica fondamentale.

29 09-29 Rumore shot: fotonico e di corrente di buio Si definisce come rumore di tipo shot (shot noise) il rumore dovuto alla natura discreta dei portatori di informazione, descritto da una distribuzione di Poisson. Lo shot noise fotonico produce quindi una fluttuazione del segnale di uscita che è proporzionale alla radice quadrata del livello del segnale. L’importanza di questo rumore aumenta quindi con l’aumentare del numero di portatori. Tuttavia, il contributo dello shot noise diventa percentualmente meno critico all’aumentare del segnale: infatti, nelle misure a conteggio (fino a qualche centinaio di eventi per intervallo di tempo e/o superficie) lo shot noise è indicativamente superiore al 5% (ad esempio N/S = 20/400, se consideriamo l’efficienza del rivelatore unitaria); ma nelle misure a integrazione, dove si raccolgono moltissimi eventi, lo shot noise ha percentuali spesso irrilevanti rispetto ad altre sorgenti di rumore. Si capisce quindi che lo shot noise sia presente solo quando si opera in regime di conteggio di portatori di informazione, o di poco superiore. Anche la corrente di buio, che è una grandezza che si cerca sempre di minimizzare, e che spesso è di pochi elettroni per evento temporale considerato, presenta uno shot noise, dovuto alle fluttuazione della stessa. Mentre il valor medio della corrente di buio è sottraibile al segnale, queste fluttuazioni del segnale di buio rimangono. Solitamente, lo shot noise della corrente di buio è il rumore dominante se si opera in integrazione.

30 09-30 Rumore di pattern Il rumore di pattern (pattern noise) si riferisce a pattern spaziali che non cambiano in modo significativo da acquisizione ad acquisizione. Il FPN (Fixed Pattern Noise, o Dark Current Non Uniformity, DCNU) si riferisce alla variazione pixel a pixel quando il detector è al buio. È quindi una differenza di corrente di buio che ciascun pixel ha rispetto agli altri. È un rumore indipendente dal segnale che si somma agli altri rumori. In genere, il FPN è dovuto a differenze nelle dimensioni dei pixel del rivelatore, alla densità del drogaggio e a trappole create durante la fabbricazione dovuta ad agenti esterni. La PRNU (PhotoResponse Non-Uniformity) è invece la variazione di risposta nei pixel e si osserva quando il detector è illuminato. È dovuto a piccole differenze nelle dimensioni dei pixel del rivelatore, alla risposta spettrale e allo spessore dei vari strati di materiale. Il contributo predominante al pattern noise di un CCD è la PRNU, in quanto nei CCD la corrente di buio diminuisce raffreddando il detector. In un APS invece, nel pattern noise si devono considerare entrambi i contributi perché la corrente di buio (benché anche qui diminuisca con la temperatura) è più significativa.

31 09-31 Rumore di reset Il rumore associato al reset del nodo di sensing è anche detto rumore kTC, perché dovuto al rumore termico generato dalla resistenza del FET di reset. La corrente di rumore è data da dove k è la costante di Boltzmann, T è la temperatura misurata in Kelvin, R è la resistenza del circuito e  f è la banda passante in frequenza. Siccome la resistenza è in parallelo con la capacità C del nodo di sensing, si trova che la banda equivalente di rumore è  f = RC/4 da cui Il rumore rms in elettroni è quindi dato da In pratica rappresenta l’incertezza nella quantità di carica che rimane nel condensatore dopo il reset. Il rumore di reset può essere fortemente ridotto grazie alla tecnica di Correlated Double Sampling (CDS).

32 09-32 Rumori di amplificazione Il rumore dovuto agli amplificatori include due componenti. Rumore bianco (white noise): è un processo che introduce oscillazioni casuali del segnale di uguale potenza su ogni banda di frequenza (analogo alla luce bianca, che contiene tutte le frequenze). Anche il rumore termico è un esempio di rumore bianco. Rumore 1/f (flicker o pink noise): è un processo che introduce oscillazioni casuali del segnale con una densità spettrale di potenza proporzionale al reciproco della frequenza.

