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Stati regionali italiani (e l’esempio della Terraferma veneziana)

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Presentazione sul tema: "Stati regionali italiani (e l’esempio della Terraferma veneziana)"— Transcript della presentazione:

1 Stati regionali italiani (e l’esempio della Terraferma veneziana)

2 L’unità politica dell’Italia come problema storiografico (per constatarne l’assenza, per lamentarne i ritardi e le contraddizioni) La lettura ottocentesca e novecentesca del basso medioevo come serie di tentativi falliti di unificazione (“porsi alla testa del movimento nazionale...:”)

3 L’Italia nel XIV secolo - Estrema frammentazione al centro-nord; - unità territoriale del Regno di Napoli

4 . La semplificazione della carta geografica d’Italia fra il 1250 e il 1450: dall’esistenza di decine di città stato ai 4/5 stati regionali al nord più due monarchie meridionali

5 L’Italia al tempo della pace di Lodi (1454): sono già visibili i contorni degli stati regionali che si consolideranno nel secolo successivo

6 L’Impero nel XV secolo

7 L’Europa nel 1492

8 Stati regionali italiani gli ‘stati regionali’ coprono complessivamente 85-90.000 kmq., suddivisi fra Terraferma veneta (circa 30.000 kmq., comprendendo anche Ravenna che nell’assetto veneziano apparteneva allo stato da mar), dominio milanese (circa 20.000 kmq), dominio fiorentino (attorno agli 11.000 kmq), dominii estensi, dominii genovesi e ducato di Savoia (tutti e tre al di sotto dei 10.000 kmq).

9 . stato pontificio (20.000 kmq), mentre nessuna delle altre formazioni politiche dell’Italia centrosettentrionale superava i 4.000 kmq (3.500 kmq, ad esempio, il ducato di Montefeltro).

10 . è proprio vero che c’è questa semplificazione? si può parlare di ‘stati’? Quanto e come muta l’Italia nella transizione alla fase delle signorie e poi a quella degli stati regionali?

11 , Che significato ha la divisione del regno normanno svevo? Sono davvero ‘Due Italie’? Crisi comunale e decadenza italiana FACCIAMO UN PASSO INDIETRO

12 . Crisi della città stato comunale, ovvero del modo di organizzazione della società e di inquadramento dei poteri La crisi delle istituzioni comunali è un fatto oggettivo: inadeguatezza delle istituzioni cittadine a tenere sotto controllo e a disciplinare il confronto politico fra ceti dirigenti eterogenei quanto a identità e interessi:

13 , il progresso politico delle istituzioni comunali (rappresentatività e delega, partecipazione, distribuzione dei pesi fiscali, difesa...; acquisizione del monopolio della violenza da parte dei poteri pubblici) non è un’invenzione retorica, ma la sua ‘modernità’ non va sopravvalutata.

14 , Il comune podestarile non riesce a ‘inquadrare’, a costituire un recinto di regole condivise nel quale la lotta politica si svolga attraverso le forme del confronto delle opinioni ma sulla base di idealità politiche condivise e metabolizzate da tutti i ceti sociali cittadini

15 , il ‘non riconoscimento’ dell’avversario, la democrazia della sopraffazione (il bando, il fuoruscitismo: prevalere dell’identità di partito, di fazione, di famiglia sulla identità civica e sulla condivisione dei valori civici)

16 Le varie esperienze politiche del Duecento IL popolo reagisce - la immediata trasformazione in organizzazione istituzionale delle rappresentanze sociali: la compresenza del comune di popolo e del comune podestarile

17 Che questa o quella consorteria «se faciat capud partis», in vista di una «werra propria», è tutt’altro che raro nella documentazione, sin dal XII secolo, («farsi capo di un partito») «la persistenza del quadro famigliare come quadro fondamentale delle solidarietà sociali» ha un suo peso, innegabile e forte. L’onore della casata, il prestigio famigliare, la riconosciuta liceità e l’accettazione sociale dei valori guerreschi e violenti tipici della classe aristocratica….

