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PubblicatoMattia Clemente Modificato 8 anni fa
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IL PRIMO SOCCORSO Il primo soccorso nei luoghi di lavoro Il D.Lgs. 626/94 ha apportato modifiche sostanziali alla normativa vigente in tema di pronto soccorso aziendale. Tra queste, l’obbligo per il datore di lavoro di designare i lavoratori incaricati di attuare le misure di pronto soccorso, salvataggio, prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione dell’emergenza. Un Decreto ministeriale attuativo (che al momento attuale non è stato ancora promulgato, ma del quale è stata data ampia anticipazione) dovrà prevedere, tra l’altro, le modalità della formazione del personale addetto (ivi compresi i programmi formativi ed addestrativi). Il materiale formativo presentato, redatto anche alla luce delle anticipazioni dei programmi ministeriali, vuole avere un approccio pratico, enfatizzando, in particolare: a) le procedure organizzative per fornire un adeguato primo soccorso ai lavoratori colti da malessere o da traumi; b) le più semplici manovre che il primo soccorritore, in attesa del personale sanitario, dovrà compiere nelle situazioni di emergenza ed urgenza. Precederà la parte addestrativa una breve introduzione teorica, per fornire ai partecipanti al corso le informazioni necessarie alla corretta esecuzione delle procedure e delle manovre successivamente illustrate dall’istruttore e poi, da ciascun partecipante al corso, eseguite sotto la supervisione dell’istruttore. La finalità del corso non è quella di trasformare gli addetti alle squadre aziendali di intervento in supplenti del personale sanitario preposto a questo compito, ma di fornir loro un approccio pratico per gestire in modo efficace l’assistenza al lavoratore infortunato o colto da malore. Corso teorico-pratico di alfabetizzazione alle tecniche di Primo Soccorso
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LE RISORSE STRATEGICHE DEL PRIMO SOCCORSO
Il buon esito di un intervento di primo soccorso è legato a: la tempestività dell’intervento le capacità tecniche dei soccorritori Sulla scena di eventuali situazioni di pericolo devono agire soccorritori adeguatamente preparati per intervenire correttamente e tempestivamente. Le risorse strategiche del primo soccorso In emergenza ed urgenza sanitaria le capacità tecniche dei soccorritori - principalmente la preparazione professionale del personale sanitario di pronto soccorso ed il grado di addestramento di questi operatori - influenzano direttamente le probabilità di successo d’intervento e favoriscono la successiva stabilizzazione ospedaliera del soggetto soccorso; purtroppo, l’attivazione di queste risorse ha tempi di risposta spesso troppo lunghi per la sopravvivenza dei soggetti in situazioni d’emergenza. La presenza sulla scena dell’evento, quindi, di un primo soccorritore è l’altra condizione che influisce sul buon esito del successivo intervento di pronto soccorso perché, direttamente avvia l’allertamento precoce del sistema d’emergenza nelle situazioni di emergenza ed urgenza, contribuendo alla tempestività del successivo intervento sanitario, indirettamente evita nei casi di non urgenza un uso improprio del personale sanitario di pronto soccorso, senza distoglierlo da un corretto impiego in altre situazioni di vera emergenza, favorendo la tempestività di quel soccorso. Il corso ha l’obiettivo di porre ciascun operatore nella condizione di intervenire con tempestività ed adeguatezza nelle situazioni in cui è chiamato a disporre delle risorse sanitarie di pronto soccorso. Inoltre, con uno specifico processo formativo è possibile fornire in una occasione successiva agli stessi operatori di primo soccorso una capacità tecnica adeguata nelle manovre di rianimazione cardio polmonare (Basic Life Support o BLS per laici) e di traumatologia (Pre-hospital Trauma Care o PTC) secondo gli standard dell’Italian Resuscitation Council (IRC).
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DESTINATARI del CORSO Il programma formativo riguarda il mondo del lavoro. I principali destinatari del corso sono: - i lavoratori addetti alle squadre di emergenza (“incaricati”) ma anche - gli altri lavoratori - I Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione e Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza - I dirigenti, i preposti e i datori di lavoro Destinatari del corso L’attività di primo soccorso in ambito lavorativo ha peculiarità e priorità diverse da altri contesti (ad esempio, in quella riguardante l’ambito comunitario o domestico i soggetti target sono bambini ed anziani pertanto si porrà l’accento sulle problematiche specifiche di questo contesto). Un’efficace intervento di primo soccorso presuppone, accanto alla padronanza delle più semplici tecniche, la capacità di definizione e di gestione di un sistema organizzativo aziendale che permetta agli addetti al primo soccorso di ben operare; per questo, accanto ai lavoratori addetti individuati dagli articoli 12 e 15 del D.Lgs. 626/94, è auspicabile la presenza degli attori del sistema aziendale di sicurezza (datore di lavoro, dirigenti, preposti, responsabile del servizio di prevenzione e protezione, referenti per i lavoratori della sicurezza).
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FINALITA’ DELL’INTERVENTO FORMATIVO
Le manovre presentate (insieme alle nozioni teoriche indispensabili per poterle eseguire in sicurezza ed efficacia) devono dar modo ai partecipanti di: acquisizione di un approccio comportamentale adeguato a gestire le principali procedure di p.s. saper essere acquisizione di abilità manuali e di schemi operativi saper fare acquisizione delle conoscenze teoriche indispensabili sapere Finalità dell’intervento formativo Durante il corso verranno presentate le manovre di primo soccorso più semplici ed essenziali; la loro descrizione sarà preceduta da un’ampia descrizione teorica circa il significato, le modalità attuative ed i limiti delle manovre stesse; tali argomenti dovranno dar modo ai partecipanti di acquisire: 1) le conoscenze teoriche indispensabili (sapere); 2) abilità manuali e schemi operativi (saper fare); 3) un approccio comportamentale adeguato a gestire le principali procedure di primo soccorso (saper essere).
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OBIETTIVI FORMATIVI Al termine del corso i partecipanti dovranno essere in grado di: riconoscere le situazioni di emergenza e di urgenza valutare la gravità del caso allertare il sistema di Emergenza Sanitaria territoriale 118 fornire un adeguato Primo Soccorso Obiettivi formativi Al termine del corso i partecipanti dovranno essere in grado di riconoscere le situazioni di emergenza e di urgenza, valutare la gravità del caso in relazione alle lesioni osservate (ed in particolare allo stato delle funzioni vitali), allertare il sistema di emergenza sanitaria e fornire un adeguato primo soccorso.
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Le norme, le prime fasi del soccorso e l’autoprotezione del soccorritore
In questo capitolo verranno trattati i seguenti argomenti: La Normativa vigente sul pronto soccorso aziendale L’organizzazione aziendale del primo soccorso Il Triage L’autoprotezione del soccorritore
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Normativa vigente sul Pronto Soccorso Aziendale
La normativa vigente sul pronto soccorso aziendale L’obbligo giuridico del datore di lavoro di prestare soccorso al lavoratore infortunato (o colpito da malore) è precetto antico nella nostra legislazione e risale a molti anni fa. Più recentemente il D.Lgs. 626/94 ha ampliato e completato gli obblighi del datore di lavoro in tema di assistenza medica d’emergenza dei lavoratori, modificando alcune delle incombenze già previste dalla legge alla luce dei più recenti orientamenti culturali e tecnici in tema di assistenza medica di emergenza.
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Norme sul Pronto Soccorso Aziendale
Vecchie norme ancora in vigore D.Lgs.626/94 Norme sul pronto soccorso aziendale In tema di primo soccorso aziendale esistono nel nostro paese norme (tuttora vigenti) che risalgono agli anni ‘50 ed il più recente Decreto Legislativo 626/94, che come si diceva, ha ampliato gli obblighi del datore di lavoro.
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Norme ancora in vigore D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547
D.P.R. 19 marzo 1956 n. 303 D.M. 28 luglio 1958 Le vecchie norme ancora in vigore Tra le norme ancora vigenti citiamo le più importanti come il D.P.R. 547/55, il D.P.R. 303/56 e il D.M. 28/07/1958. Il primo (D.P.R. 547/55) sancisce l’obbligo per il datore di lavoro di prestare l’assistenza necessaria ai lavoratori infortunati o colpiti da malore. Il D.P.R. 303/56 dedica un intero capo (il capo III) alla organizzazione del pronto soccorso aziendale, prevedendo per il datore di lavoro l’obbligo di tenere presidi via via più rappresentati in base ad alcune caratteristiche dell’azienda (come ad esempio la numerosità dei lavoratori dipendenti, i fattori di rischio presenti e l’ubicazione dell’azienda rispetto a centri urbani provvisti di posto pubblico di pronto soccorso). Infine, il Decreto Ministeriale 28 luglio 1958 sancisce il contenuto del pacchetto di medicazione, della cassetta di pronto soccorso e della camera di medicazione.
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D.P.R. 547/55 CAPO IV - art. 388 Capo IV - art. 388 (Denuncia dell’infortunio e soccorsi d’urgenza) ... Il datore di lavoro deve predisporre che per gli infortuni, comprese le lesioni di piccola entità, siano immediatamente prestati all’infortunato i soccorsi d’emergenza D.P.R. 547/55 - art. 388 L’art. 388 del D.P.R. 547/55 sancisce l’obbligo giuridico per il datore di lavoro di prestare assistenza ai lavoratori infortunati; infatti, la norma recita che ... il datore di lavoro deve predisporre che per gli infortuni, comprese le lesioni di piccola entità, siano immediatamente prestati all’infortunato i soccorsi d’emergenza.
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D.P.R. 547/55 art. 343 art. 343 (istruzione sui soccorsi ai colpiti da corrente elettrica) tabella con le istruzioni sui soccorsi da prestare ai colpiti da corrente elettrica officine e cabine elettriche D.P.R. 547/55 - art. 343 L’art. 343 del D.P.R. 547/55 sancisce l’obbligo per il datore di lavoro di esporre, in alcuni ben specificati locali di lavoro ove può esservi il rischio di infortunio elettrico, una tabella contenente le istruzioni da prestare ai soggetti colpiti da corrente elettrica. Quello riportato di seguito è il testo della norma. Art. 343 (istruzioni sui soccorsi ai colpiti da corrente elettrica). Nei locali delle officine e delle cabine elettriche deve essere esposta in modo visibile una tabella con le istruzioni sui soccorsi da prestare ai colpiti da corrente elettrica. Analogo provvedimento deve essere adottato negli stabilimenti e luoghi di lavoro in genere dove è utilizzata la corrente ad alta tensione(*) o dove la corrente, in relazione al suo uso ed alle condizioni locali, può costituire pericolo. (*) La definizione di corrente ad alta tensione è nell’art. 268 dello stesso D.P.R. 547/55, dove viene definita corrente ad alta tensione una corrente superiore a 400 Volta per correnti alternate e superiore a 600 Volta per correnti continue.
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Norme generali per l’igiene del lavoro (D.P.R. 303/56)
Capo III: Servizi Sanitari Art. 27: Pronto soccorso (PS) art. 28: Pacchetto di medicazione art. 29: Cassetta di PS art. 30: Camera di medicazione art. 31: Decentramento del PS art. 32: Personale sanitario art. 56: Mezzi di PS e profilassi (in az. agricole) D.P.R. 303/56 Il D.P.R. 303/56 rappresenta il caposaldo della legislazione prevenzionistica vigente nel nostro Paese. Il decreto, promulgato nella seconda metà degli anni ‘50, risente, come è ovvio, di una cultura dell’emergenza che vedeva nell’ospedale il luogo principe ove trattare il paziente; la ospedalizzazione delle attività di primo soccorso sono dunque collegate a quel modo di pensare la cultura del soccorso.
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Il D.P.R. 303/56 pacchetto di medicazione cassetta di pronto soccorso
camera di medicazione Il D.P.R. 303/56 e le attrezzature minime di pronto soccorso Più nello specifico, il D.P.R. 303/56 detta disposizioni sulle caratteristiche minime delle attrezzature di pronto soccorso. Queste disposizioni prevedono la necessità di tenere in azienda un pacchetto di medicazione, una cassetta di pronto soccorso, oppure una camera di medicazione, in base ad alcune e ben individuate caratteristiche dell’azienda (in sostanza, dimensioni dell’azienda e rischio).
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comparto produttivo (industria, agricoltura, commercio)
Caratteristiche minime delle attrezzature di pronto soccorso (D.P.R. 303/56), in base a: comparto produttivo (industria, agricoltura, commercio) numero dei lavoratori lontananza dell’azienda da centri provvisti di posto permanente di pronto soccorso attività a rischio di scoppio, di infezione, di asfissia o di avvelenamento obbligo di sottoporre i lavoratori a visite mediche periodiche ai sensi dell’art. 33 del D.P.R. 303/56 Razionale delle attrezzature minime di pronto soccorso Le caratteristiche dell’azienda sulla base delle quali il datore di lavoro deve adeguare le attrezzature di pronto soccorso sono: 1) la tipologia del comparto produttivo (aziende industriali, agricole o commerciali), 2) il numero dei lavoratori impiegati, 3) la distanza dell’azienda da centri provvisti di posto permanente di pronto soccorso, 4) lo svolgimento, all’interno dell’azienda, di attività a rischio di scoppio, d’infezione, di asfissia o di avvelenamento, 5) l’obbligo di sottoporre i lavoratori a visite mediche periodiche ai sensi dell’art. 33 del D.P.R. 303/56. Com’è evidente, alcuni dei criteri utilizzati dal legislatore per graduare la tipologia dei presidi (come ad esempio l’ubicazione dell’azienda rispetto a centri provvisti di posto permanente di pronto soccorso), appartengono ad una più antica filosofia del soccorso, che voleva l’assistenza sanitaria d’emergenza in ospedale piuttosto che sul territorio.
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pacchetto di medicazione
comparto produttivo numero lav. rischio di scoppio, infezione,... lontananza da centri provvisti di PS ... obbligo visite period. pacchetto di medicazione Le attrezzature minime di pronto soccorso E’ evidente che, in base al dettato di legge sopra menzionato, attrezzature più sofisticate e più ricche di presidi sanitari dovranno essere impiegate in aziende industriali piuttosto che agricole o commerciali, in aziende che impiegano più lavoratori, e che sono lontane da centri provvisti di posto permanente di pronto soccorso, ed in cui si svolgano attività a rischio di scoppio, d’infezione, di asfissia o di avvelenamento; allo stesso modo, attrezzature di primo soccorso più sofisticate dovranno essere impiegate laddove esista l’obbligo di sottoporre i lavoratori a visite mediche periodiche ai sensi degli artt. 33, 34 e 35 del D.P.R. 303/56. I presidi sanitari previsti all’interno del pacchetto di medicazione, della cassetta di pronto soccorso e della camera di medicazione sono contenuti in un decreto del ministero della Sanità che risale alla fine degli anni ‘50 (il D.M. 28 luglio 1958). E’ intuitivo che la gran parte dei presidi ivi contenuti sono desueti. Per esempio, nella cassetta di pronto soccorso e nella camera di medicazione sono contenuti anche dei farmaci (alcuni dei quali, come per esempio la morfina, poco maneggevoli e di difficile conservazione, altri, da molti anni non più in commercio: caffeina, sparteina etc.). Per questa ragione essi non verranno riportati nelle successive diapositive. Verrà invece riportato il contenuto del pacchetto di medicazione e della cassetta di pronto soccorso, così come è stato proposto nell’ambito del Decreto Interministeriale (di cui all’art. 15 del D.Lgs. 626/94) non ancora promulgato. cassetta di pronto soccorso camera di medicazione
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Art. 28: Pacchetto di medicazione
E’ obbligatorio tenere il pacchetto di medicazione nelle aziende industriali che non si trovano nelle condizioni indicate dagli artt. 29 e 30, nonché nelle aziende commerciali che occupano più di 25 dipendenti. Il pacchetto di medicazione Il pacchetto di medicazione è il presidio minimo da tenere in azienda. Esso è obbligatorio nelle aziende industriali che non si trovano nelle condizioni indicate dagli artt. 29 e 30, nonché nelle aziende commerciali che occupano più di 25 dipendenti.
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Art. 29: Cassetta di PS Sono obbligatorie nelle industrie:
anche senza particolari condizioni di rischio ovunque ubicate oltre i 50 dipendenti d rischio di scoppio, asfissia, infezione, avvelenamento in centri abitati con posti fissi di P.S. oltre 5 dipendenti c località di difficile accesso o lontane da posti fissi di P.S. fino a 50 dipendenti b fuori da centri abitati con posti fissi di P.S. fino a 5 dipendenti a particolari rischi ubicazione n. dipendenti La cassetta di pronto soccorso Sono obbligate a tenere una cassetta di pronto soccorso: a) le aziende industriali, che occupano fino a 5 dipendenti, quando siano ubicate lontano dai centri abitati provvisti di posto pubblico permanente di pronto soccorso e le attività che in esse si svolgono presentino rischi di scoppio, di asfissia, di infezione o di avvelenamento; b) le aziende industriali, che occupano fino a 50 dipendenti, quando siano ubicate in località di difficile accesso o lontane da posti pubblici permanenti di pronto soccorso e le attività che in esse si svolgono non presentino i rischi considerati alla lettera a); c) le aziende industriali, che occupano oltre 5 dipendenti, quando siano ubicate nei centri abitati provvisti di posto pubblico permanente di pronto soccorso e le attività che in esse si svolgono presentino rischi di scoppio, di asfissia, di infezione o di avvelenamento; d) le aziende industriali, che occupano oltre 50 dipendenti, ovunque ubicate che non presentino i rischi particolari sopra indicati.
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Art. 30: Camera di medicazione
Va obbligatoriamente allestita in industrie con: ovunque ubicate, con obbligo di sorveglianza sanitaria oltre i 50 dipendenti c condizioni di rischio a giudizio dell’ispettorato del lavoro a giudizio dell’ispettorato del lavoro indifferente b rischio di scoppio, asfissia, infezione, avvelenamento fuori da centri abitati con posti fissi di P.S. oltre 5 dipendenti a particolari condizioni ubicazione pericolosa n. dipendenti La camera di medicazione Sono obbligate a tenere la camera di medicazione le aziende industriali che occupano più di 5 dipendenti quando siano ubicate lontano dai posti pubblici permanenti di pronto soccorso e le attività che in esse si svolgono presentino rischi di scoppio, di asfissia, di infezione o di avvelenamento. Quando, a giudizio dell’Ispettorato del lavoro, ricorrano particolari condizioni di rischio e di ubicazione, le aziende di cui al precedente articolo 29, in luogo della cassetta di pronto soccorso, sono obbligate ad allestire la camera di medicazione. Sono obbligate a tenere la camera di medicazione anche le aziende industriali che occupano più di 50 dipendenti soggetti all’obbligo delle visite mediche preventive e periodiche a norma degli articoli 33, 34 e 35 del D.P.R. 303/56.
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“Presidi chirurgici e farmaceutici aziendali” (D.M. 28/7/58)
istruzioni per l’uso dei presidi della cassetta di PS All.to B istruzioni per l’uso dei presidi del pacchetto di medicazione All.to A forniture della camera di medicazione punto 3 punto 2 Punto 1 contenuto della cassetta di PS contenuto del pacchetto di medicazione Il Decreto Ministeriale 28 luglio 1958 sui presidi chirurgici e farmaceutici aziendali Il Decreto Ministeriale 28 luglio del 1958 riporta i contenuti del pacchetto di medicazione, della cassetta di pronto soccorso e della camera di medicazione, oltre alle istruzioni per l’uso dei presidi contenuti nel pacchetto di medicazione e nella cassetta di pronto soccorso. Il contenuto di tali presidi è oggi ampiamente desueto. il contenuto di tali presidi è oggi ampiamente desueto
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P.S. aziendale: Compiti del datore di lavoro
Art. 22: Formazione dei lavoratori Art. 21: Informazione dei lavoratori Pronto Soccorso Comma 1, 2 Art. 15 Obblighi del DdL etc. lettera a Comma 5 Art. 4 Disposizioni generali lettera b Comma 3 Comma 1 Art. 12 Quadro riassuntivo Gli obblighi del datore di lavoro in tema di pronto soccorso aziendale (D.Lgs. 626/94) Il Decreto Legislativo 626/94 amplia gli obblighi del datore di lavoro in merito alla organizzazione del pronto soccorso aziendale, prevedendo alcune incombenze completamente innovative rispetto a quanto già previsto dalle precedenti norme (come per esempio il D.P.R. 547/55 e il D.P.R. 303/56); tra questi elementi di novità abbiamo da un lato l’obbligo di designare i lavoratori incaricati di attuare le misure di pronto soccorso, salvataggio, prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione dell'emergenza (designazione prevista dall’art. 4, comma 5, lettera a) e dall’art. 12), dall’altro l’obbligo di garantire la loro formazione (art. 15). Nella tabella sono riassunti i principali obblighi del datore di lavoro in tema di organizzazione del pronto soccorso aziendale.
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D.Lgs. 626/94 Capo III: PREVENZIONE INCENDI, EVACUAZIONE DEI LAVORATORI, PRONTO SOCCORSO - ART. 12
(Il datore di lavoro) designa i lavoratori incaricati di attuare le misure di pronto soccorso... (art. 12) L’obbligo di designare i lavoratori (art. 12, D.Lgs. 626/94) L’art. 12 comma 1, lettera b) del D.Lgs. 626/1994 contiene dunque una sostanziale “novità” rispetto alla legislazione vigente, poiché prevede che il datore di lavoro designi i lavoratori incaricati di attuare le misure di pronto soccorso, salvataggio, prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione dell'emergenza.
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Art. 12, comma 3 I lavoratori designati al primo soccorso aziendale…
non possono, se non per un giustificato motivo, rifiutare la designazione devono essere formati in numero sufficiente disporre di attrezzature adeguate Compiti dei lavoratori designati (art. 12, D.Lgs. 626/94) I lavoratori designati non possono, se non per giustificato motivo, rifiutare la designazione. Essi devono essere formati, essere in numero sufficiente e disporre di attrezzature adeguate, tenendo conto delle dimensioni ovvero dei rischi specifici dell’azienda (art. 12 comma 3). tenuto conto delle dimensioni e dei rischi specifici dell’azienda
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NELL’ORGANIZZAZIONE DEL PRONTO SOCCORSO il datore di lavoro dovrà:
D.Lgs. 626/94 Capo III: PREVENZIONE INCENDI, EVACUAZIONE DEI LAVORATORI, PRONTO SOCCORSO - ART. 15 NELL’ORGANIZZAZIONE DEL PRONTO SOCCORSO il datore di lavoro dovrà: tenere conto della natura dell’attività e delle dimensioni dell’azienda consultare il medico competente (se previsto) stabilire rapporti con i servizi esterni, anche per il trasporto dei lavoratori infortunati D.Lgs. 626/94 – art. 15 L’art. 15, comma 1 prevede che il datore di lavoro prenda i provvedimenti necessari in materia di pronto soccorso e di assistenza medica di emergenza. Nell’organizzare il pronto soccorso il datore di lavoro dovrà tenere in considerazione la natura dell’attività produttiva e le dimensioni dell’azienda (ivi comprese anche le altre persone che per altre ragioni sono presenti sul luogo di lavoro). Tali provvedimenti, che dovranno essere attuati con la collaborazione del medico competente (ove previsto), dovranno comportare altresì la necessità di stabilire i necessari rapporti con i servizi esterni, anche per il trasporto dei lavoratori infortunati.
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Il compito può essere delegato a uno o più lavoratori
D.Lgs. 626/94 Capo III: PREVENZIONE INCENDI, EVACUAZIONE DEI LAVORATORI, PRONTO SOCCORSO - ART. 15 Il compito può essere delegato a uno o più lavoratori le caratteristiche minime delle attrezzature di pronto soccorso, i requisiti del personale addetto e la sua formazione saranno individuati con decreto fino all'emanazione del decreto, si applicano le disposizioni vigenti in materia (D.P.R. 303/56 e D.M. del 1958) D.Lgs. 626/94 - art. 15 I compiti di organizzazione del pronto soccorso possono essere delegati ad uno o più lavoratori. Un decreto interministeriale individuerà le caratteristiche minime delle attrezzature di pronto soccorso, i requisiti del personale addetto e la sua formazione. Fino all'emanazione del decreto di cui sopra, si applicano le disposizioni vigenti in materia. Per completezza, si riporta il testo dell’art. 15 del D.Lgs. 626/94. 1.Il datore di lavoro, tenendo conto della natura dell'attività e delle dimensioni dell'azienda ovvero dell'unità produttiva, sentito il medico competente ove previsto, prende i provvedimenti necessari in materia di pronto soccorso e di assistenza medica di emergenza, tenendo conto delle eventuali altre persone presenti sui luoghi di lavoro e stabilendo i necessari rapporti con i servizi esterni, anche per il trasporto dei lavoratori infortunati. 2.Il datore di lavoro, qualora non vi provveda direttamente, designa uno o più lavoratori incaricati dell'attuazione dei provvedimenti di cui al comma 1. 3.Le caratteristiche minime delle attrezzature di pronto soccorso, i requisiti del personale addetto e la sua formazione sono individuati in relazione alla natura dell'attività, al numero dei lavoratori occupati e ai fattori di rischio, con decreto dei Ministri della sanità, del lavoro e della previdenza sociale, della funzione pubblica e dell'industria, del commercio e dell'artigianato, sentita la commissione consultiva permanente e il Consiglio superiore di sanità. 4.Fino all'emanazione del decreto di cui al comma 3, si applicano le disposizioni vigenti in materia.
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Le nuove norme sul primo soccorso aziendale
Il pacchetto di medicazione e cassetta di pronto soccorso secondo il decreto interministeriale non ancora promulgato Il decreto interministeriale non ancora promulgato Il decreto interministeriale di cui all’art. 15 del D.Lgs. 626/94, che, allo stato attuale non è stato ancora promulgato, sulla base della nuova filosofia del primo soccorso che ha portato l’assistenza sanitaria specializzata sul territorio, ha previsto la necessità di tenere, in base ai rischi ed alla numerosità dei dipendenti, due sole tipologie di presidi: il pacchetto di medicazione e la cassetta di pronto soccorso. Il contenuto minimo dei suddetti presidi viene riportato nelle diapositive che seguono.
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CONTENUTO MINIMO del PACCHETTO di MEDICAZIONE
Nella diapositiva è riportato il contenuto minimo del pacchetto di medicazione secondo il Decreto interministeriale non ancora promulgato.
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CONTENUTO MINIMO della CASSETTA di PRONTO SOCCORSO
Nella diapositiva è riportato il contenuto minimo della cassetta di pronto soccorso secondo il Decreto interministeriale non ancora promulgato.
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Presidi di Pronto Soccorso
I presidi di Pronto Soccorso devono essere conservati in contenitori facilmente lavabili, facilmente individuabili e contrassegnati con segnaletica appropriata Questi devono essere conservati in luogo facilmente accessibile, al riparo dalle intemperie Collocazione dei presidi di pronto soccorso I presidi di Pronto Soccorso devono essere conservati in contenitori facilmente lavabili, facilmente individuabili e contrassegnati con segnaletica appropriata. Questi devono essere conservati in luogo facilmente accessibile e prontamente utilizzabili dalle squadre di emergenza, in un luogo protetto, al riparo dalle intemperie.
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Presidi di Pronto Soccorso Segnaletica
I presidi di Pronto Soccorso devono essere contrassegnati con segnaletica appropriata Segnaletica dei presidi di pronto soccorso I presidi di Pronto Soccorso devono essere contrassegnati con segnaletica appropriata (croce bianca su fondo verde).
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DECRETO MINISTERIALE SUL P.S. Le tematiche affrontate
Profilo del rischio aziendale Obblighi del datore di lavoro Presidi di pronto soccorso Formazione degli addetti al p.s. Contenuto del decreto interministeriale sul pronto soccorso Il Decreto interministeriale sul pronto soccorso aziendale affronta sostanzialmente quattro problematiche: 1) i criteri per individuare il profilo di rischio aziendale (e la conseguente inclusione dell’azienda in questa o quella categoria); 2) gli obblighi del datore di lavoro; 3) le caratteristiche minime dei presidi di pronto soccorso (riviste alla luce del progresso tecnologico); 4) la formazione e l’addestramento dei lavoratori designati.
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PRIMO SOCCORSO INTERNO
datore di lavoro medico competente pacchetto cassetta formazione mezzo di comunicazione addetti L’organizzazione del pronto soccorso aziendale secondo il decreto interministeriale Secondo quanto riportato nel decreto interministeriale, il primo soccorso interno deve essere organizzato dal datore di lavoro con l’ausilio del medico competente. Il datore di lavoro dovrà designare i lavoratori addetti al primo soccorso i quali dovranno essere formati alla gestione dell’emergenza e dotati di presidi atti ad ausiliare l’intervento (pacchetto di medicazione o cassetta di pronto soccorso) e a sollecitare l’intervento del 118 (attraverso un idoneo mezzo di comunicazione). Da parte sua, il medico competente dovrà collaborare con il datore di lavoro alla classificazione dell’azienda e alla gestione delle attrezzature e dei presidi di primo soccorso (ivi compresa la loro integrazione, se necessaria). Le Regioni e le Aziende Unità Sanitarie Locali dovranno infine garantire un intervento tempestivo anche presso le aziende ubicate in luoghi difficilmente raggiungibili. PRONTO SOCCORSO Azienda USL Regione 118
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Profilo del rischio aziendale
aziende con meno di 3 lavoratori che non rientrano nel gruppo A Gruppo C aziende con 3 lavoratori ed oltre che non rientrano nel gruppo A Gruppo B aziende pericolose aziende con oltre 5 lavoratori ad alto indice infortunistico INAIL aziende agricole con oltre 5 lavoratori a tempo indeterminato Gruppo A Il Decreto Interministeriale – classificazione delle aziende Il Decreto Interministeriale presenta una classificazione delle aziende del tutto inedita, orientata ad inquadrare le stesse in tre gruppi di rischio (aziende di gruppo A, B e C). Tale classificazione è effettuata sulla base del numero dei dipendenti, del comparto produttivo e dei rischi professionali.
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Aziende pericolose del gruppo A
Appartengono a questo gruppo: - aziende soggette ad obbligo di dichiarazione o notifica (D.P.R. 175/88 e poi D.Lgs. 334/99) - centrali termoelettriche - impianti e laboratori nucleari (artt. 7, 28 e 33 D.Lgs. 239/95) - aziende estrattive ed altre attività minerarie (D.Lgs. 624/96) - lavori in sotterraneo (D.P.R. 320/56) - aziende per la fabbricazione di esplosivi, polveri e munizioni Aziende pericolose di gruppo A Appartengono al gruppo A: aziende soggette ad obbligo di dichiarazione o notifica (DPR 175/88 e poi D.Lgs. 334/99) centrali termoelettriche impianti e laboratori nucleari (artt. 7, 28 & 33 D.Lgs. 239/95) aziende estrattive ed altre attività minerarie (D.Lgs. 624/96) lavori in sotterraneo (D.P.R. 320/56) aziende per la fabbricazione di esplosivi, polveri e munizioni.
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Obblighi del datore di lavoro
Il datore di lavoro identifica la categoria d’appartenenza della propria azienda (Gruppo A, B o C) se la propria azienda appartiene al gruppo A, lo notifica all’ASL competente per territorio, per il coordinamento degli interventi d’emergenza classifica la propria azienda nel gruppo a più alto rischio, se questa svolge attività lavorative in più di un gruppo di rischio richiede il parere del medico competente, ove previsto, per identificare la categoria d’appartenenza della propria azienda Il Decreto Interministeriale – obblighi del datore di lavoro Il datore di lavoro identifica la categoria d’appartenenza della propria azienda (Gruppo A, B o C); se la propria azienda appartiene al gruppo A, lo notifica all’ASL competente per territorio, per il coordinamento degli interventi d’emergenza; nel caso in cui l’azienda svolga attività lavorative in più di un gruppo di rischio, il datore di lavoro la classifica nel gruppo a più alto rischio; richiede il parere del medico competente, ove previsto, per identificare la categoria d’appartenenza della propria azienda.
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Obblighi del datore di lavoro
Se l’azienda appartiene al gruppo A o B il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori: • una cassetta di pronto soccorso • un mezzo di comunicazione idoneo ad attivare il sistema di emergenza del S.S.N. Il decreto interministeriale - obblighi del datore di lavoro Se l’azienda appartiene al gruppo A o B il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori una cassetta di pronto soccorso ed un mezzo di comunicazione idoneo ad attivare rapidamente il sistema di emergenza del Servizio Sanitario Nazionale. Se l’azienda appartiene al gruppo C il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori un pacchetto di medicazione ed un mezzo di comunicazione idoneo ad attivare rapidamente il sistema di emergenza del Servizio Sanitario Nazionale. Se l’azienda appartiene al gruppo C il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori: • un pacchetto di medicazione • un mezzo di comunicazione idoneo ad attivare il sistema di emergenza del S.S.N.
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Obblighi del datore di lavoro
Per i lavoratori che operano in luoghi isolati, diversi dalla sede di produzione, il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori: • un pacchetto di medicazione • un mezzo di comunicazione idoneo ad attivare il sistema di emergenza del S.S.N. Il Decreto Interministeriale – adempimenti per i lavoratori che operano in luoghi isolati Per i lavoratori che operano in luoghi isolati diversi dalla sede di produzione, il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori un pacchetto di medicazione ed un mezzo di comunicazione idoneo ad attivare rapidamente il sistema di emergenza del Servizio Sanitario Nazionale.
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Il pacchetto di medicazione e la cassetta di pronto soccorso
Devono contenere una dotazione minima di presidi sanitari, da integrare in base ai rischi presenti nei luoghi di lavoro. Va costantemente assicurato - in collaborazione, ove previsto, con il medico competente - completezza e corretto stato d’uso di prodotti e strumenti di medicazione dei presidi sanitari. Il pacchetto di medicazione e la cassetta di pronto soccorso Il pacchetto di medicazione e la cassetta di pronto soccorso devono contenere una dotazione minima di presidi sanitari, da integrare in base ai rischi presenti nei luoghi di lavoro. Va costantemente assicurato - in collaborazione, ove previsto, con il medico competente - completezza e corretto stato d’uso di prodotti e strumenti di medicazione dei presidi sanitari.
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Formazione degli addetti al PS
Gli addetti al PS dovranno essere formati con istruzione teorica e pratica La formazione dovrà essere svolta da personale medico potrà avvalersi, per la parte pratica, della collaborazione di personale infermieristico professionale di altro personale specializzato Il Decreto Interministeriale – formazione dei lavoratori incaricati Gli addetti al PS dovranno essere formati con istruzione teorica e pratica. La formazione dovrà essere svolta da personale medico che potrà avvalersi, per la parte pratica, della collaborazione di personale infermieristico professionale di altro personale specializzato.
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Contenuti e tempi minimi dei corsi
I tempi minimi dei corsi di formazione varieranno secondo il gruppo di appartenenza dell'azienda o unità produttiva, e cioè: Il Decreto Interministeriale – caratteristiche della formazione I tempi minimi dei corsi di formazione variano secondo il gruppo di appartenenza dell'azienda o unità produttiva da un minimo di 12 ore (aziende di gruppo B e C) ad un massimo di 16 ore (aziende di gruppo A). 12 ore distribuite in tre giorni con moduli giornalieri di 4 ore Gruppo B e C 16 ore distribuite in tre giorni, con moduli giornalieri rispettivamente di 6/4/6/ ore, inserendovi anche la trattazione dei rischi specifici dell'attività svolta Gruppo A
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Formazione degli addetti al PS
La formazione degli addetti al PS deve avvenire a spese e cura del datore di lavoro e per questo Il Decreto Interministeriale – caratteristiche della formazione La formazione degli addetti al primo soccorso deve è a carico del datore di lavoro; per tale ragione si deve svolgere durante l'orario di lavoro e non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori. si deve svolgere durante l'orario di lavoro non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori
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Obiettivi didattici 1) Allertare il sistema di soccorso
2) Riconoscere una emergenza sanitaria 3) Attuare gli interventi di primo soccorso 4) Conoscere i rischi specifici della attività svolta Acquisire conoscenze generali sui traumi in ambiente di lavoro Acquisire conoscenze generali sulle patologie specifiche in ambiente di lavoro Acquisire capacità di intervento pratico Il Decreto Interministeriale – obiettivi didattici Gli obiettivi didattici individuati dal legislatore sono i seguenti: Modulo A Allertare il sistema di soccorso Riconoscere una emergenza sanitaria Attuare gli interventi di primo soccorso Conoscere i rischi specifici della attività svolta Modulo B Acquisire conoscenze generali sui traumi in ambiente di lavoro Acquisire conoscenze generali sulle patologie specifiche in ambiente di lavoro Modulo C Acquisire capacità di intervento pratico.
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Omissione di soccorso (art. 593 c.p.)
è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a lire seicentomila chi, trovando un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di prestare l'assistenza occorrente o di darne immediato avviso all'Autorità. Se da siffatta condotta del colpevole deriva una lesione personale, la pena è aumentata; se ne deriva la morte la pena è raddoppiata. Omissione di soccorso (art. 593 c.p.) Prima di definire cosa si intenda per “primo soccorso” e quali sono i compiti del “primo soccorritore”, è opportuno illustrare il contenuto dell’art. 593 del c.p. (omissione di soccorso); commette il reato di omissione di soccorso, “chi, trovando un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di prestarne l’assistenza occorrente o di darne immediato avviso all’Autorità”. Così recita l’art. 593 del codice penale (Omissione di soccorso): Chiunque, trovando abbandonato o smarrito un fanciullo minore degli anni dieci, o un'altra persona incapace di provvedere a se stessa, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o per altra causa, omette di darne immediato avviso all'Autorità, è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a lire seicentomila. Alla stessa pena soggiace chi, trovando un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di prestare l'assistenza occorrente o di darne immediato avviso all'Autorità. Se da siffatta condotta del colpevole deriva una lesione personale, la pena è aumentata; se ne deriva la morte la pena è raddoppiata.
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Abuso della professione Stato di necessità
Art. 348 c.p. (abuso della professione) Chiunque abusivamente eserciti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire a 1 milione Art. 54 c.p. (stato di necessità) Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o gli altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato né altrimenti evitabile Abuso della professione e stato di necessità Egualmente, è opportuno riportare il contenuto dell’art. 348 e dell’art. 54 del c.p., rispettivamente sull’abuso della professione e sullo stato di necessità: Art. 348 c.p. (abuso della professione) Chiunque abusivamente eserciti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire a 1 milione. Art. 54 c.p. (stato di necessità) Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o gli altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato né altrimenti evitabile.
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IL PRIMO SOCCORSO in AZIENDA
Organizzazione e gestione dell’emergenza sanitaria Organizzazione e gestione dell’emergenza sanitaria Nelle diapositive che seguono tratteremo gli aspetti salienti relativi alla organizzazione ed alla gestione dell’emergenza sanitaria in azienda. E’ evidente che i percorsi organizzativi e gestionali devono essere personalizzati in base alle caratteristiche dell’azienda.
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IL PRIMO SOCCORSO in AZIENDA
L'organizzazione interna per affrontare l'eventuale stato di emergenza DEVE ESSERE uno strumento operativo pre-programmato facente parte a tutti gli effetti dell'insieme dei provvedimenti di sicurezza da attuare L’organizzazione del primo soccorso aziendale Le situazioni di emergenza sanitaria devono essere affrontate tempestivamente e con decisione, utilizzando protocolli agili ed essenziali e strumenti adeguati. Per questa ragione, l'organizzazione interna per affrontare l'eventuale stato di emergenza deve essere uno strumento operativo pre-programmato facente parte a tutti gli effetti dell'insieme dei provvedimenti di sicurezza previsti nel documento di valutazione del rischio.
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LA GESTIONE DELL'EMERGENZA SANITARIA IN AZIENDA situazioni di emergenza sanitaria
legate ai rischi propri dell'attività (incendi e esplosioni, rilasci tossici e/o radioattivi, lesioni da elettricità, accidenti traumatici, malori, etc.) legate a cause esterne (allagamenti, terremoti, condizioni meteorologiche estreme, etc.) Situazioni di emergenza sanitaria Didatticamente, si suole distinguere le situazioni di emergenza sanitaria in: a) eventi collegati con i rischi propri dell’attività lavorativa; b) eventi legati a cause esterne. Il primo gruppo di eventi è più facilmente prevedibile (e, quindi, più facilmente suscettibile di interventi di prevenzione); tra i suddetti eventi si annoverano gli incendi, le esplosioni, il rilascio di gas tossici, i traumi da elettricità, etc. Le situazioni di emergenza collegate ad eventi esterni sono invece più difficilmente prevedibili e richiedono un approccio più complesso che deve tener conto delle peculiarità dell’azienda, della sua ubicazione, delle caratteristiche del territorio, ecc..
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LA GESTIONE DELL'EMERGENZA SANITARIA IN AZIENDA
La valutazione dei rischi presenti in azienda permette di rilevare la possibilità di avere incidenti anche particolarmente gravi non evitabili con interventi di prevenzione e per i quali è necessario predisporre misure straordinarie da attuare in caso di reale accadimento La valutazione dei rischi e la gestione dell’emergenza sanitaria La valutazione dei rischi è alla base di ogni intervento di prevenzione. Anche nel caso della gestione delle emergenze sanitarie, la valutazione dei rischi specifici presenti in azienda permette di identificare la possibilità di avere incidenti anche particolarmente gravi non evitabili con interventi di prevenzione e per i quali è necessario predisporre misure straordinarie da attuare in caso di reale accadimento. La valutazione dei rischi permette dunque di attuare provvedimenti adeguati alla gestione dell’evento individuato come “a rischio” e di allocare in modo mirato le risorse. Non a caso, l’emanando decreto interministeriale di cui all’art. 15 del D.Lgs. 626/94 prevede che nelle aziende di gruppo A (cioè le aziende a maggior rischio), il datore di lavoro, sentito il medico competente, sia tenuto a garantire in accordo con l’Azienda ASL competente per territorio, anche mediante la costituzione di consorzi tra aziende, l’integrazione tra il sistema di pronto soccorso interno e il sistema di emergenza del Sistema Sanitario Nazionale, anche nel caso di emergenze specifiche.
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PIANO DI EMERGENZA insieme delle misure straordinarie, procedure e azioni, da attuare al fine di fronteggiare e ridurre i danni derivanti da eventi pericolosi per la salute dei lavoratori (e della eventuale popolazione circostante) Il piano di emergenza Il piano di emergenza è dunque lo strumento della valutazione del rischio che riporta l’insieme delle misure straordinarie, delle procedure e delle azioni, da attuare al fine di fronteggiare e ridurre i danni derivanti da eventi pericolosi per la salute dei lavoratori (e della eventuale popolazione circostante). Gli obiettivi principali di un piano di emergenza sono la riduzione dei pericoli alle persone, il prestare soccorso alle persone colpite nel più breve tempo possibile e il circoscrivere e contenere l'evento per limitare il più possibile i danni.
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L’ADDETTO al PRIMO SOCCORSO DEVE CONOSCERE:
LA TOPOGRAFIA DELL’AZIENDA LA LOCALIZZAZIONE DEGLI IMPIANTI e delle UTENZE I PRODOTTI UTILIZZATI LE PROCEDURE DI INTERVENTO LA LOCALIZZAZIONE ED IL CONTENUTO DEI PRESIDI DI PRIMO SOCCORSO E DEI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE La formazione del primo soccorritore Ai fini di una efficace azione di primo soccorso, l’addetto al primo soccorso deve conoscere la topografia dell’azienda (localizzazione e caratteristiche dei reparti e dei percorsi), la localizzazione degli impianti e delle utenze ed i fattori di rischio presenti (particolarmente, i rischi chimici, fisici e biologici), le procedure di intervento in caso di infortunio e/o di malore, la localizzazione ed il contenuto dei presidi interni di primo soccorso e dei dispositivi di protezione individuale, e, infine, la disponibilità dei presidi esterni di pronto soccorso. Il bagaglio culturale sopra descritto (che è specifico della realtà aziendale e territoriale in cui il primo soccorritore opera) è tanto importante quanto lo sono le nozioni tecniche teorico-pratiche sul primo soccorso.
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NELL’EMERGENZA SANITARIA:
DEVO RIMANERE CALMO: il mio compito è organizzare il primo soccorso SONO UN SOCCORRITORE “LAICO”: posso solo cercare di non far peggiorare la situazione IL TEMPO E’ PREZIOSO: l’intervento nei primi 5 minuti è determinante nell’aumentare la probabilità di sopravvivenza del paziente Regole di comportamento nell’emergenza sanitaria Il primo soccorritore dovrà gestire le prime fasi di una emergenza sanitaria nella consapevolezza dei limiti tecnici del proprio operato, unitamente alla conoscenza della importanza di un intervento tempestivo (l’intervento nei primi 5 minuti è determinante nell’aumentare le possibilità di sopravvivenza del paziente), risoluto e riflessivo.
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Cos’è il primo soccorso
Il primo soccorso è caratterizzato da interventi ed azioni compiuti da personale non sanitario, in attesa dell’intervento specializzato Primo soccorso – definizione Il primo soccorso può essere definito come un insieme di interventi, di manovre e di azioni, poste in essere da qualunque cittadino che si trovi a dover affrontare una emergenza sanitaria, in attesa dell’intervento di personale specializzato.
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EMERGENZA SANITARIA COMPITI DEL PRIMO SOCCORRITORE
attivare il "Pronto Soccorso" valutare la vittima e mantenere le funzioni vitali se queste sono alterate arrestare una emorragia esterna proteggere ferite e ustioni preservare la vittima da eventuali ulteriori danni non fare peggiorare lo stato del soggetto I compiti del primo soccorritore Quali sono allora i compiti del primo soccorritore? Quali interventi, manovre ed azioni sono consentite al primo soccorritore? Schematicamente e per semplicità didattica, essi possono essere distinti in 6 gruppi: 1) avviare la macchina del “Pronto soccorso” 2) valutare le funzioni vitali della vittima e, se queste sono assenti, sostenerle 3) se necessario arrestare una emorragia esterna 4) proteggere le eventuali ferite ed ustioni 5) astenersi dall’eseguire manovre, interventi od azioni inutili o dannose, in quanto in grado di compromettere ulteriormente lo stato di salute dell’infortunato o di ritardare l’arrivo dei soccorsi 6) preservare la vittima da eventuali ulteriori danni (per esempio dai danni che potrebbero esercitare le condizioni ambientali in cui la vittima si trova).
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Fornire le seguenti informazioni
CHIAMARE i SOCCORSI - 118 Fornire le seguenti informazioni 1) indirizzo del luogo dell’evento 2) numero di infortunati 3) tipo di infortunio 4) condizioni di salute dell’infortunato La chiamata dei soccorsi La buona riuscita di un intervento di pronto soccorso dipende anche dalla tempestività con la quale i soccorritori specializzati riescono a raggiungere il luogo dell’evento e della loro adeguatezza qualitativa e quantitativa. Per queste ragioni, la centrale che organizza l’intervento di soccorso deve essere posta nella condizione di: 1) far intervenire un equipaggio che sia in grado di trovare prontamente il luogo dell’evento; 2) inviare sul posto mezzi e uomini qualitativamente e quantitativamente idonei a fronteggiare quel tipo di emergenza sanitaria. Per questa ragione il primo soccorritore che è stato incaricato della chiamata dei soccorsi dovrà indicare con precisione l’indirizzo del luogo ove è occorso l’infortunio (o il malore), il numero di infortunati (o di malati), se l’evento è stato o meno traumatico, le condizioni sanitarie dell’infortunato, specificando se il medesimo sia cosciente o meno. E’ sempre opportuno declinare le proprie generalità e indicare un numero telefonico al quale si può essere raggiunti ed attendere i soccorritori professionisti all’esterno dell’azienda (per esempio, nei pressi della portineria o del cancello della fabbrica).
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RACCOGLIERE le INFORMAZIONI
1. Ambiente ove è occorso l'evento 2. Dinamica dell’evento 3. Fonti di informazione disponibili La raccolta delle informazioni Prima di compiere qualunque altro intervento, il soccorritore, appena giunto sul luogo dell’infortunio / incidente / malore, dovrà raccogliere le informazioni, cioè osservare ed analizzare la scena dell’evento. Ciò al fine di intervenire con maggiore cognizione di causa, individuando gli interventi più adatti allo specifico evento e le strategie di protezione personale e della vittima più adeguate.
