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PubblicatoGeronima Morini Modificato 8 anni fa
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Blaise Pascal A cura di Stefano Ulliana
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Panoramica ● 1. La vita e le opere. ● 2. Il problema del senso della vita. ● 3. I limiti della mentalità comune. ● 4. I limiti del pensiero scientifico. ● 5. I limiti della filosofia. ● 6. La meta-filosofia e il cristianesimo. ● 7. La “scommessa” su Dio. ● 8. Dalla ragione alla fede: il “cuore” e Dio. ● 9. Ricerca umana e grazia divina.
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1. Vita e opere. ● Blaise Pascal (1623 – 1662 d.C.) si appassiona quando è ancora molto giovane agli studi ed alle ricerche di matematica e di fisica. Scrive il Trattato delle sezioni coniche (1639 d.C.) e costruisce una serie di piccole macchine meccaniche calcolatrici (le Pascaline). Studia i fluidi ed i fenomeni legati alla pressione. Dimostra l'esistenza del vuoto. Collabora con Pierre de Fermat nelle ricerche del calcolo probabilistico. Il teorema di Pascal
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● Un episodio miracoloso, che lo tocca in prima persona, lo spinge ad approfondire la propria sensibilità religiosa e a ritirarsi con i “solitari” di Port-Royal. Qui subisce l'influenza del giansenismo, la dottrina di Cornelio Giansenio, che tentava una riforma del cattolicesimo su basi agostiniane, predicando una rigorosa predestinazione (elettiva e molto selettiva) della grazia divina, per la salvezza dell'uomo. Buona volontà ed appartenenza alla Chiesa non bastavano – come invece credevano i Gesuiti - a salvare l'uomo, infettato dal peccato originale. Il giansenismo venne però condannato da Papa Innocenzo X, così Pascal decise di intervenire nella disputa teologica. A questo proposito scrisse le Lettere provinciali (1657 d.C.), raccolta di missive nelle quali lo spirito fervente di Pascal si scagliò contro la rilassatezza dei costumi, consentita dall'atteggiamento eccessivamente accomodante ed ottimistico dei Gesuiti, che sembravano trovare una via di salvezza per ogni peccato (casistica).
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● Seguendo S.Agostino Pascal sostenne che la proprietà dell'azione salvifica appartiene esclusivamente a Dio, che la rivolge a proprio esclusivo arbitrio verso l'uomo che ha prescelto (influenza veterotestamentaria), consentendogli in tal modo di potenziare la propria libertà di scelta e di dirigerla verso il bene, in modo chiaro e distinto. L'illuminazione della grazia divina diventa quindi condizione necessaria e sufficiente per l'attuazione della vera libertà umana dal peccato originale. La raccolta delle sue riflessioni in difesa del cristianesimo diventa alla fine una pubblicazione postuma, edita con il titolo di Pensieri.
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2. Il problema del senso della vita. ● Alla ricerca di un senso per l'esistenza umana, Pascal considera la natura umana come sospesa fra l'infinito ed il nulla: “mostro incomprensibile”, l'uomo vale come contraddizione in se stesso fra l'aspirazione all'infinito e la finitezza nella quale resta sempre impigliato. Per questo “angelo” e “bestia”, egli si auto-inganna in continuazione, fidando sul potere della propria immaginazione razionale, che infatti lo sospinge a valutare come unici ed assoluti principi morali ed etici, che invece si modificano continuamente nel tempo e nello spazio. Se dunque l'immaginazione è fonte di illusione ed errore, essa deve essere nientificata dalla considerazione della nostra abissale ed assoluta ignoranza su tutto, dalla valutazione della apparente e profonda insensatezza dell'esistenza in generale e nostra, in particolare. Se, dunque, il nostro pensiero, la nostra esistenza e vita, la nostra stessa azione non ottengono apparentemente alcuna collocazione e giustificazione razionale, l'intreccio del nostro io non può trovare alcuna stabilità emotiva e mentale.
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● Di fronte all'apertura dell'infinito l'io nella propria finitezza non può non auto-annullarsi. Fragile come una canna mossa dal vento, l'uomo vede soltanto infiniti, che lo assorbono come un atomo e come un'ombra che dura un istante, per scomparire poi per sempre (Pensieri, 194). L'immaginazione invece cattura l'uomo, con i desideri presenti nelle proprie occupazioni quotidiane e con i bisogni di riconoscimento sociale da esse indotte, annullando in lui ogni cura verso questo genere di preoccupazioni esistenziali. Alienato a se stesso da se stesso, l'uomo deve invece ricomporsi e ritrovare il senso del proprio rapporto con se stesso, scoprendolo finalmente in Dio (nel Dio del Vecchio e Nuovo Testamento). Tutto ciò che allontana l'uomo da tale obiettivo vale invece come sviamento e diversione (divertimento). La mentalità comune, la scienza e la stessa filosofia sono sviamenti ed inutili esercizi intellettuali: solamente la fede cristiana riesce invece a dare un senso alla propria ricerca emotiva ed ideale ed a placare l'inquietudine ed il senso di precarietà, che accompagna costantemente la vita dell'individuo.