18 Neella vita politica comunale – nella quale avevano sino ad allora prevalso meccanismi sincretistici (‘siamo tutti cittadini della stessa città’) cominciano a prevalere «dinamiche di esclusione» sancite per legge, con esclusione formale dei magnati da taluni organi di governo, con la pratica diffusa del bando, con le chiusure oligarchiche….

19 . Questo non significa che negli stessi anni non si continui a proporre i valori del comune e della concordia cittadina Anzi: l’elaborazione concettuale dell’idea di «bonum commune», da parte della cultura cittadina, e l’esibita proposta di nuovi valori, si manifestano con crescente consapevolezza proprio in questi decenni (1270/80; Fontana Maggiore di Perugia). 1335 circa Affresco del Buon Governo (Palazzo Pubblico di Siena)

20 In questo contesto PUO’ NASCERE la signoria, il dominio di uno solo.

21 Venezia e Firenze: il ‘mito’ delle repubbliche contro le ‘aspirazioni egemoniche’ viscontee (Gian Galeazzo Visconti)

22 “…per fare contrapeso alla potenza de’ viniziani …” Ferdinando d’Aragona riteneva che… “… per fare contrapeso alla potenza de’ viniziani, formidabile allora a tutta Italia, conoscesse essere necessaria l’unione sua [di Napoli] con gli altri e specialmente con gli stati di Milano e di Firenze …”

23 Il denaro come veicolo e strumento delle progressive subordinazioni fra le città: debito pubblico e guerra Le città dominate La fase tre-quattrocentesca (1380-1430) e la semplificazione della carta politica italiana Sopravvivenza e integrazione della civiltà comunale -

24 Mantenere un ruolo di capitale provinciale -Le dedizioni, il regime pattizio e contrattuale -‘repubbliche per contratto’ - ‘moderata libertas’ Stati ‘uniformi’? o ‘mosaici istituzionali’? Il modello toscano – fiorentino e il modello veneziano

25 , Le strutture economico-sociali, dal canto loro, dopo un periodo di "crisi" che vide l'esplosione di tensioni e rivolte nelle campagne come nelle città – conobbero una fase di assestamento. Questo assestamento da un lato si verificò sotto il segno della ripresa (demografica ed economica), dall'altro significò soprattutto una decisa chiusura e successiva cristallizzazione sociale e politica.

26 Non ultimo si fece sentire il peso di una nuova sensibilità religiosa (che spesso si espresse in contestazioni e fermenti nel mondo cristiano) e di nuovi approcci culturali (l'Umanesimo su tutti, nell'ambito del quale nacque lo stesso concetto di "Medioevo", in senso spregiativo).

27 diverse interpretazioni. Il giudizio che la storiografia – sin dall'epoca dei contemporanei – ha dato della situazione politica italiana del tardo Medioevo è stato dapprima negativo: il passaggio da "città- stati" a "stati regionali" venne visto come un'involuzione dagli istituti politici rappresentativi di larghe fasce della popolazione a forme di potere dispotico, e quindi abbandono delle conquiste "popolari" duecentesche e riscossa nobiliare quattrocentesca;.

28 al tempo stesso gli storici lamentarono l'incapacità italiana di raggiungere un quadro unitario al pari di altri contesti europei (Inghilterra e Francia in primo luogo). Successivamente, il giudizio si capovolse: si sottolineò il carattere innovativo degli stati quattrocenteschi italiani, sia nei connotati territoriali sia nell'organizzazione politica, al punto da ravvisarvi degli esempi compiuti dello "Stato moderno".