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RACCOGLIERE le INFORMAZIONI Ambiente ove è maturato l'evento
pericoloso (incendio, crollo di edifici, sviluppo di gas tossici) sfavorevole o disagiato (rumore, scarsa illuminazione, condizioni microclimatiche avverse) La valutazione della “scena” L’ambiente ove è occorso l’evento potrebbe essere pericoloso perché a rischio d’incendio, di crolli, di sviluppo di gas tossici; potrebbe essere sfavorevole perché rumoroso, scarsamente illuminato, o perché presenta condizioni microclimatiche avverse. Questi elementi potrebbero convincere il primo soccorritore dell’opportunità di svolgere le eventuali manovre di soccorso in un altro ambiente, al riparo dagli effetti dei fattori avversi precedentemente descritti. ambiente pericoloso
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RACCOLTA DELLE INFORMAZIONI Dinamica dell’incidente
incidente automobilistico caduta incendio ed esplosione aggressione annegamento avvelenamento od intossicazione folgorazione La dinamica dell’incidente E’ bene che il primo soccorritore impari a distinguere le emergenze sanitarie in cui vi sia stato un trauma (emergenze traumatiche), dalle emergenze non traumatiche. Nella diapositiva sono riportati alcuni eventi che possono essere causa di emergenza sanitaria. Con la sola eccezione dell’avvelenamento, gli altri eventi possono essere considerati tutti traumatici.
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RACCOLTA DELLE INFORMAZIONI Fonti di informazioni disponibili
il/i paziente/i i presenti il luogo dell'intervento la dinamica dell'incidente le caratteristiche delle lesioni L’accesso alle fonti di informazione disponibili La prima fonte di informazione è spesso il paziente, il quale, se cosciente, potrà ricostruire la dinamica dell’evento e descrivere i suoi sintomi. I presenti, il luogo e la dinamica dell’evento e le caratteristiche delle lesioni possono contribuire a ricostruire l’evento (e, talvolta, a comprenderne immediatamente la gravità), nell’ambito della raccolta delle informazioni.
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SPOSTAMENTO E TRASPORTO
Si deve spostare un paziente quando: il luogo dell'incidente è pericoloso e pone il paziente e/o i soccorritori in pericolo di vita (traffico incontrollato, minaccia d’'incendio, folgorazione, gas tossici) l’intervento da eseguire sulla vittima ne richiede un diverso posizionamento Quando spostare un paziente Il primo soccorritore, di norma, non deve mai spostare il paziente, specie se la causa del danno è stato un evento traumatico, a meno che non ricorra anche una sola delle seguenti eventualità: 1) il luogo ove è occorso l’evento è pericoloso per il paziente e/o per i soccorritori 2) l’intervento richiede una diversa posizione della vittima. Nel primo caso occorrerà per prima cosa “allontanare la vittima dal pericolo” o, se possibile, “allontanare il pericolo dalla vittima”. Questo comportamento che, se necessario, deve precedere qualunque altra manovra di soccorso, ha la funzione di “mettere in sicurezza la scena”, per garantire alla(e) vittima(e) ed al(i) soccorritore(i) il massimo della sicurezza possibile. Nel secondo caso (intervento che richiede una diversa posizione della vittima) occorrerà invece spostare la vittima quando la posizione di rinvenimento della stessa non permette di eseguire le manovre assistenziali (per esempio, paziente in arresto cardio respiratorio rinvenuto in posizione prona).
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SPOSTAMENTO E TRASPORTO
Durante il trasporto del paziente se c’è anche soltanto il sospetto di lesione alla colonna, questa non deve mai essere piegata né torta. La testa, il collo, il tronco devono rimanere sempre sullo stesso asse Spostamento e trasporto d’emergenza Nel caso in cui sia assolutamente necessario trasportare una vittima con una sospetta lesione della colonna, la colonna non deve mai essere piegata né torta, ma il collo dovrà essere immobilizzato e il resto della colonna vertebrale (regione dorsale e lombare) dovrà rimanere sempre sullo stesso asse. Maggiori indicazioni sugli spostamenti vengono illustrate in un capitolo dedicato.
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PROTEZIONE DEL PAZIENTE
DA SE STESSO E DALLA PROPRIA ANSIA DAGLI STRESS CLIMATICI DAL CONTATTO CON SANGUE O FLUIDI BIOLOGICI DI (EVENTUALI) ALTRI PAZIENTI Protezione del paziente Il paziente dovrà essere protetto da se stesso (invitandolo, ad esempio, a rimanere a terra immobile in caso di eventi traumatici che abbiano interessato gli arti o la colonna vertebrale o di lipotimia); nel caso di attacco epilettico, le violente convulsioni, possono comportare l’urto contro oggetti vicini alla vittima; tali oggetti andranno pertanto allontanati. La vittima andrà inoltre protetta dagli stress termici, isolandolo adeguatamente dal pavimento e coprendolo per ridurre la dispersione di calore; nei presidi di pronto soccorso è utile la presenza di una coperta isotermica (foglio di plastica che piegato è grande quanto una mano, aperto ricopre interamente il paziente come una coperta). La coperta isotermica detta anche metallina è un foglio con due lati, uno riflettente, come fosse d’alluminio (da questo il caratteristico nome in gergo di metallina), che protegge il soggetto dalle radiazioni solari; un lato opaco, che evita la termodispersione. Il materiale di composizione rende la metallina impermeabile. La vittima dovrà altresì essere protetta dal contatto con sangue o fluidi biologici di (eventuali) altri pazienti.
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TRIAGE Il triage Il triage è un sistema per valutare le vittime in modo omogeneo allo scopo di classificarle sulla base della gravità, assegnando le rispettive priorità di intervento. Per semplicità, i pazienti vengono classificati in codici e ad ogni codice corrisponde un colore e dunque una classe di gravità. Questa “classificazione” deve essere svolta da soccorritori bene addestrati. Ne esporremo in sintesi i concetti salienti.
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DEFINIZIONI PRIMO SOCCORSO PRONTO SOCCORSO
Primo soccorso e pronto soccorso Per primo soccorso si intende l’aiuto prestato a vittime di incidenti e/o malori dai presenti in attesa dell’intervento del 118. Per pronto soccorso si intende invece l’intervento svolto da personale sanitario - medici, infermieri, soccorritori professionali – addestrati a tale compito. Come vedremo vi è una distinzione netta tra i compiti del primo soccorritore e quelli del soccorritore professionale. Aiuto prestato a vittime di incidenti e/o malori dai presenti in attesa dell’intervento del 118 Intervento svolto da personale sanitario -medici, infermieri, soccorritori professionali – addestrati a tale compito
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REGOLE GENERALI Cosa non fare Cosa fare
mettere a repentaglio la propria vita lasciare l’infortunato prima dell’arrivo del personale sanitario prestare interventi superiori alle proprie capacità somministrare liquidi, specialmente alcool farsi prendere dal panico Cosa fare allontanare la folla esaminare l’infortunato in caso d’urgenza/emergenza telefonare al 118 praticare le prime cure confortare e rassicurare il paziente (se cosciente) Primo soccorso: regole generali In un intervento di primo soccorso vi sono delle cose che non si devono fare. Tra queste: mettere a repentaglio la propria vita, lasciare l’infortunato prima dell’arrivo del personale sanitario, prestare interventi superiori alle proprie capacità, somministrare liquidi (specialmente alcool), farsi prendere dal panico. Vi sono invece cose che si devono fare. Tra queste: allontanare la folla, esaminare l’infortunato, in caso d’urgenza/emergenza telefonare al 118 e praticare le prime cure nei limiti delle competenze del primo soccorritore, confortare e rassicurare il paziente (se cosciente). L’allontanamento della folla è necessario per creare spazio all’infortunato ed i soccorritori. Nell’esaminare l’infortunato è prioritario valutare la natura e l’entità del malessere e soprattutto la presenza e l’efficienza delle funzioni vitali (coscienza, respiro, attività cardiaca).
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EMERGENZA/URGENZA ¹ GRAVITÀ
Gravità: effetto nel tempo del danno prodotto sulla salute del paziente; l’entità del danno è poco influenzata dalla rapidità del soccorso, ma dipende piuttosto dalla sua appropriatezza Emergenza /Urgenza: le funzioni vitali del soggetto sono compromesse e la sua sopravvivenza è in pericolo, per cui c’è necessità di praticare un rapido soccorso L’entità di un danno non sempre è proporzionale al pericolo di morte del soggetto colpito ed alla necessità di prestargli soccorso Emergenza e urgenza sanitaria L’entità di un danno per la salute non sempre è proporzionale al pericolo di morte del soggetto colpito ed alla necessità di prestargli soccorso. Per questa ragione è opportuno distinguere le condizioni di emergenza e di urgenza sanitaria dalle situazioni “gravi”. In particolare, nelle condizioni di emergenza/urgenza le funzioni vitali della vittima sono compromesse (o addirittura assenti) e la sua sopravvivenza è in pericolo, per cui c’è la necessità di praticare un rapido intervento di soccorso. La gravità di una condizione clinica può essere invece definita come l’effetto nel tempo del danno prodotto sulla salute del paziente; l’entità del danno è poco influenzata dalla rapidità del soccorso, ma dipende piuttosto dalla sua appropriatezza.
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Emergenza/urgenza e gravità: 2 esempi
Se non si praticano le necessarie manovre, può esserci pericolo di vita! Non appena si rimuove l’ostruzione l’infortunato torna alla normalità Urgenza non differibile o emergenza sanitaria ingestione di un corpo estraneo L’infortunato può esser lasciato sul luogo dell’incidente in attesa di un trasporto qualificato É una situazione grave ma non urgente frattura della colonna vertebrale Tipo di risposta Valutazione del caso Tipo d’infortunio Nel primo soccorso, emergenza/urgenza e gravità non vanno sempre assieme: occorre sempre distinguere le situazioni per agire in modo appropriato! Esempi di emergenza/urgenza e gravità Nel primo soccorso, emergenza/urgenza e gravità non vanno sempre assieme: occorre sempre distinguere le situazioni per agire in modo appropriato! Per esempio, in caso di frattura vertebrale, la situazione è grave ma non urgente; in questo caso, infatti, l’infortunato può essere lasciato sul luogo dell’incidente in attesa di un trasporto qualificato. In questo caso dunque il primo soccorritore dovrà limitarsi a monitorare le funzioni vitali della vittima, a tranquillizzarla e, se necessario, ad invitare il paziente a non muoversi da terra. Completamente diverso è il caso di ingestione di corpo estraneo, situazione questa di urgenza non differibile (cioè di emergenza sanitaria); in questo caso, se non si praticano le opportune manovre, può esserci pericolo di vita; inoltre, non appena viene rimossa l’ostruzione, la vittima torna alla normalità.
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La Classificazione delle Urgenze: il “Triage”
Il triage è una procedura di classificazione delle urgenze che permette ai soccorritori di stabilire le priorità nella destinazione dei soccorsi. Ciò si realizza differenziando la risposta nelle richieste di soccorso ovvero: distinguendo le situazioni urgenti da quelle non urgenti rispondendo alle richieste di soccorso in modo appropriato Il triage Il triage è una procedura di classificazione delle urgenze che permette ai soccorritori di stabilire le priorità nella destinazione dei soccorsi. Ciò si realizza differenziando la risposta nelle richieste di soccorso ovvero distinguendo le situazioni urgenti da quelle non urgenti e rispondendo alle richieste di soccorso in modo appropriato.
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Allarme rosso Emergenza (situazione critica per la sopravvivenza)
Valutazione allertamento del 118 intervento del primo soccorritore ricovero immediato Sono compromessi i parametri vitali, c’è pericolo di vita È necessario un immediato intervento di servizi specialistici. Emergenza (situazione critica per la sopravvivenza) Risposta Tipo di p.s. Allarme rosso Così vengono classificate le situazioni di emergenza sanitaria (situazione critica per la sopravvivenza); in queste condizioni sono compromessi i parametri vitali e c’è l’immediata necessità d’intervento di servizi specialistici. Nella gestione di una emergenza sanitaria (in caso di allarme rosso) il primo soccorritore dovrà: valutare la scena e la vittima, allertare il 118, intervenire con manovre di primo soccorso (se necessario). Il paziente dovrà dunque essere ospedalizzato al più presto. Una tipica situazione d’emergenza è quella del soggetto folgorato in arresto cardio-respiratorio.
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Allarme giallo Urgenza
Risposta Valutazione Tipo di p.s. La sopravvivenza non è ancora compromessa, ma occorre “monitorare” i parametri vitali (coscienza, respiro, circolo), che potrebbero velocemente alterarsi Urgenza (situazione instabile, che facilmente evolve verso la criticità) allertamento del 118 assistenza del primo soccorritore ricovero rapido in ospedale Allarme giallo Così vengono classificate le situazioni di urgenza sanitaria (situazione instabile, che facilmente evolve verso la criticità); in queste condizioni la sopravvivenza non è ancora compromessa, ma occorre monitorare i parametri vitali (coscienza, respiro, circolo), che potrebbero velocemente alterarsi. Anche nella gestione di una urgenza sanitaria (in caso di allarme giallo) il primo soccorritore dovrà: valutare la scena e la vittima, allertare il 118 e prestare alla vittima l’assistenza necessaria. Il paziente dovrà dunque essere ospedalizzato. Esempi d’urgenza sono le fratture esposte e le intossicazioni acute in soggetti ancora coscienti.
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Allarme verde Non urgenza
Valutazione evitare l’allertamento del 118 accesso in ospedale o al medico curante con mezzi privati eventuale ricovero invio a domicilio Non c’è pericolo di vita immediato o a breve termine: la diagnosi ed il trattamento terapeutico possono esser ragionevolmente differiti Non urgenza (situazione stabile, a rischio potenziale d’instabilità) Risposta Tipo di p.s. Allarme verde Così vengono classificate le situazioni di non urgenza sanitaria (situazione stabile, a rischio di potenziale instabilità); in queste condizioni non c’è pericolo di vita immediato o a breve termine; la diagnosi ed il trattamento terapeutico possono essere ragionevolmente differiti. Nella gestione di una non urgenza sanitaria (in caso di allarme verde) il primo soccorritore dovrà valutare la scena e la vittima ed evitare di allertare il 118. In questi casi si può provvedere all’accesso in ospedale o presso l’ambulatorio del medico di famiglia anche utilizzando mezzi privati. Le ferite superficiali e le ustioni lievi sono esempi di danni da trattare in ambito sanitario sempre e comunque, ma che non necessitano di un trattamento che preveda l’intervento del sistema territoriale 118.
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Allarme bianco Urgenza soggettiva
(situazione stabile per i parametri vitali) Tipo di p.s. Non c’è alcun rischio per il soggetto; eventuali comuni patologie sofferte potrebbero esser gestite dal medico curante Valutazione evitare l’ allertamento del 118 contenere ed assistere la persona per questo tipo di problema Risposta Allarme bianco Così vengono classificate le situazioni di non urgenza sanitaria (situazione stabile per i parametri vitali); in queste condizioni non c’è alcun rischio per il soggetto; eventuali comuni patologie sofferte potrebbero essere gestite dal medico curante. Nella gestione di una non urgenza sanitaria (in caso di allarme bianco) il primo soccorritore dovrà valutare la scena e la vittima ed evitare di allertare il 118. In una sindrome influenzale, in una crisi isterica è indispensabile l’assistenza prestata dagli addetti alle squadre di primo soccorso aziendale eventualmente messi in allerta dai compagni di lavoro del collega infermo o dallo stesso lavoratore. In questi casi bisogna prodigarsi per fornire all’infermo tutto il supporto umanano ed assistenziale, favorendo allo stesso tempo l’intervento del medico curante o della guardia medica, a cui si chiede d’intervenire.
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Algoritmi di valutazione
Critical, Unstable, Potentially unstable, Stable (CUPS) Coscienza, Emorragia, Shock, Insufficienza respiratoria, Rotture ossee, Altro (CESIRA) Sequenze d’azione del BLS per la popolazione (RCP nella comunità) Gli algoritmi e le procedure di valutazione Con il termine di algoritmo, nella pratica clinica si vuole indicare un particolare sistema di informazioni o di istruzioni graficamente ordinate in sequenza da un punto di partenza ai vari differenti sbocchi; il termine di procedure indica - fase per fase e contemplando le più diverse eventualità - il comportamento da tenere e il modo di operare in diverse circostanze. Questi sistemi permettono di gestire specifiche situazioni operative complesse, fornendo a chi ne fa uso un approccio chiaro, esauriente, determinato e, pertanto, più efficace. L’impiego di algoritmi e procedure, quindi, dà a chi li impiega la rappresentazione di un piano prestabilito d’azione nel momento in cui si debba affrontare una qualche situazione critica, dovendo procedere per decisioni sequenziali su operazioni che si svolgono sempre secondo il medesimo ordine. Anche in Emergenza Sanitaria, allo scopo di facilitare l’inquadramento del caso (o dei casi) e stabilire le priorità, vengono comunemente utilizzati algoritmi e delle procedure di valutazione. Tra i più noti, citiamo: 1) CUPS (Critical, Unstable, Potentially unstable, Stable); 2) CESIRA (Coscienza, Emorragia, Shock, Insufficienza respiratoria, Rotture ossee, Altro); 3) BLS (Basic Life Support) ovvero la RCP (rianimazione cardiopolmonare).
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Critical Unstable Potentially unstable Stable (CUPS)
Valutazione secondaria e trattamento sul posto lesioni minori malattie non critiche ustioni minori lesioni delle estremità (non complicate) STABLE (non urgenza) POTENTIALLY unstable UNSTABLE (urgenza) CRITICAL (emergenza) lesioni maggiori isolate difficoltà respiratoria ustioni moderate (< 9% ) breve convulsione depressione respiratoria depressione SNC ustioni > 18% segni di shock semi-annegamento stato mentale alterato traumi maggiori convulsioni arresto cardiaco arresto respiratorio Valutazione secondaria e trattamento durante il trasporto Valutazione primaria e trasporto rapido Rianimazione e trasporto rapido Algoritmo CUPS (Critical, Unstable, Potentially unstable, Stable) Una condizione viene definita Critical (o di emergenza sanitaria) quando il soggetto è in arresto cardiaco e respiratorio. Questa situazione richiede immediata rianimazione cardiopolmonare e trasporto rapido. Una condizione Unstable (o di urgenza sanitaria) richiede una immediata valutazione primaria ed un trasporto rapido. Varie situazioni rientrano in tale categoria; tra queste: depressione respiratoria, depressione del sistema nervoso centrale, ustioni che interessano oltre il 18% della superficie cutanea, segni di shock, semi-annegamento, stato mentale alterato, traumi maggiori, convulsioni. Una condizione Potentially unstable (o di potenziale urgenza) richiede una valutazione secondaria; il trattamento (se necessario) può essere eseguito durante il trasporto. Varie situazioni possono essere classificate “di potenziale urgenza”; tra queste abbiamo la difficoltà respiratoria, le ustioni che interessano meno del 18% della superficie cutanea, le convulsioni di breve durata, ecc. Una condizione Stable (o di non urgenza) richiede una valutazione secondaria e l’eventuale trattamento sul posto. Malattie non critiche, ustioni minori e lesioni delle estremità non complicate possono essere degli esempi di condizioni di non urgenza.
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Il primo soccorritore verifica se il soggetto
Coscienza, Emorragia, Shock, Insufficienza respiratoria, Rotture ossee, Altro (CESIRA) .. se non cammina, ma… Verde Si cammina Giallo ha altre patologie o problemi presenta una frattura Rosso ha un’insufficienza respiratoria è in shock ha un’emorragia No è cosciente valuta (Codice) Il primo soccorritore verifica se il soggetto L’algoritmo CESIRA L’algoritmo CESIRA (Coscienza, Emorragia, Shock, Insufficienza respiratoria, Rotture ossee, Altro) è allegato al D.M. “Criteri di massima per l’organizzazione dei soccorsi sanitari nelle catastrofi” del ; in parte modificato può essere utile per essere adottato nel triage da parte di operatori laici, soprattutto quando si trovano a soccorrere numerosi soggetti in caso d’incidenti gravi, di disastro o di catastrofi. Questo algoritmo è immediatamente intuitivo e di facile applicazione; esso richiede una prima classificazione tra soggetto deambulante e soggetto non deambulante. Al primo (soggetto deambulante) viene immediatamente attribuito il codice verde. Il soggetto non deambulante viene invece riclassificato; se è incosciente, se ha una emorragia, se è in stato di shock oppure se ha una insufficienza respiratoria, gli viene attribuito un codice rosso. Al soggetto non deambulante che presenti una frattura o altre patologie o problemi sanitari, viene viceversa attribuito il codice giallo. Fatta così una prima valutazione del soggetto ed assegnatogli un codice, se questo è rosso, s’interviene immediatamente, se è verde o giallo, si passa subito alla valutazione di un altro soggetto.
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La “Catena della Sopravvivenza”
I soggetti in arresto respiratorio e/o cardiaco hanno maggiori probabilità di sopravvivere se - assieme al personale sanitario – precocemente si attivano sulla scena dell’emergenza anche soccorritori laici che provvedano ad allertare immediatamente il sistema 118 avviare il primo soccorso, iniziando la procedura di RCP La catena della sopravvivenza I soggetti in arresto respiratorio e/o cardiaco hanno maggiore probabilità di sopravvivere se - assieme al personale sanitario - si attivano sulla scena della situazione di emergenza/urgenza anche soccorritori laici che, oltre ad allertare immediatamente il sistema 118, avviino il primo soccorso dando inizio al rianimazione cardiopolmonare (RCP). La “catena della sopravvivenza” è una ipotetica catena del soccorso costituita da quattro anelli; i primi due anelli sono costituiti da interventi che può mettere in atto anche il soccorritore laico, i secondi due anelli di supporto avanzato delle funzioni vitali, di competenza dei soccorritori professionali: 1)rapido accertamento dello stato di incoscienza e chiamata immediata dei soccorsi (primo soccorritore); 2)valutazione e, se addestrato, sostegno delle funzioni vitali con RCP (primo soccorritore); 3)stabilizzazione del paziente critico con cure mediche ed eventuale defibrillazione (118); 4)trattamento avanzato con intubazione, ventilazione, somministrazione endovenosa di farmaci durante il trasporto nell’ospedale più adatto (118).
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AUTOPROTEZIONE DEL SOCCORRITORE
Nella attività di primo soccorso, il soccorritore può andare incontro a dei rischi; pertanto, effettuando tali attività deve garantire innanzitutto la sicurezza della scena, tutelando la propria incolumità pensare prima di agire L’autoprotezione del primo soccorritore Il soccorritore deve badare alla propria incolumità. Le situazioni che richiedono l’intervento del soccorritore possono infatti presentare dei rischi. E’ dunque prioritario garantire la sicurezza della scena, pensando ai rischi che si corrono prima di agire.
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I rischi nel soccorso AMBIENTE IN CUI SI SVOLGE IL SOCCORSO
SANGUE E FLUIDI BIOLOGICI DELLA VITTIMA CONDIZIONE / COMPORTAMENTO DELLA VITTIMA I rischi nel soccorso Il soccorritore dovrà dunque difendersi dai pericoli insiti nell’ambiente in cui si effettua il soccorso, garantendosi sempre la sicurezza della scena e dal sangue e dai fluidi biologici della vittima, impiegando adeguati dispositivi di protezione. Anche la condizione e/o il comportamento della vittima potrebbero, in certe situazioni, arrecare danno al primo soccorritore.
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Ambiente A. traffico veicolare incontrollato fuoco gas tossici
pericolo di crollo ... L’ambiente del soccorso L’ambiente in cui si effettua il soccorso potrebbe presentare numerosi pericoli per il soccorritore: il traffico veicolare incontrollato; l’esistenza di un incendio, lo sviluppo di gas tossici; il pericolo di crollo; la possibilità di condizioni atmosferiche sfavorevoli (pioggia, nebbia, neve). Giunto sul posto il soccorritore deve subito valutare se i pericoli ambientali comportino dei rischi per sé e per il soggetto da soccorrere ed agire conseguentemente col fine di garantire in ogni momento la propria sicurezza (gestione ambientale del rischio); pertanto, se vengono rilevati dei rischi, si garantisce la sicurezza della scena: rimovendoli prima di iniziare le procedure di soccorso, …oppure spostando il ferito, se è in condizioni di muoversi, in luogo sicuro. Garantire sempre la sicurezza della scena!
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B.a Sangue della vittima REGOLA GENERALE
Spargimento di sangue, contatto con fluidi biologici sono possibile veicolo di malattie infettive quali epatite B e C, AIDS. Sangue della vittima B.a Il sangue della vittima In molte delle situazioni di emergenza sanitaria, le caratteristiche traumatiche dell’evento portano allo spargimento di sangue ed al contatto con altre componenti biologiche (saliva, muco, etc.); ciò comporta la conseguente possibilità di contatto del primo soccorritore con materiali potenzialmente infetti. Le principali infezioni che possono essere collegate al soccorso sono: l’epatite B e C, che si trasmettono attraverso il contatto con il sangue - se infetto - della vittima; l’AIDS, che si trasmette attraverso il contatto con il sangue (se infetto) della vittima. E’ importante ricordare che ogni soggetto sanguinante deve essere considerato come fonte potenziale di infezione; pertanto, in tali situazioni bisognerà utilizzare adeguati dispositivi di protezione individuali (mezzi barriera), che evitano il contatto diretto con materiali potenzialmente infetti. Le precauzioni universali sono i criteri operativi che regolano l’impiego dei mezzi barriera (la loro adozione è obbligatoria per il personale sanitario dall’emanazione del Decreto del Ministero della Sanità del 28/09/90 denominato “Norme di protezione dal contagio professionale da HIV nelle strutture professionali ed assistenziali”). REGOLA GENERALE ogni soggetto sanguinante deve essere considerato potenziale fonte di infezione in ogni contatto con soggetto sanguinante si devono adottare le precauzioni universali
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Fluidi biologici della vittima
B.b contagio del soccorritore con saliva, muco ed altri fluidi della vittima per esempio, durante la respirazione artificiale I fluidi biologici della vittima Il sangue non è il solo veicolo di infezioni. Il contatto con muco e saliva (se infetti) può essere fonte di contagio del soccorritore in varie circostanze; una di queste, ad esempio, è la respirazione artificiale.
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Mezzi barriera guanti monouso visiera paraschizzi pocket mask
I mezzi barriera Nelle procedure di primo soccorso i principali mezzi barriera, presidi di protezione individuali per evitare il contatto diretto con il sangue ed altri fluidi biologici potenzialmente infetti, sono: i guanti monouso la visiera paraschizzi la pocket mask. Il problema del contatto con materiali potenzialmente infetti è stato preso in considerazione anche dall’emanando Decreto Interministeriale di cui all’art. 15 del D.Lgs. 626/94, che, nei presidi di primo soccorso, prevede. guanti monouso e sacchetti monouso per la raccolta dei rifiuti sanitari nel pacchetto di medicazione e nella cassetta di pronto soccorso visiera paraschizzi per la sola cassetta di pronto soccorso.
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Guanti monouso Modalità d’uso Quando Come
Infilati prima di iniziare le attività di soccorso, devono tenersi fino a che si è in contatto con materiale potenzialmente contagioso Devono essere indossati per proteggere entrambe le mani da contagio adottando una particolare procedura Quando Come Modalità d’uso Guanti monouso Vanno indossati all’inizio di ogni procedura di primo soccorso che comporti il potenziale contatto con sangue ed altri fluidi biologici e tolti solo quando termina il soccorso.
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Guanti monouso Dopo il loro utilizzo
si sfilano afferrandoli dal lembo libero all’altezza del polso Utilizzo dei guanti monouso Una volta utilizzati i guanti vanno sfilati dopo averli afferrati dal lembo libero all’altezza del polso; in questo modo i residui di sangue rimangono all’interno dei guanti. Insieme ad ogni altro materiale di medicazione contaminato (garze sporche di sangue, pinzette utilizzate per l’assistenza, ecc.) i guanti devono essere gettati nel sacchetto monouso per la raccolta dei rifiuti. Occorre poi, dopo ogni pratica di soccorso, lavare sempre accuratamente mani.
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Visiera paraschizzi Modalità d’uso Quando Come
Per ferite a rischio di schizzi alle mucose congiuntivali, orali, nasali (es. emorragie di grandi vasi arteriosi) Schermo di plastica trasparente che ripara il volto (gli occhi, la bocca il mento e le narici) dal rischio di schizzi Quando Come Modalità d’uso Visiera paraschizzi La visiera paraschizzi è uno schermo di plastica trasparente che ripara il volto dal rischio di schizzi. Deve essere utilizzata per ferite a rischio di schizzi di sangue come ad esempio nelle emorragie provenienti dai grandi vasi arteriosi.
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Pocket mask Modalità d’uso Quando Come
Durante ventilazione dell’aria nella bocca di un soggetto in arresto respiratorio o cardio respiratorio (respirazione artificiale) La pocket mask è una maschera che si monta sulla bocca del soggetto in arresto respiratorio; offre una validissima barriera contro il rischio di contagio. Quando Come Modalità d’uso Ventilazione con pocket mask La pocket mask è una maschera · di facile impiego, che si monta facilmente sulla bocca del soggetto in arresto respiratorio; · di discreta flessibilità; infatti, raccordando la maschera ad una sorgente di ossigeno è possibile ventilare con aria arricchita di ossigeno; · d’ingombro molto contenuto; infatti, smontata facilmente, s’alloggia in un contenitore tascabile(1); · di costo limitato. È uno dei mezzi aggiuntivi il cui uso è consentito anche a soccorritori laici. È auspicabili che la pocket mask diventi un mezzo usuale del soccorritore non sanitario anche per la validissima barriera che offre contro il rischio di contagio. (1) La denominazione commerciale inglese di pocket mask è stata adottata per questa caratteristica.
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Condizione / comportamento della vittima
Psicosi in fase acuta convulsioni chiusura repentina della bocca durante la manovra di “apertura delle vie aeree” fasi iniziali dell’annegamento agitazione psicomotoria intossicazione o avvelenamento respirazione artificiale della vittima spostamento o trasporto di un paziente Il comportamento della vittima In alcune condizioni patologiche, il comportamento (involontario) della vittima può porre a rischio il soccorritore: crisi psicotiche convulsioni negli attacchi epilettici, chiusura repentina della bocca nel corso di una manovra di “apertura delle vie aeree” della rianimazione cardio polmonare agitazione psicomotoria del soggetto nelle fasi iniziali dell’annegamento respirazione artificiale nel soggetto vittima di intossicazione o di avvelenamento: il paziente potrebbe avere la cute contaminata dalla sostanza causa dell’intossicazione o dell’avvelenamento, oppure potrebbe esalare prodotti venefici che ha inalato, ingerito od assorbito attraverso la cute spostamento o trasporto di un paziente movimenti incongrui del soggetto soccorso possono contribuire a determinare danni al soccorritore (ad esempio, una caduta, la lombalgia acuta da sforzo).
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SITUAZIONI PARTICOLARI
Folgorazione Incidenti automobilistici Annegamento Situazioni particolari Si tratteranno di seguito alcune situazioni particolari come la folgorazione, gli incidenti automobilistici e l’annegamento. In tali situazione il primo soccorritore dovrà attenersi a specifiche procedure atte a garantire la propria incolumità.
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FOLGORAZIONE Per correnti fino a 1.000 Volts > di 1.000 Volts
interrompere subito la corrente se non è possibile e l’infortunato è “attaccato” al conduttore isolarsi prima di provvedere a staccarlo > di Volts è obbligatorio interrompere la corrente prima d’intervenire attenzione all’arco voltaico Folgorazione Per correnti superiori a 1000 Volts non bisogna avvicinarsi alla vittima prima di avere staccato la corrente per evitare di essere investiti dall’arco voltaico.
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INCIDENTI AUTOMOBILISTICI
non intervenire prima di avere segnalato alle automobili che sopraggiungono la presenza dell’incidente non lasciare la propria automobile in mezzo alla strada Incidenti automobilistici Negli incidenti automobilistici non bisogna intervenire prima di avere segnalato alle automobili che sopraggiungono la presenza dell’incidente e non si deve lasciare la propria automobile in mezzo alla strada.
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ANNEGAMENTO Intervenire senza conoscere le tecniche di salvataggio può essere molto pericoloso: infatti, chi sta per annegare, potrebbe trascinare con sé il soccorritore; in questi casi è sempre necessario raggiungere la vittima utilizzando un salvagente, un materassino o una barca Annegamento Nei casi di assistenza al semiannegato o all'annegato, intervenire senza conoscere le tecniche di salvataggio può essere molto pericoloso; infatti, chi sta per annegare, potrebbe trascinare con sé il soccorritore. In questi casi è sempre necessario raggiungere la vittima utilizzando un salvagente, un materassino o una barca.
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PROTEZIONE DELLA VITTIMA
Nel soccorrere più feriti, per evitare che si contagino a vicenda - non toccare con i guanti sporchi di sangue i soggetti soccorsi cambiare i guanti quando si assistono soggetti diversi Protezione della vittima con più feriti Se ci sono più feriti, bisogna evitare che si contagino a vicenda; allo scopo di prevenire il contagio non toccare con i guanti sporchi di sangue le vittime e, quando si assistono soggetti diversi, cambiare i guanti passando ad un nuovo soggetto.
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Anatomia, fisiopatologia delle principali sindromi d’interesse medico
In questo capitolo verranno trattati i seguenti argomenti: Anatomia e fisiologia Principali sindromi di interesse medico Colpo di sole e colpo di calore Congelamento e assideramento Avvelenamenti e morso di vipera
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Anatomia e fisiologia dell’apparato cardiovascolare
Cominceremo con l’esposizione dei principi di anatomia e di fisiologia dell’apparato cardiovascolare.
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Anatomia del cuore Il cuore è un organo muscolare cavo, situato al centro del torace E’ costituito da quattro cavità, due superiori (gli atri) e due inferiori (i ventricoli) Il cuore è nutrito dalle arterie coronarie, che si dipartono dalla radice dell’arteria aorta e circondano il cuore come una corona Anatomia del cuore Il cuore è un organo muscolare cavo, situato al centro del torace; esso è costituito da quattro cavità, due superiori (gli atri) e due inferiori (i ventricoli); gli atri non comunicano tra di loro; allo stesso modo i due ventricoli non comunicano tra di loro. Viceversa, l’atrio destro comunica con il ventricolo destro e l’atrio sinistro comunica con il ventricolo sinistro. La parte destra del cuore veicola sangue non ossigenato (che viene spinto ai polmoni) e la parte sinistra del cuore veicola sangue ossigenato (che viene spinto ai tessuti). Perché possa espletare la sua attività con successo, il cuore ha grande bisogno di ossigeno. Esso è nutrito dalle arterie coronarie, che si dipartono dalla radice dell’arteria aorta e circondano il cuore come una corona.
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L’immagine radiografica del cuore
Aorta Ventricolo destro L’immagine radiografica del cuore Nella foto è presentata l’immagine radiografica del cuore. Ventricolo sinistro
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piccola e grande circolazione
Fisiologia del cuore Funziona come una pompa premente ed aspirante con lo scopo di inviare il sangue a tutti gli organi ed i tessuti del corpo Nella “sistole”, fase del ciclo cardiaco in cui il cuore si contrae, invia il sangue ai tessuti Nella “diastole”, fase del ciclo cardiaco in cui il cuore si rilascia, richiama il sangue dai tessuti Fisiologia del cuore Il cuore funziona come una pompa premente ed aspirante con lo scopo di inviare il sangue a tutti gli organi ed i tessuti del corpo. La “sistole” è la fase del ciclo cardiaco in cui il cuore si contrae per inviare il sangue ai tessuti. La “diastole” è invece quella fase del ciclo cardiaco in cui il cuore si rilascia, richiamando il sangue dai tessuti. Durante la sistole, il ventricolo destro spinge il sangue ai polmoni, perché esso possa ossigenarsi e cedere anidride carbonica di cui è ricco e il ventricolo sinistro spinge il sangue a tutte le parti del corpo. Durante la diastole, il sangue proveniente da tutte le parti del corpo torna alla parte destra del cuore (attraverso la vena cava inferiore e superiore), mentre il sangue proveniente dai polmoni (appena ossigenato) torna all’atrio sinistro. La piccola circolazione (o circolazione polmonare) inizia dunque nel ventricolo destro e finisce nell’atrio sinistro; essa ha la funzione di ossigenare il sangue. La grande circolazione (o circolazione sistemica) inizia invece nel ventricolo sinistro e termina nell’atrio destro; essa è finalizzata alla ossigenazione degli organi e dei tessuti. piccola e grande circolazione
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VENTRICOLO DESTRO VENTRICOLO SINISTRO ORGANI
POLMONE ATRIO DESTRO ATRIO SINISTRO Circolazione del sangue Lo schema esemplifica il percorso compiuto dal sangue attraverso le cavità cardiache. Dallo schema si evidenzia la netta separazione tra le cavità destre e sinistre del cuore; difetti della parete interatriale o interventricolare che mettano in comunicazione l’atrio destro con l’atrio sinistro (o il ventricolo destro con il ventricolo sinistro) sono causa di gravi patologie. VENTRICOLO DESTRO VENTRICOLO SINISTRO POLMONE ORGANI
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ATRIO DESTRO VENTR. DESTRO VENTR. SINISTRO ATRIO SINISTRO
ORGANI La “piccola” e la “grande circolazione” Lo schema esemplifica ulteriormente il percorso che il sangue compie per portare ossigeno e nutrimento ai tessuti e agli organi del corpo. VENTR. SINISTRO ATRIO SINISTRO POLMONE
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Anatomia e fisiologia dei vasi sanguigni
Il sangue circola nel nostro organismo attraverso i vasi sanguigni Essi vengono distinti in arterie, vene e capillari (arteriosi e venosi) Le arterie hanno una parete molto resistente; esse portano sangue ossigenato dal cuore in periferia Anatomia e fisiologia dei vasi sanguigni Il sangue circola nel nostro organismo attraverso i vasi sanguigni. Questi, che vengono distinti in arterie, vene e capillari, costituiscono il sistema circolatorio. Le arterie hanno una parete molto robusta (che deve resistere alla elevata pressione del sangue); esse portano il sangue ossigenato dal cuore alla periferia.
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Anatomia e fisiologia dei vasi sanguigni
Le vene portano sangue già utilizzato dai tessuti al cuore Nei capillari avviene lo scambio di ossigeno ed anidride carbonica tra sangue e tessuti (i tessuti cedono al sangue anidride carbonica, mentre il sangue cede ai tessuti ossigeno) TESSUTI Sangue Gli scambi gassosi Le vene portano sangue già utilizzato dai tessuti al cuore. Nei capillari avviene lo scambio di ossigeno ed anidride carbonica tra sangue e tessuti (i tessuti cedono al sangue anidride carbonica, mentre il sangue cede ai tessuti ossigeno). O2 CO2
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Anatomia e fisiologia dell’apparato respiratorio
Tratteremo ora dei principi di anatomia e di fisiologia dell’apparato respiratorio.
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Anatomia e fisiologia del sistema respiratorio
Il sistema respiratorio ha la funzione di garantire gli scambi gassosi con l’aria esterna Esso è costituito da un complesso sistema anatomico, rappresentato da naso, bocca, laringe, trachea, bronchi, polmoni I polmoni sono contenuti all’interno della gabbia toracica, avvolti e protetti da un foglietto chiamato pleura L’aria viene introdotta all’interno dei polmoni attraverso il naso e la bocca, attraversando il laringe e la trachea Anatomia e fisiologia dell’apparato respiratorio Il sistema respiratorio ha la funzione di garantire gli scambi gassosi con l’aria esterna. Esso è costituito da un complesso sistema anatomico, rappresentato da naso, bocca, laringe, trachea, bronchi, polmoni. I polmoni sono contenuti all’interno della gabbia toracica, avvolti e protetti da un foglietto chiamato pleura. L’aria viene introdotta all’interno dei polmoni attraverso il naso e la bocca, attraversando il laringe e la trachea
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Anatomia e fisiologia del sistema respiratorio
La trachea si divide in due bronchi (il bronco destro ed il bronco sinistro) che portano l’aria nei due polmoni I due bronchi principali si dividono in bronchi di dimensioni via via inferiori, sino ad ottenere sacche terminali: gli alveoli polmonari (segue) Anatomia e fisiologia dell’apparato respiratorio La trachea si divide in due bronchi (il bronco destro ed il bronco sinistro) che portano l’aria nei due polmoni. I due bronchi principali si dividono in bronchi di dimensioni via via inferiori, sino ad ottenere sacche terminali: gli alveoli polmonari.
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Anatomia e fisiologia del sistema respiratorio
All’interno degli alveoli polmonari, la cui parete è estremamente sottile, avvengono gli scambi gassosi: l’aria ambiente cede ossigeno al sangue alveolare, il sangue alveolare cede anidride carbonica all’aria ambiente (segue) Anatomia e fisiologia dell’apparato respiratorio All’interno degli alveoli polmonari, la cui parete è estremamente sottile, avvengono gli scambi gassosi: l’aria ambiente cede ossigeno al sangue alveolare, il sangue alveolare cede anidride carbonica all’aria ambiente.
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Anatomia e fisiologia del sistema respiratorio
L’ingresso dell’aria nei polmoni avviene mediante l’inspirazione, mentre la fuoriuscita della stessa dai polmoni avviene mediante la espirazione Questi due movimenti sono regolati da centri nervosi posti nella porzione di cervello situata alla base del cranio detta “bulbo” e sono garantiti dal funzionamento dei muscoli intercostali, del collo e del muscolo diaframma (segue) Anatomia e fisiologia dell’apparato respiratorio L’ingresso dell’aria nei polmoni avviene mediante l’inspirazione, mentre la fuoriuscita della stessa dai polmoni avviene mediante la espirazione. Questi due movimenti sono regolati da centri nervosi posti nella porzione di cervello situata alla base del cranio detta “bulbo cerebrale” e sono garantiti dal funzionamento dei muscoli intercostali, del collo e del muscolo diaframma.
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Anatomia e fisiologia del sistema respiratorio
La lesione dei centri bulbari causa un blocco dei muscoli respiratori La paralisi dei muscoli intercostali e del diaframma blocca i movimenti della gabbia toracica, impedendo gli scambi gassosi alla base della respirazione (segue) Anatomia e fisiologia dell’apparato respiratorio La lesione dei centri bulbari causa un blocco dei muscoli respiratori. La paralisi dei muscoli intercostali e del diaframma blocca i movimenti della gabbia toracica, impedendo gli scambi gassosi alla base della respirazione.
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Principali sindromi di interesse medico
Nelle sindromi di interesse medico – se il soggetto soccorso è cosciente - il compito del primo soccorritore è, in generale, quello di osservare e sorvegliare la vittima e di chiamare i soccorsi. Esistono comunque comportamenti che devono essere posti in atto e comportamenti non consentiti, che il primo soccorritore deve conoscere. Tali procedure verranno illustrate in seguito per: - il dolore toracico - i disturbi respiratori - le alterazioni della coscienza.
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IL DOLORE CARDIACO Quando si deve sospettare che un dolore toracico possa avere origine cardiaca? può comparire sotto sforzo o in seguito ad una forte emozione dura minuti o più, non secondi si manifesta con un senso di oppressione Il dolore cardiaco Un dolore localizzato al petto (o alla regione anteriore del torace) non è sempre in relazione con una malattia del cuore, ma può avere molteplici cause: può essere in relazione con malattie dell’apparato respiratorio, di quello digerente, delle strutture ossee e muscolari della parete toracica. Allora, quando si deve temere che un dolore al petto sia d’origine cardiaca? Se compare sotto sforzo o in seguito ad una forte emozione, dura alcuni minuti o più (non qualche secondo), procura un senso di oppressione o di peso sul torace è opportuno richiedere un parere medico, per escludere che si tratti di un’ischemia miocardica (attenzione!, il dolore può comparire anche a riposo o per sforzi modesti).
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Cause del dolore cardiaco
All’origine del dolore cardiaco è un’insufficiente apporto di sangue ossigenato al cuore; anche alcuni fattori predisponenti ne favoriscono l’insorgenza Cause del dolore cardiaco Il dolore toracico di origine miocardica è provocato da un insufficiente afflusso di sangue ossigenato alle pareti del cuore; le cellule del muscolo cardiaco, deprivate dell’apporto di ossigeno di cui hanno estremo bisogno, in una prima fase soffrono e poi, persistendo la mancanza di ossigenazione, vanno incontro a lesioni irreversibili (in questi casi le denominazioni mediche indicate sono, in ordine crescente di gravità, quelle di angina pectoris o infarto del miocardio). Le condizioni favorenti la cardiopatia ischemica - l’insufficiente apporto di sangue ossigenato al cuore – più importanti sono il sesso maschile, l’età superiore ai quarant’anni, l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito, il fumo di tabacco, alti livelli ematici di colesterolo, l’obesità, la vita sedentaria, lo stress; la familiarità per le malattie cardiovascolari è un altro fattore che predispone alla cardiopatia ischemica.
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Fattori di rischio ischemico
La fascia d’età fra i 40 ed i 65 anni è quella più a rischio; il sesso maschile è più a rischio di quello femminile; la presenza in famiglia di soggetti con gravi malattie cardiovascolari, diabete o disturbi del metabolismo lipidico sono sicuri fattori di rischio, sui quali si può solo parzialmente incidere. Si possono, invece modificare gli stili di vita: cercando di limitare i possibili fattori stressanti di vita e di lavoro controllando il peso corporeo abolendo l’abitudine al fumo praticando sport o almeno limitando la sedentarietà. Vanno curate malattie quali ipertensione arteriosa, diabete mellito ed ipercolesterolemia fin dal loro insorgere: controllando i livelli pressori dallo stadio border line ( /85-90 mmHg) con la dieta iposodica, correggendo l’ipertensione già allo stadio di lieve rialzo (160/ mmHg) con la dieta e con i farmaci correggendo l’iperlipidemia con dieta e farmaci correggendo l’iperglicemia (> 120 mg/dl) con dieta e farmaci.
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Chiamare il 118 se… …un dolore insorge dietro lo sterno e si irradia:
Quando sospettare un attacco di cuore Quali caratteristiche deve avere il dolore per sospettare un attacco di cuore? Ci può aiutare, oltre alla sede d’insorgenza – caratteristica è quella dietro lo sterno –, la comparsa di dolore acuto irradiato al collo, alla mandibola, agli arti superiori, alla parte alta e centrale dell’addome, subito sopra lo stomaco (epigastrio). In questi casi è sempre opportuno chiedere un intervento del 118. al collo ed alla mandibola alla parete superiore della schiena agli arti superiori alla parte centrale superiore dell’addome
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Il dolore cardiaco può essere accompagnato da
sudorazione (importantissimo!) frequenza cardiaca aumentata o diminuita pressione arteriosa alterata Altri segni d’allarme In caso di un dolore toracico d’origine non traumatica, specie se insorge al centro del petto (ma anche se il dolore inizia alla mandibola o alla gola o è simile al mal di stomaco, accompagnato da nausea e vomito), se compare difficoltà respiratoria e senso di debolezza inspiegabile, è meglio sospettare la possibile origine cardiaca. In questi casi l’eccesso di zelo può procurare un viaggio inutile dell’autoambulanza, ma anche contribuire a salvare una vita o a migliorare la prognosi della malattia.
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Cosa fare in attesa del 118 Dopo aver chiamato il 118
mettere il soggetto in condizioni di riposo liberarlo da indumenti stretti tranquillizzarlo chiedergli se ha già avuto in passato episodi simili assume farmaci per il cuore (se li ha con sè, aiutarlo ad assumerli) Cosa fare in attesa del 118 In attesa del 118 bisogna tenere la vittima in uno stato di riposo completo, adoperandosi a tranquillizzare il paziente (contenimento emotivo): queste precauzioni limitano la fatica del cuore; liberando il paziente degli indumenti stretti si favorisce il ritorno venoso al cuore e, per la parte alta del corpo, si offre un minor ostacolo all’afflusso di aria ai polmoni. Precedenti episodi di dolori al petto, l’assunzione di una terapia specifica per il cuore sono un motivo di conferma della richiesta del soccorso al 118; inoltre se il soggetto è un cardiopatico già in trattamento farmacologico, può avere con sé prodotti a base di nitroglicerina spray o in compresse, che il paziente stesso sa di dovere assumere per via sublinguale alla comparsa del dolore retrosternale; in questo modo, si migliorano sensibilmente le successive possibilità di risposta terapeutica.
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MALESSERE NEL DIABETICO
Va sempre sospettato un malessere in diabetico quando si manifestano disturbi della coscienza (agitazione, sonnolenza) perdita di coscienza, coma Malessere nei soggetti diabetici Bisogna sempre sospettare la presenza di un malessere in un diabetico quando insorgono disturbi della coscienza preceduti da sonnolenza o agitazione.
