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PubblicatoRegina Vanni Modificato 8 anni fa
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il nuovo rito delle esequie scuola diocesana di teologia
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l’ordo exsequiarum del 1969 Il rito delle esequie esprima più apertamente l’indole pasquale della morte cristiana e risponda meglio, anche quanto al colore liturgico, alle condizioni e alle tradizioni delle singole regioni (SC 81). Si riveda il rito della sepoltura dei bambini e sia arricchito di messa propria (SC 82).
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il nuovo rituale doveva rispondere a due esigenze: 1. teologica: tener conto del carattere pasquale della morte cristiana 2. antropologica: considerare la diversità delle situazioni secondo gli ambienti, i paesi e l’età del dfunto Si doveva procedere alla creazione di un rituale diversificato abbandonando quello unico del passato valido dappertutto.
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il gruppo di lavoro costituito nel 1964 cominciò con una inchiesta sulla pratica dei funerali nel mondo e constatò l’esistenza di tre principali tipologie di pratiche: 1. celebrazione centrale con la messa in chiesa con assoluzione esequiale (Francia, Italia) 2. celebrazione liturgica in cimitero (paesi di lingua tedesca) 3. celebrazione nella casa del defunto (Africa e alcuni paesi dell’Europa) Partendo da queste considerazioni il gruppo di lavoro pensò di preparare tre tipi di celebrazione esequiale
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nell’adattare il rituale le Conferenze episcopali avrebbero dovuto: - esaminare quali elementi della tradizione locale potevano essere inserite, - mantenere degli elementi dei rituali precedenti, - adottare o meno le tre tipologie di esequie proposte, - tradurre i testi con attenzione al carattere proprio delle culture e delle lingue, e proporre dei canti, - facoltativamente aggiungere testi e rubriche nuove, - considerare se i laici avrebbero potuto presiedere i riti delle esequie, - decidere il colore liturgico da utilizzare nel rito. Due paesi ritennero di procedere a dei veri e propri adattamenti: 1. Francia (1972) 2. Germania (1972 e poi 1977)
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struttura del rituale 1. contenuto del volume 2. struttura del rito 3. novità
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contenuto del volume dopo i praenotanda (cap. 1) il volume propone uno schema per una veglia che si può fare nella casa del defunto o in chiesa e una breve liturgia per la deposizione del corpo nel feretro. Seguono tre tipi di celebrazione: 1. (cap. 2) comprende una statio nella casa del defunto, una processione dalla casa alla chiesa, una seconda statio in chiesa per la messa o la liturgia della parola, seguita dal rito del commiato che sostituisce l’antica assoluzione, una processione dalla chiesa al cimitero, una terza statio presso la tomba con la benedizione e inumazione. 2. (cap. 3) si svolge interamente al cimitero, liturgia della parola con il rito del commiato, la processione alla tomba con il canto dei salmi (rituale romano del VII secolo: 117, 41, 96, 24), una statio presso la tomba benedizione e inumazione. 3. (cap. 4) si celebra nella casa del defunto e comprende una liturgia per la deposizione del corpo nel feretro, la liturgia della parola o la messa con il rito del commiato. C’è un cap. 5 sulle esequie dei bambini battezzati, un cap. 6 con i testi biblici per le esequie degli adulti, un cap. 7 con i testi per i bambini battezzati e un cap.8 con i testi per i bambini non battezzati.
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struttura del rito Nella struttura del rito distinguiamo 4 momenti 1. La consolazione della fede rivolta ai parenti del defunto: il sacerdote, il diacono o il laico che guidano questo momento devono apparire in primo luogo come «ministri della consolazione» (n.17 e 33) Questa consolazione può trovare spunto dai testi biblici evocati al n.33. 2. La liturgia della Parola presente nei tre tipi di celebrazione. consta in una- due-tre letture bibliche, l’omelia e la preghiera universale. temi centrali sono la speranza nella vita eterna, la pietà verso il defunto e il valore testimoniale della vita cristiana (n.11) La varietà dei testi permette di scegliere i brani più adatti al defunto o all’assemblea. 3. L’eucarestia è prevista nel primo tipo di celebrazione (nn.39-44) ed è possibile negli altri due tipi (nn.59 e 78), può aver luogo nella casa del defunto o può essere celebrata in un giorno diverso dalla sepoltura. La messa non è più intesa solamente come suffragio per il defunto ma il mezzo per collegare il transitus del cristiano alla pasqua di Cristo (cf. orazioni del Messale). 4. Il rito del Commiato ( raccomandazione e ultimo saluto), l’assemblea saluta il defunto nella certezza che lo rivedrà nella Gerusalemme celeste (n.10).
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novità Il rituale permette la cremazione a condizione che non sia un gesto anti- cristiano (n.15). La cremazione era già stata ammessa dal Santo Ufficio l’8 maggio 1963. Si richiede però la preferenza per l’inumazione visto che anche Cristo ha voluto essere sepolto (n.15, ma: Cristo non è stato deposto in terra ma in una tomba nella roccia Lc 23,53; non doveva poi ritornare alla terra perchè sarebbe risorto...) Il ministro delle esequie è normalmente il sacerdote o il diacono ma la Conferenza episcopale può stabilire che in loro assenza può presiedere un laico (n.19). I riti del primo tipo in casa e al cimitero possono essere presieduti dal laico. Vengono riviste le esequie dei bambini come chiedeva il Concilio dal momento che la morte infantile ha assunto oggi una valenza molto diversa dal passato (cf. le orazioni p. 126). Il rituale prevede le esequie cristiane per un bambino non battezzato e che si voleva battezzare. La liturgia affida il bambino alla misericordia di Dio senza affermare che egli è in cielo (cf. orazioni p.126). Le orazioni sono una preghiera per i genitori e un’istruzione della chiesa...