29 , Attualmente si tende a ridimensionare nuovamente la portata di queste interpretazioni, evitando paradigmi interpretativi estremistici, rigidamente incentrati sull' "involuzione" o sulla "modernità";

30 , si cerca piuttosto di individuare gli sforzi compiuti da tali organismi nella direzione di forme di gestione del potere più stabili, basate su una certa omologazione amministrativa e giuridica, meno rigidamente urbanocentriche, attente al superamento della principale causa dell'instabilità politico-istituzionale di età comunale, ovvero la precarietà del dominio cittadino sul contado

31 , dall'altra l'Italia agraria e feudale, del Meridione, delle isole, e di una minoranza di aree del nord e del centro (situate in Piemonte, Friuli, Trentino, Marche, Lazio, Maremma). Si è infatti verificato che le caratteristiche economiche e sociali delle "due Italie" non erano poi così nettamente distinte da consentire di ragionare in termini assoluti, in quanto il rapporto non era solo di frattura ma anche di complementarietà e interdipendenza.

32 Un'altra interpretazione, oggi più circoscritta rispetto al passato, riguarda l'identificazione a suo tempo operata dell'esistenza di "due Italie" (tesi espressa anche dallo storico David Abulafia): da un lato l'Italia del centro- nord, delle città, dei traffici e delle manifatture;

33 IN OGNI CASO…. La creazione di organismi politici di ampie dimensioni non significò la cancellazione di quel complesso di poteri locali – centri urbani minori, "terre separate", signorie rurali, e "corpi" di varia natura (comunità urbane, comunità baronali, nobiltà, enti ecclesiastici e così di seguito) – che aveva caratterizzato il paesaggio politico dei secoli precedenti.

34 Il processo di espansione territoriale dei nascenti stati regionali, che beneficiò spesso dei risultati (sebbene parziali) dell'opera di rimodellamento politico già esercitata dai comuni sul loro contado, avvenne sia a spese di grandi comuni cittadini (soprattutto in Toscana, ma anche in Veneto e in Lombardia), sia a danno di signorie rurali o di giurisdizioni feudali (soprattutto in Piemonte, in Romagna e nell'Appennino tosco- emiliano).

35 Diversa, anche per la differente base costituzionale, la via scelta dalla Repubblica fiorentina. Firenze, che si trovò ad esercitare il proprio dominio su città (Pisa, Pistoia, Arezzo) dotate di vasti contadi, mirò a spezzare i legami di questi, politici ed economici insieme, coi rispettivi capoluoghi urbani dando autonomia alle comunità rurali, assoggettate dall'epoca del comune popolare, ripristinando i loro antichi organi rappresentativi;

36 il modello fiorentino subì in seguito forti modificazioni – furono concesse varie deroghe per placare le fortissime resistenze incontrate nei ceti cittadini, minati nei loro interessi sul contado – che ne ridimensionarono così i suoi caratteri amministrativi inizialmente "moderni", di controllo diretto cioè del centro sulle periferie.

37 , Visconti, consci dell'impossibilità di rendere omogenei, stante anche una carente burocrazia, gli ordinamenti dei comuni, urbani e rurali, inglobati nel loro territorio, li lasciarono sopravvivere considerandoli come organi locali dell'amministrazione centrale; del pari, lasciarono in modo pragmatico sopravvivere antichi e recenti poteri signorili che vennero inquadrati nel nuovo ordinamento statuale attraverso rapporti feudo-vassallatici e altre forme di "aderenza";.

38 all'interno di queste realtà particolaristiche la presenza del potere ducale era garantita da interventi in ambiti in precedenza di esclusiva competenza locale, come la legislazione statutaria, le politiche economiche e fiscali. Importante fu inoltre il controllo sul conferimento dei benefici ecclesiastici, e l'istituzione di una università "di Stato", lo Studium pavese (1361), dove dovettero iscriversi tutti i sudditi del ducato che intendevano accedere agli studi superiori

39 VENEZIA Altri stati seguirono invece strade intermedie: una delle più riuscite fu quella adottata da Venezia, che lasciò l'amministrazione locale nelle mani dei patriziati urbani intervenendo tuttavia, per ridimensionare il potere di questi ultimi, nelle questioni di competenza dei consigli municipali e nei contrasti fra i centri cittadini e i loro contadi.