33 09-33 Rumore di quantizzazione Questo rumore è dovuto alla conversione analogico digitale che produce dei livelli di uscita discreti. Esso corrisponde all’errore di arrotondamento tra la tensione analogica in ingresso al convertitore analogico-digitale (ADC) ed il valore di uscita digitalizzato. Ovviamente questo errore è al livello del bit meno significativo (LSB). In genere il rumore di quantizzazione deve essere minore del rumore di fondo e questo si ottiene dimensionando opportunamente la risoluzione del convertitore (numero di bit).

34 09-34 Diverse classificazioni dei tipi di rumore RANDOMFIXED PATTERN Photon Shot Noise Dark Current Shot Noise Reset Noise Thermal 1/f noise PRNU DCNU Amplification Gain Non Uniformity Column Amplification Offset DIPENDENTE DAL SEGNALE DIPENDENTE DALLA TEMPERATURA DIPENDENTENTE DAL TEMPO DI ESPOSIZIONE Photon Shot Noise PRNU Amplification Gain Non Uniformity Thermal 1/f noise Reset Noise Dark Current Shot Noise Photon Shot Noise DCNU Thermal

35 09-35 Rivelatori a semiconduttore per spettroscopia (I) Differentemente dai fotoni “visibili”, quando un fotone di energia elevata (ad esempio radiazione X) interagisce con un semiconduttore, esso genera molte coppie elettrone-lacuna. Statisticamente si trova che c’è un legame proporzionale tra il numero di cariche generate e l’energia della radiazione incidente: ad esempio nel silicio il numero N di elettroni generati per ogni fotone di energia E è circa pari a N = E(eV)/3.65. Questo numero può essere relativamente grande (basta ricordare che i raggi X arrivano ad energie fino a 200 keV) e sufficiente ad originare un segnale intenso al punto da consentire di operare in regime di conteggio di fotoni. In pratica, ogni fotone X incidente produce un numero di elettroni elevato e sufficiente a essere rivelato di per sé. Se la frequenza di lettura delle immagini è veloce al punto da non avere più fotoni che cadono sullo stesso pixel nel tempo di lettura, il sistema può lavorare in regime di conteggio di fotoni. Inoltre, sulla base della relazione indicata sopra, dalla misura del segnale prodotto per ogni fotone rivelato (considerando il fattore di guadagno dell’elettronica) si può determinare il valore di energia del fotone stesso.

36 09-36 Rivelatori a semiconduttore per spettroscopia (II) La risoluzione in energia è in effetti limitata dal rumore di buio (servono tipicamente rivelatori raffreddati), dalle fluttuazioni statistiche intrinseche, dall’efficienza di raccolta di carica, dal rumore elettronico di lettura. Tutti questi contributi di rumore fanno in modo che il numero di elettroni “letti” per fotoni incidenti della stessa energia non sia sempre lo stesso, ma vari statisticamente Questo causa un allargamento nella distribuzione spettrale (cioè in energia) del segnale raccolto, per cui l’energia della radiazione osservata si misura con una indeterminazione data dal valore a mezzo massimo (FWHM o HEW) del picco di intensità (cioè del numero di fotoni a quella energia) misurato.

37 09-37 Esempio di spettroscopia con Si-PIN Rivelatore Si-PIN raffreddato per spettroscopia con risoluzione 190 eV a 6000 eV

38 09-38 Esempio di spettroscopia con CdTe Rivelatore CdTe raffreddato per spettroscopia con risoluzione 800 eV a 120 keV Un rivelatore bidimensionale, ad esempio un CCD, usato come rivelatore per i raggi X dà quindi sia l’informazione spaziale (cioè le coordinate del punto di arrivo del fotone) sia quella spettrale (cioè l’energia del fotone) in quanto dal numero di cariche prodotte si determina l’energia del fotone incidente. Si ottiene quindi un rivelatore tridimensionale.


Scaricare ppt "09- 1 Corso di Laboratorio di Astrofisica Dipartimento di Fisica Università di Torino III Quadrimestre Silvano Fineschi."

Presentazioni simili


Annunci Google