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Che cosa è il diabete? A causa di un’alterazione del metabolismo, gli zuccheri si accumulano nel sangue (iperglicemia) senza esser utilizzati dall’organismo. Valori molto elevati o troppo bassi della glicemia in circolo provocano disturbi della coscienza, fino al coma. Il diabete Il diabete è una malattia molto diffusa, dovuta ad un’alterazione del metabolismo degli zuccheri (glicidi), che si accumulano nel sangue senza che i tessuti dell’organismo possano utilizzarli per la produzione di energia, indispensabile al funzionamento cellulare. Gli zuccheri che si accumulano nel sangue (iperglicemia) alterano il corretto funzionamento del sistema nervoso - il maggior consumatore d’energia per il suo ordinario funzionamento - e provocano inizialmente vaghi disturbi (malessere, irrequietezza); se il difetto d’apporto glucidico s’aggrava, il malato può perdere coscienza (coma ipoglicemico). Se, per una terapia mal fatta o per un eccessivo consumo di cibo, c’è all’opposto un eccesso di zuccheri nell’organismo, questi possono avere un effetto tossico sulle cellule del sistema nervoso, particolarmente recettive ai livelli ematici di zuccheri, provocando disturbi da eccesso glicemico all’inizio vaghi (sonnolenza, stanchezza), poi più seri, fino al coma iperglicemico, quando la disfunzione s’aggrava.
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Malessere nel diabetico: che fare?
Per sapere se il paziente soccorso sia effettivamente diabetico occorre interrogare parenti o conoscenti cercare documenti o medagliette su cui sia segnalata tale condizione Malessere in diabetico: intervento di primo soccorso Quando si è chiamati a soccorrere un soggetto con un iniziale malessere che s’aggrava fino al coma, è opportuno cercare di stabilire se il soggetto è un diabetico ai più noto; s’interrogano, perciò, parenti e conoscenti e si cercano medagliette o altri documenti che segnalino questa sua condizione di malattia.
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La regola del “glucosio per tutti”
In un soggetto diabetico accertato in coma, nel dubbio – ipoglicemia? iperglicemia? – applicare la regola del glucosio per tutti nel coma iperglicemico lo zucchero non peggiora di molto la situazione nel coma ipoglicemico il soggetto ne ha un immediato beneficio La regola del “glucosio per tutti” Avuta la conferma che si sta soccorrendo un diabetico con disturbi iniziali di coscienza (che potrebbero o che già si sono evoluti in coma), non sapendo se è in corso una crisi ipoglicemica o una crisi iperglicemica non potendo calcolare la glicemia con il destrostic va applicata la regola del glucosio per tutti somministrando zucchero comunque: in questo modo, in caso di coma iperglicemico il quantitativo di zucchero assorbito non è in grado di peggiorare di molto il livello di iperglicemia; in caso di coma ipoglicemico, la somministrazione di zucchero al soggetto diabetico porterà subito il livello di glucosio nell’organismo sopra la soglia critica di sofferenza cerebrale, fornendo un immediato miglioramento del livello di coscienza del paziente. Il trattamento va fatto con il comune zucchero, che nel soggetto cosciente va offerto come bevanda zuccherata (acqua e zucchero) nel soggetto già in coma introducendolo in bocca, sotto la lingua, pochi granelli per volta (attenzione! ad un soggetto in coma non dar mai acqua e zucchero, potrebbe soffocare).
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Emergenza diabetica Soggetto cosciente Soggetto non cosciente
somministrare zucchero (acqua e zucchero, succo d’arancia, ecc.) chiamare i soccorsi (118) Soggetto non cosciente somministrare un pizzico di zucchero sotto la lingua valutare respiro e polso e, se presenti, porre il paziente in posizione laterale di sicurezza Emergenza diabetica Per semplicità, nell’emergenza diabetica occorrerà distinguere tra pazienti coscienti e pazienti incoscienti. Infatti: nel soggetto cosciente bisognerà somministrare zucchero (acqua e zucchero, succo d’arancia, ecc.) e chiamate i soccorsi; nel soggetto non cosciente, viceversa, sarà necessario per prima cosa chiamare i soccorsi, poi somministrare un pizzico di zucchero sotto la lingua e, infine, valutare respiro e polso e, se presenti, porre il paziente in posizione laterale di sicurezza; in quest’ultimo caso non bisogna somministrare liquidi (possibilità d’aspirazione nei polmoni).
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CONVULSIONI Contrazioni muscolari improvvise ed involontarie, provocate da un’alterazione dell’attività cerebrale; possono: interessare singoli gruppi di muscoli interessare tutto il corpo essere accompagnate da perdita di urine e feci Si accompagneranno a perdita di coscienza improvvisa Le convulsioni Le convulsioni sono costituite da perdita di coscienza accompagnata da contrazioni muscolari improvvise, non controllate volontariamente, provocate da un’alterazione dell’attività elettrica cerebrale, che coinvolgono singoli distretti muscolari (ad esempio, un arto, il volto) o investono tutti i muscoli del corpo (crisi convulsiva generalizzata) e sono seguite da perdita involontaria d’urina e di feci.
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Convulsioni Un attacco convulsivo presenta 3 fasi:
Fase tonica: irrigidimento del corpo per circa 30 sec. (a volte con morsicatura della lingua) e perdita di coscienza Fase clonica: movimenti involontari violenti, schiuma alla bocca, cianosi di viso e labbra Fase post critica: incoscienza, respiro rumoroso, cefalea al risveglio Caratteristiche fenomenologiche della crisi convulsiva La crisi convulsiva classica presenta tre distinte fasi: la fase tonica, caratterizzata da perdita di coscienza e dalla contrattura serrata per circa 30 secondi di tutti i muscoli del corpo, che causa perdita di urina e feci e, talvolta, morsicatura della lingua; la fase clonica, in cui il corpo è scosso da movimenti involontari e violenti, che dura di solito meno di 5 minuti; in questa fase c’è emissione di schiuma dalla bocca, mentre volto e labbra diventano violacei (cianotici) per l’interruzione ripetuta del respiro; la fase post-critica, che s’avvia al termine della fase clonica, in cui il soggetto, ancora privo di coscienza, respira in modo rumoroso; questa fase ha una durata variabile ed il risveglio spesso si accompagna a mal di testa.
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Cosa fare Nelle prime fasi tonica e clonica
adagiare il paziente sul pavimento evitare che involontariamente si ferisca nella fase post-critica controllare che non vi siano corpi estranei o ostruzioni delle prime vie respiratorie per prudenza allertare il 118 dell’esordio della crisi ed attendere disposizioni Convulsioni - intervento di primo soccorso Nelle prime fasi della crisi (tonica e clonica) il principale trattamento della crisi epilettica da parte del primo soccorritore consiste nel proteggere il paziente dai traumi che le convulsioni possono procurargli; pertanto, appena questa insorge, è indispensabile adagiare il paziente sul pavimento; per evitare che gli scuotimenti del corpo gli procurino lesioni, cercare in qualche modo di proteggerlo da urti, cadute, senza però bloccargli i movimenti (non infilare alcun genere d’oggetti in bocca a protezione della lingua!, c’è il rischio d’ostruire la via respiratoria; la manovra è anche pericolosa per mandibola, denti e palato; allo stesso modo, non bisogna mettere la propria mano in bocca all’epilettico; questa manovra è infatti pericolosa per il soccorritore per il rischio di morso!). Nella fase post-critica assicurare innanzitutto la pervietà delle vie aeree, controllando che il respiro sia di regolare frequenza, non vi siano ostacoli al flusso aereo o corpi estranei in bocca. Se il paziente permane in situazione d’incoscienza, metterlo in posizione laterale di sicurezza per consentire il deflusso dalla bocca di saliva e sangue. Occorre, infine, allertare il 118, quando s’avvia una crisi ed attendere le sue disposizioni, lasciando la linea telefonica libera per eventuali comunicazioni della centrale d’ascolto (non tutte le crisi vanno trattate da personale sanitario d’emergenza).
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DISTURBI RESPIRATORI I principali sono: la dispnea la cianosi
I segni d’una alterazione delle attività respiratorie si basano principalmente su due disturbi: la dispnea e la cianosi.
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Dispnea La dispnea è conseguenza di condizioni che
ostacolano l’afflusso d’aria ai polmoni riducono gli scambi ossigeno - anidride carbonica Il soggetto dispnoico appare agitato con respiro frequente e rumoroso La dispnea La dispnea è intesa come una respirazione difficoltosa, che comporta fatica al paziente nel praticarla; questo segno è prodotto da fattori che in vario modo ostacolano l’afflusso di aria alle vie bronchiali o lo scambio di ossigeno ed anidride carbonica a livello delle membrane respiratorie alveolari. Inizialmente, prima che la situazione s’aggravi, il soggetto dispnoico appare agitato per l’allarme che la fame d’aria gli induce; il paziente cerca di compensare l’ostacolato afflusso di aria aumentando il ritmo del respiro, che, anche per questo, diventa più rumoroso.
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Cianosi colorazione bluastra, che compare su cute e mucose nelle forme più gravi di dispnea si manifesta in prevalenza nelle parti più periferiche del corpo: labbra inizialmente e poi mani, piedi, orecchie, naso La cianosi La cianosi, il colorito bluastro che compare inizialmente sulle labbra e poi si estende ad altre parti del corpo, è segno di una grave insufficienza degli scambi di gas respiratori a livello polmonare, che induce un’inadeguata ossigenazione del sangue circolante e fa perdere alla pelle il consueto colorito roseo e prendere un colorito simile a quello che compare quando si ha freddo, ma più intenso.
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Che fare nella dispnea liberare il soggetto da ostacoli al respiro
favorire la sua ricerca di una posizione che meno ostacola il respiro invitarlo a respirare lentamente trasferirlo in zona arieggiata o, in caso di impossibilità, cercare di arieggiare l’ambiente Dispnea - intervento di primo soccorso Per soccorrere un soggetto dispnoico bisogna liberarlo, innanzitutto, da tutto quanto gli ostacola il respiro: sciogliere la cinta ed il nodo della cravatta, sbottonargli il colletto della camicia. È utile che il paziente si porti nella posizione che meno ostacola il respiro (di solito seduta, perché ha più facilità a muovere il diaframma e gli altri muscoli respiratori più potenti del torace); se è impedito o ha difficoltà nei movimenti, occorre che il soccorritore agevoli questi spostamenti. Il soccorritore dovrà inoltre invitare il soggetto a respirare lentamente, contenendo la sua ansia per facilitare un flusso meno vorticoso dell’aria nei bronchi; si ottiene cosi un miglioramento dell’ossigenazione dell’aria. Aprire porte e finestre arricchisce d’ossigeno l’aria; se non è possibile attuare questa misura nel locale in cui soggiorna il paziente, cercare un altro ambiente con miglior microclima; cambiando ambiente con il paziente si ottiene anche un importante risultato psicologico di allontanarlo dai curiosi, che accrescono la sua ansia. In caso di cianosi, comunque, occorre attivare subito il 118; in caso di dispnea iniziale senza cianosi, si può attendere qualche minuto, controllando se il respiro si normalizza, prima di chiamare i soccorsi sanitari d’emergenza.
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DISTURBI INIZIALI DELLA COSCIENZA
I disturbi iniziali della coscienza sono: la lipotimia la sincope I disturbi iniziali della coscienza I disturbi iniziali della coscienza sono la lipotimia e la sincope.
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Cause di Lipotimia e Sincope
stress emotivo soggiorno in ambienti eccessivamente affollati o surriscaldati insolazione cambiamenti di postura troppo bruschi abbassamento della pressione arteriosa malattie concomitanti (disturbi del ritmo cardiaco e del circolo cerebrale, anemia, etc.) Cause di lipotimia e sincope Sono numerose le cause di lipotimia e di sincope. Tra queste, forti stress emotivi, soggiorno in ambienti particolarmente affollati e surriscaldati, insolazione, cambiamenti posturali troppo bruschi, abbassamento improvviso della pressione arteriosa, malattie concomitanti (disturbi del ritmo cardiaco, del circolo cerebrale, stati di anemia, ecc.).
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Segni di Lipotimia e Sincope
Il ridotto apporto ematico al cervello provoca: fiacchezza, soprattutto alle gambe stordimento, ronzii, disturbo della vista perdita di coscienza Segni di lipotimia e di sincope Quando si verifica un ridotto afflusso di sangue al cervello, inizialmente il soggetto accusa una fiacchezza soprattutto alle gambe, un senso di stordimento, disturbi dell’udito (fischi, ronzii) e della vista (comparsa di macchie fugaci nel campo visivo). Questi segni scompaiono o s’attenuano fortemente se il paziente passa dall’abituale posizione eretta (in piedi) ad una posizione supina (disteso sulla schiena). Può anche succedere che a questi disturbi s’associ un senso di mancamento, che a volte evolve fino la perdita di coscienza. In base all’intensità ed alla varietà dei disturbi si distinguono la sincope e la lipotimia.
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Lipotimia I disturbi si limitano a: fiacchezza, stordimento
ronzii, disturbi della vista (macchie scure agli occhi) malessere, nausea, pallore, sudore sensazione di mancamento imminente Lipotimia La lipotimia (espressione composta da due parole greche “leipò” “mancare” e “thimòs” “animo”) è un termine impiegato per descrivere un quadro meno grave di carente afflusso ematico cerebrale, in cui ai vari disturbi non si affianca la perdita completa di coscienza. Nella lipotimia i disturbi accusati dal paziente si limitano a fiacchezza e senso di stordimento, ronzii e disturbi della vista, malessere, nausea, pallore, sudore, sensazione di mancamento imminente.
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Sincope A fiacchezza, stordimento e disturbi correlati si associano:
impossibilità a mantenere la stazione eretta perdita di coscienza che regredisce sotto stimoli verbali e tattili Sincope Nella sincope (dal greco “synkopé” “rottura”) l’evento più importante – che si affianca agli altri disturbi descritti nella lipotimia o può comparire senza alcun altro sintomo – è l’improvvisa e transitoria perdita di coscienza che obbliga il soggetto a porsi in posizione supina. La perdita di coscienza regredisce quando il paziente viene adagiato su una superficie piana (pavimento, tavolo), spontaneamente o sottoponendolo a stimoli verbali (chiamandolo ad alta voce, più volte) e tattili (scuotendolo delicatamente dalle spalle). Se, dopo questi stimoli il paziente non risponde occorre avviare il primo anello della catena della sopravvivenza: la chiamata al 118.
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Che fare nei casi meno gravi
È sufficiente collocare il soggetto: in posizione che favorisca l’afflusso di sangue al cervello seduto con la testa abbassata tra le ginocchia disteso sul piano (pavimento, tavolo) con le gambe in alto (posizione antishock) libero da cinte e indumenti stretti Intervento nei casi più lievi Facendo assumere al paziente una posizione che permette rapidamente un’adeguata irrorazione del cervello, i casi di lieve lipotimia si risolvono prontamente: di solito non è necessario far assumere al soggetto soccorso la posizione antishock. A volte, come palliativi, si praticano vecchi inutili ed anche pericolosi rimedi: si fanno inalare a persone svenute, per rianimarle, sostanze di odore acre (per esempio l’aceto o i sali ammoniacali) sicuramente inefficaci; ancor peggio, si somministrano come tonici bevande - in particolare alcolici, che hanno un’azione ipotensiva – con il rischio di provocare soffocamento; infine, si trattengono forzosamente in piedi i malcapitati soggetti colti da tale malessere. Tutti questi comportamenti devono essere aboliti. Liberando il paziente di cinte e indumenti stretti - favorendo un maggior ritorno di sangue periferico al cuore, che può così convogliarlo al cervello, migliorando il respiro e l’ossigenazione del sangue - si pratica una procedura tradizionale, ma di sicura efficacia (quando le donne portavano il busto, questo rimedio era di pronto successo!).
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Che fare nei casi più gravi
Mettere il soggetto in posizione antishock: farlo distendere per terra sollevargli le gambe sulla testa In caso di persistenza del malessere: chiamare il 118 per il ricovero Intervento nei casi più gravi Nei casi più gravi è opportuno mettere il soggetto in posizione antishock (disteso per terra, con le gambe sollevate). In caso di persistenza del malessere, chiamare il 118.
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COMA Stato d’incoscienza da cui il soggetto non esce anche se sottoposto a stimoli; il disturbo dipende da una sofferenza cerebrale transitoria o permanente. Coma Il coma può essere definito come uno stato d’incoscienza dal quale il soggetto non riesce ad uscire, anche se sottoposto a stimoli (verbali, tattili o dolorifici). Il disturbo dipende dunque da una situazione di sofferenza cerebrale transitoria o permanente.
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Che fare nei casi di coma
attivare immediatamente il 118 liberare le vie aeree iperestendendo il collo se respira, mettere il soggetto in posizione laterale di sicurezza controllore periodicamente le funzioni vitali fino all’arrivo dell’ambulanza Coma - intervento di primo soccorso Nei casi di coma occorrerà attivare immediatamente il 118, liberare le vie aeree da eventuali ostruzioni causate dallo sbarramento della lingua, iperestendendo il capo della vittima, porre il soggetto (se questo respira ed ha il polso) in posizione laterale di sicurezza e controllare le funzioni vitali fino all’arrivo dell’ambulanza.
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SHOCK Lo shock è una grave alterazione dei meccanismi della circolazione del sangue e del metabolismo dell’organismo provocata da una ridotta irrorazione degli organi vitali. Shock Lo shock è uno stato di acuta insufficienza cardiocircolatoria indotto da diverse cause, che provoca in primo luogo nel cuore e nel cervello una grave alterazione della loro perfusione e un inadeguato apporto di ossigeno. Per la spiccata sensibilità di questi organi ai deficit di ossigenazione, una rapida alterazione del loro metabolismo inizialmente compensabile, se non si attivano adeguati interventi terapeutici, rapidamente evolve verso lo scompenso acuto irreversibile.
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Fisiopatologia dello shock
I segni iniziali di shock, soprattutto quelli legati all’alterazione della coscienza, dipendono dai deficit d’irrorazione degli organi e dei tessuti, soprattutto del cervello, che fra tutti è l’organo più sensibile allo scarso afflusso di sangue ed ossigeno ai tessuti. Fisiopatologia dello shock Il primo soccorritore può svolgere un ruolo molto importante nel successo del trattamento dello shock, individuando precocemente i segni che ne fanno sospettare l’insorgenza ed avviando quei trattamenti indispensabili a sostenere le funzioni vitali ed arrestare la rapida evoluzione verso la morte. I segni iniziali di shock, soprattutto quelli legati all’alterazione della coscienza, dipendono dai deficit d’irrorazione degli organi e dei tessuti, soprattutto del cervello, che fra tutti è l’organo più sensibile allo scarso afflusso di sangue ed ossigeno ai tessuti.
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Segni di shock Pallore e poi cianosi delle estremità
volto, labbra, naso, orecchie, mani, piedi cute delle estremità fredda al tatto respiro frequente e corto polso rapido e difficile da palpare abbassamento della pressione arteriosa alterazione della coscienza, fino al coma Segni di shock L’alterazione della normale colorazione cutanea – il pallore, la cianosi (colorazione bluastra) nei casi più gravi – è dovuta ad insufficiente ossigenazione del sangue; compare in prevalenza nelle parti più periferiche del corpo: mani, piedi, orecchie, naso, labbra. La cute fredda al tatto (ipotermia) è un altro segno di scarso afflusso di sangue in sede; in un soccorso, per contrastare l’insorgenza dello shock, occorre sempre evitare l’ipotermia, coprendo il paziente (con coperte, indumenti pesanti ed altro materiale, se nell’ordinario corredo dei materiali di pronto soccorso non è disponibile la coperta isotermica detta anche metallina), ponendolo possibilmente al chiuso ed al caldo per non esporlo agli agenti atmosferici, togliendogli di dosso gli indumenti bagnati. Un altro segno precoce di shock è l’aumento degli atti respiratori, con un respiro che diventa rapido e superficiale (fame d’aria). Se il soggetto è cosciente, il polso si sente in sede radiale; se il polso è troppo sottile e difficile da palpare, lo si può apprezzare in sede femorale e carotidea. Rilevato il polso, si valutano le sue caratteristiche: se è sottile e rapido (fra 90 e 100 pulsazioni/minuto), si deve sospettare uno shock in fase iniziale. Se, poi, la pressione arteriosa (p.a.) scende sotto i 90 mmHg e il polso è rapido e sottile, si deve intervenire rapidamente, in quanto la p.a. è un parametro vitale che tende a modificarsi nei casi di shock avanzato. Agitazione, ansietà, sonnolenza precedono un’alterazione più grave, la compromissione dei livelli di coscienza: essi richiedono, quindi, un immediato trattamento.
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Trattamento dello shock
Valutare, in sequenza coscienza, respiro, polso, emorragie evidenti, colore e calore cutanei … …e poi trattare il soggetto, se è in shock: attivando il 118 assicurandogli, se occorre, l’apertura delle vie aeree tamponando le emorragie esterne ponendolo in posizione antishock coprendolo con un metallina Shock - intervento di primo soccorso Al primo comparire dei segni iniziali di shock adottare le procedure previste per la gestione di una sincope (dopo avere liberato la vittima da cinte e indumenti stretti, collocare il soggetto disteso su un piano rigido in posizione antishock, con le gambe in alto per favorire l’afflusso di sangue al cervello). Comunque, prima di attivare una qualsiasi procedura di soccorso, occorre valutare le condizioni della vittima: se dovessero confermare una condizione di shock occorre garantire il mantenimento delle funzioni vitali con la procedura in sequenza di: attivazione del 118 apertura delle vie aeree tamponamento delle emorragie esterne posizione antishock copertura del paziente con un metallina (coperta isotermica).
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COLPO DI SOLE COLPO DI CALORE
Colpo di sole e colpo di calore Di grande rilievo nell’ambito delle emergenze legate a cause professionali sono i danni acuti provocati per: azione diretta del sole sul soggetto colpito da malessere (colpo di sole); surriscaldamento di quanti soggiornano in un ambiente ad elevata temperatura (colpo di calore).
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COLPO DI SOLE È causato da esposizione diretta dell’organismo al sole, con conseguente vasodilatazione dei vasi cerebrali Sintomi iniziali: mal di testa violento, fotofobia, nausea, vomito, crampi, possibile svenimento Altri sintomi: rigidità nucale, allucinazioni e coma Colpo di sole Il colpo di sole è causato dalla esposizione diretta dell’organismo (ed in particolare del capo) ai raggi del sole. L’esposizione provoca un aumento della temperatura del corpo con vasodilatazione dei vasi cutanei, ma anche dei vasi cerebrali. Nelle fasi iniziali il paziente si presenta, dunque, con il volto congestionato, lamenta una cefalea violenta e avverte un forte senso di fastidio provocato dalla luce (fotofobia), crampi muscolari e, talvolta, nausea, vomito, rigidità nucale e possibile svenimento. Se perdura l’esposizione potranno aversi allucinazioni, depressione respiratoria sino al coma.
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Trattamento del colpo di sole
Condotta la vittima in ambiente fresco, ventilato e poco illuminato o, almeno, al riparo dal sole sdraiarla e raffreddare la fronte con impacchi freddi (borsa del ghiaccio) se è cosciente, dargli da bere acqua non dare da bere alcolici se perde coscienza chiamare il 118 controllare le funzioni vitali e, se è necessario, sostenere respirazione e circolazione Trattamento del colpo di sole Il paziente con un colpo di sole deve essere prontamente condotto in un ambiente fresco, ventilato e poco illuminato (comunque al riparo dal sole); va quindi posto in posizione sdraiata, effettuandogli impacchi freddi sulla cute ed in particolare sulla fronte; se la vittima è cosciente, è possibile dargli da bere acqua. Non bisogna assolutamente somministrare bevande alcoliche. Se la vittima perde coscienza occorre chiamare il 118, controllare le sue funzioni vitali e, se occorre, avviare la rianimazione, in attesa dei soccorsi sanitari.
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COLPO DI CALORE Per la permanenza in ambienti eccessivamente caldi si produce un’eccessiva sudorazione che può dare un collasso ipotensivo Sintomi: malessere con pelle fredda, pallida ed umida, ipotensione, nausea, vomito, svenimento Colpo di calore Il colpo di calore è causato dalla permanenza in ambienti eccessivamente caldi ed umidi, che portano l’organismo ad una eccessiva sudorazione. Ciò può avvenire all’esterno (per esempio nella stagione estiva, quando la temperatura e l’umidità dell’aria sono molto elevate) oppure all’interno di ambienti chiusi scarsamente ventilati, in prossimità di macchinari che producono calore (i forni, per esempio). Il lavoro muscolare in ambienti caldi predispone al colpo di calore. I sintomi sono caratterizzati da un malessere diffuso con cute fredda ed umida ed i segni iniziali di shock ipovolemico (cute pallida, nausea, vomito, ipotensione, svenimento).
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Trattamento del colpo di calore SI
Condotta la vittima in un ambiente fresco, ventilato o, comunque, al riparo dal caldo sdraiarlo e coprirlo con coperte e/o abiti asciutti se è cosciente, dargli da bere acqua se perde coscienza chiamare il 118 controllare le funzioni vitali valutare se è necessario sostenere respirazione e circolazione Trattamento del colpo di calore - manovre da fare Il paziente con un colpo di calore deve essere prontamente condotto in un ambiente fresco, ventilato (e comunque al riparo dal caldo); va dunque posto in posizione sdraiata e protetto con coperte o abiti asciutti; se la vittima è cosciente si potrà dare da bere acqua. Nel caso in cui sopraggiunga un arresto cardiopolmonare, bisognerà trattarlo con le procedure di rianimazione cardio polmonare di base già descritte altrove, in attesa del personale sanitario allertato chiamando il 118.
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! Trattamento NO del colpo di calore NON dare da bere alcolici
NON applicare il ghiaccio Trattamento del colpo di calore - manovre da NON fare Nel soggetto colpito da colpo di calore, non bisognerà effettuare impacchi freddi né somministrare bevande alcoliche.
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CONGELAMENTO ASSIDERAMENTO
Congelamento e assideramento In questo capitolo affronteremo i danni esercitati dalle basse temperature sull’organismo umano. Le basse temperature inducono sull’organismo due distinte patologie: il congelamento, quando il danno da freddo si limita ad alcune aree del corpo (in genere, le estremità); l’assideramento, quando il danno da freddo altera la funzionalità dell’intero organismo.
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CONGELAMENTO È una lesione simile a quella delle ustioni, generalmente localizzata alle estremità del corpo, causata da esposizione diretta dell’organismo al freddo (atmosferico o artificiale). Congelamento Le lesioni da congelamento sono ferite simili alle ustioni, in genere localizzate delle zone più estreme del corpo (dita delle mani o dei piedi, lobi delle orecchie, naso), causate dall’esposizione al freddo atmosferico (nel nostro Paese in montagna o d’inverno in giornate con freddo umido e vento si possono raggiungere temperature molto basse) o artificiale (attività lavorative in impianti e lavorazioni che producono o richiedono basse temperature ambientali). Nel caso di esposizioni a basse temperature è molto importante prevenire i danni da congelamento con un adeguato equipaggiamento, che protegga il corpo e soprattutto le estremità dal freddo, dall’umidità e dal vento, che combinandosi insieme producono i danni maggiori: i materiali a disposizione per guanti, indumenti e scarpe devono esser caldi ed impermeabili e facilmente sostituibili in caso di danneggiamento.
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Segni di congelamento Avanzati Precoci vescicole prima
perdita locale della sensibilità dolorosa poi vere e proprie aree necrotiche dolore iniziale della parte colpita cute localmente prima pallida e fredda, poi arrossata Avanzati Precoci Segni di congelamento Il congelamento dapprima si presenta con un dolore sordo della parte colpita, che, se viene esposta, appare pallida e fredda, poi arrossata. Se il congelamento non viene contrastato, per l’arresto della circolazione sanguigna nella parte colpita compaiono delle vescicole e poi la morte generalizzata dei tessuti (necrosi) e la perdita di parti (amputazione da freddo). Man mano che il danno diventa irreversibile il dolore via via s’attenua fino a scomparire. È, quindi, il dolore un importante segno dello stadio evolutivo del congelamento: se si allontana la vittima dal freddo durante la fase iniziale del dolore, prima che la parte diventi insensibile, è ancora possibile evitare la necrosi locale dei tessuti.
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Trattamento SI chiamare i soccorsi
invitare il paziente a muovere l’arto colpito metterlo in posizione sdraiata rimuovere abiti e calzature troppo strette coprire la parte con coperte e/o abiti asciutti (senza stringere) tenere la vittima in un ambiente caldo Trattamento del congelamento - manovre da fare Nel trattamento del congelamento, bisognerà invitare il paziente a muovere l’arto colpito (mano, dita della mano, piedi, dita dei piedi), porlo in posizione supina, rimuovere abiti, guanti e calzature troppo strette, bagnate, lacerate, coprire la parte lesionata con coperte oppure abiti asciutti (senza stringere la parte). Bisognerà tenere la vittima in un ambiente caldo.
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Trattamento NON NO applicare sulla parte fonti di calore
somministrare alcolici rompere le bolle frizionare la parte con la neve Trattamento del congelamento - manovre da NON fare Nel trattamento del congelamento non bisogna: applicare sulla parte lesa fonti di calore, avvicinando la parte congelata a termosifoni o stufe, che a loro volta possono causare ustioni insidiose a causa dell’anestesia della parte congelata; somministrare alla vittima alcolici, che inducono una vasodilatazione e quindi un’ulteriore perdita di calore; rompere, come nelle ustioni, le bolle, perché s’incrementa la traspirazione di plasma ed il rischio d’infezione; frizionare con neve la parte congelata (questa tragica consuetudine provoca un aumento della dispersione di calore locale per la vasodilatazione indotta; inoltre, il contatto diretto con il freddo provoca ulteriore danno da congelamento).
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ASSIDERAMENTO È quella condizione in cui l’esposizione dell’organismo a basse temperature determina un crollo della temperatura corporea sotto i 35 °C. Assideramento L’assideramento è causato dall’esposizione dell’organismo a basse temperature, che determinano un crollo della temperatura corporea sotto i 35 °C. Esso si verifica quando il freddo ambientale prevale sulle capacità di termoregolazione dell’organismo. Colpisce quanti sono esposti al gelo, al freddo, alla pioggia, al vento. Gli indumenti bagnati o non sufficientemente protettivi accrescono la perdita di calore da parte del corpo come pure alcune condizioni come l’alcolismo, il digiuno, l’età avanzata.
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Segni d’assideramento
rigidità muscolare mancanza di coordinazione dei movimenti alterazione della respirazione disturbi della coscienza, seguiti da perdita di coscienza cianosi arresto polmonare arresto cardiaco avanzati presenza di brividi iniziali Segni di assideramento I segni d’assideramento sono strettamente dipendenti dalla temperatura corporea, con iniziale presenza di brividi, seguiti di rigidità muscolare, mancanza di coordinazione dei movimenti, alterazione della respirazione e disturbi della coscienza, seguiti da perdita di coscienza, cianosi, arresto cardiaco e/o polmonare.
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Valutazione della gravità
Ipotermia lieve: brividi, intorpidimento o sonnolenza Ipotermia grave: rallentamento della respirazione e del battito cardiaco, con deficit visivo, incoordinazione motoria, sonnolenza Ipotermia molto grave: perdita di coscienza, possibile arresto cardiaco e respiratorio Assideramento - valutazione della gravità dell’ipotermia Per prima cosa bisognerà valutare la gravità dell’ipotermia; ciò perché il trattamento terapeutico dipende strettamente dal grado dell’ipotermia. Nella ipotermia lieve si hanno brividi, intorpidimento o sonnolenza; ipotermia grave si ha un rallentamento della respirazione e del battito cardiaco, con deficit visivo, incoordinazione motoria e sonnolenza. ipotermia molto grave si avrà assenza di coscienza e possibile arresto cardiaco e respiratorio.
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Trattamento dell’ipotermia lieve chiamare i soccorsi
condurre la vittima in un ambiente caldo e asciutto e, comunque, al riparo dal freddo metterla in posizione sdraiata togliere gli abiti bagnati coprirla con coperte e/o abiti asciutti non riscaldare troppo velocemente il paziente; iniziare riscaldando le parti “centrali” del corpo non dare da bere alcolici Assideramento - Trattamento dell’ipotermia lieve Nel trattamento dell’assiderato con ipotermia lieve bisognerà chiamare immediatamente i soccorsi, condurre la vittima in un ambiente caldo e asciutto - comunque, al riparo dal freddo -, mettere la vittima in posizione sdraiata, togliere gli abiti bagnati e coprirlo con coperte e/o abiti asciutti, massaggiare il corpo. Non dare da bere alcolici. Bisognerà fare attenzione a non riscaldare la vittima troppo velocemente ed è opportuno riscaldare la vittima iniziando dalle parti più centrali del corpo (ciò significa che bisogna iniziare a riscaldare - lentamente - il tronco, il collo, le regioni ascellari ed inguinali); ad ogni modo, non riscaldare gli arti (così facendo di potrebbe verificare una vasodilatazione localizzata con sequestro del sangue negli arti).
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Trattamento dell’ipotermia grave chiamare i soccorsi
trattare i pazienti con la massima cautela condurre la vittima in un ambiente caldo e asciutto, comunque, al riparo dal freddo metterlo in posizione sdraiata e avvolgergli intorno delle coperte e/o abiti asciutti non tentare di riscaldare il paziente non dare da bere alcolici Assideramento - Trattamento dell’ipotermia grave Nell’assideramento con ipotermia grave, bisogna tenere presente che il paziente è ad alto rischio di sviluppare una fibrillazione ventricolare. Per tale ragione deve essere trattato con la massima cautela; bisognerà dunque per prima cosa chiamare i soccorsi, poi condurre la vittima in un ambiente caldo e asciutto (e, comunque, al riparo dal freddo), metterlo in posizione sdraiata in posizione antishock ed avvolgergli intorno delle coperte; non bisogna tentare di riscaldare il paziente (questa manovra potrebbe indurre fibrillazione ventricolare). Non dare da bere alcolici.
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dell’ipotermia molto grave
Trattamento dell’ipotermia molto grave chiamare i soccorsi trattare i pazienti con la massima cautela condurre la vittima in un ambiente caldo e asciutto e, comunque, al riparo dal freddo metterlo in posizione sdraiata non tentare di riscaldare il paziente non dare da bere alcolici in caso di arresto cardiaco e respiratorio, avviare le manovre di RCP Assideramento - Trattamento dell’ipotermia molto grave Nel caso in cui la vittima sia in arresto cardio polmonare, bisognerà trattarlo con le procedure di rianimazione cardio polmonare di base già descritte altrove. Bisogna considerare che questi pazienti sono fortemente bradicardici (anche pulsazioni al minuto). Per questa ragione, il polso carotideo deve essere rilevato con cura, rimanendo sul punto di repere anche per un minuto, astenendosi dalla effettuazione del massaggio cardiaco esterno anche se si rileva, appunto, una sola pulsazione al minuto.
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Avvelenamenti Avvelenamento
Si definisce avvelenamento una condizione patologica sistemica (che interessa cioè l’intero organismo), sovente molto grave, indotta dall’assorbimento di sostanze che per le proprietà chimiche o fisico-chimiche possono compromettere più o meno gravemente l'integrità e la funzionalità dell’organismo. Sostanze comunemente utilizzate per fini terapeutici, se introdotte nell’organismo in dosi elevate, possono comportarsi da veleni; di conseguenza la dose permette di differenziare un farmaco da un veleno. Potenziali veleni sono anche numerose altre sostanze destinate ad usi diversi. Se sostanze presenti nell'ambiente di lavoro, assorbite dall’organismo, provocano danni organici si verifica la cosiddetta intossicazione occupazionale.
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Modalità di penetrazione dei tossici
Le sostanze tossiche possono penetrare nell’organismo attraverso varie vie: per ingestione per inalazione per contato con la cute e le mucose Modalità di penetrazione dei tossici Le sostanze tossiche possono penetrare all’interno dell’organismo umano per: ingestione, attraverso il sistema digerente; inalazione, attraverso il sistema respiratorio; contatto con il rivestimento esterno (tegumento) del corpo (cute e mucose). E’ raro che una intossicazione occupazionale si sviluppi attraverso il sistema digerente, anche se è possibile l’ingestione accidentale di un prodotto tossico. Le altre due vie - quella inalatoria e quella cutanea - sono invece più frequenti. L’avvelenamento può verificarsi anche per inoculazione, cioè in seguito a punture di insetti, morsi di animali, introduzione accidentale nell'organismo, per iniezione o per scarificazione di una sostanza farmacologica.
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Segni d’intossicazione
Variano notevolmente in base: al tipo di sostanza alla via di penetrazione del tossico nell’organismo Generalmente i quadri clinici peggiorano in un tempo molto breve dall’avvelenamento Segni d’intossicazione Nell’avvelenamento, i sintomi ed i segni clinici variano notevolmente a seconda del tipo di sostanza in gioco e della sua concentrazione, ma anche in base alla via di penetrazione nell’organismo. Generalmente, i casi clinici peggiorano drammaticamente in un tempo molto breve dalla penetrazione del tossico nell’organismo.
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Segni più comuni Segni iniziali mancanza di forza e malessere
mal di testa nausea e vomito crampi addominali Segni iniziali d’avvelenamento Benché i sintomi ed i segni clinici dipendano in larga misura dal tipo di tossico causa dell’avvelenamento, alcuni sono comuni a tutte le intossicazioni; tra i sintomi iniziali abbiamo: stanchezza improvvisa e non giustificata (astenia) e malessere, mal di testa (cefalea), nausea e vomito, crampi addominali.
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…segni più comuni (segue)
…altri segni capogiro e vertigine sonnolenza confusione mentale convulsioni Altri segni e sintomi d’avvelenamento Sintomi più facilmente riconducibili ad uno stato d’intossicazione sono altresì: capogiro e vertigine, instabilità, sonnolenza e confusione mentale, convulsioni.
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Trattamento dell’avvelenamento
In caso d’intossicazione consultare sempre le SCHEDE TECNICHE E DI SICUREZZA dei prodotti utilizzati Il primo soccorso varia da sostanza a sostanza in base alla via di penetrazione Trattamento Il trattamento, anche quello di primo soccorso, varia notevolmente da sostanza a sostanza e a seconda della via di penetrazione nell’organismo. Per questa ragione è molto importante conoscere preventivamente la specificità del trattamento di emergenza da effettuare nel malaugurato caso di intossicazione per ogni singola sostanza utilizzata; questo compito è facilitato dalla lettura dei dati riportati all’interno della scheda tecnica e di sicurezza dei prodotti.
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Trattamento - principi generali
Controllare le funzioni vitali e, se sono alterate, sostenerle individuare l’agente intossicante mettersi in contatto con un centro antiveleni avviare la rimozione delle sostanze tossiche Trattamento - principi generali Qualunque sia la causa e le modalità di un avvelenamento, possono essere delineati dei principi generali da utilizzare universalmente nell’approccio al soggetto avvelenato: controllare e, se del caso, mantenere le funzioni vitali questo primo passo rappresenta la priorità nell’approccio al paziente avvelenato ed è finalizzata a verificare la necessità e, eventualmente, ad attuare il trattamento di emergenza di rianimazione cardio polmonare; individuare la sostanza tossica l’individuazione della sostanza che è causa dell’avvelenamento è molto importante poiché la tipologia del trattamento in molti casi è funzione del tipo di sostanza; mettersi in contatto con un centro antiveleni: la precoce richiesta di informazioni ad un centro antiveleni è in grado di guidare correttamente le primissime azioni del soccorritore; avviare la rimozione o neutralizzare le sostanze tossiche: l’entità del danno prodotto da una sostanza tossica è legata alla concentrazione del tossico e alla durata del contatto con l’organismo; per minimizzare il danno bisognerà agire su queste due variabili, riducendo la concentrazione del tossico (per esempio, diluendolo e neutralizzandolo) e limitando il tempo di contatto della sostanza con l’organismo (allontanando prontamente la sostanza).
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Autoprotezione del soccorritore
La scena di un’intossicazione occupazionale può porre a repentaglio la sicurezza del soccorritore, che deve dunque opportunamente proteggersi con gli appositi dispositivi di protezione individuale. Autoprotezione del soccorritore La scena in cui si effettuano tali soccorsi può porre a repentaglio la sicurezza del soccorritore (presenza di gas tossici, possibile contatto con sostanze nocive che impregnano gli abiti della vittima o che contaminano la cute del paziente, aria espirata del paziente contaminata dal prodotto tossico). L’azione del soccorritore dovrà avviarsi solo quando è possibile agire in assoluta sicurezza; il soccorritore, dunque, deve opportunamente proteggersi utilizzando gli appositi dispositivi di protezione individuale, che, variando ampiamente da prodotto a prodotto, dovranno essere individuati preventivamente nell’ambito della valutazione del rischio. Nel caso si debba procedere ad RCP, è necessario pulire accuratamente le superficie cutanee contaminate ed utilizzare una pocket mask. Per procedere ad un’eventuale RCP, pulire la cute contaminata ed utilizzare una pocket mask.
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Incidente da ingestione: trattamento
Controllare le funzioni vitali e, se necessario, sostenerle raccogliere informazioni sul prodotto ingerito acquisire la scheda tecnica o l’etichetta chiamare immediatamente il Centro Antiveleni riferire sul primo trattamento porre l’infortunato in posizione favorente l’emissione del tossico con il vomito Incidente da ingestione di sostanze tossiche Nel trattamento di soggetti che hanno ingerito sostanze tossiche, per prima cosa bisognerà raccogliere le informazioni sul tipo di prodotto causa dell’intossicazione, assumendo la scheda tecnica del prodotto o, in assenza di essa, l’etichetta. Bisognerà chiamare immediatamente un Centro Antiveleni, comunicando: il tipo di tossico ingerito le condizioni del paziente informazioni circa il primo trattamento. Bisognerà anche garantire la pervietà delle vie aeree. Infine, il soccorritore dovrà porre il soggetto intossicato in posizione tale da potere espellere le sostanze ingerite con il vomito; se la vittima perde coscienza, dopo avere valutato gli altri parametri vitali, è opportuno eseguire la posizione laterale di sicurezza.
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Incidente da inalazione: trattamento
Allontanare il paziente dal pericolo portandolo in luogo aerato chiamare immediatamente il Centro Antiveleni garantire la pervietà delle vie aeree se privo di coscienza, porre l’infortunato in posizione laterale di sicurezza rimuovere gli abiti contaminati Incidente da inalazione di sostanze tossiche Nel trattamento di soggetti che hanno inalato sostanze tossiche, per prima cosa bisognerà allontanare il paziente dal pericolo, portandolo in un luogo aerato. Se ciò non è possibile, in alternativa si può “allontanare il pericolo dal paziente”, per esempio ventilando l’ambiente. Bisognerà, anche, chiamare immediatamente il Centro Antiveleni, comunicando: il tipo di tossico inalato le condizioni del paziente informazioni circa il primo trattamento. Se il soggetto intossicato perdesse conoscenza, è anche necessario garantire la pervietà delle vie aeree con le tecniche di RCP, ponendo la vittima in posizione laterale di sicurezza se privo di coscienza, respira. Con la rimozione degli abiti contaminati s’avviano precocemente le operazioni di rimozione della sostanza tossica, allontanandola prontamente dal primo contatto cutaneo, allo scopo di minimizzare il tempo di contatto del tossico con l’organismo.
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Incidente da contatto: trattamento
Allontanare il paziente dal pericolo portandolo in luogo aerato chiamare immediatamente il Centro Antiveleni rimuovere gli abiti contaminati lavare abbondantemente con acqua la zona di cute contaminata Incidente da contatto con sostanze tossiche Nel trattamento di soggetti che hanno assorbito sostanze tossiche attraverso la cute, per prima cosa bisognerà allontanare il paziente dal pericolo (conducendolo in un luogo aerato, poiché il prodotto potrebbe essere volatile), chiamare in soccorso il Centro Antiveleni, rimuovere gli abiti contaminati facendo attenzione a non danneggiare la pelle e lavare abbondantemente con acqua corrente la zona di cute contaminata.
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Procedure speciali da seguire in caso di incidente con formaldeide
Contatto con cute Sciacquare la cute Doccia Medico Isolare indumenti Contatto con occhi Esempio: procedure da utilizzare in caso di incidente con formaldeide Al solo scopo esemplificativo la diapositiva riporta le procedure da utilizzare in caso di incidente con formaldeide (contatto con la cute e con gli occhi, ingestione, inalazione). Sciacquare Medico Inalazione Aria fresca Ossigeno terapia Medico Ingestione Sciacquare la bocca Non bere acqua e Non far vomitare Aria fresca medico
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Morso di vipera Morso di vipera
Nelle diapositive che seguono tratteremo delle procedure d’emergenza da mettere in atto in caso di morso di vipera.
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Morso di vipera Il morso di vipera è raramente un evento mortale in quanto: il veleno della vipera ha una azione piuttosto lenta molto spesso inoculato solo superficialmente Morso di vipera Diversamente da quanto si è soliti ritenere, il morso di vipera è solo poco frequentemente un evento mortale. Infatti il veleno viene inoculato molto spesso solo in superficie, ha una azione lenta e risulta letale per soggetti in condizioni generali già compromesse. Il veleno giunge agli organi vitali tramite i vasi linfatici determinando effetti patologici sul cuore, sul sistema nervoso e sul sangue. Queste conoscenze sono molto importanti per potere attuare una corretta strategia d’intervento da parte del primo soccorritore.
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Trattamento praticare incisioni succhiare il sangue
muovere il paziente dare da bere somministrare il siero antivipera Trattamento - cose da non fare Il primo trattamento nel morso di vipera è una procedura che propone divieti piuttosto che richiedere manovre da compiere; in particolare, i divieti sono i seguenti: non praticare incisioni sul punto interessato dal morso questa manovra è inutile e potenzialmente dannosa perché può facilitare il sanguinamento; non succhiare il sangue nel punto interessato dal morso; anche in questo caso, la manovra è sostanzialmente inutile, infatti il veleno viene velocemente drenato dal punto di inoculo; potenzialmente dannosa, potendo esporre il soccorritore all’assorbimento del veleno; non muovere il soggetto morso il movimento facilita la circolazione del veleno; non dare da bere alla vittima specie gli alcolici gli alcolici facilitano la circolazione del veleno; non utilizzare il siero antivipera non è una pratica di primo soccorso, bensì una terapia di pronto soccorso. Cosa NON fare
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Trattamento chiamare il 118
tranquillizzare e tenere ferma la vittima, cercando di evitare ogni movimento, specialmente della zona interessata attendere i soccorsi con vittima in posizione sdraiata fasciare con un bendaggio debolmente compressivo la zona interessata Trattamento - cose da fare Nel caso di morso di vipera gli interventi del primo soccorritore sono assai limitati: per prima cosa bisognerà chiamare i soccorsi (118); bisognerà poi: tranquillizzare la vittima tenerla più ferma possibile, evitando ogni movimento, specie della zona interessata sdraiarla in attesa dei soccorsi. È infine opportuno fasciare la zona interessata con un bendaggio leggermente compressivo che sia in grado di comprimere i vasi linfatici, attraverso i quali viene drenato il veleno, fasciando debolmente per evitare di provocare una cattiva irrorazione della regione, comprimendo il distretto venoso ed arterioso.
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Centri antiveleni in Italia
Sono servizi di informazione tossicologica funzionanti 24 ore su 24 Nel nostro Paese non sono istituzionalizzati I Centri antiveleni in Italia Si definisce “Centro antiveleni” un servizio di informazione tossicologica, svolto 24 ore su 24. L’attività di questi Centri nel nostro Paese non è istituzionalizzata, ovvero non è regolata da criteri né da standard. Generalmente questo centri assicurano un'attività di informazione tossicologica che supera l’ambito locale.
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Le grandi emergenze Le grandi emergenze
In questo capitolo verranno trattati i seguenti argomenti: Rianimazione cardiopolmonare di base Ostruzione delle vie aeree per ingestione di corpo estraneo Emorragie
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Rianimazione Cardio Polmonare (di base)
Si intende per Rianimazione Cardio Polmonare un insieme di interventi e di manovre finalizzate a sostenere (e, se possibile, ripristinare) le funzioni vitali. Esistono dei metodi di base e dei metodi avanzati; questi ultimi sono di competenza di rianimatori e di altro personale sanitario particolarmente addestrato. In questa lezione verranno esposti i metodi di base utilizzabili anche da un comune cittadino che si trova ad agire come primo soccorritore (personale laico). Lo stato di coscienza, la respirazione e la circolazione sono funzioni necessarie a garantire la sopravvivenza (funzioni vitali). Nel caso in cui queste funzioni dovessero essere compromesse, si verificherebbe un repentino e grave stato di deficit di ossigenazione dei tessuti con ripercussioni sulla funzione di tutte le cellule a partire dalle cellule cerebrali e subito dopo di quelle miocardiche. Il supporto alle funzioni vitali è quindi l’insieme di manovre atte a vicariare la/le funzione/i vitale/i compromessa/e; l’obiettivo primario di queste manovre è quello di ossigenare artificialmente il sangue e spingere il sangue nei vari organi ed apparati.