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41 Venezia cambia vocazione: dal Mare alla Terraferma Fino a quando Venezia si era trovata alle spalle un mosaico di città grandi e piccole, feudi laici ed ecclesiastici, signorie rivali ma non aggressive, la pratica dei commerci e l’abilità diplomatica dei veneziani avevano avuto la meglio; ma quando, con Gian Galeazzo Visconti, si era profilato uno spazio territoriale più compatto sotto un unico signore – un vero e proprio embrione di Stato regionale – in grado di interrompere le vie di comunicazione con la pianura padana e con la Germania, di bloccare commerci e di muovere guerra alla città lagunare, la prospettiva era radicalmente cambiata: Venezia doveva prendere parte ai problemi della terraferma ed assicurarsi una posizione più sicura. «Agli occhi dei contemporanei le dedizioni di Vicenza, Verona, Belluno, Feltre e Padova […] non apparvero quali frutti di un espansionismo pianificato e fondato su pretese egemoniche: l’annessione del Veneto fino al Mincio non fu considerata un atto di imperialismo, ma solo una sorta di preventiva difesa contro eventuali riprese offensive dei Visconti o dei Carrara».

42 Il dominio visconteo alla morte di Gian Galeazzo (1404)

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44 Venezia e la sua Terraferma: il problema storiografico La storia di Venezia non si identifica affatto con la storia della Terraferma: di qui la complessità di una storia dello Stato Veneto in età moderna. Nell’Ottocento: una storiografia «nostalgica», anche se ben documentata Emanuele Cicogna, Le iscrizioni veneziane (Romanin, Storia documentata di Venezia) Venezia diventa già un mito per gli stranieri (Ruskin, Turner….)

45 Turner

46 Ruskin

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49 Stato regionale e stato «nazionale» nella storiografia dell’Ottocento Come inserire la «decadenza» italiana e la frammentazione regionale dell’Italia moderna, pre-unitaria, nel canone, nella ‘grande narrazione’ dell’Italia unita? L’unità d’Italia (1866-1870) e la storiografia ‘regionale’ La nascita delle Deputazioni di storia patria

50 . C. Povolo, The creation of Venetian historiography in Venice reconsidered. The history and civilization of an Italian city state. 1297-1797, ed. byJ. Martin and D. Romano, Baltimore 2000, pp. 495-497;

51 La storiografia di Venezia nel Novecento La prima metà del secolo Venezia e il Mediterraneo Venezia e l’Adriatico (l’Italia e il problema adriatico) Roberto Cessi (1886-1969) Gino Luzzatto (1880-1960) Fernand Braudel Frederic Lane

52 Un problema nel problema A lungo si è studiata Venezia ignorando il rimanente dello Stato. Eccezioni nel dopoguerra: Marino Berengo 1956, L’agricoltura veneta alla fine del Settecento Angelo Ventura 1964: Nobiltà e popolo nella terraferma veneziana del 400 e del 500 (Bari 1964)

53 . ma da diversi decenni siamo di fronte ad un’inversione di tendenza nella storiografia. La revisione della storia di Venezia e della Terraferma nell’ambito della revisione della storia dello stato moderno La crisi del concetto di stato nella seconda metà del Novecento Lo Stato «nazionale»: burocrazia, esercito, fiscalità, processo di accentramento dei poteri…. Il punto d’arrivo dello sviluppo ottocentesco, fino alle guerre mondiali Stato mosaico, stato composito…

54 Crisi dello stato, crisi della storiografia sullo stato nell’Europa della seconda metà del Novecento I regionalismi, il movimento anti- centralista: Scozia, Fiandre, Catalogna e Paesi Baschi…. Nella storiografia si inverte la tendenza rispetto al «teleologismo» della vecchia concezione sullo stato moderno Un nuovo modello di stato: una nuova concezione della sovranità e della territorialità

55 . Il dato che risalta nella storia dei rapporti fra Venezia e la sua Terraferma, rispetto alle vicende degli altri antichi Stati italiani, è «l’assenza di una struttura gerarchica capace di collegare il centro alla periferia» (C. Povolo, 1999), soprattutto in direzione periferia-centro. Questa situazione ebbe delle conseguenze rilevanti che ancor oggi incidono sulla storia del Veneto.

