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PubblicatoMarina Piccinini Modificato 8 anni fa
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Galileo Galilei
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Galileo Galilei nasce a Pisa il 15 febbraio 1564.
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È nominato nel 1589 lettore di Matematica alla stessa Università di Pisa, poi si sposta a Padova dal 1592 al 1610. Durante il periodo di insegnamento a Padova, scrive alcune opere di architettura militare e di fisica. A questi anni risale anche la costruzione del cannocchiale, oggetto che non viene ideato dallo stesso Galilei ma viene importato dall’Olanda e viene perfezionato tecnicamente dallo scienziato.
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Utilizzando questo strumento realizza le sue prime scoperte astronomiche (montagne della Luna, fasi di Venere, macchie solari, satelliti di Giove…), pubblicate nel 1610 nel Sidereus Nuncius, opera che lo rese famoso in tutto il mondo.
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Osservazione della superficie lunare
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Osservazioni relative ai satelliti di Giove chiamati, in onore dei Medici, satelliti “medicei”
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Nello stesso anno 1610 viene richiamato a Pisa con la nomina di “matematico e filosofo primario” del granduca di Toscana. Nel febbraio 1615 il Sant’Uffizio condanna la teoria copernicana e Galilei viene ammonito a non difenderla attraverso i suoi scritti. Egli si astiene di conseguenza dall’occuparsi pubblicamente della teoria copernicana, dedicandosi ad altri temi, e pubblica nel 1623 il Saggiatore ( che prende il nome dalla bilancia di precisione con cui gli orafi pesavano l’oro contrapposta alla stadera, meno sensibile) in cui spiega il suo nuovo metodo scientifico, basato sull'osservazione e la sperimentazione. Per questo motivo il Saggiatore è di grande rilevanza nella fondazione del moderno concetto di scienza.
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Nel 1632 pubblica il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano in cui analizza la teoria copernicana e tolemaica, evitando di pronunciarsi a favore di una delle due alternative.
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In ogni caso, la preferenza di Galilei per la teoria copernicana è talmente evidente, che non è difficile per i suoi avversari denunciarlo all’Inquisizione. A conclusione del processo, Galilei viene condannato all’abiura cioè a rinnegare i suoi scritti e a trascorrere il resto della vita nella sua casa di Arcetri.
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Ad Arcetri nel 1638 scrive i Discorsi e dimostrazioni sopra due nuove scienze, il suo più importante trattato: in esso Galileo affronta vari temi e in particolare studia il moto di caduta di un grave descrivendo con precisione l’esperimento effettuato per giungere alla legge del moto rettilineo uniformemente accelerato.
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Galileo considerava fondamentale esprimere le leggi della natura in linguaggio matematico. Ecco cosa scrive nell’opera “Il Saggiatore”: “ Questo grandissimo libro [della natura] che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l'universo), non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri né quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intendere umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto. ”
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Muore l’8 gennaio 1642 (anno in cui nasce Newton). La sua tomba si trova nella basilica di SantaCroce a Firenze.
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Moto di caduta di un corpo lungo un piano inclinato
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Riportiamo un brano tratto dai “Discorsi e dimostrazioni intorno a due nuove scienze ”: In un regolo, o vogliàn dir corrente, di legno, lungo circa 12 braccia, e largo per un verso mezzo braccio e per l'altro 3 dita, si era in questa minor larghezza incavato un canaletto, poco più largo d'un dito; tiratolo drittissimo, e, per averlo ben pulito e liscio, incollatovi dentro una carta pecora zannata e lustrata al possibile, si faceva in esso scendere una palla di bronzo durissimo, ben rotondata e pulita; costituito che si era il detto regolo pendente, elevando sopra il piano orizzontale una delle sue estremità un braccio o due ad arbitrio, si lasciava (come dico) scendere per il detto canale la palla, notando, nel modo che appresso dirò, il tempo che consumava nello scorrerlo tutto, replicando il medesimo atto molte volte per assicurarsi bene della quantità del tempo, nel quale non si trovava mai differenza né anco della decima parte d'una battuta di polso.