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3. I limiti della mentalità comune. ● La soluzione cristiana prospettata da Pascal si contrappone dunque frontalmente con la soluzione bruniana (poi adottata in versione minore dai cosiddetti “liberi pensatori”), che prevedeva la sussistenza di una dialetticità creativa e positiva dell'infinito ed assegnava all'immaginazione razionale un valore ed una funzione di stimolo e di energia per la vita mentale e concreta dell'uomo. Pascal invece si scontra con la consapevolezza dell'uomo nei confronti della propria mortalità, con il dolore relativo e con la reazione corrispondente: il desiderio, come desiderio di fuga e di riempimento del vuoto e della sofferenza provati. Per effetto di questa reazione l'uomo prova piacere nella ricerca delle cose del mondo (occupazioni e intrattenimenti sociali), che annullano la memoria della propria condizione esistenziale reale e modificano o trasformano la negatività sentita in apparente positività.
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● Così una continua fonte di propositività e di azioni nei confronti del futuro impone all'uomo la ricerca ed il necessario perseguimento di finalità in realtà estrinseche, che – oltre a nascondere la vera e propria finalità intrinseca ed autentica, rappresentata dalla riflessione su di sé – sostituiscono e coprono l'infelicità attuale con una continua infelicità futura. In questo modo una fonte assolutamente negativa per l'uomo, con il suo carico di sofferenza ineliminabile, si trasforma in una moltiplicazione parossistica di affanni e di insoddisfazioni reali. La via di questa finta opposizione richiede dunque che l'uomo rientri in se stesso, riscoprendo la virtù del pensiero e della riflessione. Solo in questo modo l'uomo riesce a fare il primo passo verso la propria liberazione. Affrontando la povertà e la miseria della propria assoluta finitezza ed accettandone tutte le implicazioni e necessità.
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4. I limiti del pensiero scientifico. ● Anche il pensiero scientifico non riesce ad attingere la profondità e l'elevatezza proprie del problema esistenziale umano. La scienza infatti pare arrestarsi all'esperienza, vincolando la ragione stessa al dominio dei sensi. Inoltre essa non riesce a trovare dimostrazione razionale dei suoi primi principi, che devono essere dati per evidenza. In questo modo però essa oscura il problema dell'infinito, nel quale è comunque immersa. Se lo spirito ipotetico-deduttivo della scienza – l'esprit de géométrie - non riesce dunque a toccare e sollecitare la profondità e la complessità dell'esistenza umana, lo spirito che si concentra su se stesso e sprofonda nell'abisso – l'esprit de finesse – riesce invece a immedesimarsi con il cuore pulsante dell'esistenza umana e con il proprio desiderio vitale inesausto. Solamente questa seconda capacità di comprensione intuitiva può fondare la persuasione retorica della vera filosofia e dell'autentica morale.
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5. I limiti della filosofia. ● A differenza della mentalità comune e della scienza, la filosofia riesce a porsi i massimi problemi esistenziali e metafisici – e in ciò risiede la sua nobiltà umana – ma non riesce a risolverli. Il desiderio di comprensione e di potenza umana legato alla facoltà razionale non riesce a dimostrare l'esistenza o l'inesistenza di Dio: la Natura può essere vista come opera di Dio solamente attraverso la fede. Il Dio dimostrato dalla ragione naturale è un ente astratto e freddo, rigido, privo di ogni calore umano e lontano da ogni sentimento e sensibilità umane. ● La filosofia è poi incapace di spiegare la particolare collocazione dell'uomo nel mondo e nella storia, perché non lo vede nel suo intreccio contraddittorio di miseria e di nobiltà. Di fronte all'apertura dell'infinito estremo la finitezza dell'uomo vale infatti quasi come un nulla.
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● Se nell'ordine dell'essere l'uomo è sospeso fra l'infinito ed il nulla, nell'ordine della conoscenza l'uomo resta impigliato dal suo desiderio di conoscere fra l'assoluta sapienza e l'abissale ignoranza. Egli vaga sospeso, senza poter conoscere l'inizio ed il fine delle cose: lontano dagli opposti estremi, è sconosciuto ed irriconosciuto da essi. Nell'ordine pratico, poi, l'uomo desidera costantemente e continuamente la felicità ed il bene, rimanendo egualmente in una posizione di medietà, opposta tanto alla realizzazione piena dei propri più alti desideri, quanto alla loro negazione più bassa ed infelice. Il suo sforzo resta perciò costantemente irrealizzato: pur credendo ed immaginando di vivere in una certa comodità e piacere, tutti pensano di doversi lamentare della propria infelice condizione. La continua frustrazione del suo desiderio – presa fra volontà di potenza e reale potere – gli segnala la sua reale povertà e miseria, mentre il suo stesso sforzo ne qualifica la nobiltà e la grandezza.