56 L’eredità fondamentale dell’età comunale e signorile Omogeneità e differenze tra le città venete (e lombarde) Controllo del territorio Difesa Giustizia Finanze pubbliche Economia Rapporti città / campagna, città montagna

57 Per studiare la Terraferma veneziana nel Quattrocento, bisogna studiare l’ «entroterra veneziano» nel Trecento Esempi: il rapporto montagna città a Brescia (la Val Camonica) Il rapporto montagna città a Vicenza (Sette Comuni)

58 Friuli (una regione senza sviluppo comunale): le giurisdizioni signorili sopravvivono anche nel Quattro-Settecento

59 I «Patti di dedizione» quattrocenteschi fissano e confermano le regole sancite dagli statuti comunali si assicurano gli abitanti da ogni violenza all’atto dell’occupazione si assicurano i magistrati da pene per gli uffici sostenuti sotto i passati governi si riuniscono alla città tutte le terre che si erano staccate in tempo di guerra non si imporranno nuovi tributi le giurisdizioni dei cittadini veronesi nel territorio non subiranno modifiche gli statuti della città rimarranno in vigore ai cittadini veronesi verranno riservati tutti gli uffici eccetto quelli di podestà e capitano i veronesi manteranno il monopolio delle cariche ecclesiastiche (clausola non rispettata) si vieta l’esportazione delle vettovaglie per evitare rincari si garantisce la libertà di commercio dei manufatti lungo l’Adige

60 Il governo della Terraferma Il governo del Territorio veneto si fonda su ripetuti «patti fra Dominante e città suddite» in modo da garantire spazio alle autonomie locali contestualmente al rafforzamento del dominio sulla terraferma. «Politica del diritto» (G. Cozzi) Tutte le città suddite mantenevano: consuetudini prerogative giurisdizionali e ampi poteri a livello locale i sistemi fiscali ereditati dalle signorie precedenti un apparato istituzionale autonomo (Consigli cittadini) regolato da Statuti risalenti all’età comunale

61 Statuti del comune di Vicenza: 1264 (Comune) 1339 (Dominio Scaligero) 1392 (Dominio visconteo) 1425 (Dominio veneziano) a stampa 1507, ecc. (sino al Settecento)

62 La lunga durata dello statuto vicentino e il mito di Venezia: Giuseppe Parini, 1787 La magistratura (per Cammillo Gritti, pretore di Vicenza nel 1787) E lungi da feroce / licenza e in un da servitude abbietta / Ne vai per la diletta / Strada di libertà dietro a la voce, / Onde te stessa reggi, / De' bei costumi tuoi, de le tue leggi. Leggi, che fin dagli anni / Prischi non tolse il domator Romano; / Né cancellàr con mano / Sanguinolenta i posteri tiranni; / Fin che il Lione altero / Te amica aggiunse al suo pacato impero.

63 Gli statuti di Verona: 1228, 1276, 1393, 1450, stampa 1475, poi numerose ristampe sino alla metà del Settecento

64 Fisco

65 Difesa

66 Castelli del Trevigiano

67 .