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Cosa succede in seguito all’arresto cardiaco
ARRESTO RESPIRATORIO Cosa succede in seguito all’arresto cardiaco In seguito all’arresto cardiaco, che si può verificare per varie cause, si producono delle alterazioni a carico delle cellule cerebrali; tali alterazioni, dopo alcuni secondi, bloccano l’attività respiratoria e dopo alcuni minuti avviano lesioni delle cellule cerebrali; esse diventano irreversibili dopo 4-6 minuti. L’esecuzione di manovre idonee a conservare un’ossigenazione di emergenza può fermare l’evoluzione di danno irreversibile ai tessuti cerebrali. La fase che l’arresto cardiaco e il successivo arresto respiratorio inducono è una situazione di morte iniziale che diventa irreversibile quando (trascorsi più di 6-7 minuti) i danni delle cellule cerebrali si stabilizzano. ANOSSIA CEREBRALE LESIONI CEREBRALI MORTE
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Cosa succede in seguito all’arresto respiratorio
ARRESTO CARDIACO Cosa succede in seguito all’arresto respiratorio L’arresto respiratorio primario non produce inizialmente un arresto cardiaco. Quindi se in questa fase si avviano le manovre di rianimazione che consentono un’ossigenazione di emergenza si può fermare l’evoluzione del danno cerebrale e prevenire l’arresto dell’attività cardiaca; qualora dovesse sopraggiungere l’arresto della attività cardiaca, questo evento accorcerebbe i tempi di stabilizzazione del danno cerebrale irreversibile e quindi della stabilizzazione della situazione di morte. ANOSSIA CEREBRALE LESIONI CEREBRALI MORTE
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La valutazione ed il sostegno delle funzioni vitali
Valutazione delle funzioni vitali: controllo dello stato di coscienza, del respiro e del polso Sostegno delle funzioni vitali: ogni volta che la funzione vitale è compromessa occorrerà vicariarla (sostituirla con adeguate manovre) Obiettivo della rianimazione cardio polmonare Poiché l’obiettivo del primo soccorritore è la prevenzione dell’anossia cerebrale, la filosofia del soccorso è basata sul seguente assunto: ogni volta che la funzione vitale è compromessa occorrerà vicariarla (sostenerla con adeguate manovre). L’obiettivo primario del primo soccorritore è quello di sostenere le funzioni vitali qualora queste fossero assenti o compromesse, in attesa del soccorso avanzato ad opera del personale sanitario di pronto soccorso.
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La valutazione ed il sostegno delle funzioni vitali
Airway (valutazione della coscienza e apertura delle vie aeree) Breathing (respiro) Circulation (compressioni toraciche) La sequenza di rianimazione cardio polmonare - Il protocollo A-B-C La valutazione ed il sostegno delle funzioni vitali deve seguire una scaletta di azioni, che, per comodità didattica, possono essere indicate con le prime tre lettere dell’alfabeto (A, B, C). Questo sta ad indicare che tali gruppi di interventi devono essere messi in atto nella rigida sequenza temporale che riporteremo, secondo lo schema A-B-C.
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LA SEQUENZA DI RCP Nella sequenza di RCP, ogni azione è sempre preceduta da una fase di valutazione Ogni atto va eseguito nella corretta sequenza e modalità, pertanto se manca: A (la coscienza) -----> apri le vie aeree B (il respiro) -----> pratica la respirazione artificiale C (il circolo) > pratica le compressioni toraciche La sequenza di RCP Nella sequenza di RCP ogni azione deve essere sempre preceduta da una fase di valutazione e deve essere eseguita secondo la corretta sequenza temporale e modalità tecnica. Di conseguenza, se manca A (cioè, se è assente la coscienza) bisogna aprire le vie aeree; se manca B (cioè, se è assente il respiro) bisogna praticare la respirazione artificiale; se manca C (cioè, se è assente il circolo) bisogna agire con le compressioni toraciche.
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VALUTA LO STATO DI COSCIENZA
Chiama ad alta voce e scuoti la vittima per evocare la risposta a stimoli verbali, tattili e dolorosi A - La valutazione della coscienza La prima cosa da fare in un protocollo Rianimazione Cardio Polmonare (RCP) è la valutazione dello stato di coscienza. La manovra utilizzata a tal fine ha l’obiettivo di evocare la risposta a: stimoli verbali (si parla con la vittima), tattili (si tocca la vittima) e dolorosi (si esercita un leggero scuotimento delle spalle della vittima). Tecnica di rilevazione. Nella pratica, il primo soccorritore chiamerà la vittima ad alta voce (Signore, va tutto bene?) e la scuoterà con dolcezza afferrandola a livello delle spalle. Ogni altra manovra per la valutazione dello stato di coscienza diversa da quella sopra indicata non è consentita. Se un paziente è cosciente, è anche in grado di respirare e pertanto ha anche una valida attività cardiaca. Ciò non toglie però che un paziente cosciente in situazioni di emergenza, in qualunque momento possa perdere conoscenza. Per tale ragione, un tal tipo di paziente, anche se cosciente, va controllato. Signore, va tutto bene?
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COSCIENZA ASSENTE se la coscienza è assente, 1. attiva il 118
2. iperestendi il capo (o, in caso di sospette lesioni spinali, apri manualmente la bocca attraverso la manovra di sublussazione della mandibola) 3. ispeziona il cavo orale Manovre da compiere in caso di assenza della coscienza Se la coscienza è assente, il primo soccorritore deve: 1. attivare il sistema di soccorso sanitario territoriale telefonando al numero 118; 2. iperestendere il capo al fine di mantenere la pervietà delle vie aeree (oppure, in caso di sospetta lesione spinale, aprire manualmente la bocca con la manovra di sublussazione della mandibola); 3. ispezionare il cavo orale per verificare se questo è occupato da eventuali corpi estranei.
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COSCIENZA ASSENTE 1. attiva il sistema sanitario di soccorso
(segue) Manovre da compiere in caso di assenza della coscienza In caso di assenza di coscienza il primo soccorritore farà allertare il sistema di soccorso: in pratica il primo soccorritore si rivolgerà con fare perentorio alla persona a lui più vicina e gli intimerà di chiamare i soccorsi, dicendo: “CHIAMA IL 118, 1-1-8, L’AUTOAMBULANZA, PERCHE’ LA VITTIMA NON E’ COSCIENTE!!!”. Nel caso in cui il primo soccorritore fosse solo, dovrà chiamare direttamente il 118 con il mezzo di comunicazione in dotazione. chiedi a uno dei compagni di lavoro, indicandolo chiaramente: chiama il 118, 1-1-8!!! o, se sei solo, chiamalo direttamente con il mezzo di comunicazione in dotazione
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2. iperestendi il capo (oppure, apri manualmente la bocca)
COSCIENZA ASSENTE 2. iperestendi il capo (oppure, apri manualmente la bocca) Iperestensione del capo Una volta chiamati (o fatti chiamare) i soccorsi, il primo soccorritore dovrà iperestendere il capo della vittima, allo scopo di prevenire l’eventuale ostruzione esercitata dal rilasciamento della base della lingua. Tecnica di esecuzione. La manovra si effettua con soccorritore posto all’altezza della spalla della vittima che è a sua volta in posizione supina, con la testa, il collo e la colonna vertebrale ben allineati; una mano viene posta sulla fronte della vittima, l’indice e il medio dell’altra mano vengono posizionati sulla parte ossea del mento; la mano esercita una leggera pressione sulla fronte ed il mento viene sollevato verso l’alto. Bisognerà fare attenzione a non comprimere con le dita la parte molle del mento (in questo modo si può provocare una ostruzione delle vie respiratorie). solleva il mento estendi la testa
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Significato della manovra di iperestensione del capo
evitare l’ostruzione che la base della lingua, rilasciandosi, potrebbe esercitare sulle vie aeree Significato della manovra di iperestensione del capo La perdita di coscienza determina un rilasciamento muscolare; la mandibola cade all’indietro e la lingua va ad ostruire le vie aeree, costituendo un ostacolo insormontabile all’attività respiratoria. Con la manovra di iperestensione del capo si assicura l’apertura delle vie aeree; essa impedisce la caduta indietro della lingua e permette il passaggio dell’aria.
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Limitazioni alla manovra di iperestensione del capo
CONTROINDICATA nel sospetto traumatizzato della colonna vertebrale Manovra di iperestensione del capo - controindicazioni La manovra di iperestensione del capo non si deve effettuare nel sospetto di lesioni della testa, del collo o della colonna vertebrale. In questi casi per liberare le vie aeree si effettua una particolare manovra di sublussazione della mandibola.
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Sublussazione della mandibola manovra alternativa alla iperestensione del capo
nel sospetto di un trauma si lascia la testa in posizione neutra e si effettua la manovra di apertura manuale della bocca con sublussazione della mandibola Manovra di sublussazione della mandibola Lasciando la testa in posizione neutra si evitano possibili danni al midollo spinale. Per liberare le vie aeree in questi casi si effettua la manovra di apertura manuale della bocca con protrusione della mandibola. Quest’ultima manovra consente di ottenere lo stesso risultato della manovra di iperestensione della testa e sollevamento del mento. Tecnica di esecuzione. Il soccorritore si pone dietro al paziente; questi, a sua volta, si trova in posizione supina con la testa, il collo e la colonna vertebrale allineati. Con le dita lunghe ci si pone a livello degli angoli della mandibola, mentre, con i polsi e gli avambracci si tiene ferma la testa. Si spinge dunque la mandibola in avanti, utilizzando anche i due pollici, posti a destra ed a sinistra del mento.
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3. ispeziona il cavo orale e rimuovi gli eventuali corpi estranei
COSCIENZA ASSENTE 3. ispeziona il cavo orale e rimuovi gli eventuali corpi estranei Ispezione del cavo orale L’ispezione del cavo orale, che si effettua guardando all’interno della bocca, ha lo scopo di verificare se nel cavo orale siano o meno presenti corpi estranei (liquidi o solidi). Questi devono essere rimossi prima di proseguire con le manovre assistenziali. guarda in bocca e togli eventuali corpi estranei
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Rimozione di corpi solidi
CORPI SOLIDI: rimuovi i corpi estranei solidi manualmente, con la manovra del dito ad uncino (attenzione alla chiusura della bocca) Rimozione di corpi solidi Se l’ispezione del cavo orale mostra la presenza di corpi estranei, la loro rimozione è indispensabile prima di tutte le successive manovre per garantire che non ostruiscano le vie aeree. I corpi solidi (denti, dentiera, bolo alimentare, ecc.) potranno essere rimossi manualmente, utilizzando la manovra del dito ad uncino. Per evitare la chiusura accidentale della bocca da parte della vittima, che potrebbe ferire il soccorritore, questi dovrà adottare la manovra delle dita incrociate.
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Manovra delle dita incrociate
Permette di evitare che la chiusura accidentale della bocca da parte della vittima ferisca il soccorritore Manovra delle dita incrociate La manovra delle dita incrociate permette di evitare che la chiusura accidentale della bocca da parte della vittima ferisca il soccorritore. Tecnica di esecuzione. Il primo ed il terzo dito (pollice e medio) della mano posta sotto il mento aprono la bocca spingendo rispettivamente in basso e in alto le arcate dentarie e reggendole, mentre il secondo dito (indice) si inserisce nella bocca per arpionare il corpo estraneo individuato nella fase di ispezione del cavo orale. L’altra mano (posta sulla fronte) tiene in iperestensione il capo.
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Rimozione di corpi liquidi
LIQUIDI: ruota la testa di lato in modo da facilitare il deflusso del liquido Rimozione di corpi liquidi I corpi liquidi si rimuovono, se la vittima non è sospetta di lesioni alla colonna, facendo ruotare la testa di lato verso il soccorritore e asciugando i liquidi con una garza o con altri tessuti (panno, lembo di una camicia, ecc.).
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Prosegui nella valutazione Sorveglia la vittima
COSCIENZA PRESENTE Prosegui nella valutazione Sorveglia la vittima Manovre da compiere in caso di presenza della coscienza Se la coscienza è presente occorrerà proseguire nella valutazione e sorvegliare la vittima. In particolare, è opportuno verificare periodicamente lo stato di coscienza in quanto la vittima può perdere i sensi in qualunque momento. Verifica periodicamente lo stato di coscienza Attenzione: la vittima può perdere i sensi in qualunque momento!!
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VALUTA se il PAZIENTE RESPIRA eseguendo il GAS per 10 secondi
B VALUTA se il PAZIENTE RESPIRA eseguendo il GAS per 10 secondi Guardo Ascolto Sento B - La valutazione della respirazione Nel soggetto privo di coscienza, dopo aver posto in essere le manovre del caso, eventualmente il primo soccorritore passerà alla fase B (breathing) del protocollo di RCP, verificando per prima cosa se il paziente respira. Tecnica di rilevazione. Valutare se il paziente respira è molto semplice; la manovra valutativa (che si esegue con soccorritore affiancato al paziente, posto all’altezza della spalla della vittima) consiste nell’avvicinarsi alla bocca ed al naso della vittima e nel GUARDARE le eventuali escursioni del torace, nell’ASCOLTARE il rumore dell’aria che eventualmente fuoriesce dalla bocca e dal naso della vittima e, infine, nel SENTIRE sulla propria guancia la più lieve brezza d’aria che eventualmente fuoriesce dalla bocca e dal naso della vittima. Questa manovra dovrà essere effettuata per almeno 10 secondi. Per facilità è conveniente che l’operatore conti a voce alta da uno a dieci.
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Se il respiro è PRESENTE
poni la vittima in posizione laterale di sicurezza controlla che la vittima continui a respirare Manovre da compiere in caso di presenza della respirazione Se il respiro è presente, occorrerà porre la vittima in posizione in cui possa continuare a respirare; questa è la posizione laterale di sicurezza. Posto il paziente in posizione laterale di sicurezza, il soccorritore ha la possibilità di muoversi e, se è solo, di cercare soccorso. Occorrerà poi controllare che la vittima continui a respirare. La posizione laterale di sicurezza permette di valutare facilmente l’arresto respiratorio e cardiaco e favorire la fuoriuscita spontanea di fluidi (muco, sangue, saliva) dalla bocca, che altrimenti potrebbero ingorgare le vie respiratorie ed ostacolare il respiro spontaneo.
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Posizione laterale di sicurezza
La posizione laterale di sicurezza Tecnica di esecuzione. Restando affiancato al paziente nella stessa posizione della manovra GAS, piegare ad angolo retto il braccio più vicino al soccorritore; afferrare l’altro braccio e spostarlo verso la spalla controlaterale ancorando la mano sulla testa dell’omero; afferrare con entrambe le mani la spalla del paziente opposta al soccorritore e il cavo popliteo dello stesso lato; per far questo il soccorritore si sporge un pochino in avanti. Con entrambe le mani ancorate alla spalla e al ginocchio della vittima il soccorritore arretra e provoca la rotazione di tutto il corpo della vittima verso di sé. In questo modo il soccorritore ha posto la vittima in posizione laterale di sicurezza, ma per concludere la procedura dovrà sistemare il piede posto in alto nel cavo popliteo della gamba opposta e sistemare in iperestensione e rotazione laterale la testa della vittima, poggiandovi sotto la mano del braccio ruotato.
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DUE INSUFFLAZIONI DI ARIA
Se il respiro è ASSENTE insuffla lentamente due volte l’aria nei polmoni della vittima con tecnica bocca-bocca, bocca-naso o bocca-maschera Manovre da compiere in caso di assenza della respirazione Se il respiro è assente, occorrerà sostituire la funzione assente, insufflando due volte l’aria nei polmoni della vittima. L’aria va insufflata, sempre tenendo il soggetto a testa iperestesa, lentamente per evitare che una eccessiva parte di essa, entrando nello stomaco, possa distendere le pareti gastriche e stimolare il vomito. Per insufflare aria lentamente occorre eseguire il bocca-bocca per circa 2 secondi. La quantità d’aria da insufflare dipenderà dalla corporatura della vittima, essendo necessari circa 10 ml di aria per ogni Kg di peso corporeo. Per esempio, se una vittima pesa all’incirca 70 Kg, bisognerà insufflare circa 700 ml di aria. DUE INSUFFLAZIONI DI ARIA
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TECNICA della RESPIRAZIONE BOCCA-BOCCA
chiudi le narici con due dita con paziente a capo iperesteso, fai aderire le labbra alle labbra della vittima insuffla lentamente osserva, durante la manovra, l’escursione del torace utilizza barriere protettive per evitare il contatto con le labbra del paziente Respirazione artificiale – tecnica bocca-bocca La tecnica che solitamente si utilizza è la tecnica bocca-bocca; essa si realizza insufflando aria per circa 2 secondi attraverso la bocca della vittima, dopo averne chiuso le narici pinzate tra pollice ed indice. Perché l’insufflazione sia efficace occorrerà far aderire le labbra alla bocca della vittima. Bisognerà poi osservare, durante la manovra, l’escursione del torace. Per motivi di sicurezza è opportuno utilizzare sempre barriere protettive per evitare il contatto con le labbra della vittima. Sono in commercio speciali tovaglioli opportunamente perforati all’altezza della bocca che dovrebbero far parte della cassetta di pronto soccorso e dei pacchetti di medicazione; comunque, le garze già presenti nei presidi di pronto soccorso possono essere usate per la respirazione bocca-bocca efficacemente.
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TECNICA della RESPIRAZIONE BOCCA-NASO
insuffla lentamente attraverso le narici della vittima osserva, durante la manovra, l’escursione del torace Respirazione artificiale – tecnica bocca-naso La tecnica bocca-naso si utilizza soltanto quando non è possibile aprire la bocca (come ad esempio succede nei casi di folgorazione, situazioni nelle quali la contrazione dei muscoli riguarda anche i muscoli della masticazione).
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TECNICA della RESPIRAZIONE BOCCA-MASCHERA
fai aderire la pocket mask al volto della vittima, pigiandola con la mano posta a “c” sulla maschera stessa, ed insufflando l’aria attraverso l’apposito raccordo Respirazione artificiale – tecnica bocca-maschera La tecnica bocca - maschera è la più efficace e la più sicura. Essa consiste nel far aderire la apposita pocket mask al volto della vittima, pigiandola con la mano posta a “c” sulla maschera stessa, ed insufflando l’aria attraverso l’apposito raccordo. Si tratta, di fatto, di una respirazione bocca-naso-bocca perché permette di insufflare l’aria sia attraverso il naso sia attraverso la bocca della vittima. Se si è soli a fare le manovre di RCP per impiegare la pocket mask si resta nella stessa posizione in cui si e fatta la manovra GAS (di fianco alla vittima). Se si è in due, chi insuffla si pone alla testa della vittima e compie tutte le manovre da questa posizione.
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Valuta la funzione cardiovascolare
Palpa il polso carotideo per 10 secondi C - La valutazione della funzione cardiovascolare Sono definiti “polsi” quei punti presenti sul nostro corpo nei quali le arterie (che portano il sangue dal cuore a tutte le parti del corpo) sono più superficiali e quindi rilevabili ponendoci sopra i polpastrelli delle dita ed esercitando una leggera pressione. Tecnica di rilevazione del polso carotideo. Partendo dalla parte centrale del mento, medio ed indice scendono lungo la zona centrale del collo, fino a palpare il pomo d'Adamo, una struttura cartilaginea, di consistenza dura prominente nell’uomo (denominata in medicina cartilagine tiroidea). Da questo punto ci si sposta di circa 2 centimetri verso il proprio lato fino a sentire il margine teso dei muscoli del collo; qui si appoggiano i polpastrelli delle dita lunghe che esercitano una leggera pressione, perpendicolarmente alla colonna vertebrale. Tale manovra dura 10 secondi. La presenza del polso in questo preciso lasso di tempo indica la presenza dell’attività cardiaca, cioè il fatto che il cuore funziona. Per semplicità è opportuno che il primo soccorritore conti a voce alta da uno a dieci.
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SE il POLSO è PRESENTE (con respiro assente)
esegui una insufflazione di aria ogni 5-6 secondi, per circa un minuto Manovre da compiere in caso di presenza del polso (con respiro assente) Se il polso carotideo è presente ma il soggetto non respira (in questi casi il paziente conserva per alcuni minuti una attività cardiaca autonoma, pur essendo in arresto respiratorio), bisognerà insufflare aria con una insufflazione ogni 5-6 secondi per un minuto circa al termine del quale occorrerà rivalutare la vittima come verrà successivamente illustrato (l’evenienza, pur essendo rara, è comunque possibile in alcuni stati patologici come l’arresto respiratorio secondario all’overdose da eroina). Per cadenzare le insufflazioni agli stessi ritmi si conta per 6 secondi tra una insufflazione e l’altra e si ventila 10 volte; al termine di 10 insufflazioni, essendo trascorsi circa 60 secondi, si avvia la valutazione.
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SE il POLSO è ASSENTE (con respiro assente)
30 compressioni cardiache esterne (30 compressioni x 4 cicli in un minuto per fornire circa 100 compressioni al minuto) Manovre da compiere in caso di assenza del polso (ed assenza di respiro) Se il polso è assente significa che il cuore non funziona. Di conseguenza il primo soccorritore dovrà sostituirsi alla funzione cardiovascolare effettuando 15 compressioni cardiache esterne. Le compressioni dovranno essere effettuate per 4 volte in un minuto per ottenere circa 100 compressioni al minuto. Seguono alle 15 compressioni due ventilazioni, come si è fatto nella fase B (con la tecnica bocca-bocca, bocca-naso o bocca-maschera). Quindici compressioni più due insufflazioni compongono un ciclo completo di RCP. Per contrastare adeguatamente l’anossia cerebrale si è visto che occorrono 100 compressioni al minuto e bastano 12 insufflazioni di supporto. Compressioni ed insufflazioni si alternano per 4-5 cicli prima di avviare una nuova valutazione.
201
PERCHE’ COMPRIMERE La cassa toracica
induce uno svuotamento del cuore quando viene compressa dalle mani contro la struttura rigida della colonna vertebrale un successivo riempimento del cuore quando per elasticità si riespande risucchiando sangue al cuore dalla periferia Le compressioni cardiache esterne Le compressioni cardiache esterne utilizzano la posizione del cuore che è un organo muscolare cavo incastonato tra una struttura rigida posta in basso (colonna vertebrale) e una struttura elastica posta in alto (parete costale); esercitando ritmicamente delle compressioni sullo sterno si otterrà un andamento di decremento alternato ad un aumento del volume delle cavità del cuore (per l’aumento e la diminuzione della pressione) e conseguente azione premente e retraente del torace.
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DOVE COMPRIMERE Dove comprimere
Per effettuare delle efficaci compressioni cardiache esterne senza rompere le costole occorrerà trovare il punto esatto a livello del quale comprimere; il punto dovrà intercettare anche la posizione del cuore per dare più efficacia alle compressioni. Tecnica di rilevamento del punto di compressione. Con le prime due dita della mano si risale lungo l’emiarcata costale della vittima posta dallo stesso lato del soccorritore sino a fermarsi quando le due emiarcate costali si uniscono (ciò avviene a livello dell’apofisi ensiforme dello sterno). In questo punto il primo soccorritore poggerà le due dita; l’altra mano scivolerà lungo lo sterno fino a che il pollice incontrerà le due dita. Quello così identificato è il punto di compressione.
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COME COMPRIMERE soccorritore in ginocchio a lato della vittima posta su una superficie rigida, possibilmente a terra poggiare la mano sul punto di compressione (centro dello sterno) porre l’altra mano sul dorso della prima mantenere le braccia tese iniziare a comprimere ritmicamente le compressioni devono consentire una escursione dello sterno di almeno 3 cm ed un rilascio immediato dello sterno Come comprimere Tecnica delle compressioni cardiache esterne. Il soccorritore si pone in ginocchio a lato della vittima (la quale, a sua volta, va sempre posta su una superficie rigida come ad esempio il pavimento). Dopo avere individuato il punto di compressione, poggiarvi la mano (tenendo le dita sollevate) e porre l’altra mano sul dorso della prima. Mantenere le braccia estese e non piegarle mai durante le compressioni: ridurrebbero drammaticamente l’efficacia della manovra, limitando sensibilmente l’escursione dello sterno. Iniziare a comprimere ritmicamente, utilizzando il peso del tronco che, come un grosso mantice va su e giù in un sol blocco flettendosi all’altezza dei lombi. Le compressioni (15 in totale) devono consentire una escursione dello sterno di almeno 3 cm ed un rilascio immediato della parete toracica. Per semplicità è opportuno che il primo soccorritore conti a voce alta da uno a quindici.
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RCP primo minuto Proseguire per un minuto con 30 compressioni e 2 insufflazioni (circa 4 cicli) Rianimazione cardio polmonare – primo minuto Si proseguirà dunque per un minuto (che equivale a circa 4 cicli) con 15 compressioni cardiache esterne e 2 insufflazioni di aria. Tale ritmo verrà mantenuto nel caso di RCP eseguita da un solo soccorritore (nel caso di assistenza prestata da due soccorritori la procedura cambia).
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Controllo della ripresa di attività cardiaca e respiratoria autonoma
Dopo un minuto (circa 4 cicli) ricontrollare i parametri vitali seguendo lo schema inverso rispetto all’A-B-C (C - B - A) Controllo dei parametri vitali dopo un minuto di RCP Dopo un minuto (circa 4-5 cicli) bisognerà ricontrollare i parametri vitali seguendo lo schema dell’A-B-C partendo dall’ultima tappa e proseguendo all’inverso (C - B - A). Si palpa prima il polso carotideo, in assenza del quale si effettueranno di nuovo (per circa 10 minuti) 15 compressioni e due insufflazioni. Se il polso è presente si valuterà la respirazione; se questa è assente (con polso presente) si effettuerà una respirazione ogni 5-6 secondi. Se la respirazione è presente si valuterà lo stato di coscienza. Se la coscienza è assente il paziente verrà posto in posizione laterale di sicurezza. Se la coscienza è presente, il paziente, in posizione supina verrà tenuto sotto controllo e periodicamente valutato sino all’arrivo dei soccorsi. C B A
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Controllo della ripresa di attività cardiaca e respiratoria autonoma
SE LA VITTIMA NON HA IL POLSO: CONTINUARE LE MANOVRE RIANIMATORIE SE LA VITTIMA HA IL POLSO MA NON RESPIRA: CONTINUARE A VENTILARE (UNA INSUFFLAZIONE OGNI 5-6 SECONDI) SE LA VITTIMA RESPIRA MA NON E’ COSCIENTE: POSIZIONE LATERALE DI SICUREZZA Controllo dei parametri vitali dopo un minuto di RCP Durante il controllo circa la eventuale ripresa di attività cardiaca e respiratoria autonoma potrebbero verificarsi le seguenti evenienze: 1) la vittima non ha il polso: in questo caso, continuare le manovre rianimatorie per 10 minuti 2) la vittima ha il polso ma non respira: in questo caso, continuare a ventilare (una insufflazione ogni 5-6 secondi) per 10 minuti 3) la vittima respira ma non è cosciente: in questo caso, porre la vittima in posizione laterale di sicurezza(*). (*) ATTENZIONE: la posizione laterale di sicurezza è controindicata se abbiamo il sospetto di lesioni della colonna vertebrale.
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Continua le insufflazioni
Verifica la coscienza Scuoti e chiama il paziente CHIAMA I SOCCORSI Iperestendi la testa e solleva il mento Apri le vie aeree Verifica il respiro Guarda, ascolta, senti Se respira, pos. laterale di sic. Algoritmo della RCP Lo schema sopra riportato riassume le manovre dell’RCP ed è l’algoritmo (leggermente modificato) proposto dal Basic Life Support Working Group dello European Resuscitation Council e riportato nelle seguenti pubblicazioni: 1) Basic Life Support Working Group of the European Resuscitation Council: The 1998 European Resuscitation Council guidelines for adult single rescuer basic life support. BMJ, 1998; 316: 2) Handley AJ, Monsieurs KG, Bossaert LL: European Resuscitation Council guidelines 2000 for adult basic life support. Resuscitation, 2001; 48: Respirazione 2 insufflazioni Verifica il circolo Segni di circolo CIRCOLO PRESENTE Continua le insufflazioni CIRCOLO ASSENTE Compressioni Verifica il circolo ogni minuto 100 compr. / min (rapp. 15: 2)
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Quando interrompere un protocollo di RCP
Quando interviene chi può fare più di noi (118, medico, ecc.) Quando i soccorritori sono sfiniti Quando è stata ripristinata una attività respiratoria e cardiaca autonoma Indicazioni per l’interruzione di un protocollo di RCP Si deve interrompere un protocollo di RCP: - quando interviene chi può fare più di noi (118, medico, ecc.); - quando i soccorritori sono fisicamente sfiniti; - quando è stata ripristinata una attività respiratoria e cardiaca autonoma. Il soccorritore laico non deve avviare le manovre di RCP solo se si trova in presenza di ferite palesemente mortali (esempio: decapitazione, trauma cranico con versamento di materia cerebrale). Altre situazioni (rigor mortis, macchie ipostatiche, funzioni vitali bloccate da più di 30 minuti) possono essere correttamente valutate soltanto dal personale sanitario. Quando NON procedere alle manovre di RCP presenza di ferite palesemente mortali
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La RCP e la catena della sopravvivenza
ACCERTAMENTO DELLO STATO DI INCOSCIENZA ED IMMEDIATA RICHIESTA DI AIUTO RAPIDA RCP PER SOSTENERE LE FUNZIONI VITALI CURE MEDICHE IMMEDIATE E DEFIBRILLAZIONE RAPIDA (SUPPORTO AVANZATO) TRASPORTO NELL’OSPEDALE ADATTO La rianimazione cardio-polmonare e la catena della sopravvivenza La rianimazione cardio-polmonare fa parte della catena della sopravvivenza. Le probabilità di sopravvivenza di un paziente “critico” sono legate al corretto funzionamento di tutti gli anelli della catena della sopravvivenza. I primi due comprendono le attività del primo soccorritore che dovrà essere in grado di accertare lo stato di non coscienza e chiamare immediatamente i soccorsi e di valutare e, se è il caso sostenere le funzioni vitali. L’equipaggio di soccorso provvederà poi a “stabilizzare” il paziente critico con cure mediche ed eventuale defibrillazione e a trasportarlo nell’ospedale più adatto.
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La RCP e i protocolli d’intervento
L’emergenza sanitaria deve essere affrontata con tempestività e sangue freddo I protocolli aiutano ad eseguire le manovre più giuste nel più breve tempo Il protocollo presentato è quello ricavato dal Gruppo di Lavoro sul BLS dell’European Resuscitation Council, aggiornato al 2002 I protocolli di rianimazione cardio-polmonare Poiché l’emergenza sanitaria deve essere affrontata con tempestività e sangue freddo, i protocolli di intervento aiutano ad eseguire le manovre più giuste nel più breve tempo. Il protocollo presentato è quello desunto dal Gruppo di Lavoro sul BLS dell’European Resuscitation Council, aggiornato al 2002.
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OSTRUZIONE DELLE VIE AEREE PER INGESTIONE ACCIDENTALE DI CORPO ESTRANEO
Ostruzione per ingestione accidentale di corpo estraneo Tratteremo ora dell’ostruzione delle vie aeree per ingestione accidentale di corpo estraneo nel soggetto cosciente e nel soggetto non cosciente.
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In questo caso, chiama i soccorsi ed incoraggia la vittima a tossire
OSTRUZIONE PER INGESTIONE ACCIDENTALE DI CORPO ESTRANEO IN SOGGETTO COSCIENTE Il paziente con ostruzione non completa delle vie aeree da corpo estraneo: a) è in grado di respirare b) tossisce tentando di espellere il corpo estraneo Ostruzione per ingestione accidentale di corpo estraneo – soggetto cosciente I corpi estranei presenti nella bocca del paziente potrebbero determinare l’ostruzione delle vie aeree, penetrando in profondità. E’ il caso, per esempio, dell’inalazione di piccoli corpi estranei (monete, bottoni, ecc) da parte dei bambini o di ostruzione determinata, negli adulti, dal cibo. In caso di ostruzione non completa delle vie aeree il paziente respira e tossisce, tentando di espellere il corpo estraneo. In questo caso bisognerà chiamare immediatamente i soccorsi prima che l’ostruzione diventi totale ed incoraggiare la vittima a tossire. Non bisognerà effettuare alcuna manovra. L’ingestione di corpi estranei è più frequente nei bambini che negli adulti e i sintomi sono: tosse, stridore, rantolo, dolore retrosternale e senso di soffocamento. In questo caso, chiama i soccorsi ed incoraggia la vittima a tossire
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Il paziente con ostruzione completa delle vie aeree da corpo estraneo:
OSTRUZIONE PER INGESTIONE ACCIDENTALE DI CORPO ESTRANEO IN SOGGETTO COSCIENTE Il paziente con ostruzione completa delle vie aeree da corpo estraneo: a) non è in grado di respirare (oppure, effettua atti respiratori inefficaci e rumorosi) b) non è in grado di parlare c) non è in grado di tossire d) perde rapidamente conoscenza (segue) Ostruzione per ingestione accidentale di corpo estraneo – soggetto cosciente In caso di ostruzione completa delle vie aeree il paziente non respira, non parla, non tossisce e, a causa dell’anossia acuta, perde conoscenza molto rapidamente. Generalmente, l’ostruzione si verifica in modo acuto e drammatico: il paziente, in completo benessere, si porta le mani alla gola, si alza in piedi e corre alla ricerca della salvezza, generalmente verso una finestra o una porta.
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OSTRUZIONE PER INGESTIONE ACCIDENTALE DI CORPO ESTRANEO IN SOGGETTO COSCIENTE
In caso di ostruzione completa, se il soggetto è ancora cosciente, dopo aver chiamato i soccorsi: rimuovi dalla bocca eventuali corpi estranei visibili mettiti al suo fianco e aiuta la vittima a spostarsi in avanti colpisci la vittima con il palmo della mano ripetutamente (fino a 5 colpi) tra le scapole pratica fino a 5 brusche compressioni addominali (manovra di Heimlich), alternando 5 colpi dorsali, fino all’espulsione del corpo estraneo o alla perdita di coscienza della vittima Trattamento del soggetto COSCIENTE con ostruzione per ingestione accidentale di corpo estraneo In caso di ostruzione completa, se il paziente è ancora cosciente, dopo avere chiamato i soccorsi, bisognerà effettuare manovre che facilitano l’espulsione del corpo estraneo. rimuovi dalla bocca eventuali corpi estranei visibili (dentiera, monete, cibo, etc.); mettiti al fianco della vittima ed aiutala a piegarsi in avanti; colpisci la vittima con il palmo della mano ripetutamente (fino a 5 colpi) tra le scapole, mentre con l’altra mano gli sostieni il torace; stando alle spalle della vittima, pratica fino a 5 brusche compressioni addominali (manovra di Heimlich), alternando 5 colpi dorsali, fino all’espulsione del corpo estraneo o alla perdita di coscienza della vittima. Tecnica di esecuzione della manovra di Heimlich. Il soccorritore postosi alle spalle della vittima mette un pugno chiuso tra l’ombelico e l’estremità inferiore dello sterno, lo copre con l’altra mano e con questa presa esegue delle brusche spinte verso l’interno e verso l’alto. La manovra di Heimlich è una manovra molto pericolosa per il rischio di lesioni agli organi ipocondriaci (fegato e milza) e toracici per la rottura di costole; è quindi d’impiego solo se il soggetto non è più in grado di respirare. Questa manovra è assolutamente controindicata nei bambini e nelle donne in gravidanza.
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OSTRUZIONE PER INGESTIONE ACCIDENTALE DI CORPO ESTRANEO IN SOGGETTO INCOSCIENTE
In caso di ostruzione completa, se il soggetto ha perso coscienza, dopo aver chiamato i soccorsi: comportarsi come nelle fasi A e B della rianimazione cardiopolmonare; per cui: iperestendi il capo e controlla il cavo orale e rimuovi eventuali corpi estranei visibili cerca il respiro con la manovra GAS se assente, pratica due ventilazioni e, se il torace non si muove (ventilazione inefficace), ripeti il tentativo per altre 5 volte Ostruzione per ingestione accidentale di corpo estraneo – soggetto non cosciente In caso di ostruzione completa, se il soggetto ha perso coscienza, dopo aver chiamato i soccorsi: comportarsi come nelle fasi A e B della rianimazione cardiopolmonare; per cui: iperestendi il capo e controlla il cavo orale e rimuovi eventuali corpi estranei visibili cerca il respiro con la manovra GAS se assente, pratica due ventilazioni e, se il torace non si muove (ventilazione inefficace), ripeti il tentativo per altre 5 volte.
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OSTRUZIONE PER INGESTIONE ACCIDENTALE DI CORPO ESTRANEO IN SOGGETTO INCOSCIENTE (segue)
eseguite due ventilazioni efficaci, passa alla fase C cercando i segni della presenza o meno della circolazione, e regolati di conseguenza se non riesci ad ottenere almeno due ventilazioni efficaci in 5 tentativi inizia le compressioni toraciche senza controllare il polso carotideo dopo 15 compressioni, controlla nel cavo orale l’eventuale espulsione del corpo estraneo (e se c’è, rimuovilo) ritenta due ventilazioni efficaci (segue) Ostruzione per ingestione accidentale di corpo estraneo – soggetto non cosciente eseguite due ventilazioni efficaci, passa alla fase C cercando i segni della presenza o meno della circolazione, e regolati di conseguenza. Se non riesci ad ottenere almeno due ventilazioni efficaci in 5 tentativi: inizia le compressioni toraciche senza controllare il polso carotideo dopo 15 compressioni, controlla nel cavo orale l’eventuale espulsione del corpo estraneo (e se c’è, rimuovilo) ritenta due ventilazioni efficaci.
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OSTRUZIONE PER INGESTIONE ACCIDENTALE DI CORPO ESTRANEO IN SOGGETTO INCOSCIENTE (segue)
non appena si riesce a ottenere due ventilazioni efficaci, passare alla fase C dell’RCP e comportarsi di conseguenza (segue) Ostruzione per ingestione accidentale di corpo estraneo – soggetto non cosciente Non appena si riesce a ottenere due ventilazioni efficaci, passare alla fase C dell’RCP e comportarsi di conseguenza.
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MANOVRA DI HEIMLICH Soggetto cosciente - Tecnica
Abbracciare la vittima stando di spalle Mettere il pollice nell’angolo formato dalle costole sotto lo sterno e l’indice sull’ombelico Mettere il pugno dell’altra mano al centro della “C” coprire il pugno con la prima mano ed effettuare 4-5 compressioni energiche spostando le mani verso la schiena in alto e verso i polmoni Manovra di Heimlich - tecnica Il soccorritore dovrà abbracciare la vittima stando di spalle, quindi mette il pollice nell’angolo formato dalle costole sotto lo sterno e l’indice sull’ombelico. Porre il pugno dell’altra mano al centro della “C” e copre il pugno con la prima mano ed effettuare 4-5 compressioni energiche spostando le mani verso la schiena in alto e verso i polmoni.
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MANOVRA DI HEIMLICH Soggetto cosciente - Tecnica
Manovra di Heimlich – tecnica Nell’immagine è illustrata la tecnica della Manovra di Heimlich in un soggetto ancora cosciente. Si noti la posizione del soccorritore rispetto la vittima e la posizione delle mani del soccorritore.
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MANOVRA DI HEIMLICH: CONTROINDICAZIONI
NEONATI: in questo caso, alternare le compressioni toraciche a colpi sulla schiena DONNE IN GRAVIDANZA: in questi casi, eseguire le compressioni toraciche Manovra di Heimlich - controindicazioni La manovra di Heimlich è controindicata nei neonati e nelle donne in gravidanza. Nei primi infatti gli organi ipocondriaci (il fegato e, in particolare la milza) sono molto fragili e possono risentire (rompendosi) di aumenti della pressione anche modesti all’interno della cavità addominale. Nelle donne in gravidanza queste compressioni potrebbero danneggiare il prodotto del concepimento. Nei neonati le compressioni toraciche vengono quindi alternate a colpi sulla schiena. Nelle donne in gravidanza le compressioni addominali vengono sostituite con le compressioni toraciche.
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EMORRAGIE Le emorragie
Come abbiamo visto nella sezione dedicata alla anatomia del sistema cardiovascolare, nel nostro organismo il sangue circola all’interno di un sistema idraulico a circuito chiuso. Per questa ragione, quando in questo circuito i vasi, per qualche lesione della loro parete, presentano una falla, si verifica una perdita di sangue dal loro lume, altrimenti denominata emorragia (dal greco “emo” = sangue e “reo” = scorrere).
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Classificazione Sede di Provenienza Affluenza emorragie arteriose
emorragie venose emorragie capillari Emorragie esterne E. interne E. esteriorizzare Provenienza Affluenza Classificazione delle emorragie Le emorragie sono suddivise in diversi modi, a secondo se nella classificazione si sceglie la sede di localizzazione del versamento ematico (esterne, interne, esteriorizzate) o il tipo di vaso da cui il versamento proviene (arterioso, venoso, capillare). Entrambe le classificazioni hanno un’importanza sulla possibilità di prevedere l’esito del danno emorragico sui parametri vitali del paziente o sulle capacità di recupero a distanza (prognosi “quoad vitam” o “quoad valetudinem”).
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A. EMORRAGIE ESTERNE Si intende per emorragia esterna la perdita di sangue all’esterno dell’organismo. Emorragie esterne Nell’emorragia esterna il sangue defluisce all'esterno del corpo. Un’emorragia esterna può comportare un’ingente perdita di sangue, d’arrestare rapidamente con le manovre di emostasi (manovre salvavita). In questi casi una risposta inadeguata pone l’infortunato in pericolo di vita.
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B. EMORRAGIE INTERNE Sono versamenti di sangue confinati all’interno del corpo. nello spessore di un tessuto o tra strati di diversi tessuti forma un ematoma in cavità naturale forma una sacca ematica Il sangue se si versa Emorragie interne Le emorragie interne sono versamenti ematici che restano racchiusi nel corpo e non affiorano; per questo, specie se sono imponenti e profonde, sono particolarmente insidiose. Semplici emorragie interne sono gli ematomi; genericamente denominate lividi - per il colore nero-verdastro che fanno assumere nella sede della lesione alla pelle - o più correttamente ecchimosi, sono esperienza comune di tutti. Si formano per infiltrazione di sangue nel tessuto sottocutaneo a seguito di un trauma o di una malattia. Traumi (al capo, all’addome), malattie generali (es. un’ulcera perforata) o del sangue possono produrre uno stravaso ematico in una cavità chiusa del corpo (cranio, peritoneo) senza che si possano vedere, come per gli ematomi, segni diretti del versamento. In questi casi bisogna cercare segni indiretti di perdita di sangue, che inizialmente sono molto vaghi (pallore, debolezza, affanno, irrequietezza o ansietà, sete, freddo), e facilmente confondibili con quelli di generico spavento. Successivamente, quando si manifestano i segni tardivi - perdita di coscienza, polso rapido e debole, abbassamento della pressione arteriosa - e s’avvia lo shock, la gestione del soggetto assume i caratteri dell’urgenza o dell’emergenza; di conseguenza occorre attivare da parte del primo soccorritore le stesse procedure adottate per lo shock (ved. la trattazione sull’argomento).
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C. EMORRAGIE ESTERIORIZZATE
Sono emorragie che avvengono all’interno di cavità collegate con l’esterno (tubo digerente, vie respiratorie, vie urinarie, orecchio, naso) Emorragie esteriorizzate Nelle emorragie esteriorizzate l’evento ha preso origine all’interno del corpo, in una cavità o condotto (naso, orecchio, bocca, bronchi, stomaco, intestino, vescica, retto, etc.), in comunicazione con l’esterno attraverso una via, che il sangue percorre per emergere.
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EMORRAGIE ARTERIOSE Indotte dalla fuoriuscita di sangue dalle arterie
Il sangue zampilla fuoriesce a fiotti intermittenti in maniera sincrona con i battiti del cuore sprizza lontano della lesione i bordi della ferita sono puliti il sanguinamento è imponente e produce un rapido dissanguamento Emorragie arteriose Le emorragie arteriose sono senza dubbio le più gravi; esse infatti interessano le arterie, vasi sanguigni che trasportano il sangue dal cuore a tutte le parti del corpo. Nelle emorragie arteriose il sangue fuoriesce abbondante, in maniera sincrona con i battiti del cuore - il sangue “zampilla” - e, generalmente, i bordi della ferita sono puliti in quanto il sangue corre via dalla ferita rapidamente. Per la spinta offerta dalla pompa cardiaca, questa tipo d’emorragia non s’arresta spontaneamente; infatti l’emostasi naturale non ha il tempo di organizzarsi, l’ondata montante del torrente arterioso spazza via ogni coagulo. In poco tempo, così, si dissipano imponenti quantitativi di sangue.
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EMORRAGIE VENOSE Causate dalla fuoriuscita di sangue dalle vene
Il sangue scorre sgorga lentamente con flusso costante i bordi della ferita sono sporchi Emorragie venose Si definiscono emorragie venose quelle emorragie caratterizzate dalla fuoriuscita di sangue dalle vene. Nell’emorragia venosa il sangue scorre, sgorga lentamente con un flusso costante e i bordi della ferita sono sporchi da sangue che ristagna sulla ferita. Generalmente queste emorragie non sono gravi, perché l’organismo mette in atto dei meccanismi emostatici fisiologici; acquistano maggiore gravità (paragonabile a quelle delle emorragie arteriose) solo quando si verifica una importante lesione a carico di un ramo venoso di grandi dimensioni.
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EMORRAGIE CAPILLARI Fuoriuscita di sangue dai capillari
Il sangue fuoriesce in piccole quantità, lentamente Non sono mai gravi Emorragie capillari Nelle emorragie capillari, il sangue fuoriesce dai vasi capillari in piccole quantità, lentamente. Queste emorragie non sono mai gravi in quanto i fisiologici meccanismi emostatici sono solitamente in grado d’arrestarle spontaneamente.
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EMORRAGIE ESTERNE Come intervenire
1 2 Pressione diretta sul punto di lesione Sollevamento (di un arto) Intervento nelle emorragie esterne Nelle emorragie esterne è opportuno agire utilizzando una sequenza d’interventi via via più aggressivi, che bloccano la fuoriuscita di sangue dal circuito vascolare. Si comincia con la : pressione diretta con mano guantata sul punto di emorragia, dopo avere interposto tra il punto di emorragia e la mano del soccorritore un tampone costituito da garze sterili. Se la pressione diretta è inefficace si passa alla manovra del sollevamento dell’arto, che ostacola la fuoriuscita di sangue grazie alla forza di gravità. Se anche quest’ultima manovra dovesse dimostrarsi inefficace si utilizzano i punti di compressione posti a monte dell’arteria lesionata; il laccio emostatico a monte della lesione come ultima ratio. L’impiego del laccio emostatico ha, infatti, delle precise regole che ne limitano chiaramente l’uso. 4 3 applicazione del laccio emostatico Compressione dell’arteria a monte
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Pressione diretta 1 Compressione bimanuale
sdraiare il ferito innanzitutto infilare i guanti di gomma da chirurgo tamponare l’emorragia con un pacchetto di garza sterile si comprime energicamente sul punto di sanguinamento per favorire l’emostasi fasciare la ferita con un bendaggio compressivo Pressione diretta La prima manovra da compiere nel caso di emorragia esterna è far sdraiare il ferito, se questo non lo ha già fatto spontaneamente. La manovra previene lo shock. Poi, in rapida successione, vanno praticate delle manovre che favoriscano l’emostasi. La pressione diretta sul punto di emorragia (tamponamento) è la prima manovra indispensabile a questo scopo; si realizza premendo con la propria mano con forza direttamente sulla ferita fino ad arrestare l’emorragia. Non appena è possibile, tra la ferita e la mano del soccorritore va posto un tampone formato con uno o più pacchetti di garza sterile. Dopo un po’, allentata la presa sulla ferita, si deve bloccare il tampone in sede effettuando una fasciatura leggermente compressiva, arrotolando in giri successivi sul tampone una benda larga (in alternativa la benda è rimpiazzabile da una cravatta, una sciarpa). Nelle ferite degli arti è opportuno lasciare le dita (delle mani o dei piedi) scoperte, per controllare se la fasciatura è eccessivamente stretta. Per permettere una buona emostasi, il tampone di garza va rimosso solo dopo qualche giorno; togliendolo prima si rischia, infatti, di riavviare l’emorragia. In ogni modo s’intervenga su un ferita sanguinante, non si deve mai tralasciare le misure di autoprotezione! La migliore protezione dal contagio col sangue del ferito è l’impiego di guanti di lattice o di altro analogo materiale, da tenere sempre nei presidi di pronto soccorso. Compressione bimanuale
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Sollevamento (di un arto)
2 Sollevamento (di un arto) Se il tamponare l’emorragia non è stato sufficientemente efficace si aggiunge Sollevamento dell’arto La manovra di sollevamento dell’arto si affianca alla pressione diretta, se con questa manovra il sangue non si ferma. Il metodo, molto efficace di solito, è limitato alle sole emorragie degli arti. La sua efficacia è legata alla forza di gravità: quando, infatti, si solleva l’arto sanguinante sopra il cuore la forza gravitazionale rallenta il deflusso del sangue. Prima d’impiegare questa manovra va attentamente valutata la dinamica del trauma: non è praticabile al solo sospetto d’eventuali fratture o lussazioni. il sollevamento dell’arto la manovra ostacola la fuoriuscita di sangue grazie alla forza di gravità
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Compressione a distanza
3 Se il tamponamento combinato al sollevamento dell’arto non arrestano lo stillicidio, si passa alla compressione dei punti di compressione specifici a monte del punto di emorragia (compressione a distanza). Compressione a distanza Se il tamponamento dell’emorragia combinato con il sollevamento dell’arto non hanno arrestato il gocciolamento lento e continuato di sangue (stillicidio), si ricorre all’utilizzo dei punti di compressione a distanza. I punti di compressione sono particolari zone del braccio e della gamba con le seguenti caratteristiche: in essi un vaso arterioso di grandi dimensioni (arteria principale): emerge dagli strati ossei e muscolari profondi e passa poco distante dagli strati cutanei, poggia per un tratto del suo decorso su un piano osseo. La superficialità del decorso e la base rigida dell’osso sottostante sono requisiti indispensabili per una compressione manuale a distanza: permettono, infatti, di esercitare una pressione con le dita sui punti in cui i polpastrelli avvertono le pulsazioni, senza che il vaso sfugga alla presa. S’impiega questa tecnica d’emostasi soprattutto nelle emorragie più gravi, come sono le emorragie arteriose. La corretta esecuzione della manovra richiede la capacità, da parte del soccorritore, di riconoscere e di localizzare in breve tempo i punti di compressione. Nel caso in cui il soccorritore non fosse addestrato a compiere tali manovre, può tamponare la perdita ematica con una nuova più spessa fasciatura e con un bendaggio compressivo.