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Fatta e stabilita precisamente tale operazione, facemmo scender la medesima palla solamente per la quarta parte della lunghezza di esso canale; e misurato il tempo della sua scesa, si trovava sempre puntualissimamente esser la metà dell'altro: e facendo poi l'esperienze di altre parti, esaminando ora il tempo di tutta la lunghezza col tempo della metà, o con quello delli duo terzi o de i 3/4, o in conclusione con qualunque altra divisione, per esperienze ben cento volte replicate sempre s'incontrava, gli spazii passati esser tra di loro come i quadrati dei tempi, e questo in tutte le inclinazioni del piano, cioè del canale nel quale si faceva scender la palla; dove osservammo ancora, i tempi delle scese per diverse inclinazioni mantener esquisitamente tra di loro quella proporzione che più a basso troveremo essergli assegnata e dimostrata dall'Autore.
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Quanto poi alla misura del tempo, si teneva una gran secchia piena d'acqua, attaccata in alto, la quale per un sottil cannellino, saldatogli nel fondo, versava un sottil filo d'acqua, che s'andava ricevendo con un piccol bicchiero per tutto 'l tempo che la palla scendeva nel canale e nelle sue parti: le particelle poi dell'acqua, in tal guisa raccolte, s'andavano di volta in volta con esattissima bilancia pesando, dandoci le differenze e proporzioni de i pesi loro le differenze e proporzioni de i tempi; e questo con tal giustezza, che, come ho detto, tali operazioni, molte e molte volte replicate, già mai non differivano d'un notabil momento.
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Il cannocchiale
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Riportiamo un brano tratto dal Sidereus Nuncius in cui Galileo parla di come ha costruito il cannocchiale: Circa dieci mesi fa ci giunse notizia che era stato costruito da un certo Fiammingo un occhiale, per mezzo del quale gli oggetti visibili, pur distanti assai dall'occhio di chi guarda, si vedevan distintamente come fossero vicini; e correvan voci su alcune esperienze di questo mirabile effetto, alle quali chi prestava fede, chi no. Questa stessa cosa mi venne confermata pochi giorni dopo per lettera dal nobile francese Iacopo Badovere, da Parigi; e questo fu causa che io mi volgessi tutto a cercar le ragioni e ad escogitare i mezzi per giungere all'invenzione di un simile strumento, che poco dopo conseguii, basandomi sulla dottrina delle rifrazioni.
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Preparai dapprima un tubo di piombo alle cui estremità applicai due lenti, entrambe piane da una parte, e dall'altra una convessa e una concava; posto l'occhio alla parte concava vidi gli oggetti abbastanza grandi e vicini, tre volte più vicini e nove volte più grandi di quanto non si vedano a occhio nudo. In seguito preparai uno strumento più esatto, che mostrava gli oggetti più di sessanta volte maggiori. E finalmente, non risparmiando fatiche e spese, venni a tanto da costruirmi uno strumento così eccellente, che gli oggetti visti per il suo mezzo appaiono ingranditi quasi mille volte e trenta volte più vicini che visti a occhio nudo.
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Quanti e quali siano i vantaggi di un simile strumento, tanto per le osservazioni di terra che di mare, sarebbe del tutto superfluo dire. Ma lasciate le terrestri, mi volsi alle speculazioni del cielo; e primamente vidi la Luna così vicina come distasse appena due raggi terrestri.
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Bellissima cosa e mirabilmente piacevole, vedere il corpo della Luna, lontano da noi quasi sessanta raggi terrestri, così da vicino come distasse solo due di queste dimensioni; così che si mostrano il diametro stesso della Luna quasi trenta volte, la sua superficie quasi novecento, il volume quasi ventisettemila volte maggiori che quando si guardano a occhio nudo: e quindi con la certezza della sensata esperienza chiunque può comprendere che la Luna non è ricoperta da una superficie liscia e levigata, ma scabra e ineguale, e, proprio come la faccia della Terra, piena di grandi sporgenze profonde cavità e anfratti.
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Ma quel che di gran lunga supera ogni meraviglia, e principalmente ci spinse a renderne avvertiti tutti gli astronomi e filosofi, è l'aver scoperto quattro astri erranti, da nessuno, prima di noi, conosciuti né osservati, che, a somiglianza di Venere e Mercurio intorno al Sole, hanno le loro rivoluzioni attorno a un certo astro cospicuo tra i conosciuti, ed ora lo precedono ora lo seguono, non mai allontanandosene oltre determinati limiti. E tutte queste cose furono scoperte e osservate pochi giorni or sono con l'aiuto d'un occhiale che io inventai dopo aver ricevuto l'illuminazione della grazia divina.
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