68 Giustizia

69 Il governo della Terraferma Le istituzioni veneziane si modificano solo in piccola parte in seguito all’annessione della Terraferma: nel 1420 viene istituita la magistratura dei cinque Savi della Terraferma nel 1428 i Governatori delle entrate pubbliche dal 1440 gli atti del Senato sono divisi fra Mar e Terra la presenza di Rettori veneti in tutti i centri urbani della Terraferma crea una consuetudine prima inesistente e accresce le opportunità di clientelismo ma…tuttavia…manca:  un reticolo istituzionale in grado di collegare le varie parti del dominio nei vari settori amministrativi e giudiziari  una struttura statuale gerarchica e omogenea  un canale di mobilità sociale dalla periferia al centro Mancano in particolare: canali di mobilità sociale attraverso gli uffici statali (ma esistono in ambito ecclesiastico) canali di promozione delle élites periferiche, condannate al municipalismo o all’emigrazione (clero, esercito, colonie, ecc.) elementi di sacralizzazione del potere politico (sostituito dalla Chiesa) un rapporto positivo tra patriziato della Dominante (chiuso e sclerotizzato, senza ricambio interno) ed élites locali (patrizie-cittadine, nobiliari, borghesi, ecclesiastiche)

70 Terraferma veneta: tre spazi diversi Non è più possibile parlare di “Terraferma” come di un tutt’unico, ma si deve parlare di più “Terreferme”, distinguendo almeno tre spazi diversi: 1. Padova e Treviso – retroterra immediato di Venezia e primo spazio di insediamento terriero del patriziato veneziano (le ville). 2. Terraferma urbana - ( a) Bassano, Vicenza, Verona / b) Brescia, Bergamo, Crema) dominate dalle élites patrizie locali e dalla dialettica locale città/contado. 3. Terraferma feudale (Bellunese, Feltrino, Friuli) dominate dalla nobiltà rurale di origine feudale poco propensa a rapportarsi con i centri urbani.

71 Un governo flessibile Nella pratica concreta la flessibilità nell’applicazione delle prerogative di Venezia sulle città suddite era molto ampia e quindi più efficace. L’affermazione della sovranità di Venezia sulle città e sui territori era ritenuto più importante dell’imposizione dei propri ordinamenti. In tutte le città suddite (=amministrate) è presente il Rettore veneziano, patrizio, massima autorità giudiziaria e politica  sua prerogativa è l’esercizio dell’arbitrium – empirico (= sentenze arbitrali)  basato sulla discrezionalità e il buon senso dell’uomo comune, più che sul diritto;  basato sulla consuetudine più che sulla norma Tutto ciò che non era di competenza delle autorità veneziane, ossia la maggior parte delle attività dei luoghi di Terraferma, era demandato alle molteplici istituzioni della Terraferma laiche ecclesiastiche

72 Un governo imperfetto In tutta la terraferma veneta si configura una situazione di estraneità politica reciproca (che si sconterà al momento della crisi e della caduta della Repubblica). A Verona si manifesta attraverso:  un municipalismo accentuato  nostalgie filoscaligere e frequenti complotti a favore dei signori esiliati, nei primi anni del dominio veneziano  La propensione di una parte della nobiltà veronese per i Gonzaga di Mantova (1438-54)  persistenti atteggiamenti filoimperiali della nobiltà più antica per la quale il potere ed il sistema degli onori è quello imperiale offerto dalla corte di Vienna

73 Condizioni e limiti del governo veneto di terraferma Con i sistema di governo della terraferma veneta: Venne bloccata l’ascesa di famiglie-lignaggi (élites di periferia) verso il centro, tramite il ricorso ai consueti canali statali (amministrativi e giudiziari) disposti secondo una scala gerarchica (carriere), o tramite l’avvicinamento-inserimento nella corte del Principe. Si verificò di conseguenza una sclerotizzazione culturale del ceto dirigente lagunare, privo di ricambio ed arroccato sulle proprie tradizioni e sulla conservazione dei propri privilegi di status. Si rafforzò la vocazione municipalistica (autosufficienza) dei centri urbana della Terraferma, indotti a non integrarsi fra loro e in un sistema statuale più ampio. Venne bloccata, nella cultura delle élites della Terraferma, la formazione di una concezione etica dello Stato, in grado di coniugare le tensioni personali con un superiore interesse generale.