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Punti di compressione emorragie della spalla
emorragie dal braccio, dall’avambraccio e dalla mano arteria brachiale emorragie dalla parte alta del braccio arteria ascellare emorragie della spalla arteria succlavia Principali punti di compressione (arteria succlavia, ascellare e brachiale) Sono riportati i principali punti di compressione e l’indicazione per il loro utilizzo (arteria succlavia, ascellare e brachiale, utilizzate rispettivamente per tamponare emorragie provenienti dalla spalla, dalla parte alta del braccio, dal braccio, dall’avambraccio e dalla mano).
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Punti di compressione emorragie dalla coscia emorragie dalla gamba
emorragie dal cuoio capelluto arteria temporale emorragie dalla gamba arteria poplitea emorragie dalla coscia arteria femorale Principali punti di compressione (arteria femorale, poplitea e temporale) Sono riportati altri importanti punti di compressione (arteria femorale, poplitea e temporale utilizzate rispettivamente per tamponare emorragie provenienti dalla coscia, dalla gamba e dal cuoio capelluto).
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Utilizzo del laccio emostatico
4 Utilizzo del laccio emostatico Va posizionato solo nei casi di effettiva necessità a monte del punto di emorragia (in un punto compreso tra la ferita ed il cuore) può essere utilizzato solo per emorragie degli arti Utilizzo del laccio emostatico Il laccio emostatico va utilizzato limitatamente agli arti superiori od inferiori solo nei casi di effettiva necessità, cioè in caso di emorragia arteriosa da un grosso tronco vasale e quando tutte le altre tecniche di emostasi (compressione diretta, sollevamento, compressione a distanza) si siano dimostrate inefficaci, tenendo presente che meno lo si tiene in loco, meglio è. Ciò perché la prolungata ischemia porta a sofferenza e morte dei tessuti a valle del punto di applicazione del laccio. Il laccio per essere efficace richiede un posizionamento analogo a quello dei punti di compressione a distanza; pertanto si applica: solo sul braccio o sulla coscia, non su avambraccio, gamba, articolazioni Infatti i vasi sotto il gomito ed il ginocchio decorrono in profondità coperti dai muscoli e nelle articolazioni coperti dalle ossa.
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Il laccio emostatico ideale
larghezza di almeno cm materiale morbido struttura piatta, tale da non danneggiare i tessuti Il laccio emostatico ideale Il laccio emostatico utilizzato per arrestare le emorragie è assolutamente diverso dal nastro tubolare elastico usato per effettuare i prelievi di sangue o per praticare le iniezioni endovenose. Esso deve avere una larghezza di almeno 5 cm, essere costituito da materiale morbido, a struttura piatta, tale da non danneggiare i tessuti.
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Un laccio emostatico di fortuna
bracciale dello sfigmomanometro a 150 mmHg di pressione qualsiasi nastro largo e piatto (cravatta, calza) Laccio emostatico di fortuna Un utile “surrogato” del laccio emostatico è il bracciale dello sfigmomanometro, applicato tra il punto di emorragia ed il cuore (cioè a monte del punto di emorragia), e gonfiato lentamente sino a raggiungere una pressione idonea a far cessare il sanguinamento (generalmente mmHg). In mancanza del laccio emostatico un laccio emostatico di fortuna può diventare qualsiasi nastro largo e piatto (cravatta, calza,…). Non vanno mai utilizzati elementi che possono danneggiare i tessuti penetrando in essi, quali: fil di ferro spago o cordoni calze di nylon e collant elastici.
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Indicazioni all’uso del laccio
ATTENZIONE!: l’uso del laccio, molto rischioso per l’arresto d’irrorazione nei tessuti a valle, è da impiegare solo in casi estremi; in particolare con un’emorragia irrefrenabile di vaso arterioso principale frattura esposta amputazione Indicazione all’uso del laccio L’indicazione all’uso del laccio è rarissima. Si suggerisce il suo impiego solo quando, di fronte ad un’estesa emorragia esterna (per lesione di un vaso arterioso principale, amputazione) con le manovre meno invasive – compressione manuale sulla ferita, tamponamento e bendaggio compressivo, sollevamento dell’arto, compressione nei punti di compressione a distanza – non si arresta l’emorragia o se questa appare subito irrefrenabile: si passa al posizionamento del laccio come estrema ratio! In caso di emorragia in frattura esposta la compressione manuale sulla ferita potrebbe complicarne ulteriormente il decorso; si cerca in questi casi di controllare la fuoriuscita di sangue con una compressione manuale sui punti di compressione a distanza. Se così non arresta l’emorragia, si passa al laccio.
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Procedura d’impiego del laccio
Porre il laccio a monte del punto di emorragia Scrivere l’ora di applicazione del laccio su un’area di pelle del paziente immediatamente e completamente visibile Non rimuovere mai il laccio, ma attendere l’arrivo del personale d’emergenza Procedura d’impiego del laccio In caso di suo utilizzo, bisognerà scrivere l’ora di applicazione del laccio per comunicarlo al personale d’ambulanza. Generalmente si scrive questo sulla fronte del paziente assieme alla lettera “L”. Questa procedura plateale d’esposizione del laccio è essenziale per dare la possibilità ai soccorritori professionisti di riconoscere con sicurezza e certezza e di trattare immediatamente il paziente emorragico. Una volta applicato, il laccio non deve essere rimosso: una brusca asportazione del laccio può comportare: un’embolia per la liberazione improvvisa d’eventuali coaguli la ricomparsa dell’emorragia la messa in circolo di grandi quantitativi di tossine prodotte dai tessuti danneggiati localmente accumulate. Il laccio può esser lasciato sul punto d’applicazione per non più di 20’ (la trascrizione su pelle dell’ora di applicazione del laccio permette di tenere sotto controllo facilmente questo tempo); trascorso questo periodo, se non lo si allenta, l’ischemia prolungata può produrre un danno irreversibile dei tessuti a valle del laccio. In un’area urbana tale lasso di tempo è sufficiente a permettere l’arrivo del personale sanitario. Ma in aree lontane da centri abitati potrebbe rendersi necessario allentare la presa per 1-2’ e permettere al sangue di rifluire nell’area traumatizzata.
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Attendendo i soccorsi Porre l’emorragico
isolato dal pavimento e ben coperto lasciare scoperto soltanto l’arto ove è stato applicato il laccio se possibile, in posizione antishock Il trattamento dell’emorragico in attesa dei soccorsi Il paziente emorragico dovrà essere ben coperto (ed isolato dal pavimento) per evitare che disperda calore, che facilita l’instaurarsi dello shock. E’ opportuno lasciare scoperto soltanto l’arto ove è stato applicato il laccio per controllare l’eventuale ripresa dell’emorragia e per dare modo ai soccorritori di riconoscere immediatamente che il paziente ha un laccio emostatico. Se la dinamica dell’incidente e la valutazione del paziente non fa sospettare la presenza di fratture, traumi spinali o altre complicazioni, l’emorragico dovrà essere posto in posizione antishock, in modo da dirigere il sangue ad irrorare gli organi nobili (encefalo e cuore).
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EMORRAGIE INTERNE Sono emorragie che avvengono all’interno di cavità chiuse (addome, torace, etc.) Sono difficilmente individuabili Seguono traumi cranici, addominali, toracici, ecc. Emorragie interne Avvengono all’interno di cavità (addome, torace, etc.) e sono difficilmente individuabili. Vanno sempre sospettate in caso di gravi traumi cranici, addominali, toracici, ecc. Il paziente con una emorragia interna, dopo il trauma, potrebbe essere del tutto asintomatico, oppure cominciare a manifestare i primi sfumati segni clinici dello shock.
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EMORRAGIE INTERNE Come intervenire
Con un sospetto d’emorragia interna occorre chiamare subito il 118 e - in attesa dell’arrivo dell’ambulanza - trattare lo shock emorragico distendendo il paziente in posizione antishock coprendolo con la coperta isotermica impedendogli di bere, anche se ha sete le bevande in genere, pericolose nei traumi l’alcool, che abbassa la pressione del sangue e riduce ancor più l’irrorazione del cervello Intervento nelle emorragie interne Nelle emorragie interne i segni di shock spesso denunciano il suo esordio; il trattamento, quindi, di questa patologia si sovrappone a quello dello shock ed a questo per la trattazione si rimanda. A ogni modo è importante rammentarsi di non dare da bere nulla al paziente, anche se a causa dello shock ha sete, per il rischio, in presenza di lesioni di organi interni, di complicazioni da ingestione di liquidi nei traumi, soprattutto toracici ed addominali; l’ingestione di alcool come tonico – consuetudine di generico conforto ancora troppo spesso praticata – ha un grave effetto di dilatazione dei vasi circolatori, che, abbassando la pressione sanguigna, induce un’ulteriore caduta dei livelli d’irrorazione cerebrale. Comunque l’azione prioritaria, in caso di sospetta emorragia interna, è l’intervento del sistema sanitario territoriale, che va prontamente attivato chiamando il 118.
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EMORRAGIE ESTERIORIZZATE
Emorragie a partenza da cavità (tubo digerente, vie respiratorie, vie urinarie, orecchio, naso) che si collegano con l’esterno. Emorragie esteriorizzate Sono caratterizzate da emorragie che avvengono all’interno di cavità collegate con l’esterno (tubo digerente, polmone, orecchio, naso). Sono solitamente facilmente riconoscibili poiché il sangue fuoriesce dalla cavità. Tra le emorragie esteriorizzate ricordiamo: l’otorragia (perdita di sangue dalle orecchie) l’epistassi (fuoriuscita di sangue dal naso) l’emottisi (fuoriuscita di sangue dalla bocca, proveniente dai polmoni) l’ematemesi (fuoriuscita di sangue dalla bocca, proveniente dal tubo digerente) la melena (perdita di sangue con le feci).
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Epistassi L’epistassi è la fuoriuscita di sangue dal naso;
per tamponarla il paziente viene invitato a sedersi con la testa piegata in avanti a stringere le narici tra pollice ed indice Epistassi L’epistassi è la fuoriuscita di sangue dal naso. Per tamponarla il paziente viene invitato a sedersi con la testa leggermente piegata in avanti stringendo le narici tra pollice ed indice. La usuale posizione della testa reclinata all’indietro in iperestensione è controindicata perché può comportare il rischio di soffocamento o di vomito per il riflusso di sangue in gola e quindi la sua inalazione nelle vie respiratorie la sua ingestione nell’apparato digestivo. Trascorsi alcuni minuti in posizione a testa inclinata e le narici strette fra le dita, si controlla l’efficacia del tamponamento dell’emorragia invitando il paziente a liberare le narici dalla stretta delle dita: se continua a fuoriuscire sangue si ritorna alla manovra di blocco delle narici con le dita a pinza s’accompagna il paziente in ospedale per un eventuale tamponamento nasale con garza.
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Otorragia E’ la fuoriuscita di sangue dall’orecchio. Questa emorragia non deve essere tamponata, viceversa il paziente deve essere posto in una posizione che consenta un più facile deflusso del sangue Otorragia L’orecchio di solito non perde sangue spontaneamente, quindi, quando si riscontra la fuoriuscita di sangue dall’orecchio, un’otorragia, se la perdita di sangue non dipende da una lesione locale dell’orecchio può essere un segno iniziale di trauma cranico. Per quest’ultima evenienza, a differenza di altre emorragie esteriorizzate, un’otorragia non deve essere tamponata. Al contrario, il paziente deve essere posto in una posizione che consenta un più facile deflusso del sangue. Comunque è necessario ospedalizzare il paziente per definire la causa dell’otorragia; in attesa dell’arrivo del 118 limitare al massimo i movimenti dell’infortunato.
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Ustioni e lesioni da elettricità
In questo capitolo verranno trattate le ustioni e le lesioni da elettricità.
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USTIONI Ustioni In questo sottocapitolo tratteremo delle ustioni.
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Definizione di ustione
lesione della pelle indotta da agenti di varia natura dotati di energia lesiva superiore alle capacità difensive della barriera cutanea Definizione Le ustioni sono lesioni della cute. Esse si verificano quando tale tessuto di rivestimento esterno del corpo viene investito da un agente - un’energia fisica (calore, elettricità, radiazioni) o una sostanza chimica - che determina il proprio effetto sulla superficie della pelle con un’intensità superiore a quella che il rivestimento cutaneo può assorbire.
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Caratteristiche epidemiologiche
eventi piuttosto frequenti spesso causa di morte colpiscono prevalentemente nell’età infantile e giovanile il sesso femminile Epidemiologia Recenti statistiche registrano che le ustioni si verificano nel 60-80% dei casi in ambiente domestico e colpiscono soprattutto bambini e donne. Nel nostro Paese ogni anno si verificano circa casi di ustioni; nel 10-15% dei casi si rende necessario un prolungato ricovero in ospedale.
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Cause delle ustioni Le ustioni possono esser causate da 4 diversi tipi di agenti, che sono attivati da differenti fonti e provocano distinte categorie di danno: Raggi X e gamma, energia nucleare generalmente; ma anche i raggi ultravioletti della luce solare Corrente alternata e continua, fulmini Numerosi acidi, basi ed altre sostanze caustiche Fiamme, fonti di luce intensa - compresa la luce solare -, vapori, liquidi bollenti, oggetti solidi arroventati Le differenti fonti ustione nucleare elettrico causticazione chimico termico Tipi di danno Agenti Cause delle ustioni Le ustioni possono esser causate da diversi tipi di agenti, a partenza da specifiche fonti: termico (fiamme, fonti di luce intensa - compresa la luce solare -, vapori, liquidi bollenti, oggetti solidi arroventati); chimico (numerosi acidi, basi ed altre sostanze caustiche); elettrico (corrente alternata e continua, fulmini); radioattivo (raggi X e gamma, energia nucleare; raggi ultravioletti della luce solare). Le caratteristiche dell’agente lesivo e le modalità con cui esso si propaga sulla cute determinano il tipo di danno che si produce.
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Fonti /agente / danno Fiamme, fonti di luce intensa (compresa la luce solare), vapori, liquidi bollenti, oggetti solidi arroventati Fonti Ustione da calore Termico Danno Agente ustionante Agenti termici Le più comuni fonti d'ustione da calore liberano calore diretto (fiamme, schizzi di liquidi bollenti, contatto con superfici roventi), irradiato (luce naturale o da lampada), diffuso nell’aria (vapori, corpi arroventati).
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Agenti termici Sono tra le più frequenti cause di ustione; si distinguono in: solidi arroventabili (macchinari, utensili, manufatti, ecc.) liquidi (olio, acqua bollenti) gassosi (fiamma viva, vapore, ecc.) Agenti termici Gli agenti termici, a loro volta, si distinguono in agenti solidi (come, per esempio, macchinari, utensili, manufatti, etc. portati a raggiungere l'intensità massima di calore), agenti liquidi (oli, acqua bollenti, ecc.), agenti gassosi (vapore, fiamma libera, gas, ecc.).
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Fonti /agente / danno Numerosi acidi, basi ed altre sostanze caustiche
Causticazione o ustione da sostanze chimiche Chimico Danno Agente ustionante Agenti chimici Sono denominate causticazioni quelle lesioni dei tessuti dell'organismo provocate da sostanze, che - venendo a contatto con cute o mucose esposte - inducono danni simili a quelli prodotti da un corpo incandescente (effetto cauterizzante). Le causticazioni sono molto pericolose, perché l’agente può: rimanere a contatto della pelle e proseguire la sua azione a lungo, penetrare nel circolo ematico e produrre un effetto tossico a distanza.
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Agenti chimici acidi e basi forti, solventi organici, magnesio, fosforo bianco a contatto con la cute causano danni sulle superfici di contatto dei tessuti Principali agenti chimici causa di ustioni I principali agenti chimici in grado di causare ustioni sono: gli acidi (per esempio l’acido solforico, cloridrico, nitrico, fosforico, acetico); le basi forti (per esempio il fenolo); i solventi organici; il magnesio ed il fosforo bianco. Questi agenti, a contatto con la cute, causano alterazioni strutturali irreversibili comportanti la perdita di qualsiasi funzione vitale a carico dei vari strati di tessuto (alterazioni necrotiche), per lesione delle cellule che li costituiscono. La gravità della lesione dipende direttamente dalla concentrazione dell’agente chimico e dal suo tempo di permanenza sull’area esposta. Le proprietà tossicologiche dei prodotti chimici sono riportate nelle schede tecniche e di sicurezza dei prodotti. Nelle schede, oltre alle caratteristiche tossicologiche del prodotto, sono riportati, tra l’altro gli interventi da attuare in caso di iperesposizione o di esposizione incongrua. Il lavoratore deve essere informato del contenuto di queste schede prima d’impiegare il prodotto; ogni qualvolta venga introdotto nel ciclo produttivo un nuovo prodotto, il lavoratore deve esser formato all’uso della sostanza.
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Fonti /agente / danno Corrente alternata e continua, fulmini Fonti
Elettrico Agente ustionante Folgorazione o ustione da corrente elettrica Danno Elettricità Le ustioni prodotte dalla folgorazione sono esposte dettagliatamente nello specifico spazio dedicato a tale tema ed a questo si rimanda per la gestione delle misure di primo soccorso. Le folgorazioni – soprattutto quelle da correnti ad alto voltaggio - per i danni prodotti nei punti d’ingresso e di uscita della scarica e per il rischio di danno al cuore ed in altri organi vanno sempre trattate come eventi ad alto rischio.
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Corrente elettrica La corrente elettrica
cede calore ai corpi che attraversa (effetto Joule); le lesioni prodottesi dipendono da: l’intensità della corrente la durata del passaggio la resistenza della cute lascia nei punti di entrata e di uscita il cosiddetto marchio elettrico le lesioni nei punti di entrata e di uscita tendono a riprodurre la forma del conduttore Effetti biologici della corrente elettrica La corrente elettrica cede calore ai corpi che attraversa (effetto Joule). Le caratteristiche delle lesioni esercitate sui tessuti dipendono dall’intensità della corrente, dalla durata del passaggio e dalla resistenza della cute. Le lesioni tendono a riprodurre la forma del conduttore e si presentano nei punti di entrata e di uscita della corrente (marchio elettrico).
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Fonti /agente / danno Fonti Radiazioni (ionizzanti, ultraviolette)
Apparecchiature, ordigni emittenti raggi X e gamma, ma anche i raggi solari Fonti Radiazioni (ionizzanti, ultraviolette) Agente ustionante ustione da radiazioni Danno Radiazioni Il termine radiazione si riferisce genericamente all’emissione d’energia (nucleare, solare, calore da combustione o arroventamento, etc.). Le radiazioni ionizzanti provengono da una fonte atomica, emittente energia per usi civili (produzione di elettricità, cure mediche, accertamenti diagnostici, produzione industriale; etc.) o militari (armi atomiche). Le principali categorie di radiazioni ionizzanti sono: le particelle alfa, poco pericolose, perché schermate dall’aria, dalla stoffa, dallo strato cutaneo esterno, le particelle beta, che hanno un potere di penetrazione maggiore e non sono arrestate dagli indumenti ordinari di lavoro, ma solo da specifiche attrezzature, i raggi gamma, molto pericolosi, perché possono penetrare attraverso molte protezioni ed esporre gli strati cellulari del corpo umano a dosi d’energia ionizzante molto forti, i raggi X sono radiazioni elettromagnetiche di elevato potere penetrante, simili ai raggi gamma per il potere diffusivo e di danno ai tessuti. La componente ultravioletta della luce solare è causa piuttosto frequente di ustioni, che generalmente non vanno oltre l’arrossamento (eritema solare), circoscritto o diffuso in base all’estensione delle superfici esposte, al tempo d’esposizione ed all’intensità della luce.
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Radiazioni componente ultravioletta della luce solare
radiazioni elettromagnetiche radiazioni ionizzanti Radiazioni I raggi ultravioletti sono radiazioni elettromagnetiche che inducono sulla cute il cosiddetto eritema solare. Altre radiazioni elettromagnetiche che possono danneggiare la cute sono i raggi gamma, i raggi X, le radiazioni ultraviolette; attualmente la dermatite provocata su pelle ed annessi cutanei dall'azione dei raggi X o di sostanze radioattive (radiodermite) è fenomeno piuttosto raro. Le radiazioni ionizzanti rappresentano un’altra causa di ustione (professionale), fortunatamente piuttosto rara per la limitata possibilità d’accadimento e per la segretezza che copre le situazioni in cui si verifichino incidenti nucleari; queste ustioni sono prodotte dall’energia liberata dalla scissione di una molecola o di un atomo neutro in due parti elettricamente cariche.
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Gravità del danno La gravità delle lesioni dipende da:
la temperatura dell’agente ustionante il tempo di applicazione il suo calore specifico Gravità del danno da ustione La potenzialità lesiva di un agente ustionante e, conseguentemente, la gravità delle lesioni, dipendono dalla temperatura dell’agente, dal tempo di applicazione e dal suo calore specifico.
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Criteri di valutazione
I parametri di valutazione della gravità di un’ustione sono: la profondità l’estensione altri fattori di criticità Criteri di valutazione della gravità di una ustione L’estensione e la profondità delle ustioni hanno un’importanza fondamentale soprattutto quando le ustioni sono prodotte da un agente termico. Ai fini della valutazione della gravità di una ustione, meritano una considerazione diversa: le ustioni da radiazioni, da agenti chimici, da elettricità quelle termiche che colpiscono particolari aree critiche i soggetti anziani ed i bambini i soggetti con malattie preesistenti.
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Valutazione della profondità
1 Ipoder-ma Derma Epider- mide Si / no Nero Bruciacchiato Bianco 3° grado Rosso vivo No 2° grado Rosso 1° grado Flittene Do-lore Variazione di colore Tessuti ustionati Tipo di ustione Valutazione della profondità Lo schema proposto suggerisce una valutazione sintetica della profondità di un’ustione, valutando i segni che si ricavano interrogando l’ustionato, osservando sulla pelle le lesioni e, per il dolore, toccando leggermente con il dito della mano inguantata la ferita. L’eritema della pelle è comune all’ustione di primo e di secondo grado; il colore rosso vivo indica che i vasi del derma si sono conservati e quindi la cute è solo parzialmente lesa; infatti, se si preme sulla pelle con un dito, impallidisce, mentre riacquista il colorito iniziale, se si allenta la pressione. Per la stessa ragione, la sensibilità locale è conservata e si provoca con la pressione anche dolore in sede di lesione. Un segno distintivo nell’ustione di secondo grado è la presenza di vescicole cutanee (flittène). L’ustione di terzo grado si caratterizza per la presenza di un’area cutanea di colorito bianco avorio e di consistenza molliccia oppure di colore brunastro e di consistenza dura – a causa della compromissione dei vasi del derma - e dall’assenza di sintomatologia dolorosa nella regione ustionata a causa della lesione delle strutture nervose locali.
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Ustioni di 1° grado L’ustione di 1° grado ha come caratteristiche:
l’eritema l’edema Ustioni di 1° grado Le ustioni di 1° grado coinvolgono solo gli strati più superficiali della cute. Le caratteristiche delle ustioni di 1° grado sono l’arrossamento della pelle (eritema) e l’ispessimento della pelle (edema). La pelle è arrossata, gonfia e dolente a causa della dilatazione dei vasi del derma (la vasodilatazione è un meccanismo di compenso dell’organismo finalizzato a porlo nella migliore condizione possibile per disperdere calore). Nelle ustioni di 1° grado, dopo qualche tempo le superficie interessate perdono gli stati cutanei più superficiali danneggiati per spellamento e si salvano gli annessi cutanei; così, le cellule delle ghiandole sudoripare e degli annessi piliferi possono proliferare rapidamente, contribuendo a ricoprire spontaneamente la zona lesa. Di solito guariscono senza lasciare cicatrici. cutanei
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Ustioni di 2° grado La caratteristica dell’ustione di 2° grado è - oltre all’eritema e all’edema - la presenza di flittene (bolle) Ustioni di 2° grado Le ustioni di 2° grado coinvolgono l’epidermide e parte del derma. La caratteristica peculiare dell’ustione di 2° grado è la presenza di flittene. Le flittene si formano a causa di piccole lesioni che interessano la parete dei vasi sanguigni presenti nel derma; attraverso tali lesioni fuoriescono liquidi e sali minerali che, esercitando una certa pressione verso l’alto, determinano lo scollamento dell’epidermide dal derma, costituendo la bolla. Anche nelle ustioni di 2°grado si salvano gli annessi cutanei; però la presenza di flittene può favorire, con la loro rottura, l’infezione dell’area lesa. Ad ogni modo, se non si avviano queste complicanze infettive, le lesioni guariscono senza lasciare cicatrici importanti in settimane. Nella figura è rappresentata una classica ustione di 2 grado sul dorso della falange prossimale del III dito. L’ustione è stata causata dal contatto con una pentola rovente in un cuoco.
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Ustioni di 2° grado Ustioni di 2° grado
Nell’immagine, una ustione di 2° grado occorsa ad una giovane biologa venuta accidentalmente a contatto con la superficie rovente del proprio forno a legna.
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Ustioni di 3° grado Le caratteristiche dell’ustione di 3° grado sono:
il colorito bianco avorio o brunastro delle lesioni la consistenza molliccia o dura dello spessore sottostante la perdita locale della sensibilità dolorosa Ustioni di 3° grado Nell’ustione di 3° grado la temperatura del corpo ustionante è talmente elevata da superare di gran lunga lo scudo cutaneo difensivo. Di conseguenza, a contatto con la superficie calda, la cute in tutti i suoi strati – epidermide, derma, ipoderma - va incontro a fenomeni necrotici a causa dell’azione di vapori (colorito bianco avorio dell’area cutanea di lesione, consistenza molliccia del derma sottostante) o di fiamma (colorito brunastro dell’area cutanea, consistenza dura del derma sottostante). Spesso la sensibilità anche dolorosa è perduta per la lesione delle strutture nervose locali del derma. Nelle ustioni di 3° grado la possibilità d’infezione per i tessuti danneggiati è molto forte; queste ustioni guariscono, perciò, lentamente e lasciano sulla superficie danneggiata cicatrici retraenti spesso deturpanti. Generalmente, perché si ottenga la ricostruzione della superficie cutanea, esse richiedono un’operazione di chirurgia plastica, con cui si applicano nella zona lesa innesti di cute sana (trapianto cutaneo). Se l’ustione si diffonde in profondità oltre il derma (al tessuto adiposo e muscolare o ancora più a fondo al tessuto nervoso e osseo), essa può facilmente indurre complicanze infettive e cicatrici retraenti diffuse e deturpanti. Di solito sono ustioni causate da corrente elettrica o da esposizione prolungata a fiamma.
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Valutazione dell’estensione
2 Per valutare l’estensione di un’ustione il criterio più facile è la regola del 9: nell’adulto è possibile dividere il corpo in aree corrispondenti a circa il 9% della sua superficie la somma di queste aree copre il 99% del corpo il rimanente 1% è rappresentato dalla regione genitale Valutazione dell’estensione di una ustione Per una valutazione approssimativa della superficie corporea interessata (estensione) sono stati proposti numerosi criteri e tra questi di più facile impiego risulta la regola del 9. Ognuna delle seguenti aree del corpo rappresenta il 9% della sua superficie: testa e collo, estremità superiori, torace, addome, parte superiore della schiena, parte inferiore della schiena e natica, parte anteriore di una gamba, parte posteriore della gamba. La somma di tutte queste parti raggiunge il 99% della superficie corporea; il rimanente 1% è attribuito alla regione genitale. Questo calcolo è valido per gli adulti, mentre per i bambini e nella prima infanzia devono essere utilizzati altri criteri di valutazione, giacché la testa ha una maggiore estensione in rapporto alle gambe rispetto agli adulti.
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La regola del 9 1 Area genitale 18 Arto inferiore 9 Arto superiore
Tronco (posteriormente) Tronco (anteriormente) Capo e collo % Aree del corpo La regola del 9 Nella tabella è riportata in sintesi la regola del nove.
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Valutazione di altri fattori critici
3 Altri fattori critici che condizionano l’evoluzione di un’ustione sono: fonte diversa da quella termica localizzazione del danno in aree critiche età del paziente preesistenza d’eventuali malattie Altri fattori critici Per stabilire la gravità di un’ustione, oltre alla sua profondità e alla sua estensione, è necessario valutare numerosi altri fattori, tra i quali i più importanti sono: l’agente causale che la produce la localizzazione del danno in aree critiche l’età del paziente eventuali malattie preesistenti (diabete, malattie cardiache, malattie respiratorie, etc.). Anche questi fattori sono determinanti nella evoluzione della gravità di un’ustione.
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a)Fonte diversa da quella termica
Tali fonti condizionano l’evoluzione del danno: lesioni lievi da radiazioni ionizzanti sono indice d’esposizione ad un agente molto più pericoloso di quello termico nelle causticazioni l’agente rimane sulla pelle e prosegue la sua azione a lungo penetra in circolo ematico e produce un effetto tossico a distanza le ustioni elettriche da alto voltaggio vanno sempre considerati come eventi ad alto rischio Ustioni da agenti di natura diversa da quella termica Gli agenti di natura diversa da quella termica sono fortemente condizionanti la gravità del danno: una lesione di lieve entità causata dalle radiazioni ionizzanti è molto più preoccupante di una prodotta da un agente termico; le ustioni chimiche sono molto pericolose, perché l’agente può rimanere sulla pelle e proseguire la sua azione causticante a lungo; l’agente chimico può anche penetrare nel circolo ematico e produrre un effetto tossico a distanza; le ustioni elettriche da alto voltaggio - per i gravi danni prodotti nei punti d’ingresso e di uscita della scarica, per il rischio di danno al cuore ed in altri organi - vanno sempre trattate come eventi ad alto rischio.
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b) Danno in aree critiche
infezione (danno molto più grave dell’ustione) genitali, natiche, cosce (faccia interna) cicatrici retraenti che limitano le escursioni dell’arto gomiti e ginocchi perdita del movimento delle dita per cicatrici mani e piedi lesioni delle vie aeree, agli occhi volto per il rischio di Sono aree critiche Danno in aree critiche Nella valutazione della gravità delle ustioni occorre considerare a parte le cosiddette aree critiche del corpo: qualsiasi ustione del volto è molto preoccupante, perché può causare una lesione delle vie aeree o degli occhi; mani e piedi sono altre zone a rischio, perché la formazione di cicatrici può determinare la perdita del movimento delle dita; gomiti e ginocchia sono sedi nelle quali la formazione di cicatrici retraenti tende a limitare le normali escursioni dell’arto; quando le lesioni interessano genitali, natiche, faccia interna delle cosce la possibilità d’infezione costituisce un problema spesso molto più grave del danneggiamento iniziale dei tessuti.
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c) Età del paziente sopra i 60 anni
la resistenza alle ustioni è più bassa l’evoluzione verso guarigione è meno favorevole Età del paziente Un’ustione di gravità moderata per un giovane adulto rischia di essere fatale per un anziano: gli adulti sopra i 60 anni - assieme ai neonati ed ai bambini sotto i 5 anni - hanno una capacità di resistenza più bassa alle ustioni ed una differente evoluzione sulle fasi di guarigione. rispetto alle altre fasce di età
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d) Malattie preesistenti
Chi è affetto da malattie cardiache o da diabete reagisce con maggior difficoltà alle ustioni malattie respiratorie è esposto ad un maggior rischio in presenza di fumi o di esalazioni tossiche Malattie preesistenti Ciò che per un adulto sano potrebbe essere un’ustione lieve, può diventare grave per pazienti con malattie cronico-degenerative (diabete, malattie cardiache, malattie respiratorie, etc.). Il soggetto con malattie respiratorie sarà esposto ad un rischio maggiore del soggetto sano, se verrà a trovarsi in presenza di fumi o di esalazioni tossiche derivanti da vapori chimici.
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Valutazione della gravità di un’ustione
In base a grado, estensione ed altri criteri di criticità, la gravità di un’ustione si distribuisce su tre livelli di criticità, che condizionano il successivo trattamento: dopo il primo soccorso vanno trattate in centri specialistici gravi dopo la medicazione, senza urgenza, vanno esaminate da personale sanitario non pongono particolari problemi, possono essere trattate senza ricovero ospedaliero moderate lievi Scala di gravità delle ustioni La valutazione di un’ustione - in base al grado di profondità, all’estensione ed agli altri criteri di criticità (età del paziente, agente causale, localizzazione del danno) - si classifica su tre livelli di gravità: le ustioni lievi non pongono particolari problemi e possono essere trattate senza ricovero ospedaliero; le ustioni moderate, dopo la medicazione, senza urgenza vanno esaminate da personale sanitario; le ustioni gravi, dopo il primo soccorso, richiedono il trattamento in centri specializzati per le ustioni, dove avrà seguito una specifica terapia.
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Valutazione della gravità
USTIONE LIEVE Estensione < 2% (escluso le aree critiche) 3° grado < 15%, se adulti 2° grado < 50% 1° grado Grado Valutazione della gravità Ustione lieve In un adulto sono considerate lievi le ustioni di: 1° grado, che non superano il 50% d’estensione del corpo; 2° grado, che non superano il 15% d’estensione del corpo (nei bambini il limite varia dal 5 al 10%); 3° grado, che non superano il 2% d’estensione del corpo e che non interessano aree critiche.
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Valutazione della gravità
USTIONE MODERATA In assenza di malattie preesistenti e senza l’interessamento di aree critiche Estensione <10% 3° grado 15-25%, se adulti 2° grado tra il 50 ed il 75% 1° grado Grado Valutazione della gravità Ustioni moderate In un adulto sono considerate moderate le ustioni di: 1° grado, che superano il 50% d’estensione del corpo, ma che al massimo si estendano fino al 75% della sua superficie; 2° grado, che interessano il % d’estensione del corpo (nei bambini il limite varia dal 10 al 20%); 3° grado, che non superano l’1% d’estensione del corpo. Nel caso, però, il soggetto ustionato presenti malattie preesistenti cronico-degenerative (diabete, malattie cardiache, malattie respiratorie, etc.) o respiratorie, come pure nel caso in cui la regione interessata faccia parte di una delle cosiddette aree critiche del corpo, si considerano tali ustioni come gravi.
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USTIONE GRAVE Estensione Grado >10% 3° grado >25%, se adulti
Senza bisogno di valutare grado ed estensione sono gravi: le ustioni di 2° grado in aree critiche qualsiasi ustione complicata da malattie preesistenti, traumi, inalazione di fumi o gas tossici le ustioni da agenti chimici le ustioni da elettricità Estensione >10% 3° grado >25%, se adulti 2° grado >75% (per il rischio di malattia dell’ustionato) 1° grado Grado Ustioni gravi o critiche Sono ustioni gravi o critiche quelle: di 1° grado, se l’estensione è maggiore del 75%; di 2° grado, se l’estensione è maggiore del 25%; di 3° grado, se l’estensione è maggiore del 10%. A prescindere dal grado e dall’estensione della lesione, sono gravi: tutte le ustioni di 2° grado in aree critiche le ustioni complicate da: malattie preesistenti traumi inalazione di fumi o gas tossici. le ustioni da agenti chimici le ustioni elettriche. Queste ustioni, dopo il primo soccorso, vanno ospedalizzate per esser trattate in centri specializzati per le ustioni.
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PRIMO SOCCORSO delle ustioni termiche
Obiettivi del primo soccorso: minimizzare la perdita di liquidi (prevenzione dello shock) prevenire la contaminazione batterica della cute (causa poi di setticemia) Primo soccorso nelle ustioni termiche Nelle ustioni termiche, la successiva evoluzione è condizionata dalla insorgenza entro le prime ore: dello shock ipovolemico per la cospicua perdita di liquidi che si verifica dalle ferite; di una setticemia causata dalla contaminazione batterica e la conseguente infezione delle ferite. L’ustionato grave è esposto al rischio di shock a causa della perdita di liquidi per essudazione dall’area ustionata e conseguente perdita di plasma dalla circolazione sanguigna (ipovolemia) e rischio di blocco renale nei casi più gravi. Riguardo alla contaminazione batterica, al momento in cui si determina il danno, è lo stesso agente termico che distrugge i microrganismi patogeni sulla cute ustionata; ma questa area, se non si medica bene la ferita, s’infetta rapidamente estendendosi in profondità e potendo indurre una setticemia, dovuta alla penetrazione e alla riproduzione continua di germi patogeni nel sangue. Di conseguenza, due sono dunque gli obiettivi del primo soccorso: la minimizzazione della perdita di liquidi (prevenzione dello shock ipovolemico); la prevenzione della contaminazione batterica della cute e la conseguente setticemia.
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PRIMO SOCCORSO delle ustioni termiche
NO non rimuovere gli abiti, se sono “appiccicati” alla pelle non bucare le flittene non utilizzare polveri né pomate non utilizzare acqua troppo fredda né ghiaccio nelle ustioni estese Cose da non fare nel primo trattamento delle ustioni termiche In caso di ustione nel trattamento preliminare è bene: non rimuovere dalle ustioni gli abiti del paziente né eventuali corpi estranei, se questi sono appiccicati alla superficie ustionata: si rischia di strappare lembi cutanei e di esporre maggiormente le ferite, aumentando la probabilità di infezioni e di disidratazione; non bucare le flittene presenti: se si bucano, si pone l’infortunato nella condizione di perdere maggiori quantità di liquidi e si incrementa il rischio d’infezione; non utilizzare polveri né pomate: nel primissimo soccorso non servono; in più aumentano il rischio d’infezione. non utilizzare acqua fredda né ghiaccio nelle ustioni estese: raffreddando rapidamente la vittima si rischia di facilitare l’avvio dello shock, legato alla repentina vasocostrizione sanguigna nel momento in cui il corpo viene esposto al freddo;
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PRIMO SOCCORSO delle ustioni termiche
SI Verificare la sicurezza della scena allontanare al più presto dalla fonte di calore soccorritore ed ustionato chiamare i soccorsi soffocare eventuali focolai accesi sul corpo con una coperta medicare le ferite monitorare le funzioni vitali Cose da fare nel primo trattamento delle ustioni termiche gravi Nel caso di soccorso ad un grande ustionato occorrerà garantire per il soccorritore (e la vittima) la sicurezza della scena e limitare all’indispensabile l’esposizione alla fonte di calore del soccorritore e dell’ustionato. Garantita la sicurezza del soccorritore, occorre allertare il 118, soffocare eventuali focolai ancora accesi sul corpo del paziente con una coperta, medicare le zone di cute scoperta con garze sterili o teli puliti. Bisognerà dunque monitorare costantemente le funzioni vitali della vittima sino all’arrivo dei soccorsi sanitari: avviando le procedure di rianimazione, se la vittima non respira ponendolo in posizione laterale di sicurezza, se privo di coscienza. Per contrastare lo shock: è utile, se è cosciente, dargli da bere in abbondanza è necessario coprirlo con la coperta isotermica o con qualche indumento pesante. nell’ustione grave
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PRIMO SOCCORSO delle ustioni termiche localizzate
SI chiamare i soccorsi allontanare al più presto la fonte di calore applicare il freddo medicare la cute ustionata Cose da fare nel primo trattamento delle ustioni termiche lievi / moderate Nelle ustioni localizzate l’obiettivo del primo soccorritore è quello di alleviare le sofferenze della vittima e di prevenire la contaminazione batterica delle ferite (per permetterne una guarigione più rapida e senza molte complicazioni). Il primo obiettivo si raggiunge applicando sulla parte ustionata il freddo (il freddo genera vasocostrizione, riduzione dell’edema e, conseguentemente, allevia il dolore). La prevenzione della contaminazione batterica delle ferite si ottiene con una medicazione a regola d’arte: coprendo la parte con garze sterili o teli puliti fasciandola con benda o, se non è possibile tutto ciò, isolandola con un sacchetto di polietilene. nell’ustione lieve / moderata
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PRIMO SOCCORSO delle causticazioni
Verificare la sicurezza della scena e chiamare i soccorsi specializzati allontanare immediatamente l’agente chimico coprire le zone di cute scoperta con garze sterili o teli puliti monitorare ed eventualmente sostenere le funzioni vitali della vittima Primo soccorso delle causticazioni In caso di ustioni causate da sostanze chimiche (causticazione) la scena dell’incidente per il soccorritore può essere molto pericolosa (stravasi di tossico, esalazioni); pertanto - se non si è equipaggiati adeguatamente - non intervenire, ma allertare il personale specializzato d’emergenza (vigili del fuoco, addetti alla protezione civile). Se la scena è sicura, il primo soccorso di una causticazione si fa allontanando immediatamente la sostanza chimica; ciò allo scopo di ridurre la durata del contatto della sostanza con la cute. Per questo, dirigendo un getto d’acqua sulla zona di contatto del caustico, si rimuove meccanicamente la sostanza senza dagli tempo di reagire con pelle; è necessario un lavaggio di parecchi minuti (nelle aziende chimiche le linee a maggior rischio hanno impiantato docce di sicurezza, dov’è possibile collocare il soggetto contaminato). L’acido solforico e la calce non vanno rimossi con getti d’acqua, perché a contatto con l’acqua producono grandi quantità di calore (la calce secca si può eliminare con una spazzola). Dopo l’irrigazione dell’area, la cute verrà coperta con garze sterili o teli puliti. Occorrerà, infine, monitorare e, se necessario, sostenere le funzioni vitali del paziente. E’ sempre opportuno consultare le schede tecniche e di sicurezza dei prodotti per conoscere il trattamento specifico da eseguire in caso di contaminazione (della pelle, degli occhi, d’ingestione accidentale, d’inalazione).
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L’occhio Causticazioni di cornea e congiuntiva Sopracciglia Pupilla
Palpebra superiore Iride L’occhio Causticazioni corneocongiuntivali Le causticazioni possono produrre gravi danni a carico dell’occhio. Il paziente lamenta dolore intenso e presenta gonfiore delle palpebre e rossore intenso dell’occhio (iperemia congiuntivale). Sclera e congiuntiva Palpebra inferiore
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Causticazioni di cornea e congiuntiva
PRIMO SOCCORSO Sciacquare immediatamente l’occhio irrorare a lungo l’occhio con getti a bassa pressione tenere bene aperte le palpebre utilizzando due dita, se l’infortunato tende a serrare le palpebre chiamare il 118 per il ricovero in ambiente specialistico Causticazioni corneocongiuntivali Le causticazioni corneocongiuntivali sono causate dal contatto accidentale di acidi e basi con l’occhio. Poiché questi agenti chimici sono spesso dotati di una elevata capacità di penetrazione nei tessuti oculari, la più efficace strategia di contenimento del danno è senz’altro una rapida irrigazione dell’occhio per diluire il caustico. Gli interventi da compiere sono in sequenza: sciacquare immediatamente gli occhi con acqua a bassa pressione (per attività ad alto rischio di causticazione corneocongiuntivali sarebbe opportuno impiantare nel reparto speciali impianti fissi con getto per lavaggi oculari; utili sono anche delle pompette lavaocchi preconfezionate da aggiungere agli ausili di pronto soccorso); proseguire nel lavaggio per almeno minuti; ospedalizzare il paziente continuando il lavaggio degli occhi.
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LESIONI da ELETTRICITA’
In questo sottocapitolo tratteremo delle lesioni da elettricità.
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CARATTERISTICHE EPIDEMIOLOGICHE
eventi relativamente rari, ma con conseguenze spesso gravi colpiscono tutte le età, specialmente i soggetti in età lavorativa Lesioni da elettricità – epidemiologia La folgorazione è un evento relativamente raro, ma con conseguenze spesso molto gravi. Questi eventi colpiscono i soggetti di tutte le età, benché privilegino persone in età lavorativa.
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IL RISCHIO E’ UBIQUITARIO
Rischio professionale Rischio in ambiente domestico Rischio per fattori meteorologici Ubiquitarietà dell’esposizione al rischio Il rischio da esposizione alla corrente elettrica è ubiquitario e riguarda non solo i soggetti esposti per ragioni professionali (gli addetti alla produzione, alla trasformazione, alla distribuzione dell’energia elettrica ed alla manutenzione di apparecchiature elettriche), ma anche soggetti esposti per fattori meteorologici (come per esempio i boscaioli) e i semplici cittadini esposti a rischi generici di un ambiente domestico.
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EFFETTI della CORRENTE ELETTRICA
EFFETTO TERMICO: la corrente elettrica riscalda il corpo che attraversa EFFETTO CHIMICO: la corrente elettrica provoca la dissociazione chimica delle soluzioni elettrolitiche EFFETTO MAGNETICO: la corrente elettrica crea un campo magnetico intorno al corpo che attraversa Effetti della corrente elettrica A contatto con la materia vivente, l’energia elettrica produce i seguenti tre effetti: 1) effetto termico (effetto Joule): la corrente elettrica riscalda il conduttore che attraversa 2) effetto chimico (elettrolisi): la corrente elettrica provoca la dissociazione chimica delle soluzioni elettrolitiche 3) effetto magnetico (effetto Oersted): la corrente elettrica crea un campo magnetico intorno al conduttore che attraversa.
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a) resistenza del corpo umano b) fattori fisici della corrente
VARIABILI che CONDIZIONANO gli EFFETTI FISIOPATOLOGICI della CORRENTE ELETTRICA Gli effetti fisiopatologici sull’organismo vivente sono in relazione a: a) resistenza del corpo umano b) fattori fisici della corrente c) altri fattori Variabili che influiscono sugli effetti della corrente Alcune variabili condizionano il tipo e l’entità degli effetti fisiopatologici della corrente elettrica sul corpo umano; tra questi la resistenza del corpo, i fattori fisici della corrente ed altri fattori (la durata del passaggio attraverso il corpo, la via seguita dalla corrente e le modalità del contatto).
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RESISTENZA del CORPO UMANO
una volta a contatto col corpo umano, la corrente percorre tutte le vie con minore resistenza e così in un baleno attraversa i tessuti il sangue è un ottimo conduttore, seguito da tessuto muscolare e organi parenchimali tessuto adiposo ed osseo offrono una notevole resistenza al passaggio della corrente Variabili che influiscono sugli effetti della corrente – resistenza del corpo umano Una volta a contatto col corpo umano, la corrente elettrica segue tutte le vie in relazione alla resistenza offerta dai tessuti. Il sangue è un ottimo conduttore, seguito dal tessuto muscolare e dagli organi parenchimali (fegato, milza, reni, etc.). Il tessuto adiposo ed il tessuto osseo offrono una notevole resistenza al passaggio della corrente.
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RESISTENZA della BARRIERA CUTANEA
La resistenza della pelle asciutta è molto elevata Se la pelle è umida o bagnata, la resistenza diminuisce notevolmente La sudorazione aumenta la conduttività della corrente La resistenza esercitata dalla barriera cutanea Di solito il primo contatto con la corrente elettrica avviene a livello cutaneo. Come è noto, la resistenza della pelle asciutta è molto elevata. Se la pelle è umida o bagnata, la resistenza diminuisce notevolmente. La sudorazione aumenta la conduttività della corrente.