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il linguaggio del rituale Nella liturgia capita che le espressioni usate siano esatte ma che non si stabilisca la comunicazione. Il trasmittente e il ricevente non sono sulla stessa lunghezza d’onda. Nella liturgia delle esequie tutto questo può amplificarsi. Si deve parlare di qualcosa che non si è sperimentato e in un contesto di alta tensione emotiva. La liturgia non deve soltanto comunicare un messaggio intellettuale o dottrinale ma anche esprimere conforto e consolazione. a. i segni e i simboli: di fronte alla morte il primo linguaggio è il silenzio. I rituali adattati devono stabilire adeguati spazi di silenzio. Il rituale prevede che in chiesa il feretro sia circondato da diversi segni: la bibbia o la croce, i ceri o il solo cero pasquale (n.59). Il rituale ha conservato i gesti dell’aspersione e dell’incensazione del corpo. b. Il linguaggio rituale presuppone una conoscenza biblica che si suppone presente in una vita cristiana matura. Il rito sembra molto pieno di parole: monizioni, salmi, letture, canti, orazioni si accumulano in una specie di inflazione verbale. Altri rituali hanno tolto parte di questi elementi per prediligere l’aspetto umano. entrambe le tipologie presentano però dei pro e dei contro.
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teologia del rituale - i testi presentano una visione cristiana e pasquale ma anche una visione precristiana e prepasquale - si parla della divisione dell’anima dal corpo accennando ad una antropologia della transizione tra la vita terrestre e quella celeste - finalmente contengono preghiere per coloro che sono nel lutto
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a. Visione pasquale del transito. La SC al n. 81 chiedeva che il rito delle esequie esprimesse più chiaramente l’indole pasquale della morte cristiana. Di fatto i Praenotanda iniziano con una affermazione coerente alla richiesta. Tale affermazione indica la chiave di lettura dell’intero rito. Per questo motivo il n.1 dei Praenotanda pone in relazione le esequie con il battesimo e l’eucarestia. Cristo è vincitore della morte e sorgente della risurrezione e il passaggio del cristiano è associato a quella vittoria. Il concetto è ripreso nell’eucologia e nei testi. b. Visione precristiana. Nel rito ci sono formule che provengono dai rituali antichi nei quali Cristo non viene nominato. Si chiede che il defunto venga accolto dagli angeli e dai santi, che risorga nell’ultimo giorno, ma non si fa riferimento a Cristo e alla sua risurrezione. Queste due correnti si ritrovano nel Messale Romano dove si individuano i due strati c. Corpo e anima. Il defunto che nell’eucologia viene sempre chiamato «servo tuo» al momento della morte si vede dividere l’anima (che viene affidata a Dio) dal corpo (che viene affidato alla cura degli uomini) che ritorna alla terra. L’anima segnata dall’iniziazione cristiana è stata preparata ad entrare nell’assemblea dei santi per sedersi al divino banchetto anticipato in terra dall’eucarestia.
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d. La morte come migrazione. Come ogni rito di passaggio il transito del cristiano prevede tre momenti: - 1. abbandono della vita (riti di separazione) - 2. tempo del passaggio (riti di margine) - 3. ritrovamento della vita (riti di aggregazione) 1. E’ un momento molto difficile. Il moribondo è sostenuto dal rito dell’Unzione e associato alla pasqua di Cristo con il Viatico. Nel rito non si raccomanda più solo l’anima ma il moribondo fatto di anima e corpo. 2. Il defunto compie una migrazione e il rituale mantiene l’uso antico dell’immagine delle porte da varcare. I rituali antichi parlavano delle «porte degli inferi» ora si parla di «porte della morte» (portas inferorum e portas mortis). La chiesa accompagna questo passaggio per un tratto ma consapevole che il resto del viaggio non lo può fare. Nel rituale si conservano dunque le belle invocazioni che affidano l’anima in transito alla chiesa celeste (n.75) 3. La chiesa non può che affidare alla comunità del cielo l’anima del defunto e lo fa con diverse immagini: luogo della luce e della pace, luogo dell’assemblea degli angeli e dei santi, seno di Abramo, casa di Dio... L’anima è dunque divisa dal corpo ma il transito non si compi fino a che tutto l’uomo verrà ricomposto all’ultimo giorno...
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c. La preghiera per i vivi. E’ un elemento nuovo del rituale. I parenti e gli amici in lutto hanno bisogno di speranza e consolazione dalla Parola di Dio e da quella della chiesa. I Praenotanda prevedono questo servizio ecclesiale (n.16-17). Nel rituale sono presenti molte orazioni per coloro che sono in lutto secondo le diverse situazioni ed esperienze.
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