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PubblicatoLuigina Serra Modificato 8 anni fa
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Questo lavoro nasce dal progetto di continuità tra la classe 2°A S.I.A. dell’Istituto Omnicomprensivo “Della Rovere” di Urbania e la 3°C dell’Istituto “Luigi Carnevali” di Mercatello sul Metauro. Si tratta di un confronto tra due opere, rispettivamente “Se questo è un uomo” di Primo Levi e “ L’Inferno ” di Dante, scritte in epoche molto diverse, ma aventi entrambe lo stesso tema: l’Inferno. Levi, raccontando la sua storia all’interno del Lager, fa riferimento all’Inferno di Dante; il Lager di per sé ne è la metafora più evidente: “Questo è l'inferno. Oggi, ai nostri giorni, l'Inferno deve essere così, una camera grande e vuota, e noi stanchi di stare in piedi, e c'è un rubinetto che gocciola e l'acqua non si può bere, e noi aspettiamo qualcosa di certamente terribile e non succede niente e continua a non succedere niente. Ѐ come essere già morti”. Per rendere meglio l’idea del confronto tra queste due opere, abbiamo scelto di contrapporre immagini rappresentative di ciascuna.
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Lager, Auschwitz Inferno dantesco «Tale sarà la nostra vita. Ogni giorno, secondo il ritmo prestabilito, Ausrücken ed Einrücken, uscire e rientrare; lavorare, dormire e mangiare; ammalarsi, guarire o morire.» (Op. cit. cap. Sul fondo pag. 31) “Quivi sospiri, pianti e alti guai risonavan per l’aere sanza stelle, per ch’io al cominciar ne lagrimai.” (Inf. III, vv. 22-24) “in quell’aura sanza tempo tinta” (Inf. III, v. 29)
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Verso l’Inferno «Guai a voi, anime prave!» (Inf. III, v. 84) “Proprio così, punto per punto: vagoni merci, chiusi dall’esterno, e dentro uomini donne e bambini, compressi senza pietà, come merce di dozzina, in viaggio verso il nulla, in viaggio all’ingiù, verso il fondo”. (Op. cit. cap. Il viaggio pag. 14)
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Il nostro Caronte “… un vecchio, bianco per antico pelo (Inf. III, v.83) […] Caron dimonio, con occhi di bragia” (inf. III, v.109) “Accende una pila tascabile, e invece di gridare «Guai a voi, anime prave» ci domanda cortesemente ad un ad uno, in tedesco e in lingua franca, se abbiamo danaro od orologi da cedergli: tanto dopo non ci servono più.”, […] (Op. cit. cap. Il viaggio pag. 18)
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“Il lavoro rende liberi”, Auschwitz “… Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate” (Inf. III, v.9) « Il suo ricordo ancora mi percuote nei sogni (il lavoro rende liberi)» (Op. cit. cap. Sul fondo pag. 19)
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Detenuti, Auschwitz Dannati, Inferno «Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere quest’offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati in fondo. Più già di così non si può andare: condizione umana più misera non c’è, e non è pensabile. Nulla è più nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremmo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di far sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga.» (Op. cit. cap. Sul fondo pag. 25) « Ma quell’anime, ch’eran lasse e nude, cangiar colore e dibattero i denti, ratto che ‘nteser le parole crude.» (Inf. III, vv. 100-102)
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Detenuti al lavoro, Auschwitz Golosi, Inferno “Dopo quindici giorni dall’ingresso, già ho la fame regolamentare, la fame cronica sconosciuta agli uomini liberi, che fa sognare di notte e siede in tutte le membra dei nostri corpi […]. Spingo vagoni, lavoro di pala, mi fiacco alla pioggia, tremo al vento; già il mio stesso corpo non è più mio: ho il ventre gonfio e le membra stecchite, il viso tumido al mattino e incavato a sera[…]”. (Op. cit. cap. Sul fondo pag. 32) “La bufera infernal, che mai non resta, mena li spirti con la sua rapina; voltando e percotendo li molesta.” (Inf. V, vv. 31-33) “Io sono al terzo cerchio, de la piova etterna, maledetta, fredda e greve” (Inf. VI, vv. 7-8) “A la pioggia mi fiacco” (Inf. VI, v. 54) “voltando pesi per forza di poppa” (Inf. VII, v. 27)
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“All’autore pare di intravedere una conturbante analogia fra il naufragio di Ulisse e il destino dei prigionieri: l’uno e gli altri sono stati paradossalmente ‘puniti’, Ulisse per aver infranto le barriere della tradizione, i prigionieri perché hanno osato opporsi ad una forza soverchiante, quale era allora l’ordine fascista in Europa. Ancora: fra le varie radici dell’antisemitismo tedesco, e quindi del Lager, c’era l’odio e il timore per ‘l’acutezza’ intellettuale dell’ebraismo europeo, simile a quella dei compagni di Ulisse.” Detenuti Auschwitz Il canto di Ulisse « "Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza" […] Per un momento, ho dimenticato chi sono e dove sono. Pikolo mi prega di ripetere. Come è buono Pikolo, si è accorto che mi sta facendo del bene.» (Op. cit. Il canto di Ulisse pag. 102) "Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza" (Inf. XXVI, vv. 118-120)
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"Diverse lingue, orribili favelle" (Inf. III, v. 25) «La confusione delle lingue è una componente fondamentale del modo di vivere di quaggiù; si è circondati da una perpetua Babele, in cui tutti urlano ordini e minacce in lingue mai prima udite, e guai chi non afferra a volo.» (Op. cit. cap. Iniziazione pag. 33) Torre di Babele
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La vita nell’infermeria, o Ka–Be, è definita vita di limbo e il limbo (Inf. IV) è il cerchio dell’inferno dove si trovano i non battezzati, dove minore è la sofferenza dei dannati. «La vita nel Ka-Be è vita di limbo. I disagi materiali sono relativamente pochi, a parte la fame e le sofferenze inerenti alle malattie. Non fa freddo, non si lavora, e, a meno di commettere gravi mancanze, non si viene percossi.» (Op. cit. cap. Ka-Be pag. 44) Limbo Ka-Be
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Il dottor Pannwitz, che fa l’esame di chimica a Primo Levi, è assimilato ad un giudice infernale. «Pannwitz è alto, magro, biondo; ha gli occhi, i capelli e il naso come tutti i tedeschi devono averli, e siede formidabilmente dietro una complicata scrivania.» (Op. cit. cap. Esame di chimica pag. 94) "Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: essamina le colpe ne l’intrata; giudica e manda secondo ch’avvinghia." (Inf. V, vv. 4-6) Minosse
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