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FATTORI FISICI della CORRENTE
TIPO corrente alternata più pericolosa di quella continua; basse frequenze sono più pericolose rispetto alle alte INTENSITA’ TENSIONE (correnti ad altissima tensione causano carbonizzazione della vittima) Variabili che influiscono sugli effetti della corrente – fattori fisici della corrente I danni della corrente elettrica sul corpo umano dipendono da numerose variabili. Tra queste, il tipo di corrente: ad esempio, la corrente alternata è più pericolosa rispetto a quella continua e le basse frequenze sono più pericolose rispetto alle alte. La corrente alternata, utilizzata nelle nostre abitazioni, può causare tetanizzazione dei muscoli. Gli effetti della corrente elettrica sull’organismo umano sono strettamente dipendenti dall’intensità della corrente: per corrente di meno di 25 mA (milli Ampere) di intensità non avremo nessun effetto sul ritmo cardiaco, mentre avremo delle contrazioni muscolari localizzate al punto di contatto. Per intensità di corrente compresa tra 25 e 80 mA, si potranno avere disturbi del ritmo cardiaco, ma anche arresto cardiaco. Correnti tra 80 mA e 3 A possono causare fibrillazione ventricolare. Correnti superiori a 3A causano gravi disturbi del ritmo cardiaco ed arresto cardiorespiratorio. Correnti ad alta tensione (oltre 1000 Volts) cedono una grande quantità di energia termica (effetto Joule), provocando gravi ustioni o, addirittura, la carbonizzazione della vittima. Benché sia meno frequente, anche correnti a bassissima tensione possono causare la morte.
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ALTRI FATTORI MODALITA’ DEL CONTATTO
DURATA DEL PASSAGGIO: tetanizzazione dei muscoli VIA SEGUITA ATTRAVERSO IL CORPO Variabili che influiscono sugli effetti della corrente – altri fattori Il fenomeno della tetanizzazione dei muscoli (potrebbe ad esempio bloccare le mani alla fonte di scarica) può aggravare il danno da elettricità in quanto può “far rimanere attaccato” l’infortunato al conduttore. Anche le modalità del contatto possono condizionare l’esito dell’evento. Se si tocca un conduttore con il palmo della mano, la contrazione dei muscoli (tetanizzazione) può portare ad afferrare il conduttore, rimanendo “attaccati” alla fonte, attraversando il corpo per più tempo. Viceversa, toccando il conduttore con il dorso della mano, l’evento prima descritto non si verifica e la scarica elettrica attraversa l’organismo in un tempo molto ridotto con minore probabilità di percorrere una via in grado di condurla agli organi vitali. La via seguita dalla corrente attraverso il corpo può comportare una gamma di effetti sino alla morte immediata. Infatti, se la corrente percorre da subito un grosso vaso, arriva immediatamente al cuore, provocando arresto cardiaco o fibrillazione ventricolare. Si ritiene che tra le vie più pericolose vi siano quella che va da un braccio all’altro, dalla testa ai piedi, ecc.
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Passaggio della corrente da un braccio all’altro
Il passaggio della corrente da un braccio all’altro è uno dei percorsi più pericolosi. Questo perché la corrente, nel compiere questo percorso, attraversa il cuore. Il passaggio della corrente da un braccio all’altro è uno dei percorsi più pericolosi
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Fibrillazione ventricolare Inibizione centri bulb.
MORTE DA FOLGORAZIONE Fibrillazione ventricolare Tetania muscoli resp. Inibizione centri bulb. Morte da folgorazione La morte per folgorazione può avvenire per tre sostanziali ragioni: 1) per fibrillazione ventricolare, alla quale segue l’arresto respiratorio 2) per asfissia in seguito a paralisi dei muscoli respiratori, alla quale segue l’arresto cardiaco 3) per arresto respiratorio e cardiaco da inibizione dei centri bulbari (in questi casi, che rappresentano una evenienza piuttosto rara, con meno del 3% dei casi mortali, una grande quantità di corrente passa attraverso il bulbo). Arresto respiratorio Arresto cardiaco Arresto resp. + card. MORTE
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EFFETTI FISIOPATOLOGICI della CORRENTE ELETTRICA
ARRESTO CARDIACO ARRESTO RESPIRATORIO USTIONI Effetti fisiopatologici della corrente elettrica Gli effetti più gravi esercitati dalla corrente elettrica riguardano due importanti organi vitali: l’apparato cardiovascolare e l’apparato respiratorio. Sul cuore la corrente determina l’arresto cardiaco o la fibrillazione ventricolare. Sull’apparato respiratorio la corrente può determinare l’arresto respiratorio per tetanizzazione dei muscoli intercostali e del diaframma. Spesso, per una caduta, si può andare in coma; la perdita di coscienza è un’altra causa di arresto respiratorio a causa dell’ostacolo al passaggio dell’aria esercitato dalla base della lingua che preme sulle vie respiratorie. La corrente elettrica può anche provocare un arresto cardiaco e respiratorio in seguito a lesioni sui centri bulbari. Effetti che potrebbero essere egualmente gravi sono le ustioni nel punto di ingresso della scarica.
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CUORE Effetti della corrente elettrica
Gli effetti della corrente sul cuore sono direttamente indirizzati sull’apparato elettrico del cuore: fibrillazione ventricolare arresto cardiaco Effetti della corrente elettrica sull’apparato cardiovascolare Sul cuore la corrente elettrica può causare alterazioni elettriche molto gravi: tra queste, la fibrillazione ventricolare e l’arresto cardiaco.
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APPARATO RESPIRATORIO Effetti della corrente elettrica
Gli effetti della corrente sull’apparato respiratorio sono indiretti, caratterizzati da paralisi dei muscoli intercostali e del diaframma ostruzione delle vie respiratorie per coma del folgorato Effetti della corrente elettrica sull’apparato respiratorio Gli effetti determinati dalla corrente sull’apparato respiratorio sono indiretti, caratterizzati da paralisi dei muscoli intercostali e del diaframma da eventuali corpi estranei che possono ostruire le vie respiratorie se il folgorato va in coma.
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USTIONI Effetti della corrente elettrica
LE ALTE TENSIONI determinano ustioni di III° grado, con difficoltà di guarigione LE BASSE e MEDIE TENSIONI inducono danni più localizzati e si presentano nei punti di entrata e di uscita della corrente nel punto di entrata, riproducendo la forma del conduttore (“marchio elettrico”) Effetti della corrente elettrica sull’apparato tegumentario Se in gioco è un’alta tensione, le ustioni sono generalmente molto ampie, prodotte dall’elevato calore liberato dall’arco elettrico, con il raggiungimento di temperature sino a gradi centigradi. Le lesioni prodotte da queste ustioni guariscono con grande difficoltà per la presenza di ampi e profondi fenomeni necrotici tessutali dovuti agli effetti coagulativi e necrotizzanti delle alte temperature sui tessuti. Queste ustioni possono porre il paziente in pericolo di vita per la plasmorragia (perdita cospicua di liquidi dalle ferite da ustione) ed il conseguente shock. Le basse e medie tensioni causano invece ustioni di più modeste dimensioni, generalmente localizzate nei punti di entrata e di uscita della corrente (per esempio, mani e piedi); nel punto di entrata esse riproducono fedelmente la forma del conduttore, tanto da essere denominate in medicina legale “marchi elettrici”. Queste ustioni, specie se interessano specifiche zone della superficie cutanea (ad esempio il palmo delle mani), possono lasciare esiti funzionali di rilievo (cicatrici, retrazioni, etc.). Le ustioni elettriche sono generalmente indolori a causa della distruzione delle terminazioni nervose sensitive.
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INTERVENTO Tensioni inferiori a 1.000 Volts
togliere la corrente se non è possibile, staccare la vittima dall’elemento in tensione, isolandosi adeguatamente e senza toccare direttamente la vittima valutare le funzioni vitali e se è il caso, sostenerle coprire le ferite da ustione con garze sterili e fasciarle Intervento d’emergenza per tensioni inferiori a Volts In caso di interventi per tensioni inferiori a 1000 Volts, bisognerà, per prima cosa, tentare di togliere la corrente; se questo non è possibile (o se questo intervento farebbe perdere troppo tempo), staccare la vittima dall’elemento in tensione, isolandosi adeguatamente e senza toccare direttamente la vittima. Il soccorritore dovrà isolarsi dalla vittima e dal terreno, utilizzando, per staccare la vittima dall’elemento in tensione, tubi di gomma, bastoni di legno o cinture di cuoio; dal terreno dovrà isolarsi ponendosi su una superficie di gomma o di legno asciutto. Dopo avere staccato l’infortunato dall’elemento in tensione occorrerà valutare le funzioni vitali e se è il caso sostenerle. Se non è possibile aprire la bocca dell’infortunato per la tetanizzazione dei muscoli della masticazione, va praticata la respirazione bocca-maschera o, in mancanza della pocket mask, bocca-naso. Infine, bisognerà proteggere le ustioni, coprendo le ferite con garze sterili oppure con teli puliti, e poi fasciarle per sostenere le medicazioni .
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INTERVENTO Tensioni superiori a 1.000 Volts
non avvicinarsi all’elemento in tensione prima di avere interrotto la corrente (arco voltaico!!!) soccorrere il folgorato, valutare le funzioni vitali e, se è il caso, sostenerle medicare le ustioni con garze sterili e coprirle con fasce Intervento d’emergenza per tensioni superiori a Volts Per tensioni superiori a Volts non bisogna avvicinarsi all’elemento in tensione prima di avere interrotto la corrente (generalmente tale operazione viene svolta dai servizi d’urgenza dell’ENEL). Avvicinandosi all’elemento in tensione si rischia infatti di venire investiti dall’arco voltaico (un’area ad alta energia prodotta dalla corrente elettrica fonte di elevatissima temperatura). Una volta interrotta la corrente bisognerà valutare e, se è il caso, sostenere le funzioni vitali e trattare le ustioni.
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In ogni caso di folgorazione IL SOGGETTO IN ARRESTO CARDIACO VA SEMPRE RIANIMATO in quanto la morte è sempre preceduta da un periodo più o meno breve di “morte apparente” che si può efficacemente contrastare Rianimazione nel folgorato in arresto cardio-respiratorio In ogni caso di folgorazione la morte del soggetto è sempre preceduta da un periodo più o meno breve di morte apparente. Per questa ragione, le manovre di sostegno delle funzioni vitali potranno risultare determinanti a mantenere in vita il folgorato fino all’arrivo del 118.
302
Ferite Ferite In questo capitolo verranno trattati i seguenti argomenti: Ferite cutanee e mucose Ferite gravi del torace e dell’addome Amputazioni
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FERITE CUTANEE E MUCOSE
Cominceremo con le ferite cutanee e mucose.
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Le ferite (cutanee e mucose) sono lesioni traumatiche caratterizzate dalla perdita dell’integrità (lesione di continuità) di cute o mucose ed eventualmente dei tessuti sottostanti. Ferite cutanee e mucose Le ferite cutanee e mucose sono lesioni dei tessuti prodotte da forze meccaniche di varia natura che determinano una perdita dell’integrità (lesione di continuo) di una o più regioni cutanee o mucose ed eventualmente dei tessuti sottostanti.
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Tipi di ferite In base alla gravità si parla di
investe i tessuti sottostanti ferite profonde In base alla gravità si limita a cute e mucose ferite superficiali quando il danno si parla di Tipi di ferite (classificazione in base alla gravità) La profondità del danno indotto sulla cute e sulle mucose determina la denominazione di: ferita superficiale, se la ferita non non interessa i tessuti sottostanti, ferita profonda, quando colpisce con particolare violenza la barriera cutanea o mucosa e determina lesioni anche nei piani sottostanti (adiposi, muscolari, ossei).
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In base alla forma abrasione escoriazione ferita da punta f. da taglio
Tipi di ferite (segue) … due fori: uno d’entrata a bordi ripiegati all'interno, l’altro d’uscita più grande e coi bordi sporgenti in fuori f. d’arma da fuoco lesione a margini irregolari con aree circostanti di ecchimosi f. lacero-contusa lesione a margini netti più o meno profonda f. da taglio lesione profonda, rotondeggiante a ricalco la forma della punta ferita da punta perdita più consistente di sostanza irregolarmente distribuita nel tessuto escoriazione In base alla forma asportazione superficiale dei primi strati in un tratto lineare di tessuto abrasione quando l’agente traumatico produce su cute/mucosa si parla di Tipi di ferite (classificazione in base alla forma) A seconda della forma di ferita che sul tessuto l’agente traumatico produce, si parla anche di: abrasione, quando un corpo tagliente (es. una lama) scalfisce un tratto lineare di tessuto asportando soltanto gli strati più superficiali; escoriazione, quando un corpo contundente o ruvido produce una perdita di sostanza che interessa gli strati superficiali della cute e si distribuisce non omogenea in profondità nei piani sottostanti; ferita da punta, quando un corpo acuminato penetra nei tessuti più o meno profondamente, lasciando sulla superficie l’impronta a ricalco della sua forma; ferita da taglio, quando una lama penetra con maggiore o minore profondità procurando uno squarcio di tessuto a margini netti e molto sanguinanti; ferita lacero-contusa, nella quale l’azione lesiva provoca uno squarcio a margini irregolari con aree di tessuto circostanti senza perdita di sostanza ma con ecchimosi; ferita d’arma da fuoco, che presenta due caratteristiche lesioni: il foro d’entrata, ovvero una ferita a margini tondeggianti e con i bordi introflessi; il foro d’uscita, ferita a margini tondeggianti ed a bordi estroflessi di diametro maggiore.
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Ferita superficiale TRATTAMENTO
Il trattamento di una ferita superficiale si basa sulle seguenti fasi: esposizione pulizia disinfezione medicazione Trattamento delle ferite superficiali Il trattamento di una ferita superficiale si effettua, dopo avere indossato un paio di guanti sterili, esponendo, pulendo, disinfettando e medicando la ferita. Queste operazioni dovranno essere effettuate con grande delicatezza, facendo attenzione a non creare ulteriori danni sulle zone cutanee interessate dalle lesioni. indossando sempre guanti di gomma sterile!
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Esposizione e pulizia Innanzitutto: assicurarsi d’indossare guanti di gomma sterile! e poi… Esposizione: scoprire subito la ferita Pulizia: lavarla con acqua corrente usare il sapone per rimuovere impurità presenti Corpi estranei di grandi dimensioni non devono essere asportati per il pericolo di emorragie rimuovere con una pinzetta eventuali frammenti incuneati nei tessuti Ferita superficiale: esposizione e pulizia In caso di ferita superficiale, innanzitutto, occorre proteggersi dal rischio di contagio con il sangue dell’infortunato e proteggere quest’ultimo dal contagio della cute circostante e delle mani del soccorritore, indossando, prima di iniziare ogni operazione, un paio di guanti sterili. Deve essere, poi, contrastata l’infezione. Per ferite di testa, mani e piedi, dopo averle medicate, chiedere sempre l’intervento di un medico, per i possibili danni neurologici e tendinei. La pulizia della ferita, le successive fasi di disinfezione e di medicazione hanno questo principale scopo: impedire agli agenti microbici presenti abitualmente sulla cute o veicolati dai corpi estranei assieme all’agente lesivo di contaminare l’area di lesione, non più integra. Per questa ragione, tutte le ferite vanno esaminate a tutto campo, eliminando gli indumenti che le coprono (esposizione) e lavate accuratamente (pulizia). Un’efficace pulizia di una ferita si può fare con acqua e sapone; quest’ultimo deve essere rimosso sciacquando la ferita sotto abbondanti getti d’acqua corrente; così si rimuovono anche le impurità presenti (polvere, terriccio, etc.). Il fondo sanguinante della ferita si pulisce spruzzandoci acqua ossigenata; l’azione meccanica del getto spazza la ferita, mentre le bollicine d’ossigeno portano in superficie impurità meno evidenti (in alternativa all’acqua ossigenata si può usare la soluzione fisiologica). Schegge e frammenti vanno rimossi utilizzando pinzette sterili; corpi estranei voluminosi o molto conficcati non vanno rimossi per il rischio d’emorragia grave.
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Disinfezione Disinfezione: disinfettare soltanto con soluzione antisettica non usare - per gli inconvenienti che determinano - ovatta, alcol, polvere antibiotica Ferita superficiale: disinfezione La disinfezione è un intervento finalizzato a limitare la contaminazione microbiologica della ferita. Passando sui bordi un disinfettante, come quando, nella pulizia, si rimuovono le impurità ed i corpi estranei dalla ferita, usare sempre una garza sterile e mai ovatta. L’ovatta spesso lascia sulla ferita le sue caratteristiche sfilacciature; questi filamenti possono ritardare e limitare la formazione della crosta e quindi costituire una breccia pericolosa alle infezioni. L’alcol denaturato ha, invece, scarso potere battericida ed un’azione fortemente irritante sugli stati cutanei e mucosi lesionati. La polvere antibiotica, spesso usata come disinfettante direttamente sulla parte lesa, può dare reazioni allergiche pericolose, resistenze ai farmaci stessi, ostacolare la formazione fisiologica della crosta.
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Medicazione Medicazione: coprire la ferita con garze sterili o altro materiale sterile per: prevenire un’infezione arrestare l’emorragia Ferita superficiale: medicazione La medicazione con garze sterili impedisce alla ferita di contaminarsi dopo esser stata disinfettata; la medicazione facilita anche la coagulazione del sangue e il successivo consolidamento del coagulo in crosta grazie all’intreccio a maglie fitte della garza che ostacola meccanicamente il deflusso del sangue e affretta la formazione del coagulo. Anche nella disinfezione e nella medicazione occorre proteggersi dal rischio di contagio; quindi, è indispensabile in questa fase non sfilarsi i guanti.
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Medicazione (continua)
Fasciare con bende - non è necessario che siano sterili - per tenere a posto la medicazione. Se continua il sanguinamento: sollevare l’arto aggiungere un’altra fasciatura applicare ghiaccio o pacco refrigerante (segue) Ferita superficiale: medicazione Le bende sono strisce di garza avvolte a rotolo, che si utilizzano per tenere a posto la medicazione. A differenza delle garze sterili, usate nella medicazione, il materiale per il il bendaggio non è necessariamente sterile. Si procede in questa fase arrotolando sulla medicazione la striscia di garza, che così avvolge e stringe la medicazione sull’area della ferita (fasciatura); nel far questo: far aderire bene i lembi della benda intorno alla medicazione, in modo che questa non si muova o scivoli; evitare, allo stesso tempo, di stringere troppo la benda, per permettere un un buon afflusso locale di sangue. La fasciatura della ferita protegge la medicazione, favorendo la difesa contro le infezioni della ferita, e potenzia l’azione della medicazione di tamponamento dell’emorragia (emostasi); se, però, continua la perdita di sangue (controllare il diametro della chiazza rossa sulla fasciatura!), non rimuovere mai la medicazione fatta, ma aggiungere altri giri di benda o/e usare degli accorgimenti – sollevamento dell’arto ferito; compressione sulla ferita; applicazione di ghiaccio – che rallentano l’afflusso in zona di sangue. Anche nella fasciatura occorre proteggersi dal rischio di contagio; quindi, è indispensabile in questa fase non sfilarsi i guanti. È infine importante rammentare all’infortunato di verificare il proprio stato di copertura vaccinale contro il tetano. Importante! Controllare la regolarità della vaccinazione antitetanica
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Ferita profonda delle estremità
Una ferita profonda agli arti o del collo può produrre una lesione arteriosa (getto abbondante rosso vivo intermittente); in questi casi occorre avviare il trattamento prioritario dell’emorragia! Ferita profonda delle estremità La gravità di una semplice ferita cutanea - (se questa non è accompagnata da altre complicazioni locali come ad esempio fratture, o generali come ad esempio disturbi della coscienza) – dipende dalla profondità della lesione e dal coinvolgimento del sistema circolatorio sottostante: più la lesione è penetrante maggiore è la probabilità di danneggiare un’arteria. Quando, pertanto, in una ferita cutanea degli arti o del collo è lesionata un’arteria di grosso calibro, prima di medicarla và data la precedenza al trattamento dell’emorragia.
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di una ferita profonda delle estremità:
TRATTAMENTO di una ferita profonda delle estremità: evitare con mezzi barriera (guanti monouso; visiera paraschizzi) il contatto col sangue sdraiare a terra l’infortunato in posizione antishock esporre la ferita scoprendola tamponare l’emorragia, premendo con forza sulla ferita (pressione diretta) e poi… a monte del decorso del vaso leso (punti di compressione specifici) avvisare il 118 che è atto un’emorragia arteriosa con l’emorragia sotto controllo pulire, disinfettare, medicare la ferita Trattamento delle ferite profonde delle estremità Nel trattamento di una ferita profonda delle estremità – siccome la semplice medicazione non è in grado bloccare l’emorragia e, quindi, per ottenere l’emostasi occorre provvedere a tamponare la falla emorragica - è prioritario: evitare il contatto diretto con il sangue e proteggersi dal rischio di contagio con il sangue dell’infortunato con i presidi di protezione individuali (mezzi barriera): guanti monouso e visiera paraschizzi; mettere l’infortunato in posizione antishock per permette rapidamente un’adeguata irrorazione degli organi nobili (cervello e cuore); tamponare l’emorragia con la pressione diretta e poi, se è necessario, utilizzare i punti di compressione specifici fino ad arrestarla o fino all’arrivo dell’ambulanza; chiamare o dare indicazione ad altri d’allertare il 118, riferendo che si sta tamponando un’emorragia arteriosa di un grosso vaso. Solo se l’emorragia è sotto controllo si passa, con una procedura simile a quella delle ferite semplici, a trattare specificamente la ferita. fino ad arrestarla / fino all’arrivo dell’ambulanza
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Uso del laccio emostatico
ATTENZIONE!: l’uso del laccio è molto rischioso per l’arresto d’irrorazione nei tessuti a valle • impiegare il laccio solo in casi estremi! in particolare con: emorragia irrefrenabile fratture esposte amputazioni Indicazioni all’uso del laccio emostatico L’uso del laccio emostatico in un ferita grave alle estremità è un provvedimento d’estrema ratio, che ha una precisa indicazione soltanto quando con le altre manovre non si è avuto successo come può verificarsi in caso di un’emorragia da un grosso vaso arterioso (es. l’arteria femorale), in caso di fratture esposte con perdita di sangue a getto, amputazioni di grandi estremità (es. gamba). Per la procedura d’impiego si rimanda a quanto nel dettaglio è esposto per il trattamento delle emorragie arteriose.
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Procedura d’uso del laccio emostatico
• mantenere il laccio • trascrivere sulla pelle dell’infortunato l’ora di applicazione del laccio per comunicarlo al personale dell’ambulanza • continuare la stretta fino all’arrivo dell’ambulanza Procedura per l’uso del laccio emostatico La procedura d’impiego del laccio emostatico è esposta nel dettaglio nella trattazione dell’emorragia arteriosa, a cui si rimanda. Anche la sequenza d’impiego del laccio - trascrizione sulla pelle dell’infortunato dell’ora di applicazione del laccio, suo posizionamento e mantenimento fino al sopraggiungere degli operatori sanitari d’emergenza – è approfondita nella trattazione dell’emorragia arteriosa, a cui si rimanda.
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Ferite gravi del torace e dell’addome
In questo capitolo tratteremo delle ferite gravi del torace e dell’addome.
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Ferite gravi del torace
Nelle ferite gravi del torace il compito del soccorritore è quello di cercare i segni d’allarme di un killer silenzioso Ferite gravi del torace Una delle conseguenze più gravi del trauma del torace è la lesione di una o più coste che può determinare una breccia nella parete toracica, creando una comunicazione fra torace e l’esterno e quindi l’afflusso d’aria nella cavità pleurica (pneumotorace). La falda d’aria nelle cavità pleuriche ostacola i movimenti ventilatori dei polmoni - per cui il ferito respira con difficoltà - e può produrre una grave insufficienza respiratoria, fino al collasso polmonare ed al tamponamento dell’attività cardiaca (pneumotorace ipertensivo). Il pneumotorace (PNX) è una delle principali cause di morte nei traumi gravi, e, assieme all’emorragia, è la più importante causa di morte prevedibile: per questo il PNX è stato paragonato ad un killer molto pericoloso perché, a differenza dell’emorragia, colpisce le sue vittime in silenzio.
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Ferite gravi del torace Segni d’allarme
Segni maggiori Aumento della frequenza respiratoria asimmetrie toraciche, riduzione delle escursioni, movimenti paradossi della parete rientramento di una parte del costato in ispirazione (“volet costale”) perforazione toracica con fuoriuscita di schiuma, liquido rossastro, accompagnato da un gorgoglio (“ferita soffiante”) Ferite gravi del torace – segni d’allarme Di rilevante importanza è l’aumento della frequenza ventilatoria: una normale frequenza varia tra 10 e 20 atti al minuto; una ventilazione con una frequenza maggiore di 20 è da considerarsi alta ed indice – oltre che di trauma toracico - di pneumotorace e di shock. Altri segni di un trauma del torace da ricercare possono essere legati ad una frattura costale, che determina un’alterazione della forma della parete (asimmetrie) e una riduzione localizzata dei movimenti del torace o, a volte, un movimento paradosso della parete toracica, per cui la parte lesa, quando il soggetto inspira, rientra invece di espandersi ed a volte sporge in espirazione (“volet costale”). Nella perforazione toracica, oltre al foro sul costato, si nota sul fianco ferito la fuoriuscita di schiuma o liquido rossastro, accompagnato da un gorgoglio della ferita (“ferita soffiante”).
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Altri segni Dolore toracico
Ferite gravi del torace: (segue) Altri segni Dolore toracico spontaneo nell’area traumatizzata del torace, accentuato dai movimenti respiratori alla palpazione dell’area traumatizzata lesioni della parete toracica (ferita cutanea con aree circostanti di ecchimosi) Ferite gravi del torace – altri segni Altri segni di ferite gravi del torace sono il dolore toracico (il dolore è spontaneo nell’area traumatizzata ed è accentuato dai movimenti respiratori; esso si evoca anche alla palpazione dell’area traumatizzata) e la presenza di segni di lesione della parete toracica (come ad esempio ferite cutanee ed ecchimosi); essi diventano molto importanti nella valutazione della gravità di un trauma toracico quando si associano ad uno dei segni maggiori.
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Ferite gravi del torace: (segue) Valutazione del soggetto
Il soccorritore, per valutare la gravità di un trauma del torace, ispeziona il torace e valuta il respiro Osservando forma e movimento del torace Palpando il torace, ascoltando fremiti e fruscii Contando la frequenza respiratoria Per comodità mnemonica su ricorda la sigla OPaC. Ferite gravi del torace – valutazione della vittima Per valutare rapidamente la presenza di segni di traumi gravi del torace è consigliabile eseguire in sequenza le operazioni di osservazione (osservare forma e movimento del torace), palpazione del torace e di ascolto dell’attività respiratoria (contando il numero di atti respiratori in un minuto) utilizzando l’acronimo OPaC, costituito dalle iniziali di ogni fase valutativa.
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Ferite gravi del torace: (segue) TRATTAMENTO
Avvisare prioritariamente il 118 se con l’OPaC si rilevano segni d’allarme da trauma grave, e poi coprire l’eventuale foro nella parete di una “ferita soffiante” con una compressa sterile e fissarla con un cerotto sostenere con la propria mano il lato traumatizzato aiutare il ferito a trovare una posizione confortevole la posizione semiseduta di solito è la migliore portare il braccio del lato colpito sulla parete toracica fasciandolo con un triangolo (“fasciatura ad armacollo”) richiedere al 118 il trasporto del ferito in ospedale Ferite gravi del torace – trattamento Nel trauma del torace, se con l’OPaC non si rilevano segni d’allarme maggiori, probabilmente il danno prodottosi è legato ad una frattura costale semplice. Essa può essere trattata con delle manovre di bloccaggio del torace - sostegno con la mano del soccorritore del lato traumatizzato del torace; posizionamento del ferito in posizione antalgica semiseduta; posizionamento del braccio del soggetto ferito sul lato colpito della parete toracica e fasciatura con un triangolo (“fasciatura ad armacollo”) - che impediscano che le escursioni causino dolore. Queste misure rendono più agevole il trasporto del ferito in ospedale per ulteriori trattamenti sanitari. Un grave trauma del torace oltre al pneumotorace può provocare danni agli organi addominali (milza e fegato) in aggiunta ai danni degli organi contenuti nel torace (polmoni, pleure, cuore, grandi vasi); ma sono tutte ferite chiuse, per cui il ruolo del soccorritore è quello di allertare il sistema territoriale 118 e, nell’attesa, praticare le manovre di bloccaggio del torace al solo scopo antidolorifico. Aspettando l’ambulanza, un intervento specifico che il primo soccorritore può avviare in una “ferita soffiante” è quello di coprire il foro rilevato nella parete con una compressa sterile e fissarla con un cerotto per evitarne la contaminazione batterica.
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Ferite gravi dell’addome
Dovute ad oggetti penetranti in parete o perforanti da parte a parte l’addome, che provocano lesioni più gravi dei traumi contusivi Ferite aperte Dovute di solito a traumi contusivi, che provocano lacerazioni o rotture di organi o vasi contenuti in cavità Ferite chiuse Un trauma a livello addominale produce lesioni di 2 tipi: Ferite gravi dell’addome Le lesioni addominali si classificano in due tipologie specifiche: le ferite addominali chiuse sono dovute a traumi contusivi, che provocano in cavità lacerazioni o rotture di vasi sanguigni o/e di organi addominali, determinando, quindi, emorragie interne gravi ed insidiose; le ferite addominali aperte, le quali sono a loro volta suddivise, in base all’azione lesiva degli agenti causali, in ferite penetranti, prodotte oggetti taglienti (lame, lamiere, schegge di vetri, etc.) che attraversano la parete conficcandosi in addome, producendo lesioni su vasi ed organi intercettati lungo il tragitto e gravi emorragie esterne; ferite perforanti, in cui l’agente lesivo attraversa da parte a parte l’addome; i colpi d’arma da fuoco sono le cause più frequenti di questo tipo di ferite ed hanno un potere lesivo su organi e vasi maggiore non solo per l’imprevedibilità del tragitto (raramente un proiettile ha una traiettoria rettilinea nel corpo in cui penetra), ma anche per la maggiore potenza con cui l’agente lesivo attraversa il corpo. È molto importante, quindi, sul piano della previsione di gravità di una ferita all’addome, che il soccorritore sia in grado di descrivere il tipo ferita all’addome, quando allerta il 118.
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Segni di trauma addominale
I segni principali sono: il dolore addominale, accompagnato da nausea, vomito, tosse con emissione di sangue segni iniziali di shock emorragico (sete, senso di spossatezza) segni di lesione specifici dell’agente traumatico ecchimosi e lividi da contusione lacerazioni, ferite penetranti, fori d’entrata e d’uscita Ferite gravi dell’addome - segni di trauma addominale Il dolore addominale ed i segni di contusione sono indicativi di un trauma addominale, ma spesso lo stesso paziente trascura questi segni, perché non sono molto evidenti al loro esordio; quando a questi si aggiungono quelli legati all’emorragia interna, le probabilità di successo del successivo trattamento sanitario si riducono drammaticamente: per questo il primo soccorritore, ricostruendo un’accurata dinamica del trauma, può fornire all’operatore del 118 utili elementi per sospettare un meccanismo di lesione idoneo a causare un trauma addominale chiuso prima che s’instauri lo shock. In caso di traumi penetranti o perforanti, l’evidenza delle lesioni rende fin troppo scontato l’intervento precoce del sistema 118.
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delle ferite addominali chiuse
TRATTAMENTO delle ferite addominali chiuse ridurre il dolore, rilassando la parete addominale sdraiare il traumatizzato e piegargli le gambe sulle cosce a ginocchia flesse non dargli da bere, anche se ha sete garantirgli l’apertura delle vie aeree in caso di vomito allertare il 118 per trasferirlo rapidamente in ospedale e trattare, se insorge, lo shock Ferite gravi dell’addome – trattamento delle ferite “chiuse” In attesa dell’arrivo dell’ambulanza, oltre alle misure sommariamente elencate di prima risposta allo shock emorragico, a cui si rimanda per una più dettagliata trattazione, di specifico nel trauma chiuso dell’addome si può far eseguire al traumatizzato la manovra di flessione delle gambe sulle cosce a ginocchia flesse, che distendendo i muscoli della parete addominale, riduce il dolore in questo paziente. E’ altresì importante garantire l’apertura delle vie aeree ed allertare il 118. E’ assolutamente vietato dare da bere alla vittima, anche se questa ha sete.
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delle ferite addominali aperte
TRATTAMENTO delle ferite addominali aperte come in quelle chiuse, allertato il 118 per trasporto rapido in ospedale sdraiare il traumatizzato, piegargli le gambe sulle cosce; non dargli da bere; garantire le vie aeree se vomita coprire la breccia della parete con medicazione occlusiva tenere caldo l’addome coprendolo Ferite gravi dell’addome – trattamento delle ferite “aperte” Nelle ferite addominali aperte, dopo avere allertato il 118 per il trasporto rapido in ospedale del traumatizzato, bisogna far sdraiare la vittima a terra - come nelle ferite addominali chiuse – con le ginocchia flesse sull’addome; questa manovra riduce il dolore in questo paziente. Anche in questi casi non bisogna far bere il soggetto e se vomita occorre garantire la pervietà delle vie aeree. L’intervento specifico sulla ferita mira a chiudere la breccia con una medicazione occlusiva; a diretto contatto della breccia applicare una medicazione sterile imbevuta di soluzione fisiologica, facendo attenzione a non toccare l’organo eventualmente esposto nel corso della medicazione. Per tenere gli organi addominali al caldo ed evitare una pericolosa termodispersione attraverso la breccia, occorre coprire bene la medicazione.
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Amputazione Amputazione
In questo capitolo tratteremo dell’amputazione.
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Amputazione Il distacco di parti del corpo in seguito ad un evento traumatico può essere distinto... Amputazione La distinzione in base al tipo di distacco è importante per il soccorritore nella gestione del moncone mozzato di netto o parzialmente tranciato, in quanto nel primo caso è molto importante il recupero della parte asportata, per poter poi tentare, nelle sedi idonee, il reimpianto chirurgico; nel caso di un’amputazione parziale il problema del reimpianto è meno grave in quanto il moncone è ancora in parte irrorato. La sede del danno influisce sulla gravità dell’evoluzione dell’emorragia, imponente e di difficile contenimento nell’amputazione di un arto, contenibile con maggior facilità nelle amputazioni delle dita. in amputazione… delle dita degli arti Sede del danno parziale totale Tipo di distacco …in base a
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Amputazione di un arto In caso di distacco totale o parziale di un arto il primo soccorritore deve in sequenza: chiamare il 118 arrestare l’emorragia recuperare la parte amputata dopo aver trattato l’infortunato Amputazione di un arto Nell’amputazione di un arto, come nel trattamento di una ferita profonda delle estremità, è prioritario bloccare l’emorragia, proteggendosi dal rischio di contagio con i presidi individuali di protezione (guanti monouso e visiera paraschizzi); per il rischio di una rapida evoluzione in shock delle condizioni del ferito, porlo sempre posizione antishock e tenerlo disteso fino all’arrivo dell’ambulanza. Da sottolineare che l’uso del laccio emostatico, pur se è indicato, in questi casi vale la pena evitarlo; si consiglia, quindi, di tentare prima di tamponare l’emorragia con la compressione diretta o a distanza; qualora con queste manovre non si riuscisse a tamponarla, preferire l’uso del bracciale dell’apparecchio della pressione, in dotazione nei presidi di pronto soccorso. Anche nell’amputazione la priorità delle priorità è la chiamata del 118, al quale l’operatore dovrà riferire o far riferire che si sta tamponando un’emorragia arteriosa da amputazione d’arto.
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Recupero del segmento amputato
Per l'eventuale reimpianto: riprendere la parte amputata dopo una prima pulizia medicarla con garze sterili trasportarla in ospedale in un contenitore refrigerato imbustando il pezzo in un involucro di plastica o in una benda evitando il suo contatto diretto con il ghiaccio Amputazione di un arto - Recupero del segmento amputato Il tempo utile per il reimpianto della porzione di arto amputato è di 6-8 ore: per questo il recupero di questi segmenti può avvenire anche dopo il trasferimento d’urgenza del paziente amputato in ospedale. La parte amputata va pulita sciacquandola con acqua o soluzione fisiologica, avendo cura soprattutto di rimuovere lo sporco presente, senza disinfettarla con alcool, tintura di iodio, altri disinfettanti. La sezione amputata andrà medicata come una comune ferita, coprendola con garze sterili inumidite con soluzione fisiologica. Per il trasporto imbustare il pezzo amputato in un sacchetto di plastica o, se manca, avvolgendolo più volte un una benda; inserire l’involucro così confezionato in un altro contenitore in cui si è collocato del ghiaccio per refrigerarlo, evitando che il pezzo sia a contatto diretto con il ghiaccio.
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Amputazione delle dita
In questi casi arrestare l’emorragia con la sola compressione della mano sul punto di sanguinamento recuperare il segmento amputato come per le amputazioni maggiori trasportare infermo e frammento in ospedale per il reimpianto Amputazione delle dita Le amputazioni delle dita si gestiscono con minor difficoltà di quelle degli arti. L’emostasi del moncone sanguinante si raggiunge con la compressione diretta e dopo, quando si riduce lo sgocciolamento, medicando e fasciando la ferita con un tamponamento compressivo. Riguardo al reimpianto del frammento amputato, anche se il tempo utile per l’intervento di microchirurgia è di ore, il recupero richiede la stessa procedura delle grosse amputazioni: la parte amputata va pulita sciacquandola con acqua o soluzione fisiologica senza disinfettarla; il frammento, avvolto in garze sterili inumidite con soluzione fisiologica, va trasportato in un sacchetto di plastica inserito a sua volta in un involucro più grande refrigerato, avendo cura di non esporre a contatto diretto del ghiaccio il pezzo recuperato.
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Amputazione Esiti di amputazione subtotale a livello della falange prossimale del secondo dito mano sinistra Amputazione delle dita Nell’immagine è rappresentato un radiogramma che illustra gli esiti di una amputazione subtotale a livello della falange prossimale del secondo dito della mano sinistra.
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Traumatologia Traumatologia
In questo capitolo verranno trattati i seguenti argomenti: Fratture, distorsioni, lussazioni Trauma cranico Traumi della colonna vertebrale
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Fratture, distorsioni, lussazioni
I corpo umano è sostenuto e protetto una struttura rigida, lo scheletro, che contribuisce a: conferirgli la forma caratteristica consentire alle sue varie componenti, connettendosi ai muscoli, di concorrere funzionalmente al movimento. Lo scheletro è composto da numerosi elementi duri e resistenti, le ossa, fra loro in reciproco contatto mediante specifici sistemi di raccordo e di snodo denominati articolazioni. Una forza applicata allo scheletro, se è particolarmente intensa, induce sulle sue componenti ossee o/e articolari lesioni chiamate traumi, che a seconda della componente interessata sono distinte in: fratture distorsioni lussazioni.
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Frattura Definizione: rottura di un osso che determina una interruzione parziale o toltale della sua continuità. Fratture - definizione Il termine frattura si usa per indicare la determinazione di una interruzione nella continuità materiale di un osso (rottura, incrinatura). Di solito una frattura, se non è complicata da un’intensa emorragia, non comporta una situazione d’emergenza.
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Classificazione per tipo di lesione
in cui i frammenti ossei, per una lesione del rivestimento cutaneo, sono in comunicazione con l’esterno esposta in cui la pelle sopra la lesione non è lesa, non consente all’osso, quindi, una comunicazione con l’esterno chiusa si spostano dalla loro sede scomposta restano in sede fra loro incastrati composta interruzione dell’osso a tutto spessore in cui i monconi Fr. completa parziale interruzione della continuità ossea Frattura (fr.) incompleta tipo di lesione Denominazione Classificazione per tipo di lesione Fratture - classificazione Una prima distinzione delle fratture, molto importante sul piano clinico, è quella che le raggruppa in: fratture incomplete, dette anche infrazioni, in cui la lesione interessa una parte dello spessore osseo; fratture complete, in cui l’osso è interrotto a tutto spessore; a loro volta queste fratture sono distinte in composte, quando i monconi lesi restano in sede fra loro ingranati, scomposte, in cui i monconi si spostano dalla loro sede naturale. Se la pelle sovrastante alle fratture resta integra, si dice che la frattura è chiusa; si indica come frattura esposta quella in cui i frammenti ossei sono in comunicazione con l’esterno a causa della lesione del rivestimento cutaneo. Infine, le fratture comminute (dal latino comminutus, “stritolato”), come mostra la stessa etimologia del termine, indicano quelle lesioni traumatiche dell’osso nelle quali questo è frantumato in più frammenti. Fr. frantumazione dell’osso in più frammenti Fr. comminuta
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Frattura della tibia e del perone
Frattura scomposta pluriframmentaria della parte distale della tibia e del perone di sinistra Fratture scomposte Nell’immagine è rappresentato il radiogramma relativo ad una frattura scomposta pluriframmentaria della parte distale della tibia e del perone di sinistra. La frattura si è verificata in seguito ad un infortunio sul lavoro con precipitazione da circa 2 metri. Nella foto a destra sono evidenti i segni dell’esostosi.
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Segni Nella regione traumatizzata compaiono
dolore vivo, incrementato da ogni tentativo di movimento gonfiore deformazione rispetto all'altra parte del corpo mancata funzionalità della parte traumatizzata scrosci, mobilità anomala Nella regione traumatizzata compaiono Fratture - segni Soccorrendo un traumatizzato bisogna sempre considerare che i segni rivelatori di un’eventuale frattura possono confondersi con quelli molto simili di patologie meno gravi quali le distorsioni e le lussazioni: anche in questi casi vale la regola di ipotizzare l’eventualità più grave e comportarsi di conseguenza. Il dolore è segno più importante di un trauma; il dolore di una frattura, spontaneo e forte, è sempre localizzato nell’area traumatizzata, s’accentua per contatti nella sede della lesione ad opera dell’infortunato o dei soccorritori ed ogni tentativo di movimento; appunto per questo il traumatizzato si pone in posizione antalgica nel tentativo di non evocare il dolore. Anche quando è isolato, il dolore in un traumatizzato non và trascurato, ma preso sempre in considerazione come evento sentinella di un possibile evento patologico da verificare mediante specifici accertamenti. Altri segni importanti sono la tumefazione, il maggior rigonfiamento per la formazione dell’ematoma, e la deformazione della parte colpita rispetto a quella sana, che compaiono subito dopo il trauma e s’incrementano a distanza, dando alla regione un aspetto inconsueto. La mancata funzionalità della parte lesa è segno di un danno più serio; compare successivamente al trauma o, nei traumi più gravi, subito dopo l’incidente assieme ai segni prima descritti e con l’aggiunta di altri - mobilità anomala, per frattura completa dell’osso; scrosci (rumori brevi e secchi prodotti dal reciproco sfregamento dei monconi ossei) – testimoni molto attendibili del maggior danno in caso di trauma.
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Primo soccorso delle fratture
Valutare la scena del soccorso e la dinamica del trauma le condizioni generali del traumatizzato scoprire la parte lesa, tagliando i vestiti con le forbici come nella medicazione delle ferite immobilizzare nella posizione in cui si trova la parte lesa con strumenti di contenimento (steccaggio ) non tentare manovre di riduzione per il rischio di lesioni vascolari e neurologiche esposizione della ferita valutazione primaria valutazione secondaria Fratture - primo soccorso Quando si soccorre un traumatizzato la prima regola è l’autoprotezione del soccorritore, che comincia già in fase di richiesta di soccorso, con la predisposizione dei dispositivi di protezione individuali, e continua al momento del soccorso con la valutazione della scena (procedura che permette di evitare azioni pericolose per i soccorritori e di decidere quali sistemi e quali dispositivi di protezione impiegare). In caso di di trauma localizzato, inoltre, prima d’intervenire sulla lesione evidente è molto importante eseguire un esame globale dell’evento traumatico, che, partendo dalla valutazione della dinamica dell’incidente, ricerchi altri danni potenziali ed assicuri al traumatizzato la protezione delle funzioni vitali ed il trattamento di eventuali patologie comportanti rischi e pericoli per la vita dell’infortunato (valutazione delle condizioni generali del traumatizzato). Queste azioni devono precedere sempre il trattamento del danno manifesto e fanno parte della valutazione primaria del traumatizzato. Si passa alla fase successiva, la valutazione secondaria, solo se la valutazione primaria non ha richiesto una specifica risposta. Infine, il primo soccorritore, in caso di trauma localizzato, ha un preciso compito: immobilizzare la parte lesa per ridurre il dolore; è importante, nell’immobilizzazione, non attuare manovre di riposizionamento in asse di monconi di un osso che abbiano perduto la normale disposizione (manovra di riduzione), per il rischio di lesioni vascolari e neurologiche e di esposizione della ferita. controllo del dolore
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Steccaggio Lo steccaggio - l’applicazione di stecche, docce e ed altri strumenti di contenimento - è il metodo usato per immobilizzare fratture, lussazioni o distorsioni Fratture - primo soccorso (steccaggio) Lo steccaggio, l’applicazione, cioè, di stecche, docce ed altro (il termine di stecca si usa senza distinzione, riferito a qualsiasi strumento, anche di fortuna, di contenimento) è il metodo da impiegare per immobilizzare allo stesso modo fratture, lussazioni o distorsioni.
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Alcune regole nello steccaggio
dare una buona stabilità allo steccaggio mettendo spessori o imbottiture d’ovatta nello spazio morto fra stecche e pelle tener fermi due monconi rotti bloccando le articolazioni dei capi dell’osso per bloccare un’articolazione fare uno steccaggio esteso alle ossa immediatamente sovrastanti e sottostanti Fratture - primo soccorso (steccaggio) Nello steccaggio bisogna sempre mettere fra strumento di contenimento e pelle, nello spazio morto residuo, spessori ed imbottiture di cotone ed altro materiale di riempimento; l’eliminazione dello spazio morto ha il duplice scopo di: favorire una migliore aderenza delle stecche al corpo limitare l’effetto compressivo provocato dalla stecca sul corpo. Lo steccaggio si completa tenendo conto anche che occorre: bloccare sempre a monte ed a valle i capi articolari e le rispettive articolazioni se si vuole tener fermi due monconi rotti; coinvolgere anche le ossa immediatamente sovrastanti e sottostanti, se il trauma riguarda un’articolazione.
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Alcune regole nello steccaggio (segue)
immobilizzare il tratto traumatizzato nella posizione in cui si trova bloccare le stecche con legature poste mai sull’area traumatizzata sempre sopra e sotto ad essa (segue) Fratture - primo soccorso (steccaggio) bloccare le stecche ancorandole con legature sempre sopra e sotto l’area traumatizzata e mai sulla stessa area; immobilizzare il tratto traumatizzato sempre nella posizione in cui si trova, senza, cioè, tentare di ridurre la frattura o allineare le parti.
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Alcune regole nello steccaggio (segue)
fasciare la frattura ed il supporto di steccaggio con una benda iniziando l’operazione dal punto più distante dal tronco avvolgendo le fasce abbastanza strette per un buon bloccaggio senza esagerare per non ostacolare localmente l’afflusso di sangue nella medicazione degli arti lasciare libere e scoperte le dita per controllare l’irrorazione periferica (segue) Fratture - primo soccorso (steccaggio) iniziare la fasciatura dal punto più distante dal tronco e procedendo verso la parte più interna della regione traumatizzata, provvedendo, così, a stabilizzare la stecca montata; avvolgere le fasce senza determinare, a causa di un bendaggio eccessivamente stretto, un ostacolo alla circolazione periferica a valle del trauma; nella medicazione delle fratture degli arti - per permettere la successiva verifica di eventuali problemi d’irrorazione a valle a causa di fasciature troppo strette - lasciare libere le dita per il controllo del loro colorito; se le dita diventano fredde e violacee è segno che, anche a causa della progressiva tumefazione dei tessuti, la stecca è diventata troppo stretta.
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Alcune regole nello steccaggio (segue)
per ridurre il successivo gonfiore tenere sollevata più in alto del cuore la regione traumatizzata sulla stessa area applicare del freddo (con il sacchetto di ghiaccio pronto uso o con altri sistemi) …(segue) per ridurre il successivo gonfiore causato dallo stravaso ematico e dal conseguente ematoma cercare di tenere sollevata più in alto del cuore la regione traumatizzata; applicare sull’area traumatizzata del freddo (con il sacchetto di ghiaccio pronto uso o con altri sistemi), sfruttando l’azione vasocostrittrice del freddo.