74 Condizioni e limiti del governo veneto di terraferma Venne incentivata una spiccata conflittualità tra corpi e ceti (patriziato veneziano/patriziati locali/nobiltà locali/feudalità/consigli/comunità, ecc.), dissimile da quella presente in altre realtà. Non si configurò mai una figura simbolo (il sovrano) in grado di costituirsi come punto di riferimento non solo della città dominante, ma di tutto lo Stato.

75 . Consentì il costituirsi di un particolare rapporto fra Stato (particolare) e Chiesa (universale) consentendo alla Chiesa e alle sue istituzioni di rappresentare un momento unificante per la società veneta, anche a livello di formazione delle élites (carriere e mobilità dalla periferia al centro, in direzione di Roma).

76 . Accentuò il divario culturale tra città e campagna, confermando la dimensione fortemente municipalistica del mondo rurale. Accentuò la fisionomia tradizionale delle istituzioni cittadine e la conservazione dei particolarismi. Intensificò nei rapporti centro-periferia le relazioni informali legate al patronato e alle clientele a scapito delle relazioni formalizzate all’interno dei canali statuali.

77 I contadini veneti e Venezia. Il giudizio di Machiavelli (lettera alla Signoria di Firenze da Verona, 26 novembre 1509) «Costoro attendono ad rubare el paese e saccheggiarlo, e vedesi e sentesi cose miserabili senza esemplo, di modo che nelli animi di questi contadini è entrato uno desiderio di morire, e vendicarsi; che sono diventati più ostinati e arrabbiati contro a’ nimici de’ Viniziani, che non erano e’ Giudei contro a’ Romani; e tutto dì occorre che uno di loro preso si lascia ammazzare per non negare el nome viniziano»

78 Il caso di Verona.

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80 Verona dagli Scaligeri ai Visconti Le premesse della storia di Verona in età moderna stanno già tutte nell’ambizioso tentativo visconteo di costituire un grande dominio esteso da Vercelli a Belluno e da Bellinzona ad Assisi, comprendendo – nel momento di massima espansione attorno al 1400 – le città di Milano, Como, Pavia, Bergamo, Verona, Padova, a nord; Reggio, Bologna, Pisa, Siena e Perugia, al centro e a sud. Non è un caso che alcuni storici ottocenteschi abbiano visto in Gian Galeazzo Visconti un anticipatore del Risorgimento italiano: l’uomo capace di porre le basi per un grande stato italiano autonomo con solide radici nell’area centro-settentrionale. Il progetto visconteo fu invece effimero e già all’indomani della prematura ed improvvisa morte di Gian Galeazzo, nel 1402, venne messo in discussione da Carrara e Scaligeri da un lato e da Venezia dall’altro.

81 La dominazione viscontea a Verona (1387-1404) 1387: occupazione viscontea di Verona (guidata dagli esuli veronesi Bevilacqua, Nogarola e Malaspina, cacciati dalla città) nuove fortificazioni volute da Gian Galeazzo Visconti: Castel San Pietro (riedificato), Castel San Felice, Cittadella 1390: fallisce la rivolta antiviscontea 1392: Gian Galeazzo istituisce a Verona il “Consiglio per i sudditi dei territori oltre il Mincio” (Verona, Vicenza, Bassano, Feltre, Belluno) esautorando le magistrature locali 1402: morte improvvisa di Gian Galeazzo (a Melegnano, di peste), reggente Caterina Visconti. Alleanza tra il signore di Padova Francesco III “Novello” da Carrara e l’esule veronese Guglielmo della Scala (con il sostegno di Firenze) per riprendere Verona. 1404: occupazione carrarese-scaligera di Verona.