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Immobilizzazione senza stecche
Nelle immobilizzazioni provvisorie con un’altra parte del corpo si può bloccare una gamba steccandola con l’altra sana un braccio addossandolo al torace con una fasciatura adesiva contenerlo nel triangolo di tela ancorato sulla spalla opposta, passante sotto il braccio opposto e pendente sul torace (bloccaggio ad armacollo) Fratture - primo soccorso (immobilizzazione senza stecche) Per un’immobilizzazione provvisoria si possono usare alcuni espedienti che fanno a meno delle stecche ed utilizzano parti sane del corpo del traumatizzato: si può immobilizzare una gamba steccandola con l’altra sana; si può steccare un braccio: immobilizzandolo al torace con una fasciatura adesiva contenendolo nel triangolo di tela, che si fa pendere sul torace ancorato sulla spalla opposta, passante sotto il braccio opposto (bloccaggio ad armacollo).
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Frattura esposta La frattura esposta è la lesione traumatica in cui i frammenti ossei, per una lacerazione del rivestimento cutaneo, sono in comunicazione con l’esterno. Frattura esposta - definizione Come si diceva nella pagina sulle classificazione delle fratture, quando una una tale lesione è in comunicazione con ambiente esterno a quello corporeo, si definisce esposta.
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Dinamica di un’esposizione
La comunicazione con l’esterno dei frammenti ossei, l’esposizione di una frattura, si crea per una lesione del rivestimento cutaneo sovrastante prodotta da Esposizione di una frattura La comunicazione con l’esterno dei frammenti ossei, in una frattura esposta, si crea per una lesione del rivestimento cutaneo sovrastante prodotta da: un moncone osseo perforante che lacera i rivestimenti sovrastanti ed affiora all’esterno, sulla cute; una ferita cutanea perforante (ad es. quella prodotta da un colpo d’arma da fuoco), che attraversa gli strati cutanei e dermici sottostanti e frantuma l’osso al suo impatto. sottostanti per raggiungere in profondità la superficie ossea una ferita cutanea perforante sovrastanti per affiorare all’esterno che lacera gli strati un moncone osseo
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Rischi di un’esposizione
Una frattura esposta può favorire diverse complicazioni: emorragie incontrollabili lesioni a nervi e vasi embolia (da trombi, grasso, frustoli ossei) contagio della ferita Frattura esposta - complicanze Molto più di una frattura chiusa, una frattura esposta può determinare pericolose complicazioni. Il primo problema nell’esposizione è l’emorragia per il rischio sempre presente di shock emorragico; ma in una frattura aperta la compressione diretta sulla ferita scompone ancor più i frammenti ossei, aggrava il dolore, produce ulteriori danni a vasi e nervi - scatenando una più imponente emorragia, producendo o accentuando lesioni delle terminazioni nervose -, può innescare un’embolia adiposa. Comunque, il controllo dell’emorragia è prioritario in attesa di personale specializzato; pertanto, va contrastata ricorrendo alla compressione a distanza (ved. emorragie). La lesione di vasi e nervi, oltre che per manovre incongrue, frequentemente si produce direttamente per la dinamica della frattura. L’ostruzione delle arteriole a valle del punto di lesione (embolia) è causata dalla mobilitazione verso il torrente circolatorio di frammenti minuti di osso o di midollo, di trombi; particolarmente gravi sono le embolie polmonari e cerebrali. Entrambe le complicanze costituiscono ulteriori pericoli nell’immediato ed a distanza nell’evoluzione del trauma. Il rischio di contagio della ferita è peculiare delle fratture esposte: a causa della comunicazione con l’ambiente esterno, numerosi agenti infettivi possono contaminare la ferita e diffondersi ai tessuti circostanti. Un'infezione particolarmente grave che un’esposizione può favorire è la gangrena gassosa; l’infezione dell’osso (osteomielite) è un’altra temibile complicazione.
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Trattamento delle fratture esposte
allertare il 118 controllare l’emorragia con una compressione a distanza coprire la ferita ed il moncone sporgente con medicazione sterile Cosa fare tamponare l’emorragia con una compressione diretta medicare la ferita e l’osso sporgente affondare sottocute i monconi ossei steccare la frattura esposta Cosa non fare Frattura esposta - trattamento In una frattura esposta va evitato con attenzione di toccare l’area traumatizzata, compiendo manovre di tamponamento dell’emorragia e di medicazione della ferita, per scongiurare la sua contaminazione o un’eventuale lesione di vasi e nervi. Per le stesse ragioni, i monconi ossei della frattura, non vanno mai spinti dentro i piani profondi di provenienza. Lo steccaggio di una frattura esposta, inoltre, non va mai praticato dal primo soccorritore, a meno che non si trovi in particolari situazioni ambientali e d’emergenza (luoghi impervi di montagna, in mare, isolamento per catastrofi; etc.). La frattura esposta è una condizione d’instabilità, che facilmente evolve in emergenza; pertanto, preliminare ad ogni trattamento è la chiamata al 118, per l’invio sul posto dei soccorsi professionali. In attesa del pronto soccorso la prima risposta deve mirare a controllare l’emorragia ed ad evitare la contaminazione della ferita; in sequenza si procede: tamponando immediatamente l’emorragia con una compressione a distanza sui cosiddetti punti di compressione specifici, contrastare l’eventuale shock lasciando il paziente disteso; coprendo la ferita ed il moncone sporgente con una garza sterile; in mancanza di tale materiale di medicazione si può usare un fazzoletto o un telo pulito; in questa manovra evitare di toccare la parte esposta e disinfettarla.
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Principi d’immobilizzazione
Sospendere al collo il braccio in flessione e fissarlo al tronco con una fascia Frattura di scapola / clavicola steccare la mano all’avambraccio bloccando il polso ed il gomito; immobilizzare la mano ponendo fra le dita, il palmo e la stecca una garza appallottolata Frattura della mano steccare l’avambraccio col polso per bloccare la mano fissare il braccio in flessione al collo con una fascia a triangolo Frattura dell’avambraccio per le frattura alte: sospendere al collo il braccio in flessione e fissarlo al tronco con una fascia per le frattura basse: non flettere il gomito ed immobilizzare il braccio in estensione Frattura del braccio Principi di immobilizzazione Sono riportati nelle due diapositive che seguono i principi per l’immobilizzazione di alcuni tipi di frattura (scapola e clavicola, braccio, avambraccio, mano, bacino, coscia, gamba, caviglia).
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Principi d’immobilizzazione (segue)
senza sfilare la scarpa, ma slacciandola, bloccare tutto l’arto in estensione steccandolo senza sfilare la scarpa, ma slacciandola, immobilizzare il piede ad angolo retto Frattura di caviglia Frattura di ginocchio / gamba per le frattura alte: attendere il soccorso professionale per le frattura basse: bloccare tutto l’arto in estensione steccandolo Frattura della coscia In attesa del soccorso professionale immobilizzare soltanto le due gambe Frattura del bacino (segue) Principi d’immobilizzazione Sono riportati nella tabella i principi di immobilizzazione in caso di fratture del bacino, della coscia, del ginocchio, della gamba e della caviglia.
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Distorsioni Definizione: lesione di un’articolazione in cui un capo articolare, per un movimento forzato, esce temporaneamente dalla propria sede, danneggiando la capsula ed / o i legamenti. Distorsioni - definizione La distorsione – o storta, nel linguaggio comune - è una lesione dell’apparato capsulo-legamentoso prodotta in un’articolazione da un capo osseo che, per un movimento forzato, esce temporaneamente dalla propria sede: quindi, non vi è spostamento permanente del contatto delle superfici articolari, ma la capsula e/o i legamenti subiscono una lesione temporanea (stiramento / lacerazioni capsulo-legamentose, versamento intrarticolare).
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Lussazioni Definizione: lesione di un’articolazione in cui un capo articolare, per un movimento forzato, esce dalla sede naturale senza poterci rientrare, compromettendo non solo capsula e legamenti, ma a volte anche vasi e nervi. Lussazioni - definizione La lussazione è la lesione di un’articolazione in cui un capo articolare, per un movimento forzato, esce dalla sede naturale e perde permanentemente i normali rapporti con gli altri capi articolari costituenti l'articolazione, compromettendo non solo la capsula ed i legamenti, ma a volte anche i vasi e nervi con conseguenti disturbi vascolari e della sensibilità.
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Segni comuni e distinti di distorsione e lussazione
per perdita del movimento e blocco articolare ---- (assente) ---- mancata funzionalità da rigonfiamento articolare e da perdita degli usuali rapporti articolari da rigonfiamento articolare Deformazione costante, accentuato dal movimento al movimento Dolore lussazione distorsione Segni Segni comuni e distinti di distorsione e lussazione Distorsioni e lussazioni - segni I segni di distorsioni e lussazioni, si è già detto, possono confondersi con quelli di un’eventuale frattura: anche in queste circostanze, in caso di dubbio, vale la regola di ipotizzare l’eventualità più grave e comportarsi di conseguenza. Distorsioni e lussazioni si manifestano con segni comuni, anche se nelle prime sono più sfumati; è comunque importante distinguere le due condizioni per il successivo trattamento. Il dolore nella distorsione è attivato dal movimento, mentre nella lussazione il dolore è costante, localizzato nell’area traumatizzata, e s’accentua col movimento. La tumefazione nella distorsione è limitata, prodotta dalle lesioni capsulo-legamentose e da eventuali versamenti intrarticolari; nella lussazione la deformazione della parte colpita rispetto a quella sana è più evidente per il maggior danno prodotto dall’osso sull’impianto articolare articolare e la perdita degli usuali rapporti articolari che compaiono in questo tipo di trauma. La mancata funzionalità della parte lesa (che spesso manca nella distorsione, mentre è presente nella lussazione per il blocco articolare) è, quindi, il solo segno di danno che permette di distinguere le due patologie. Altre volte nella lussazione possono comparire i segni legati alla lesione di vasi e nervi (formicolii, perdita della sensibilità, disturbi d’irrorazione periferica).
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Primo soccorso di distorsioni e lussazioni
Trattare ogni caso dubbio come una frattura immobilizzare l’articolazione nella posizione assunta subito dopo il trauma assecondando la posizione antalgica dell’infortunato evitando manovre di riduzione dell’osso applicando del freddo (con il sacchetto di ghiaccio pronto uso o con altri sistemi) provvedere a trasportare il soggetto in ospedale per gli accertamenti e le cure necessarie Distorsioni e lussazioni - trattamento Distorsioni e lussazioni si trattano allo stesso modo, rammentando che nel dubbio ogni trauma va considerato come una frattura. Ad ogni modo, se i segni non lasciano dubbi, in questi casi non esiste un’urgenza ed il soggetto infortunato può essere ospedalizzato per gli accertamenti e le cure necessari senza ricorrere all’ambulanza. Allora occorre innanzitutto immobilizzare l’articolazione nella posizione in cui si trova dopo il trauma, assecondando la posizione antalgica dell’infortunato, senza tentare pericolose manovre di riduzione dell’osso. Steccaggio e fasciatura, come nelle fratture chiuse, sono indispensabili per controllare il dolore e limitare la successiva formazione di un ematoma; per le stesse ragioni và applicato del freddo (con il sacchetto di ghiaccio pronto uso o con altri sistemi) nella sede del trauma. Eseguite in sequenza queste operazioni, si deve trasportare direttamente il soggetto in ospedale.
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Trauma cranico Trauma cranico
Per trauma cranico s’indica una qualsiasi situazione che produce danni funzionali o anatomici alle le varie componenti del cranio. Questa patologia è un’evenienza sempre più frequente a causa dei numerosi fattori di rischio a cui, oltre agli infortuni sul lavoro, gli odierni gli stili di vita (spostamenti quotidiani, sensibile aumento degli anziani che vivono soli spesso in ambienti poco sicuri, sport, folla per grandi avvenimenti giovanili, sportivi, politici, etc.) sottopongono la popolazione; secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in Occidente circa due terzi dei traumi cranici sono dovuti ad incidenti stradali; l’altro terzo è dovuto ad incidenti domestici, infortuni sul lavoro e incidenti che avvengono durante manifestazioni di massa o durante la pratica d’attività sportive. Sempre secondo l’OMS, se si conferma nel tempo questa tendenza, circa il cinquanta per cento degli odierni nuovi nati subirà nel corso della sua vita un trauma cranico.
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Strutture bersaglio degli agenti traumatici
Un agente traumatico può indurre danno a livello di: cuoio capelluto ed altri tessuti molli di rivestimento cranio meningi e/o encefalo Strutture bersaglio degli agenti traumatici L’agente traumatico induce danno intercettando le varie componenti del cranio, dagli strati più superficiali fino all’encefalo. Il cuoio capelluto, il rivestimento cutaneo del capo coperto da capelli, è il tessuto più comunemente coinvolto. La struttura scheletrica del capo è il cranio; le sue componenti strutturali coinvolte da eventuali fratture sono sommariamente distinte in volta e base. Le tre membrane sottostanti di natura connettivale che circondano l'encefalo, le meningi, si denominano in successione: dura madre (rivestimento a contatto della scatola cranica); aracnoide (membrana situata tra la dura madre e il foglietto sottostante); pia madre (rivestimento a contatto diretto del tessuto nervoso). Fra le meningi e fra le stesse e cranio si distinguono degli spazi all’interno dei quali possono defluire le emorragie traumatiche; queste zone si denominano in successione: spazio epidurale (tra dura madre e superficie interna del cranio); spazio subdurale (tra dura madre ed aracnoide); spazio subaracnoideo (tra aracnoide e pia madre). Riempie le cavità interne dell’encefalo un liquido limpido e incolore, denominato liquor, che svolge una funzione protettiva meccanica del cervello. L’encefalo - l'insieme delle parti tessuto nervoso contenute nella cavità del cranio comprendente il cervello, il cervelletto e il midollo allungato - è la struttura più più profonda e sensibile che il trauma può coinvolgere, provocando ematomi o lacerazioni.
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Danni da trauma cranico…
Sulle strutture esterne del capo un agente lesivo può provocare contusioni, tumefazioni, ferite lacero-contuse del cuoio capelluto fratture della scatola cranica della volta della base Danni provocati dal trauma cranico sulle strutture esterne del capo Il cuoio capelluto è la struttura principalmente coinvolta da eventi traumatici quali contusioni e ferite lacero-contuse. La scatola cranica è coinvolta da eventuali fratture della volta e della base. Le fratture della volta negli spazi sottostanti possono interessare i vasi meningei e provocare profuse emorragie provocare compressioni delle strutture sottostanti o lacerazioni meningee ed encefaliche quando affondano, quando, cioè, uno o più frammenti ossei si spingono all’interno della cavità cranica, potendo lacerare le membrane sottostanti e penetrare direttamente sull’encefalo. Le fratture della base sono condizioni di particolare gravità potendo causare lesioni di solito mortali dei grossi vasi cerebrali lesioni dei nervi cranici (ottico, facciale, acustico, olfattorio) gravi emorragie per rinorrea ed otorragia liquorrea, vale a dire fuoriuscita di liquor dalle cavità interne del sistema nervoso centrale e dagli spazi meningei, che si associa a rinorrea e otorragie; questo evento favorisce il rischio di una successiva meningite la penetrazione d’aria nella scatola cranica (pneumocefalo) associata a liquorrea, rinorrea ed otorragia.
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(segue) …Danni da trauma cranico
All’interno del cranio un agente traumatico può produrre: ematomi emorragie commozione cerebrale lesioni encefaliche Danni provocati dal trauma cranico sulle strutture interne del capo Nello spazio epidurale, tra dura madre e superficie interna del cranio, può organizzarsi un ematoma epidurale, evento particolarmente insidioso per l’andamento a due tempi con cui si presenta: all’inizio, dopo una perdita di sensi di pochi minuti, il livello di coscienza si ripristina al meglio e, considerato il trauma di scarsa entità, il traumatizzato non ritiene di essere in pericolo; però, dopo qualche ora di benessere (intervallo lucido), le sue condizioni peggiorano fino al coma, che, se non viene prontamente trattato, produce gravi danni irreversibili. L’ematoma subdurale, che si forma tra dura madre ed aracnoide, di solito produce da subito gravi disturbi della coscienza, fino al coma; questa patologia ha un altissimo indice di mortalità (50-75% dei casi). La raccolta di sangue tra aracnoide e pia madre (emorragia subaracnoidea), in assenza di altre complicazioni, di solito non ha un esito grave, dato che, subito dopo il trauma e prima dell’avvio dei deficit neurologici, produce una cefalea molto intensa. Tutte le raccolta di sangue vanno prontamente drenate, in quanto, nell’accrescersi, schiacciano l’encefalo (compressione cerebrale), fino ad indurre un’ipertensione endocranica. La commozione cerebrale è una lesione cerebrale chiusa d’origine funzionale - senza, cioè, danno tessutale - reversibile, che si manifesta con un’iniziale perdita di coscienza di pochi minuti e, poi, evolve in un completo reintegro della normalità neurologica. Infine, se sull’encefalo il trauma determina contusioni o focolai lacero-contusivi, tali lesioni producono esiti gravi o gravissimi, che possono dare esiti altamente invalidanti. intracranici
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Primo soccorso Si basa su due fasi fra loro in sequenza valutazione
trattamento fra loro in sequenza Primo soccorso del traumatizzato cranico Il primo soccorso di un trauma cranico si articola su due fasi fra loro in stretta e fluida sequenza: la fase di valutazione la fase di trattamento.
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Fase di valutazione della scena del soccorso della dinamica del trauma
delle condizioni generali del traumatizzato, compresi i disturbi neurologici dei danni specifici valutazione primaria Primo soccorso del traumatizzato cranico: fase di valutazione Anche nel primo soccorso di un trauma cranico la prima regola è la valutazione della scena (questa procedura permette di evitare azioni pericolose per i soccorritori e di decidere quali sistemi e quali dispositivi di protezione impiegare) e l’autoprotezione del soccorritore con l’uso di specifici dispositivi di protezione individuali. Altrettanto importante, in questi casi, è la valutazione della dinamica dell’incidente che permette di poter prevedere lesioni o complicazioni poco evidenti o non ancora manifeste. Inoltre, prima d’intervenire sulla lesione evidente è molto importante eseguire una valutazione delle condizioni generali del traumatizzato ovvero un esame globale del traumatizzato, alla ricerca di altri danni potenziali, che gli assicuri la protezione delle funzioni vitali ed il trattamento di eventuali patologie comportanti rischi e pericoli per la vita dell’infortunato. Queste azioni fanno parte della valutazione primaria del trauma cranico e devono precedere sempre il trattamento del danno manifesto; l’esecuzione della valutazione primaria - essendo finalizzata al trattamento tempestivo delle condizioni che compromettono la sopravvivenza del traumatizzato - deve essere rapida, non richiedere più di 90 secondi, e non necessita dell’impiego di strumenti o attrezzature. I dati della valutazione devono poi esser comunicati all’operatore del 118, che valuta il tipo di risposta più appropriata all’evento traumatico in corso (dispatch). 118 chiamata valutazione secondaria
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Dinamica del trauma… Sono indicatori di trauma grave
…facilita la stima d’impatto di un agente traumatico precipitazioni > 4 metri cadute da veicoli in corsa investimento di pedone, ciclista o motociclista alta velocità la morte dell’altro passeggero gravi deformazioni dell’abitacolo il ribaltamento del veicolo un’estricazione prolungata Primo soccorso del traumatizzato cranico: valutazione della dinamica del trauma Con la valutazione della dinamica del trauma si cerca di stimare approssimativamente la forza d’urto dell’agente traumatico, quando impatta contro il capo (ad es. la rottura del parabrezza è indice di trauma cranico importante, anche in assenza di disturbi di coscienza). Possono indurre traumi gravi le caduta dall’alto (scale, ponteggi, impalcature) da più di 4 metri d’altezza. Qualsiasi caduta da un veicolo in corsa (moto, motorino, bicicletta) dà al corpo un impulso che ne accresce la forza d’urto al momento dell’impatto. Altrettanto pericolosi sono: gli investimenti di pedoni, ciclisti, motociclisti; il decesso dell’altro passeggero, l’alta velocità, il ribaltamento del mezzo (frequente negli incidenti agricoli); il riscontro di gravi danni dell’abitacolo dell’automezzo. Nelle prime fasi del soccorso un tempo troppo lungo di spostamento del soggetto traumatizzato dall’abitacolo del veicolo incidentato (estricazione) è un altro indicatore di trauma grave. Da rammentare, infine, che gli anziani riportano danni rilevanti anche in incidenti lievi (caduta da pochi gradini, scivolamenti in piano, su tappeti, in scavalcamento della vasca da bagno) per problemi d’equilibrio, per la scarsa attitudine a proteggersi nella caduta e per la fragilità ossea; per la stessa ragione un soggetto privo di coscienza (es. un epilettico in fase convulsiva) può riportare lesioni gravi in banali incidenti. Sono indicatori di trauma grave
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L’ABCDE del traumatizzato
Valutazione primaria L’ABCDE del traumatizzato Valutazione Azione Stato di coscienza Apertura delle vie aeree (Airway) e protezione del collo attività respiratoria sostegno del respiro (Breathing) attività circolatoria contrasto delle emorragie, dello shock (Circulation) Valutazione primaria: l’ABCDE del traumatizzato S’avvia il primo approccio del traumatizzato con la valutazione delle sue condizioni generali (valutazione primaria), che ha lo scopo di comprendere rapidamente se c’è un imminente pericolo di vita, individuando eventuali alterazioni dei parametri vitali (stato di coscienza; attività respiratoria; attività cardiocircolatoria). Il compito principale di questa procedura è di contrastare il più veloce killer per il tessuto cerebrale: l’insufficiente apporto di ossigeno all’encefalo. Analogamente al protocollo di rianimazione cardiopolmonare di base, le differenti tappe della sequenza valutativa sono contraddistinte dalle prime lettere dell’alfabeto; la sequenza nel trauma, a differenza della RCP, alla ABC aggiunge altre 2 lettere la D e la E. Procedura. Nella fase A (Airway - apertura delle vie aeree), come nella RCP, occorre valutare la coscienza e garantire la pervietà delle vie aeree, evitando sempre di ruotare in dietro la testa (iperestensione del capo) per il rischio di aggravare gli effetti di un trauma cervicale concomitante: pertanto, si liberano le vie aeree con la trazione anteriore del mento o la sublussazione della mandibola. Nella fase B (Breathing - sostegno del respiro), se il paziente è incosciente, occorre valutare il respiro col GAS; pertanto, se non respira, è necessario avviare le manovre di RCP senza iperestendere il capo; se riprende il respiro, è necessario evitare di effettuare la posizione laterale di sicurezza. Se il soggetto respira, in fase C (Circulation - sostegno dell’attività cardiocircolatoria), si palpa il polso radiale per valutare lo stato pressorio del traumatizzato in funzione del contrasto dello stato di shock; se si rilevano emorragie (del cuoio capelluto, in altri distretti) - altro pericoloso killer per il tessuto cerebrale -, vanno immediatamente tamponate, ad eccezione delle epistassi e delle otorragie, che richiedono uno specifico trattamento.
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A. Stato di coscienza La liberazione delle vie aeree avviene con la trazione anteriore del mento o la sublussazione della mandibola La liberazione delle vie aeree nel traumatizzato Nel traumatizzato, la liberazione delle vie aeree avviene con la manovra della trazione anteriore del mento o la sublussazione della mandibola.
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L’ABCDE del traumatizzato (segue)
Valutazione Azione Disfunzionalità cerebrale Impiego dello schema AVPU Valutazione primaria: l’ABCDE del traumatizzato (segue) In fase D (Disability - disfunzionalità cerebrale), il primo soccorritore esegue una sommaria valutazione dello stato di compromissione cerebrale usando lo schema mnemonico AVPU, più rapido e più semplice di quello impiegato per questa stessa operazione dal personale sanitario, la GCS (la scala del coma di Glasgow o in inglese Glasgow coma scale, da cui la sigla). La sigla AVPU riassume le seguenti condizioni di coscienza di un soggetto traumatizzato: Allert (attento, cosciente) Verbal (confuso, ma reattivo ad uno stimolo verbale) Pain (incosciente, ma reattivo al dolore, pain in inglese ) Unresponsive (incosciente, areattivo a qualsiasi stimolo, in inglese unresponsive). Impiegando lo schema AVPU, ai traumatizzati cranici si assegna un livello di compromissione neurologica, per cui: i pazienti di tipo “A” sono svegli e coscienti i pazienti di tipo “V” sono confusi, ma, alla chiamata, aprono gli occhi o rispondono i pazienti di tipo “P” sono in coma, ma reagiscono agli stimoli dolorosi i pazienti di tipo “U” hanno un coma più severo e per questo non danno alcuna risposta a qualsivoglia stimolo. Allert Verbal Pain Unresponsive Attento risponde agli stimoli vocali reagisce solo agli stimoli dolorosi non risponde ad alcun stimolo
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La Glasgow coma scale La Glasgow coma scale
La GCS (Glasgow coma scale, scala del coma di Glasgow) è troppo complicata e lunga per essere utilizzata sul campo da parte di un soccorritore non professionale; viene mostrata a titolo informativo, anche perché al soccorritore potrebbe esser richiesto dall’operatore del 118 – per valutare il traumatizzato - di rispondere alle domande: “Apre gli occhi come?…” “Come risponde?…” “Come si muove?…” Anche l’esame delle pupille, in una valutazione più approfondita dello stato neurologico, è da riservare a soccorritori più esperti. Si rileva la risposta delle pupille alla luce illuminandole alternativamente con una lampada tascabile: Se, in seguito all’illuminazione, si restringono (miosi), la risposta è nella norma se nonostante l’illuminazione restano dilatate (midriasi), cioè non reagiscono alla luce, è segno di una possibile lesione cerebrale.
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L’ABCDE del traumatizzato (segue)
Valutazione Azione Esposizione dell’area colpita per ricercare danni specifici scoprire la regione traumatizzata per una più efficace individuazione del danno proteggere dallo shock termico il traumatizzato coprendolo con una metallina Valutazione primaria: l’ABCDE del traumatizzato (segue) In fase E (Esposure - esposizione della ferita), il primo soccorritore scopre il cranio - se coperto da cappelli, foulard - per ricercare i danni specifici dell’azione traumatica (contusioni, tumefazioni, ferite lacero-contuse del cuoio capelluto; fratture della scatola cranica; comunicazione con encefalo e/o meningi). Se nel corso delle fasi precedenti in altre parti del corpo si sono individuate altre eventuali lesioni non comportanti un immediato pericolo di sopravvivenza del paziente, ma una complicazione della patologia in corso (traumi degli arti, ferite lacero-contuse extracraniche, etc.), in fase E vanno valutate, togliendo gli abiti che impediscono l’accesso all’area traumatizzata e poi medicate e/o comunicate al personale sanitario. Sempre in questa fase, subito dopo la valutazione, occorre coprire il paziente, per contrastare l’ipotermia e l’immanente rischio di shock termico del traumatizzato: in queste circostanze la coperta isotermica, denominata anche in gergo metallina, a diretto contatto con il paziente è un valido ausilio, ma anche una normale coperta oppure lo stesso riutilizzo dei suoi indumenti possono esser sufficienti allo scopo. Infine, occorre tener a mente che il capo è una potente fonte di dispersione termica; per questo, se c’è rischio d’ipotermia, occorre asciugarlo se bagnato e coprirlo.
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Valutazione secondaria
Valutazione primaria urgenza/emergenza Non urgenza Valutazione secondaria 118 Valutazione secondaria Nella valutazione secondaria da parte del primo soccorritore – che si effettua solo se il paziente è stabile, se, cioè, la valutazione primaria non ha mostrato alcun elemento di alterazione dei parametri vitali - lo scopo fondamentale, se si attiva la chiamata di soccorso, è praticamente quello di fornire alla centrale 118 dati con cui l’operatore del 118 dovrà decidere: se sia necessario o meno un intervento sanitario se questo debba esser fornito direttamente sulla scena dell’incidente o può esser protratto, potendo intervenire il medico di famiglia o la struttura ospedaliera in regime di non urgenza. no immediato si Soccorso sanitario protratto
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Quando un agente lesivo provoca
Trattamento Quando un agente lesivo provoca Attivare il 118 per un trauma chiuso contusione del cuoio capelluto un riscontro sanitario segni di lesioni encefaliche cefalea, vomito, amnesia, perdita di coscienza, anche se passeggera ospedalizzazione per accertamenti un trauma aperto lacerazione del cuoio capelluto senza lesioni del cranio un trauma penetrante frattura del cranio con rischio di comunicazione con encefalo e/o meningi (lesione esposta del cranio) pronto soccorso Primo soccorso del traumatizzato cranico Tutti i traumi del cranio devono esser sottoposti al vaglio del personale sanitario. Però, in base al grado di gravità la risposta si diversifica; al primo soccorritore può tornare utile avere, in fase di valutazione delle condizioni del traumatizzato, uno schema previsionale semplice, ma efficace sul decorso e soprattutto sull'esito di un determinato trauma cranico. Pertanto, se questo è un trauma chiuso - cioè, una modesta contusione delle parti molli (il classico bernoccolo), con dolore locale e senza lacerazione della cute, a cui non si affiancano altri segni, prime avvisaglie di possibili lesione encefaliche - è una situazione da sottoporre a riscontro del personale sanitario (PS o/e medico di base); di conseguenza, anche per refertare l’infortunio, è utile trasportare il soggetto in ospedale o dal proprio medico. Un trauma, invece, in presenza di un qualche segno di possibili lesioni encefaliche (una qualsiasi sensazione dolorosa generalizzata della testa, vomito, perdita della memoria, perdita di coscienza, anche se passeggera) è un’evenienza in cui è indispensabile un sollecito trasporto in ospedale del traumatizzato per accertamenti. Un trauma aperto, vale a dire una ferita lacero-contusa senza fratture del cranio e senza segni di possibili lesioni encefaliche, di solito si risolve senza conseguenze importanti; comunque, è buona norma provvedere a trasportare il soggetto in ospedale per gli accertamenti e le cure necessarie; infatti una ferita lacero-contusa del capo, anche se isolata, può comportare emorragie imponenti. Un trauma penetrante, in pratica una frattura del cranio - per il forte rischio di sottostanti emorragie, compressioni o lacerazioni meningee (la lacerazione della dura madre è detta lesione esposta del cranio), associate queste ultime a liquorrea - è una condizione di grave pericolo; in questo caso, al termine della fase valutativa, il primo soccorritore comunica alla centrale 118 i dati della valutazione per le successive azioni di pronto soccorso in regime d’urgenza.
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Trattamento (segue) In attesa dell’intervento sanitario trattare:
il trauma chiuso (il classico bernoccolo) ponendo freddo sulla ferita il trauma aperto o penetrante arrestando l’emorragia senza tamponare la ferita senza estrarre eventuali corpi estranei con medicazione sterile e freddo sulla ferita Primo soccorso del traumatizzato cranico In attesa del trattamento sanitario contrastare la contusione del cuoio capelluto limitando l’ematoma con una borsa di ghiaccio o con una confezione di ghiaccio pronto uso, prelevato dai presidi sanitari previsti; evitare di comprimere l’ematoma per il rischio d’infossare eventuali fratture craniche sottostanti. Nelle ferite aperte del cranio (lacerazioni cutanee, fratture craniche) non comprimere la ferita né con le dita né, dopo, con fasciatura compressiva per il rischio d’infossare fratture craniche sottostanti o d’introdurre frammenti ossei liberi negli spazi meningei; per la stessa ragione non rimuovere corpi estranei dal cranio. Per bloccare le emorragie spesso imponenti, medicare con garza sterile, bendare e poi contrastare il deflusso sanguigno con il freddo (borsa di ghiaccio; ghiaccio pronto uso). Evitare, nella medicazione, di muovere la testa, se il paziente è privo di sensi o se c’è il rischio di un trauma spinale. Se in seguito a un trauma cranico fuoriesce sangue dall’orecchio (otorragia) e/o delle cavità nasali (rinorrea), specie se si accompagna alla fuoriuscita di un liquido limpido e incolore proveniente dalle cavità interne del sistema nervoso centrale e dagli spazi meningei (liquorrea), non si deve cercare di tamponare l’emorragia, in quanto se si blocca il loro spontaneo drenaggio, si potrebbe indurre progressivamente compressione cerebrale ed anche un’ipertensione endocranica. per il rischio d’infossamento d’una frattura cranica l’otorragia e la rinorrea senza tamponamento della ferita, ma favorendo il drenaggio
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Trattamento (segue) Rivalutare periodicamente i parametri vitali e se il soggetto è cosciente, conversare con lui per rilevare al primo insorgere segni alterazione della coscienza (confusione, coma) è confuso o privo di sensi comunicarlo al 118 avviare la RCP in soggetto con trauma Primo soccorso del traumatizzato cranico In attesa del trattamento sanitario è indispensabile contrastare un possibile coma nel soggetto, stimolandolo a rimanere vigile; questa cura, inoltre, permette di cogliere al loro primo insorgere i segni di alterazione dei livelli di coscienza, per cui se il soggetto stenta a parlare (stadio “V” dell’AVPU: confusione) o, peggio, non risponde più agli stimoli verbali (stadio “P” dell’AVPU: coma che reagisce solo agli stimoli fisici e dolorosi), entra in un coma più severo e per questo non dà risposte agli stimoli fisici e dolorosi (stadio “U” dell’AVPU: coma profondo), occorre avviare la rianimazione del soggetto, dopo aver comunicato al 118 la situazione d’emergenza che si è instaurata. Nella procedura di rianimazione di un traumatizzato: se è incosciente, occorre sempre evitare l’iperestensione del capo e liberare le vie aeree con la trazione anteriore del mento o la sublussazione della mandibola, per il rischio di danni spinali da trauma cervicale concomitante; se riprende il respiro, è necessario evitare di effettuare la posizione laterale di sicurezza.
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Traumi della colonna vertebrale
La spina dorsale, il supporto osseo costituito dalla disposizione in pila di elementi fra loro combacianti (vertebre), nella postura eretta costituisce - con massa anteriore di ciascuna vertebra a forma di disco (corpo vertebrale) - l’asse di sostegno del corpo umano: assumono, quindi, una ragione anche legata a questa funzione le altre usuali denominazioni di colonna vertebrale e rachide. In questo compito le vertebre non sono fra loro in contatto diretto, ma tra i corpi vertebrali si dispone un cuscinetto fibro-cartilagineo (disco intervertebrale), che ha il compito di assorbire eventuali sollecitazioni e di accrescere la mobilità del rachide. La spina dorsale svolge, inoltre, un’importantissima funzione di protezione del midollo spinale, contenuto in un astuccio (canale midollare) allo stesso tempo solido e flessibilissimo, risultante dalla sovrapposizione dei fori vertebrali di ciascuna vertebra; tali fori sono delimitati dalla porzione posteriore delle vertebre a forma di arco, che, per circoscrivere uno spazio vuoto centrale, si salda in avanti al corpo vertebrale. La colonna vertebrale è suddivisa in 5 distinti tratti: cervicale, costituito da 7 vertebre, che costituiscono l’impalcatura del collo e sostengono il capo; dorsale, costituito da 12 vertebre, che si articolano con le coste e delimitano posteriormente la gabbia toracica; lombare, costituito da 5 vertebre, le più robuste e massicce, che formano la base della schiena; sacrale, costituito dalla fusione di 5 vertebre (osso sacro) in origine separate fra loro; coccigeo, anch’esso formato dalla fusione di 4-5 rudimentali vertebre. Il midollo spinale si estende dal foro occipitale fino alla 2a vertebra lombare ed è diviso in segmenti (cervicale, toracico, lombare e sacrale) in relazione al punto di emergenza dalla colonna dei rispettivi nervi spinali.
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CAUSE DEI TRAUMI DELLA COLONNA VERTEBRALE
incidenti stradali cadute accidentali infortuni sul lavoro traumi sportivi ferite da arma da fuoco Cause Cause dei traumi della colonna vertebrale Gli incidenti stradali (scontri frontali, tamponamenti, incidenti motociclistici) rappresentano la causa più frequente di trauma vertebromidollare; seguono le cadute accidentali (frequenti negli incidenti domestici, degli anziani, con soggetto sotto l’influsso di alcool e/o sostanze stupefacenti), gli infortuni sul lavoro (cadute da impalcature, scale, alberi, interramento per frane, crolli), i traumi sportivi (cadute in montagna, in palestra, da cavallo, tuffi), le ferite da arma da fuoco. Le lesioni della spina dorsale sono un evento traumatologico molto frequente: si calcola che più del 25% dei danni permanenti del midollo spinale sono indotti da interventi impropri sia in fase extraospedaliera che ospedaliera.
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Strutture bersaglio degli agenti traumatici
Colonna vertebrale Midollo spinale Strutture bersaglio degli agenti traumatici In caso di traumi il danno può riguardare soltanto la componente ossea (fratture, lussazioni, distorsioni, lesioni dei dischi intervertebrali) o coinvolgere anche quella midollare (lesioni midollari). Il midollo spinale svolge una funzione di raccordo fra l’encefalo e gli altri organi: come un cavo di trasmissione, trasporta i messaggi elaborati dal cervello e destinati alle strutture muscolari e viscerali del nostro corpo e, in senso inverso, da questi raccoglie le informazioni di stato e d’attività e le convoglia al cervello (sensibilità). Pertanto, l’interessamento del midollo produce deficit della sensibilità o dei movimenti, che possono evolvere in paralisi sensitive e motorie. In caso di trauma spinale si deve sospettare sempre una lesione midollare e, quindi, comportarsi con estrema prudenza nel praticare le manovre di primo soccorso, in quanto qualsiasi evento patologico che interrompa la continuità del midollo spinale determina l’impossibilità, da parte dei centri dell’encefalo, di comandare e regolare tutto ciò che sta al livello e al di sotto della lesione; si può dunque verificare "paralisi" motoria - dei movimenti spontanei bilaterali dei soli arti inferiori (paraplegia) o di tutti e quattro gli arti (tetraplegia) - e vegetativa nonché perdita della sensibilità superficiale e profonda. Inoltre nel suo tratto iniziale, il midollo spinale contiene i centri nervosi che controllano il respiro ed il battito cardiaco: pertanto, una lesione in questo tratto può compromettere la sopravvivenza del traumatizzato. Danni Fratture Lussazioni Distorsioni Lesioni dei dischi intervertebrali Lesioni midollari con deficit della sensibilità o/e dei movimenti
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I punti critici della colonna vertebrale
La colonna è più vulnerabile nei tratti C1 e C2 (vertebre cervicali) nei punti di transizione fra le vertebre cervicali e dorsali (C7-D1) dorsali e lombari (D12-L1) lombari e sacrali (L5-S1) I punti critici della colonna vertebrale Qualsiasi porzione della colonna vertebrale può esser coinvolta da un trauma, ma le vertebre cervicali, quelle lombari, le prime e le ultime dorsali sono più esposte a danno, più vulnerabili rispetto all’osso sacro ed al coccige, protetti dalle ossa del bacino. In particolare, sono punti molto vulnerabili la prima e la seconda vertebra cervicale (C1 e C2), perché sono il segmento più mobile della colonna. Inoltre, nel loro tratto di canale midollare contengono i centri nervosi respiratorio e cardiaco, vitali per la sopravvivenza del traumatizzato. Altri punti vulnerabili sono quelli di passaggio fra tratti dotati di particolare mobilità e tratti appartenenti a sistemi vincolati: il tratto tra ultima vertebra cervicale (C7) e la prima vertebra dorsale (D1) è una zona di passaggio fra le vertebre cervicali - dotate di notevole libertà di movimento - e quelle dorsali, ingabbiate dal torace e vincolate da costole e muscoli dorsali ed intercostali; il tratto tra ultima vertebra lombare (L5) e la parte superiore dell’osso sacro (S1) per la stessa ragione è una zona di passaggio fra il rachide lombare, più libero, ed il sacro; il tratto tra ultima vertebra dorsale (D12) e la prima vertebra lombare (L1) per la ragione opposta (rachide dorsale bloccato dal torace su rachide lombare mobile).
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Primo soccorso Si basa su due fasi fra loro in sequenza valutazione
trattamento fra loro in sequenza Approccio ai traumi della colonna vertebrale Come per altri tipi di traumi, il primo soccorso al traumatizzato della colonna vertebrale si suddivide in 2 fasi fra loro sequenza: la fase di valutazione primaria la fase di trattamento.
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Fase di valutazione della scena del soccorso della dinamica del trauma
delle condizioni generali del traumatizzato con la procedura ABCDE dei danni specifici valutazione primaria Fase di valutazione primaria La valutazione primaria permette un approccio globale al soggetto traumatizzato, consentendo al soccorritore di agire in condizioni accettabili di sicurezza. La prima azione della valutazione primaria è la valutazione della scena, che mira a prevenire l’esposizione ad eventuali pericoli ambientali e permette di valutare quali sistemi e dispositivi di protezione individuali impiegare (autoprotezione). Altrettanto importante, in questi casi, è la valutazione della dinamica dell’incidente. Una valutazione delle condizioni generali del traumatizzato, alla ricerca di altri potenziali danni, gli assicura allo stesso tempo la protezione delle funzioni vitali ed il tempestivo trattamento di concomitanti patologie ancora latenti, comportanti rischi per la sopravvivenza se non sono precocemente trattate. Per questa ragione la valutazione primaria deve essere rapida e non richiede l’impiego di strumenti o attrezzature. Quando, nel trattamento di un trauma della colonna, si passa alla valutazione secondaria, occorre ribadire la particolare prudenza da parte del soccorritore. I dati ottenuti con la valutazione primaria e secondaria devono, poi, esser comunicati all’operatore del 118, che valuta il tipo di risposta più appropriata all’evento traumatico in corso (dispatch). 118 chiamata valutazione secondaria
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Indicatori di sospetta lesione della colonna
dinamica del trauma segni di danni spinali Indicatori di sospetta lesione della colonna Nei traumi spinali il maggior problema non è l’eventuale danno vertebrale (frattura, lussazione, distorsione), ma la potenziale lesione midollare; quindi, ogni trauma della colonna va considerato a rischio di danno midollare e trattato conseguentemente, fino a prova diagnostica contraria. Pertanto, in caso d’incidente è di primaria importanza - sia per il primo soccorso, sia per la successiva risposta sanitaria - poter precocemente individuare un danno alla colonna mediante specifici indicatori di sospetta lesione spinale; per questa finalità sono particolarmente importanti: la dinamica dell’evento traumatico i segni che il paziente manifesta. Il soccorritore, se non è testimone dell’evento, rileva al suo arrivo una sommaria descrizione della dinamica dell’evento traumatico da parte dei presenti. Si potrà fare una ricostruzione più approfondita della dinamica del trauma al termine della valutazione primaria, quando il soccorritore raccoglierà i segni di danno della colonna.
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La dinamica del trauma Un sospetto di danno della colonna insorge in caso di: trauma cranico specie se associato a perdita di coscienza sollecitazioni violente della schiena specialmente del tratto sopra le spalle incidenti stradali (tamponamenti, ribaltamenti, rotolamenti d’automezzo) precipitazioni (caduta da scale, ponteggi, impalcature, sella, sci, tuffi, etc.) La dinamica del trauma Si deve sempre sospettare una lesione spinale in presenza di danni del cranio da incidenti stradali, soprattutto quelli con impatto diretto (su parabrezza, cruscotto). Possono causare lesioni spinali i traumi violenti diretti della schiena, soprattutto nel tratto cervicale, oppure i movimenti improvvisi della testa in opposizione al resto del corpo (colpo di frusta), lesioni tipiche degli incidenti stradali per tamponamento, ribaltamento o rotolamento dell’automezzo. Una caduta dall’alto (da scale, ponteggi, impalcature) può produrre danno, se il soggetto urta con la testa contro ostacoli o cadendo di piedi insacca la schiena; un danno simile può prodursi nei tuffi in acqua o nelle cadute da cavallo o da sci. Ancora, i traumi della colona possono associarsi a quelli cranici, toracici, addominali, del bacino; anche i traumi degli arti superiori ed inferiori possono correlarsi con i danni spinali. Nei traumi multipli i danni extraspinali tendono a catturare l‘attenzione del soccorritore, perché hanno un quadro più evidente, mentre il trauma spinale passa inosservato: pertanto, nel trauma cranico, toracico, addominale e del bacino occorre considerare sempre l’infortunato a rischio di trauma spinale. In questi casi, come ovviamente nei traumi del rachide, è necessario richiedere al 118 l’intervento di operatori sanitari addestrati ad immobilizzare la colonna, in particolare il tratto cervicale, per il successivo trattamento ospedaliero. In attesa dell’intervento sanitario bisogna lasciare l’infortunato immobile, invitandolo, se cosciente, a restar fermo ed impedendo ad altri soccorritori di muoverlo nel soccorrerlo o di trasportarlo in ospedale con mezzi di fortuna.
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L’ABCDE del traumatizzato
Denominazione A B C D E (Airway) (Breathing) (Circulation) ( Disability ) (Esposure) Valutazione Stato di coscienza Attività respiratoria Attività circolatoria Deficit neurologici Danno specifico Azione Apertura delle vie aeree e protezione del collo Sostegno del respiro Contrasto delle emorragie, dello shock AVPU e ricerca di deficit delle estremità Esposizione dell’area colpita per scoprire il danno L’ABCDE del traumatizzato La valutazione primaria ha lo scopo di comprendere rapidamente se c’è un imminente pericolo di vita, individuando eventuali alterazioni dei parametri vitali (stato di coscienza, attività respiratoria, attività cardiocircolatoria). Le tappe della sequenza valutativa sono contraddistinte dalla prime lettere dell’alfabeto; a differenza della rianimazione cardio-respiratoria, alla ABC si aggiungono altre 2 lettere, la D e la E. Come nella RCP, nella fase A (Airway - apertura delle vie aeree) occorre valutare la coscienza e garantire l’apertura delle vie aeree, evitando sempre di ruotare in dietro la testa (iperestensione del capo) per il rischio di danno midollare; per questo motivo si liberano le vie aeree con la trazione anteriore del mento o la sublussazione della mandibola. Nella fase B (Breathing - sostegno del respiro), se il paziente è incosciente e non respira è necessario avviare le manovre di RCP senza iperestendere il capo; se riprende il respiro, è necessario evitare di effettuare la posizione laterale di sicurezza. Se il soggetto respira, in fase C (Circulation - sostegno dell’attività cardiocircolatoria), si palpa il polso radiale per valutare lo stato pressorio del traumatizzato e l’insorgenza di uno stato di shock; se si rilevano emorragie, vanno immediatamente tamponate. Nel trauma spinale la fase D (Disability - disfunzionalità cerebrale) richiede una sommaria valutazione dello stato di compromissione cerebrale usando lo schema mnemonico AVPU e, se il paziente è cosciente, un’attenta valutazione della capacità di movimento delle sue estremità. La fase E (Esposure - esposizione della ferita) nel trauma spinale è di pertinenza del solo personale sanitario inviato dal 118.
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Fase A (Airway) dell’ABCDE Valutazione dello stato di coscienza
apertura delle vie aeree (trazione anteriore del mento; sublussazione della mandibola) protezione del collo (posizione neutra) posizionamento manuale posizionamento di un collare cervicale Fase A dell’ABCDE Garantire l’apertura delle vie aeree è una priorità assoluta (in mancanza di ossigeno subentrano danni cerebrali irreversibili in pochissimi minuti); ma, nel mettere in atto la fase A dell’ABCDE, non si deve mai iperestendere il capo, per evitare il rischio che la manovra permetta ad una vertebra instabile di provocare un danno per compressione o lesione midollare diretta o per danno delle radici dei nervi spinali che dal midollo prendono origine. Per questo le vie aeree si portano in apertura con la trazione anteriore del mento o la sublussazione della mandibola. La trazione anteriore del mento si effettua afferrando tra pollice ed indice il mento e tirandolo in avanti: in questo modo in un paziente in coma si sposta in avanti la mandibola; la sublussazione della mandibola è una manovra più complicata, che si esegue ponendosi alla testa del paziente ed afferrando con le dita indice e medio di entrambe le mani gli angoli della mandibola, ponendo subito sopra i pollici e spingendo la mandibola in avanti ed in basso, allontanandola dall’articolazione con il massiccio mascellare. Se si verifica una perdita dei sensi, si deve da questo punto in poi considerare il traumatizzato con interessamento midollare e comportarsi di conseguenza. In questa fase, per garantire la miglior protezione del midollo cervicale all’interno del canale midollare, si pone il capo del traumatizzato in posizione neutra, tenendo il soggetto in questa posizione bloccandolo manualmente o con un collare cervicale (quest’ultima procedura è di competenza di personale specificamente addestrato).