82 L’interregno carrarese-scaligero (1404-1405) 1404, 8 aprile: occupazione carrarese di Verona: Guglielmo della Scala proclamato Signore (+ 22 aprile) 1404, 22 maggio: Francesco da Carrara “il Novello” proclamato Signore di Verona, mentre la città è assediata dai veneziani 1405, 22 giugno: spontanea dedizione di Verona a Venezia

83 Verona veneziana (1405) Il 22 giugno 1405, in seguito da una spontanea dedizione, Verona veniva inglobata nei domini della Repubblica di Venezia. Tra il 1404 e il 1405 Venezia aveva ottenuto la dedizione di Vicenza (25 aprile 1404), Cividale e Belluno (18 maggio 1404), Bassano (10 giugno 1404), Feltre (15 giugno 1404). Pochi mesi dopo Verona sarebbe caduta anche Padova (17 novembre 1405), cancellando la dinastia carrarese. Di lì a poco, grazie ad un’alleanza tra Firenze e Venezia in funzione antiviscontea, la signoria milanese dovette cedere alla Serenissima le città di Brescia e di Bergamo che sarebbero entrate a far parte del Dominio di Terraferma nel 1433. Nel 1462 il Dominium Veneciarum si sarebbe trasformato formalmente nella Serenissima Signoria, suddivisa in Stado da Mar e Terraferma.

84 Verona e la “potenza dei Viniziani” Se dunque l’eccessiva «potenza de’viniziani» era individuata come uno dei principali elementi di rottura del «tranquillo et pacifico vivere» della penisola, la posizione della città di Verona emergeva di conseguenza come uno dei nodi strategici della pace italiana. Città di frontiera posta a metà strada fra Venezia e Milano (base di partenza dell’attacco visconteo prima, e di quello imperiale poi) e lungo la via dell’Adige che collegava la pianura padana con i territori dell’Impero (da cui sarebbero scesi in più occasioni le armate tedesche), collocata fra la collina ed un’ansa naturale dell’Adige, Verona aveva sempre più la necessità di difendersi.

85 Il governo di Verona veneziana 12 luglio 1405: dedizione solenne a Venezia 31 luglio 1405: su proposta del giureconsulto Barnaba Morano il Comune di Verona decide l’abolizione dell’Arengo e del Consiglio dei Cinquecento (Consilium Maius), sostituiti da: Due organi amministrativi espressione della realtà locale: Il Consiglio dei Cinquanta, eletti ogni sei mesi fra gli estimati maggiori, mediocri e minori (poi fra i soli nobili “di Consiglio”) Il Consiglio dei Dodici deputati ad utilia, esecutivo, rinnovato ogni due mesi ed espressione del Consiglio dei Cinquanta Una magistratura espressione del potere di Venezia: Due Rettori veneziani (eletti dal Senato di Venezia ogni 16 mesi fra i patrizi veneziani): Podestà – amministrazione civile e giudiziaria Capitano - autorità militare e finanziaria La restrizione oligarchica dei consigli («ubi multitudo ibi confusio») non pare essere stata un’imposizione dei veneziani, ma piuttosto sancisce una situazione di fatto che ai veneziani poteva far comodo.

86 La prima dominazione veneziana a Verona (1405-1509) 1405, 22 giugno: inizio del dominio veneziano su Verona. Gabriele Emo, provveditore generale di San Marco, entra in Verona 12 luglio: solenne cerimonia della dedizione di Verona in Venezia di fronte al Doge 16 luglio: approvazione dei capitoli della dedizione 1454: pace di Lodi (Milano-Venezia, poi Firenze, papato e Napoli) 1463: guerra di Venezia contro i Turchi (occupazione veneziana della Morea) 1487, aprile-agosto: Bellum venetum o guerra roveretana tra Impero (Massimiliano conte del Tirolo) e Venezia per il controllo della Val Lagarina (10 agosto: battaglia di Calliano)


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