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Posizione neutra del collo
Garantisce al traumatizzato la massima protezione del midollo spinale. Un soggetto è in posizione neutra quando: il suo sguardo è rivolto in avanti, perpendicolare alla colonna se gli occhi “guardano” in dietro la colonna è in flessione la testa è sollevata di 2-3 cm dal tronco Posizione neutra del collo In fase extraospedaliera non si può avere conferma diagnostica di un’eventuale lesione della colonna. Per questo il traumatizzato dovrà esser immobilizzato, trasferito dalla scena dell’incidente in ambulanza e, quindi, in ospedale. Queste operazioni possono essere eseguite solo da parte di operatori sanitari particolarmente addestrati alle tecniche mobilizzazione, con l’impiego di particolari presidi di protezione del rachide (collare cervicale, estrinsecatore a corsetto, barella a cucchiaio, tavola spinale, materasso a depressione, etc.). Prima d’impiegare un qualunque presidio di protezione, il collo deve esser portato e mantenuto in posizione neutra, in una posizione, cioè, in cui le vertebre cervicali non sono né flesse, né estese, né ruotate, né inclinate, per offrire il maggior spazio disponibile al midollo nel canale spinale. In tal modo il midollo è meno sollecitato dalle manovre dei soccorritori in caso di vertebre instabili e/o presenza di frammenti ossei. Un soccorritore non professionale, dopo uno specifico addestramento – analogamente alle manovre di RPC -, può essere in grado d’eseguire il posizionamento e l’immobilizzazione manuale del tratto cervicale del rachide in posizione neutra (negli USA programmi d’addestramento dei soccorritori e l’impiego di adeguati presidi di protezione spinale hanno drasticamente ridotto gli esiti invalidanti dei traumi midollari), in attesa del personale sanitario esperto, che provvederà alle successive operazioni di posizionamento dei presidi (collare cervicale, estrinsecatore toracico) ed i trasporto protetto (con barella a cucchiaio, tavola spinale, materasso a depressione, etc.).
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Presidi di protezione del rachide
collare cervicale estrinsecatore a corsetto barella a cucchiaio tavola spinale materasso a depressione Presidi di protezione del rachide I principali presidi di protezione del rachide sono dispositivi che limitano i suoi movimenti e contrastano gli eventuali danni provocabili da una vertebra instabile sul midollo spinale (compressione, lesione midollare diretta, danno delle radici dei nervi spinali). Per permettere un loro adeguato utilizzo il personale sanitario deve ricevere un particolare addestramento, che poi li abilita al loro impiego. Con il collare cervicale si riducono notevolmente i movimenti del tratto cervicale della colonna. Il suo posizionamento richiede una procedura, che con particolari cautele può esser appresa anche da soccorritori laici, che facciano un adeguato percorso formativo, analogo a quello messo a punto per la procedura di RCP. L’estrinsecatore a corsetto è un presidio utilizzato per estrarre da un veicolo un traumatizzato, mantenendo in protezione la colonna. La barella a cucchiaio viene utilizzata per sollevare da terra e trasferire il traumatizzato in ambulanza o su di un altro presidio di trasporto (tavola spinale, materasso a depressione); costituita da materiale in alluminio, non è trasparente ai raggi X. La tavola spinale è un sistema più affidabile d’immobilizzazione del rachide, che ha il vantaggio di non essere d’ostacolo ai raggi X. Offre un’immobilizzazione adeguata anche al rachide cervicale ed ai quattro arti. Il materasso a depressione è un presidio di protezione che immobilizza il paziente per l’azione avvolgente che la depressione delle sue pareti svolge sul traumatizzato. Come la tavola spinale è trasparente ai raggi X.
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Fase B (Breathing) dell’ABCDE Valutazione dell’attività respiratoria
Azione: sostegno del respiro Ispezione del torace e valutazione del respiro (OPaC) Osservare forma e movimento del torace Palpare il torace, ascoltando fremiti e fruscii Contare la frequenza respiratoria Fase B dell’ABCDE Nella fase B (Breathing - sostegno del respiro), si praticano le varie manovre che la sigla OPaC mnemonicamente riassume: l’osservazione della forma e del movimento del torace permette di sospettare un’eventuale trauma toracico; la palpazione permette soprattutto di scoprire un eventuale pneumotorace; il calcolo della frequenza respiratoria; un sua alterazione è segno di altre possibili patologie (trauma cranico, shock, pneumotorace). Se il paziente è incosciente, ma respira, non va effettuata la posizione laterale di sicurezza; se non respira dopo 10” di GAS, s’avvisa subito il 118 e s’avvia la RCP con 2 insufflazioni senza iperestendere il capo. Occorre, comunque, tener in conto che in caso d’arresto respiratorio o cardiaco le manovre rianimatorie hanno scarse possibilità di successo.
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Fase C (Circulation) dell’ABCDE Valutazione dell’attività circolatoria
Azione: contrasto delle emorragie, dello shock Valutare sede e frequenza del polso temperatura e colorito cutaneo Tamponare le emorragie Fase C dell’ABCDE Se il soggetto, incosciente ed in arresto respiratorio, è anche in arresto cardiaco bisogna procedere con il massaggio cardiaco esterno, tenendo presente della scarsa efficacia di questa procedure nel traumatizzato. Se il traumatizzato, invece, è cosciente senza dubbio alcuno respira ed ha una valida attività cardiocircolatoria, allora in fase C (Circulation - sostegno dell’attività cardiocircolatoria): si palpa il polso radiale per valutare lo suo stato pressorio e prevenire l’insorgenza dello shock (se il polso radiale è percepibile, la pressione arteriosa massima è superiore ad 80 mmHg); si valuta la temperatura ed il colorito della pelle: cute fredda e sudata, un colorito pallido o cianotico possono essere indizi preziosi di un imminente stato di shock. La posizione antishock, utile in questi casi per favorire la circolazione centrale, nel trauma spinale va evitata per il rischio che la manovra possa provocare una lesione midollare diretta o per compressione. In questa fase, se si rilevano emorragie, vanno immediatamente tamponate.
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Valutazione dei deficit neurologici encefalici e midollari
Fase D (Disability ) dell’ABCDE Valutazione dei deficit neurologici encefalici e midollari Azione uso del sistema AVPU ricerca dei segni di danno spinale Fase D dell’ABCDE In fase D (Disability - disfunzionalità neurologica), il soccorritore esegue una valutazione più estesa dello stato di compromissione cerebrale – che ha preso inizio già in fase A, quando si determina se il paziente è cosciente o privo di sensi -, impiegando lo schema mnemonico AVPU; questa azione è finalizzata a determinare se il traumatizzato dal punto di vista neurologico è stabile o in evoluzione (miglioramento / peggioramento); pertanto: se un traumatizzato spinale è sveglio e cosciente, è nello stadio “A” (Allert); se è confuso, ma, alla chiamata, apre gli occhi o risponde, è nello stadio “V” (Verbal); se è in coma, ma reagisce agli stimoli dolorosi (Pain), è nello stadio “P”; mentre lo stadio di coma più severo, non reattivo agli stimoli, è lo stadio “U” (Unresponsive). Il coma non consente la successiva rilevazione dei segni di danno spinale, per questo si deve considerare il traumatizzato di tipo “P” o “U” come un soggetto a rischio di danno midollare. Subito dopo il controllo del livello di coscienza, su soggetto sveglio e cosciente (tipo “A” oppure tipo “B” portato nello stadio “A” con sollecitazioni verbali o con lievi stimoli tattili) si procede alla ricerca dei segni di danno spinale, che assieme alla raccolta della dinamica del trauma sono i principali indicatori di sospetta lesione della colonna.
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Segni di danno spinale Dolore alla schiena, accentuato dai movimenti
alterazione della sensibilità formicolii, intorpidimento riduzione fino all’abolizione della sensibilità paralisi dei movimenti Segni di danno spinale La ricerca dei segni di danno spinale si basa sulla raccolta di informazioni fornite dallo stesso traumatizzato e su azioni che il soccorritore esegue in cui è indispensabile l’apporto dello stesso traumatizzato. La presenza di dolore spontaneo o provocato dalla palpazione sulla schiena è uno dei segni di trauma spinale: pertanto, in fase D, al soggetto traumatizzato il soccorritore dovrà chiedere se ha dolore ed evocarlo toccando leggermente il collo, il dorso ed i fianchi posteriormente. Il dolore riferito al collo o alla schiena può accentuarsi se il traumatizzato tenta di muoversi (dolore motorio): per non scatenarlo, quindi, il soggetto resta immobile (nel ricercare questo segno il soccorritore non dovrà mai chiedere all’infortunato di muoversi, ma raccogliere solo la sua testimonianza!). Alterazioni della sensibilità (formicolio, intorpidimento, riduzione della sensibilità fino all’insensibilità negli arti), perdita della motilità volontaria o involontaria per paralisi e la perdita involontaria di urine e feci sono, in progressione, segni sempre più gravi di una possibile lesione midollare (lo stato d’incoscienza, per l’impossibilità di valutare un soggetto privo di sensi, fa presupporre la presenza di un danno spinale, fino all’esecuzione di specifici accertamenti diagnostici). Bisogna sospettare una lesione midollare quando è presente uno solo di questi segni, mentre, al contrario, non è possibile escludere un lesione midollare, se il traumatizzato non presenta dolore o uno degli altri segni. degli arti perdita involontaria di urina e feci stato d’incoscienza
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La ricerca dei segni di danno spinale
Arti superiori: chiedere al paziente se sente un pizzicotto su un dito di entrambe le mani muove a comando entrambe le mani stringe in successione tra le sue mani una mano del soccorritore Arti inferiori: chiedere al paziente se sente un pizzicotto su un dito di entrambi i piedi muove a comando entrambi i piedi spinge in successione entrambi i piedi sulla mano del soccorritore che si oppone La ricerca dei segni di danno spinale Il soccorritore - dopo aver raccolto dallo stesso infortunato i segni di una lesione midollare, domandandogli se ha dolore nei punti critici della colonna vertebrale, accentuati o meno dai movimenti, formicolio, intorpidimento, etc.- quando esamina dalla testa ai piedi l’infortunato, può verificare l’eventuale perdita involontaria di urina e feci, e può direttamente procedere ad una prima valutazione della sensibilità e dei movimenti delle estremità stimolando con un leggero pizzicotto alternativamente le dita di entrambe le mani ed entrambi i piedi, per controllare la sensibilità delle estremità; chiedendo all’infortunato di muovere in successione entrambe le mani ed entrambi i piedi, per controllare la possibilità di movimento delle estremità; chiedendo all’infortunato di stringere entrambe le mani e spingere con entrambi i piedi, per controllare la forza delle estremità.
388
Arti superiori Arti inferiori sente, stringe, muove
sente, spinge, muove non sente, non spinge, non muove non sente, non stringe, non muove probabile assenza di danno midollare danno midollare inferiore La ricerca dei segni di danno spinale Probabilmente non è in atto nessuna lesione del midollo spinale se il traumatizzato riesce a: sentire il pizzicotto su entrambe le mani ed entrambi i piedi; muovere in successione entrambe le mani ed entrambi i piedi; stringere con entrambe le mani una mano del soccorritore; spingere con entrambi i piedi, opponendosi alla forza sulle estremità esercitata dal soccorritore. Può esser insorto un danno midollare inferiore se il traumatizzato riesce a: sentire il pizzicotto sulle mani, ma non sui piedi; muovere entrambe le mani ma non i piedi; stringere con entrambe le mani una mano del soccorritore, ma non può spingere con entrambi i piedi. Può manifestarsi un danno midollare a livello del midollo cervicale quando il traumatizzato non riesce a: spingere con entrambi i piedi. danno midollare cervicale
389
Valutazione: ricerca nell’area colpita dei danni specifici
Fase E (Esposure ) dell’ABCDE Valutazione: ricerca nell’area colpita dei danni specifici Azione all'opposto della usuale procedura non scoprire la regione traumatizzata per individuare il danno rischio di danno midollare proteggere dallo shock termico il traumatizzato coprendolo con una metallina Fase E dell’ABCDE In fase E (Esposure - esposizione della ferita) del trauma spinale, il soccorritore, nel ricercare i danni specifici dell’azione traumatica, deve fare molta attenzione ad evitare manovre che provochino una lesione midollare; pertanto la ricerca di eventuali tumefazioni e deformità della schiena, la palpazione di ciascuna vertebra è opportuno che siano eseguite dal personale sanitario allertato dal 118; questi stessi operatori provvederanno, se è indispensabile per una più precisa valutazione, a togliere gli abiti che impediscono l’accesso all’area traumatizzata. In attesa degli operatori sanitari il primo soccorritore può efficacemente contrastare l’ipotermia postraumatica con l’uso della coperta isotermica - detta anche metallina -, ma anche con una normale coperta o con l’utilizzo degli indumenti del paziente, quando la metallina non è disponibile.
390
Gestione del trauma spinale
Chiamare il 118 nel corso dell’ABCDE in caso di emergenza / urgenza (coma, arresto cardiaco e/o respiratorio, grave emorragia) e poi avviare il primo soccorso alla fine dell’ABCDE dopo aver fatto un primo soccorso all’infortunato protetto l’infortunato con un coperta isotermica Gestione del trauma spinale: chiamata dei soccorsi In caso di un trauma spinale la valutazione complessiva dell’infortunato con la sequenza dell’ABCDE non deve protrarsi per oltre 90’’; al termine della sequenza il paziente avrà comunque ricevuto un primo trattamento delle alterazioni di più facile gestitone da parte del primo soccorritore, mentre saranno praticate dai soccorritori professionali quelle manovre di mobilizzazione che richiedono un particolare addestramento e l’impiego di particolari presidi di protezione del rachide. In attesa dei soccorsi sanitari, attivati chiamando il 118 al termine dell’ABCDE o nel corso della sua esecuzione per il riscontro di una qualche situazione d’emergenza sanitaria, il primo soccorritore provvede sempre a proteggere dallo shock termico l’infortunato con l’impiego della metallina (coperta isotermica).
391
Non far mai all’infortunato
flettere, estendere, ruotare la schiena per farlo bere, vomitare, rialzare spostarlo ed impedire ad altri di spostarlo dalla scena dell’infortunio, trascinandolo per le ascelle o le gambe, sollevandolo in braccio o in spalla se è cosciente, invitarlo a rimanere fermo Manovre da non eseguire in caso di sospetto trauma spinale Riassumendo, vengono sintetizzate le indicazioni indispensabili per evitare i più gravi errori nella gestione del trauma spinale e per precisare i comportamenti più efficaci per proteggere l’infortunato in attesa dei soccorsi sanitari.
392
Spostamenti d’emergenza
Il primo soccorritore non dovrebbe mai spostare l’infermo dalla scena dell’evento patologico (morboso o infortunistico). Infatti, un’azione di questo tipo può comportare gravi danni al soggetto soccorso - soprattutto in caso di sospetto trauma alla colonna vertebrale - e richiede a chi l’esegue una specifica preparazione e l’utilizzo di appositi supporti sanitari. D’altronde, può esser indispensabile compiere uno spostamento d’emergenza per allontanare un infermo o un ferito da un’area ad alto rischio ambientale (crolli, incendi, gas tossici o radiazioni, folgorazione, traffico veicolare incontrollato, etc.), in cui la sua vita e quella dei soccorritori si trova in immediato pericolo. In questi casi la conoscenza di alcune tecniche di spostamento permette al primo soccorritore d’intervenire limitando in qualche misura il danno inevitabile che le operazioni di movimentazione dell’infermo comportano.
393
Criteri generali Spostare il paziente solo se è indispensabile
valutare preventivamente il peso del soggetto il percorso da compiere il quantitativo necessario di soccorritori i dispositivi d’ausiliazione al trasporto necessari identificare sempre e prima il team leader Criteri generali Per permettere a soccorritori laici di prendere rapidamente una decisione ponderata si possono adottare alcuni criteri di valutazione. Il primo criterio è quello di evitare in ogni caso inutili spostamenti: trasportare, quindi, la vittima di un malore o di un infortunio in luogo sicuro soltanto se sulla scena dell’evento vi sia pericolo immediato di vita. Per evitare spostamenti improvvisati, impedire ulteriori incidenti (scuotimenti, cadute) e non aggravare i danni sul paziente nel caso si decida il suo trasferimento, occorre anticipatamente valutare il suo peso, il percorso da compiere, il numero di soccorritori necessario, il tipo di dispositivi d’ausiliazione al trasporto (barella, telo, sedia, etc.) e, se non sono disponibili, provvedere ad allestire un qualche supporto per il trasporto di fortuna. Inoltre, sarebbe opportuno che, in spostamenti a due o più soccorritori, uno di questi – il più competente e/o più esperto – diventi il team leader del gruppo, con il compito di coordinare l’intervento, dando i comandi nelle diverse operazioni, controllando tutte le operazioni di spostamento, cercando di garantire la sicurezza dell’intero team e della vittima, richiedendo l’aiuto di altre persone, se il soggetto movimentato è in pericolo o lo si riesce a spostare con affanno.
394
…criteri generali (segue)
coprire bene la vittima con la metallina per contrastare lo shock utilizzare sempre tecniche di sollevamento corrette fare attenzione alla schiena della vittima / dei soccorritori compiere lo spostamento impegnando soprattutto i muscoli delle gambe Criteri generali Andrà, inoltre, protetta la vittima dagli stress termici, coprendola con una coperta isotermica (metallina) o con indumenti pesanti, per ridurre la dispersione di calore, che facilita l’avvio dello shock. Occorre, anche, che i soccorritori movimentino il soggetto utilizzando tecniche di sollevamento corrette per la salvaguardia della colonna vertebrale della vittima e del tratto lombare della loro schiena, soprattutto nella fase più critica di sollevamento, ma anche nelle successive fasi di trasporto e di deposizione. Per quanto riguarda la tutela dei soccorritori dai danni derivati dal trasporto (lombalgia acuta da sforzo, cadute, distorsioni articolari, strappi muscolari) è necessario che questi si proteggano sempre a partire dalla fase di sollevamento fino alla deposizione: scaricando il peso sulle gambe, posizionando ad ogni passo saldamente il peso su tutta la pianta del piede, mantenendo il corpo della vittima il più vicino possibile al corpo dei soccorritori, cercando, quando è possibile, la collaborazione del paziente.
395
Fattori condizionanti il trasporto
Soccorritori in campo supporti d’ausilio Fattori che condizionano il trasporto Presa la decisione di trasferire in luogo sicuro il paziente, tenendo conto delle condizioni della persona soccorsa (alcune tecniche di spostamento vanno assolutamente evitate per certe patologie), le successive azioni di spostamento devono considerare: la disponibilità di soccorritori (movimentazione ad uno o più soccorritori) La tipologia delle attrezzature d’ausilio alla movimentazione a disposizione dei soccorritori (convenzionali o di fortuna).
396
Soccorritori in campo a Movimentazione ad 1 soccorritore
con 2 o più soccorritori Movimentazione Fattori che condizionano il trasporto: soccorritori in campo Per spostamenti brevi o in casi d’estrema urgenza anche un solo soccorritore può spostare un paziente immobilizzato. Ma questa misura andrebbe presa solo se è impossibile coinvolgere altri, anche estranei, nelle operazioni di soccorso. Infatti, la manovre che meglio garantiscono i soccorritori e la vittima soccorsa sono quelle che coinvolgono due o più soccorritori.
397
Movimentazione ad 1 soccorritore
Trascinamento inclinato trascinamento per le caviglie metodo del pompiere caricamento sul dorso trascinamento con una coperta estrinsecazione rapida Movimentazione ad un soccorritore Le procedure indicate non richiedono l’impiego di specifiche attrezzature; presumono, inoltre, l’intervento di un solo soccorritore. Benché tale circostanza in occasione di lavoro sia poco frequente (negli ambienti di lavoro è infatti frequente avere ampia disponibilità di soccorritori) – più probabile è, invece, l’accadimento al comune soccorritore, in ambiente domestico-, essa non è improbabile, potendo riguardare chiunque lavora in coppia o in ambiti non usuali di lavoro, dove, alla tradizionale catena, si sia sostituto il lavoro per piccoli gruppi. Le tecniche di movimentazione con un unico soccorritore sono praticabili con soggetto cosciente o privo di coscienza, ma il loro impiego va attentamente ponderato in caso di traumi, ed evitato in caso di traumi nelle aree di presa richieste dalla specifica tecnica. Comunque, sarebbe utile che almeno una di queste tecniche di movimentazione fosse appresa dagli addetti al primo soccorso nei luoghi di lavoro; per ovvie ragioni, nel caso di lavoro a coppia è utile che entrambi gli appartenenti all’unità produttiva prendano confidenza con una delle tecniche in seguito descritte.
398
Trascinamento inclinato
Traumi spinali e delle estremità Controindicazioni Spostamento rapido per tratti brevi, purché non siano accidentati Indicazioni Trascinamento inclinato Trascinamento inclinato Questa tecnica di trasporto può esser impiegata per spostare un soggetto cosciente con una patologia non traumatica (ad esempio, soggetto afflitto da un colpo di calore o da un’insolazione) in un ambiente più confortevole. Per quanto riguarda i traumi è assolutamente controindicata in quelli spinali e delle estremità.
399
Trascinamento inclinato: tecnica
Accovacciati dietro il paziente passare le proprie braccia sotto le sue ascelle incrociargli le braccia sul petto afferrargli i polsi ciascuna mano del soccorritore afferra la stessa mano della vittima sollevare il paziente alzandosi in piedi trascinarlo tirando il suo corpo sempre lungo il suo asse verticale non spostarlo in senso laterale evitare di piegare o torcere il tronco Trascinamento inclinato: tecnica Trascinamento inclinato - tecnica Il soccorritore si pone in posizione accovacciata dietro al paziente, gli passa le proprie braccia sotto le ascelle, gli incrocia le braccia sul petto e gli afferra i polsi (ciascuna mano del soccorritore afferra la stessa mano della vittima). A questo punto si potrà sollevare il paziente alzandosi in piedi e trascinarlo tirando il suo corpo sempre lungo il suo asse verticale, facendo attenzione a non spostarlo in senso laterale e ad evitare di piegare o torcere il tronco.
400
Trascinamento per le caviglie
traumi degli arti inferiori Controindicazioni Spostamento in rapidità su superfici lisce, in caso di traumi spinali Indicazioni Trascinamento per le caviglie Trascinamento per le caviglie Questa tecnica di spostamento può esser impiegata per spostare in emergenza un soggetto con un sospetto di trauma spinale: le braccia disposte a corona sul capo offrono una specie di sostegno alla colonna e stabilizzano il rachide cervicale; mentre, dovendo far forza sugli arti inferiori del soggetto, la tecnica non può esser impiegata in caso di traumi degli arti inferiori. Nel trascinamento per le caviglie, comunque, cercare di spostare il meno possibile in alto le gambe per non sollecitare in eccesso la schiena: il soccorritore, pertanto, deve cercare di tenere le sue braccia il più vicino possibile al pavimento.
401
Trascinamento per le caviglie: tecnica
Spostare le braccia completamente distese del paziente sopra la testa le braccia così disposte a corona sul capo stabilizzano il rachide cervicale bloccargli i polsi con il cerotto afferrare il paziente per le caviglie sollevare le gambe al minimo per non sollecitare il rachide lombare trascinarlo tirando il suo corpo sempre lungo il suo asse verticale non spostarlo in senso laterale evitare di piegare o torcere il tronco Trascinamento per le caviglie: tecnica Trascinamento per le caviglie - tecnica Spostare le braccia completamente distese del paziente sopra la testa (le braccia così disposte a corona sul capo stabilizzano il rachide cervicale). Bloccare i polsi della vittima con il cerotto e afferrare il paziente per le caviglie (sollevando le gambe al minimo per non sollecitare il rachide lombare). Trascinare la vittima tirando il suo corpo sempre lungo il suo asse verticale (non spostarlo in senso laterale, evitare di piegare o torcere il tronco).
402
Metodo del pompiere Compromissione delle funzioni vitali
traumi spinali traumi degli arti Controindicazioni Spostamento su scale, pendii, acqua, lunghi tragitti; lascia una mano libera al soccorritore Indicazioni Metodo del pompiere Metodo del pompiere Questa tecnica di spostamento può essere impiegata per allontanarsi in emergenza con un paziente da un luogo pericoloso, lungo un percorso accidentato o da un locale in condizioni logistiche precarie, per cui il soccorritore deve poter aiutarsi con una mano nella fuga. Dovendo caricare la vittima con il dorso in spalla, il metodo del pompiere non è una tecnica d’impiego nei traumi toracici e spinali o se il soggetto ha difficoltà respiratorie; a causa delle prese sul polso e sulle cosce del paziente questa tecnica è impraticabile anche nei traumi di braccia e gambe.
403
Metodo del pompiere: tecnica
Porre un braccio del paziente sulle proprie spalle abbracciandolo e sollevandolo piegarsi e sollevarlo con il braccio ed il torace issare sulle spalle afferrare il polso del paziente tenere la propria testa a livello del suo fianco sollevare e caricare il suo corpo sul dorso rialzandosi cambiare la presa sul polso, facendo prima passare il braccio d’aggancio sopra le cosce del paziente utilizzare la mano rimasta libera per bilanciarsi, sostenersi Metodo del pompiere: tecnica Metodo del pompiere - tecnica Porre un braccio del paziente sulle proprie spalle abbracciandolo e sollevandolo, piegarsi e sollevarlo con il braccio ed il torace issare sulle spalle (afferrare il polso del paziente e tenere la propria testa a livello del suo fianco). Sollevare e caricare il suo corpo sul dorso rialzandosi, cambiare la presa sul polso, facendo prima passare il braccio d’aggancio sopra le cosce del paziente, utilizzare la mano rimasta libera per bilanciarsi e sostenersi.
404
Caricamento sul dorso Fratture degli arti superiori Controindicazioni
Spostamenti lunghi quando i danni della vittima con consentono il metodo del pompiere Indicazioni Caricamento sul dorso Caricamento sul dorso Questa tecnica di spostamento può esser impiegata in alternativa alla tecnica del pompiere per allontanarsi in emergenza con un paziente con traumi toracici o se il soggetto ha difficoltà respiratorie; a causa delle prese sui polsi del paziente la tecnica è impraticabile nei traumi delle braccia.
405
Caricamento sul dorso: tecnica
Sollevato il paziente e dopo essersi girati di schiena, Si passano le sue braccia sulle proprie spalle, portandole sul proprio petto tenendo estese le braccia del paziente, si posizionano le proprie spalle sotto le sue ascelle issare a questo punto sulle spalle il paziente posizionando il tronco sul dorso e reggendo i suoi polsi con le proprie mani si sposta il dorso in avanti sollevando un po’ il paziente da terra il soggetto a questo punto si sposta con un movimento di parziale trascinamento Caricamento sul dorso: tecnica Caricamento sul dorso - tecnica Dopo avere sollevato il paziente e dopo essersi girati di schiena, si passano le braccia della vittima sulle proprie spalle, portandole sul proprio petto tenendo estese le braccia del paziente, si posizionano le proprie spalle sotto le sue ascelle. Issare a questo punto sulle spalle il paziente posizionando il tronco sul dorso e reggendo i suoi polsi con le proprie mani. Si sposta il dorso in avanti sollevando un po’ il paziente da terra (il soggetto a questo punto si sposta con un movimento di parziale trascinamento).
406
Trascinamento con una coperta
traumi spinali Controindicazioni Spostamento rapido su superfici lisce, in caso di traumi degli arti superiori ed inferiori Indicazioni Trascinamento con una coperta Trascinamento con una coperta Per spostamenti d’urgenza in un locale non accidentato - specie se la vittima è di costituzione fisica tale da non renderne agevole la movimentazione da parte del soccorritore che accorre in suo aiuto - si può usare la tecnica dello slittamento con un ritaglio più o meno grande di tessuto (al posto della coperta può essere impiegato un tappeto, un lenzuolo, una stuoia, etc). Il trascinamento con questa tecnica offre, anche, una specie di sostegno agli arti superiori ed inferiori; mentre, dovendo far passare il supporto per lo slittamento prima sotto il tronco del soggetto, la tecnica non può esser impiegata in un sospetto trauma spinale, a meno che il traumatizzato si trovi già riverso su un supporto che poi può esser trascinato: in questo caso, la tecnica offre un qualche sostegno anche alla colonna. Nel trascinamento con una coperta, comunque, occorre spostare il meno possibile in alto la testa ed il collo della vittima per non sollecitare troppo il tratto cervicale e la schiena: l’operatore, pertanto, deve cercare di tenere le sue braccia il più vicino possibile al pavimento.
407
Estrinsecazione rapida
Eseguendola correttamente, la manovra non è particolarmente rischiosa nei traumi Controindicazioni In caso di pericolo immediato (scoppi, incendi, esposizione a tossici, veicolo in posizione instabile o invaso dall’acqua) Indicazioni Estrinsecazione rapida Estrinsecazione rapida È una manovra di rapido impiego, usata soprattutto per sollevare un incidentato stradale dal sedile anteriore di un automezzo ed allontanarlo dall’abitacolo, prima di spostarlo in un luogo sicuro con l’impiego di un’altra tecnica di movimentazione ad uno o più soccorritori senza o con l’impiego di specifiche attrezzature (supporti d’ausiliazione). La procedura, se è eseguita correttamente, può esser usata con prudenza nei vari tipi trauma.
408
Estrinsecazione rapida: tecnica
Il primo soccorritore fa passare il proprio braccio sotto l’ascella più distante da se della vittima per afferrargli il polso del braccio opposto infila l’altra mano sotto l’altra ascella della vittima per afferrargli la mandibola bloccargli la testa con la mano e sostenerla tra testa e spalla proprie appoggiata la vittima al proprio torace, l’allontana dal pericolo tirandola verso di se la depone e l’allontana dalla scena, se è indispensabile, con uno degli altri metodi di trascinamento Estrinsecazione rapida: tecnica Estrinsecazione rapida - tecnica Il primo soccorritore fa passare il proprio braccio sotto l’ascella più distante da se della vittima per afferrargli il polso del braccio opposto, infila l’altra mano sotto l’altra ascella della vittima per afferrargli la mandibola e bloccargli la testa con la mano e sostenerla tra testa e spalla proprie; appoggiata la vittima al proprio torace, l’allontana dal pericolo tirandola verso di se, la depone e l’allontana dalla scena, se è indispensabile, con uno degli altri metodi di trascinamento.
409
Movimentazione a 2 o più soccorritori
Trasporto a 2 soccorritori a seggiolino per le estremità Trasporto a 3 o più soccorritori Sollevamento a ponte Movimentazione a due o più soccorritori Le tecniche che richiedono la partecipazione alla movimentazione dell’infermo di due o più soccorritori, rispetto a quelle ad un solo soccorritore, sono: più efficaci, permettendo una più rapida movimentazione dell’infermo, meno rischiose per il soggetto soccorso per scuotimenti e cadute, di maggior tutela per i soccorritori dai danni derivati dal trasporto. Nel caso di un sospetto trauma della colonna è importante che i diversi operatori riescano ad interagire fra di loro per riuscire a tenere allineati la testa al collo ed al tronco e non correre il rischio di piegare la colonna vertebrale; in questo caso il ruolo del team leader del gruppo è strategico, coordinando le varie fasi dell’intervento, dando i comandi nelle diverse operazioni, controllando che in tutte le operazioni sia garantita la sicurezza dell’intero team e della vittima soccorsa.
410
Trasporto a seggiolino 1a tecnica
Paziente incosciente, in shock, con fratture pelviche, spinali o degli arti Controindicazioni per spostare un paziente con problemi, che non gli consentono lo spostamento spontaneo Indicazioni Trasporto a seggiolino 1a tecnica Trasporto a seggiolino - prima tecnica Consente di camminare frontalmente, quando necessita una visione della scena sicura. È indicata per spostare rapidamente un paziente colto da un malessere o da altri problemi, che non gli permettono di spostarsi spontaneamente.
411
Trasporto a seggiolino: 1a tecnica
I 2 soccorritori formano uno schienale per sostenere le spalle del paziente sostenendosi reciprocamente in alto con le rispettive braccia appoggiate sulla spalla dell’altro un palco su cui far sistemare il paziente afferrando in basso reciprocamente con la mano libera il braccio libero dell’altro soccorritore Il paziente viene fatto collocare all’interno del seggiolino e spostato Trasporto a seggiolino: 1a tecnica Trasporto a seggiolino - prima tecnica I due soccorritori formano: a) uno schienale per sostenere le spalle del paziente sostenendosi reciprocamente in alto con le rispettive braccia appoggiate sulla spalla dell’altro, b) un palco su cui far sistemare il paziente afferrando in basso reciprocamente con la mano libera il braccio libero dell’altro soccorritore. Il paziente viene fatto collocare all’interno del seggiolino e spostato.
412
Trasporto a seggiolino 2a tecnica
paziente incosciente, in shock, con fratture pelviche, spinali o degli arti Controindicazioni per spostare un paziente cosciente con problemi, che non gli consentono lo spostamento spontaneo Indicazioni Trasporto a seggiolino 2a tecnica Trasporto a seggiolino - seconda tecnica Come l’altra tecnica consente di camminare frontalmente, quando necessita una visione della scena sicura. È indicata per spostare rapidamente un paziente colto da un malessere o da altri problemi, che non gli permettono di spostarsi spontaneamente. Rispetto all’altra tecnica la posizione del paziente è più sicura, ma è necessario un suo diretto intervento nell’atto di sorreggersi ai soccorritori.
413
Trasporto a seggiolino: 2a tecnica
i 2 soccorritori s’afferrano reciprocamente i polsi, formando una specie di panca su cui far sedere il paziente quest’ultimo viene poi invitato ad adagiarsi sul supporto formato dai polsi incrociati afferrare le spalle dei due soccorritori mentre lo spostano Trasporto a seggiolino: 2a tecnica Trasporto a seggiolino - seconda tecnica I 2 soccorritori s’afferrano reciprocamente i polsi, formando una specie di panca su cui far sedere il paziente; quest’ultimo viene poi invitato ad adagiarsi sul supporto formato dai polsi incrociati e afferrare le spalle dei due soccorritori mentre lo spostano.
414
Trasporto per le estremità
shock, con fratture costali, pelviche, spinali o degli arti Controindicazioni per spostare un paziente con problemi, che non gli consentono lo spostamento spontaneo Indicazioni Trasporto per le estremità Trasporto per le estremità Come le altre tecniche a 2 soccorritori consente di camminare frontalmente, quando necessita una visione della scena sicura. È indicata per spostare rapidamente un paziente colto da un malessere o da altri problemi, che non gli permettono di spostarsi spontaneamente o un paziente incosciente. Rispetto alle altre tecniche è controindicata in pazienti con fratture costali.
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Trasporto per le estremità: tecnica
Il primo soccorritore s’inginocchia alle spalle del paziente, seduto a terra con le ginocchia flesse passando le braccia sotto le ascelle del paziente, gli afferra i polsi L’altro soccorritore s’accovaccia a sua volta ai piedi del paziente e gli afferra le ginocchia A comando del team leader i soccorritori si sollevano simultaneamente e spostano il paziente Trasporto per le estremità: tecnica Trasporto per le estremità Il primo soccorritore s’inginocchia alle spalle del paziente, seduto a terra con le ginocchia flesse, passando le braccia sotto le ascelle del paziente, gli afferra i polsi. L’altro soccorritore s’accovaccia a sua volta ai piedi del paziente e gli afferra le ginocchia. A comando del team leader, i soccorritori si sollevano simultaneamente e spostano il paziente.
416
Eseguendola correttamente, la manovra non è particolarmente rischiosa
Controindicazioni Spostamento rapido in caso di trauma su lunghi percorsi Indicazioni Trasporto a 3 Trasporto a tre Consente l’impiego da 3 a 6 soccorritori, permettendo di ridistribuire il peso fra i componenti del gruppo e di limitare i possibili danni da movimentazione al paziente ed ai soccorritori. Il maggior numero di soccorritori consente anche di svolgere spostamenti percorrendo più lunghe distanze rispetto alle altre tecniche. Nella movimentazione del paziente, specie in quelle più critiche di sollevamento e di deposizione, occorre operare in sincronia, avendo particolare cura a tenere sempre in asse il tronco del paziente.
417
I soccorritori s’inginocchiano disponendosi, per non ostacolarsi, in alternanza sui lati dell’infermo il soccorritore accanto alla testa del paziente posiziona un braccio tra il collo e le spalle a sostegno della testa e l’altro braccio sotto la parte superiore della schiena il soccorritore successivo posiziona un braccio sotto la vita, l’altro sotto le anche il soccorritore accanto alle gambe posiziona un braccio sotto le ginocchia, l’altro sotto le caviglie A comando del team leader simultaneamente si sollevano e spostano il paziente Trasporto a 3: tecnica Trasporto a tre - tecnica I soccorritori s’inginocchiano disponendosi, per non ostacolarsi, in alternanza sui lati dell’infermo; il soccorritore accanto alla testa del paziente posiziona un braccio tra il collo e le spalle a sostegno della testa e l’altro braccio sotto la parte superiore della schiena; il soccorritore successivo posiziona un braccio sotto la vita, l’altro sotto le anche; il soccorritore accanto alle gambe posiziona un braccio sotto le ginocchia, l’altro sotto le caviglie. A comando del team leader simultaneamente si sollevano e spostano il paziente
418
Eseguendola correttamente, la manovra non è particolarmente rischiosa, ma meno sicura dell’uso della barella a cucchiaio Controindicazioni Tecnica per sollevare da terra un traumatizzato e spostarlo su mezzo convenzionale di trasporto (barella, asse spinale) Indicazioni Sollevamento a ponte Sollevamento a ponte Il sollevamento a ponte è una tecnica per sollevare da terra un traumatizzato posto su terreni accidentati e spostarlo su mezzo convenzionale di trasporto (barella, asse spinale); in alternativa a questa manovra si può usare la barella a cucchiaio, che evita il rischio di sollecitazioni del rachide nel corso della movimentazione manuale del paziente. Nella movimentazione del paziente, specie nelle fasi più critiche come quelle di sollevamento e di deposizione, occorre operare in sincronia, avendo particolare cura a tenere sempre in asse il tronco del paziente, cercando di garantire al limite del possibile l’immobilità della colonna, per scongiurare lesioni midollari invalidanti. La tecnica s’esegue con tre o meglio quattro soccorritori.
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Sollevamento a ponte : tecnica
I tre soccorritori si posizionano a gambe divaricate sul paziente il primo soccorritore va sulla testa del paziente, in opposizione agli altri soccorritori, e posiziona le sue mani rispettivamente sotto la nuca e tra le spalle del paziente il soccorritore centrale si colloca sul dorso e posiziona le sue mani sotto il lombi del paziente il terzo soccorritore, piazzato sugli arti inferiori, infila le mani sotto le gambe A comando del team leader sollevano simultaneamente da terra di 20 – 30 il paziente e lo spostano sopra la barella lo adagiano con delicatezza Sollevamento a ponte : tecnica Sollevamento a ponte - tecnica I tre soccorritori si posizionano a gambe divaricate sul paziente: il primo soccorritore va sulla testa del paziente, in opposizione agli altri soccorritori, e posiziona le sue mani rispettivamente sotto la nuca e tra le spalle del paziente; il soccorritore centrale si colloca sul dorso e posiziona le sue mani sotto il lombi del paziente; il terzo soccorritore, piazzato sugli arti inferiori, infila le mani sotto le gambe. A comando del team leader: sollevano simultaneamente da terra di 20 – 30 il paziente e lo spostano sopra la barella e lo adagiano con delicatezza.
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Dispositivi d’ausiliazione
b Un infortunato andrebbe sempre spostato su un mezzo convenzionale di trasporto ...se non c’è in dotazione un mezzo di fortuna Dispositivi di ausiliazione La semplice movimentazione di un infortunato in emergenza deve il più possibile limitarsi alla fase di sollevamento. Quelle successive di trasporto e di deposizione, per quanto è consentito dai mezzi o dalle circostanze, dovrebbero servire solo per trasferire il paziente soccorso su un dispositivo d’ausiliazione Pertanto, le manovre di spostamento manuale del paziente soccorso dovrebbero essere molto limitate nel tempo e nello spazio, privilegiando sempre lo spostamento con un mezzo convenzionale di trasporto o, in assenza di questi, con un mezzo di fortuna.
421
Ausili alla movimentazione
di fortuna convenzionali sedia da cucina telo (coperte; lenzuoli) sedia a rotelle barella standard a cucchiaio asse spinale Ausili alla movimentazione Ausili alla movimentazione I principali mezzi di trasporto convenzionali sono: la sedia a rotelle la barella standard con ruote pieghevoli la barella a cucchiaio l’asse spinale. In dotazione agli equipaggi d’ambulanza di solito c’è anche il telo, che usano di preferenza in alternativa alla sedia a rotelle, ma che, a differenza di questo mezzo, richiede l’impiego di almeno tre addetti, addestrati all’uso di tale tecnica. La barella a canestro è un altro ausilio della movimentazione impiegato in particolari circostanze: spostamenti con corda da piani differenti, terreno in salita, lungo una scala, sopra macerie o rottami o terreni accidentati Questi mezzi – adoperati dagli operatori sanitari di pronto soccorso territoriali ed ospedalieri - difficilmente sono disposizione di operatori laici di primo soccorso; pertanto, in mancanza di essi, per la movimentazione si possono impiegare ausili alla movimentazione di fortuna quali una porta scardinata, un tavolo a cui si smontino i piedi, una sedia da cucina, un lenzuolo o una coperta con i lembi annodati.
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Indicazione dei principali mezzi di trasporto convenzionali
di scelta nel trasporto del traumatizzato, con il supporto della barella cucchiaio nella fase di sollevamento asse spinale per il sollevamento ed il trasporto nel trauma barella cucchiaio per il trasporto rapido ed in sicurezza nella gran parte delle situazioni barella standard Per trasportare pazienti non traumatici in spazi angusti, ascensori, rampe di scale Sedia a rotelle Indicazione all’utilizzo dei principali mezzi di trasporto convenzionali Si impiegano i dispostivi di trasporto convenzionali innanzitutto sulla base della presenza di una situazione traumatica o meno e poi per il tipo di percorso e per gli ostacoli presenti. Nel trauma sono d’elezione la barella a cucchiaio – molto utile per sollevare il paziente da terra e per le altre operazioni di movimentazione – e l’asse spinale, meno facile da utilizzare, ma - impiegabile anche in sala raggi, in quanto trasparente ai raggi X - evita la necessità di un’ulteriore spostamento del paziente per gli accertamenti. Pertanto, si usano i due dispositivi in reciproco supporto, sollevando il traumatizzato con la barella a cucchiaio e deponendolo sull’asse per i successivi atti diagnostici. Gli altri dispositivi s’impiegano con pazienti senza rischio di danni alla colonna, adoperando di preferenza la barella standard, specie se occorre compiere lunghi percorsi su terreno liberi; la sedia a rotelle per il trasporto in spazi ristretti, in ascensori stretti, con rampe di scale (con le stesse indicazioni della sedia è impiegato anche il telo, che, comunque, richiede l’intervento di almeno tre operatori).
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Uso di mezzi di trasporto di fortuna
I mezzi di trasporto con cui il primo soccorritore deve acquistare una qualche dimestichezza sono: la sedia da cucina il trasporto con telo (coperte; lenzuoli) Uso dei mezzi di trasporto di fortuna I soccorritori laici, in caso di necessità, possono facilmente preparare con poche risorse (una porta scardinata, due tavole di cantiere fissate assieme, un giaccone o un cappotto abbottonati con due pali che l’attraversano, una coperta o un lenzuolo con i lembi arrotolati o annodati) un qualche dispositivo di trasporto di fortuna. Ma il trasporto con mezzi di fortuna è molto pericoloso e va limitato soprattutto a soggetti impossibilitati a muoversi non traumatizzati, circoscrivendone comunque l’impiego soltanto nelle azioni di spostamento in luogo sicuro in caso di pericolo imminente per il paziente e per i soccorritori. Pertanto, è necessario che i soccorritori laici abbiano dimestichezza con qualcuno di questi sistemi straordinari di movimentazione. In particolare, si descrivono di seguito la tecnica del trasporto con una robusta sedia da interni - qual è, ad esempio, la sedia da cucina - e quella del trasporto con il telo, che offrono i minori rischi d’impiego.
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Trasporto con sedia da cucina
Pazienti non collaboranti o con funzioni vitali compromesse, in shock, con fratture Controindicazioni Trasporto a 2 soccorritori di soggetti coscienti e magri anche attraverso corridoi, scale, ascensori Indicazioni Trasporto con sedia da cucina Trasporto con sedia da cucina Il trasporto con una robusta sedia d’interni, ad es. da cucina, è: adatto con pazienti di corporatura poco gravosa, coscienti e collaboranti indicato per soggetti dispnoici, con edema polmonare, infarto controindicato in caso si sospetti traumi o fratture Il trasporto si effettua con due soccorritori e consente loro di spostarsi frontalmente e di avere una visione adeguata della scena. È indicata per gli spostamenti d’emergenza anche attraverso percorsi accidentati (scale) o ristretti (corridoi, ascensori). Nel trasporto è necessaria la collaborazione attiva del paziente, che dovrà fare attenzione a non sporgersi dalla sedia o aggrapparsi istintivamente ad appigli (maniglie, ringhiere), rischiando di sbilanciare i soccorritori e cadere. Pertanto si dovrà raccomandare al paziente di tenere le braccia conserte e le mani sulla pancia. Per un transito sicuro occorre bonificare ai soccorritori il percorso, togliendo ingombri prima dell'avvio della manovra o facendoli precedere da un astante, che rimuove o segnala gli ostacoli prima del loro arrivo.
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Trasporto con sedia da cucina: tecnica
Dopo aver fatto sedere il paziente sulla sedia un soccorritore afferra lo schienale della sedia e la inclina all’indietro verso di se l’altro soccorritore, posizionatosi con un ginocchio a terra, afferra le gambe anteriori della sedia i soccorritori, a comando del team leader, contemporaneamente spostano in alto anteriormente ed inclinano ulteriormente all’indietro la sedia lentamente s’avviano e procedono lungo il percorso stabilito Trasporto con sedia da cucina: tecnica Trasporto con sedia da cucina - tecnica Questa tecnica ha altre due varianti: a due soccorritori ad un soccorritore. Per entrambe valgono le indicazioni e le controindicazioni della tecnica principale. La variante a due soccorritori prevede la presa laterale da parte d’entrambi i soccorritori, che si portano di fianco alla sedia afferrano con la mano posteriore il montante posteriore della sedia e con l’altra mano gamba anteriore alzandosi contemporaneamente al comando del team leader. È utilizzabile quando lo spazio consente ai soccorritori di disporsi affiancati ed ha il vantaggio di una maggiore e migliore visibilità della scena e stabilità del trasporto. L’altra tecnica ad un soccorritore permette il trasporto di un soggetto su superfici piane e pavimentate con un sistema a trascinamento. Si procede dopo aver fatto sedere il paziente sulla sedia, afferrando lo schienale e inclinando la sedia all’indietro; in questa posizione, con il paziente appoggiato allo schienale, si trascina la sedia lungo il percorso stabilito.
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Pazienti con fratture traumi, fratture; edema polmonare, dispnea
Controindicazioni paziente non collaborante o incosciente Indicazioni Trasporto con un telo Trasporto con un telo Se il paziente non è collaborante o è incosciente, si può utilizzare un telo, una coperta, dopo aver disteso sopra il soggette, per spostarlo in emergenza anche attraverso percorsi accidentati (scale) o ristretti (corridoi, ascensori). I trasporto con telo è controindicato in caso di: traumi o fratture, per le sollecitazioni su schiena ed arti che la procedura consente edema polmonare, dispnea, per l’ostacolo alla respirazione diaframmatica indotta dalla posizione nel telo del paziente. Il trasporto si effettua con almeno tre, preferibilmente quattro soccorritori e permette loro di spostarsi frontalmente e di avere una visione adeguata della scena.
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Trasporto con un telo: tecnica
Dopo aver fatto distendere il paziente sulla coperta i soccorritori afferrano i lembi della coperta per iniziare il trasporto, disponendosi un soccorritore alla testa del paziente e, per evitare eventuali traumi durante la discesa, solleva la testa rispetto al corpo gli altri due ai suoi fianchi e afferrano solo i lembi laterali, se il trasporto avviene con 4 soccorritori i lembi in corrispondenza dei piedi, se il trasporto è soltanto con 3 l’eventuale quarto soccorritore, se presente, afferrando entrambi i lembi in corrispondenza dei piedi a comando del team leader s’avviano facendo avanzare i piedi prima del resto del corpo Trasporto con un telo: tecnica Trasporto con un telo - tecnica Dopo aver fatto distendere il paziente sulla coperta i soccorritori afferrano i lembi della coperta per iniziare il trasporto, disponendosi un soccorritore alla testa del paziente (il quale, per evitare eventuali traumi durante la discesa, solleva la testa rispetto al corpo), gli altri due ai suoi fianchi. Questi due soccorritori afferrano solo i lembi laterali se il trasporto avviene con 4 soccorritori; afferrano invece solo i lembi in corrispondenza dei piedi se il trasporto è soltanto con 3; l’eventuale quarto soccorritore, se presente, afferrano entrambi i lembi in corrispondenza dei piedi. A comando del team leader s’avviano facendo avanzare i piedi prima del resto del corpo.
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