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● Grazie al pensiero ed alla coscienza della propria condizione di fronte all'infinito, l'uomo riesce ad elevarsi sulla propria miseria ed a riconoscere il proprio valore, su tutto ciò che è meramente materiale e naturalmente meccanico. L'uomo è, dunque, determinato da questa compresenza di miseria e di nobiltà, come se fosse un “mostro incomprensibile”, una “chimera”, un “prodigio” ed un “paradosso di fronte a se stesso”. Questa compresenza di fattori contraddittori è paradossalmente la condizione di equilibrio dinamico dell'uomo, altrimenti schiacciato dalla posizione scettica o esaltato in quella dogmatica. In ogni caso squilibrato, in alto o in basso. ● La stessa relatività delle leggi e delle massime morali o dei costumi socialmente codificati ed accettati indica che la razionalità non riesce a raggiungere una base ed un fondamento stabile ed universale. Il dubbio e la confusione regnano sovrani, mentre le convenzioni, le abitudini, gli interessi o la forza e l'arbitrio impongono come universale, ciò che è di volta in volta solo un effetto particolare della volontà o dell'intelletto.
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6. La meta-filosofia e il cristianesimo. ● Il processo di neutralizzazione del soggetto naturale, operato dalla nuova scienza e che ha come esito e risultato la sua trasformazione in oggetto esteso e calcolabile, umanamente utilizzabile e fruibile, fa sì che esso - nel momento in cui venga considerato nel suo aspetto infinitistico ed illimitato - generi una reazione emotiva ed ideale di spavento e di alienazione. L'infinito positivo bruniano si trasforma e capovolge in orizzonte negativo di alienazione – l'universo come essere alieno rispetto all'umanità – all'interno del quale si costituisce, quasi si irradica, una annichilazione di base: la negazione della creatività immaginativa della materia bruniana si riverbera sulla negazione delle stesse capacità propulsive ed attive umane. L'uomo finisce per pagare su se stesso l'atto di negazione compiuto nei confronti della Natura. Egli si trasforma in una creatura estremamente fragile e precaria, che si agita vanamente all'interno della scenografia e del teatro immenso ed insensato del mondo.
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● Con Pascal viene dunque a decadere l'infinito ideale come termine di felice e gioiosa, esaltante eguaglianza. Come termine ideale e reale dell'azione e per l'azione, umana e fraterna. Cadendo questo orientamento principale, l'uomo non può non ricadere nel nulla di sé, nella nientificazione della propria capacità artefice. Così la negazione non riguarderebbe solo la capacità creativa dell'immaginazione, ma anche il suo correlato desiderio e la sua libera volontà. Senza quell'ordinamento l'uomo deve ora riacquisire un ordine, che gli fornisca di nuovo una giusta e corretta collocazione e posizione nel cosmo. La riscoperta pascaliana dell'ordine e del piano della divina Provvidenza, nella predeterminazione piena e completa, totale, della grazia divina va in questa direzione. La stessa ripresa del principio basilare della fede cristiana – l'esistenza di un Dio benignamente creatore dal nulla – è funzionale alla ricomposizione di un equilibrio umano, altrimenti sospeso nella precarietà e nella fuggevolezza, nello spavento di fronte alla doppia irraggiungibilità dell'infinitamente grande e dell'infinitamente piccolo.
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● La posizione speculativa di Pascal è dunque decisamente dialettica: vi è infatti un movimento, per il quale l'uomo si accorge della propria condizione di mediana limitatezza e dello strazio che di tale condizione fanno sia il pensiero dell'infinitamente grande, che quello dell'infinitamente piccolo. Di fianco a questa divisione e contrapposizione fra opposti orizzonti il divertissement procura quella diversione – anch'essa a componente dialettica – per la quale l'uomo occupa con il tempo delle proprie occupazioni - nella tensione fra lo sforzo ed il riposo – lo spazio della possibile noia, segno della propria condizione miserabile dal punto di vista materiale e naturale. Solamente l'insoddisfazione può dunque riprecipitare l'intelletto umano nella consapevolezza della propria condizione negativa di base e farlo reagire, per riscoprire la propria grandezza perduta. Qui sboccia quell'apertura del pensiero, che invita al riempimento della propria esistenza ed alla sutura di quello strazio e divisione originaria.
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● È l'intervento superiore della determinazione portata dalla grazia e dalla divina Provvidenza a riempire lo spazio ed il tempo dell'umana esistenza, risuturando quella doppia distrazione compiuta dal pensiero dell'infinito e ridonando o ricomponendo nell'uomo l'integrità della propria unità. In questo modo la speculazione pascaliana propone per la prima volta nella storia del pensiero occidentale una movenza dialettica (tesi, antitesi, sintesi). medietàdistrazione (sforzo-riposo) medietà Infinitamente grande Infinitamente piccolo Divina grazia e Provvidenza medietà [cfr. teorema di Pascal]
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● Il Dio di Pascal dunque riempie l'animo ed il cuore di coloro che possiede e si unisce a loro nel più profondo della loro anima. In questo modo il rapporto fra il Dio personale del cristianesimo e l'uomo si fa immediato e totale, grazie alla mediazione rappresentata da Gesù Cristo. Contro ogni concezione naturalistica e razionalistica, che vorrebbe rinvenire in una sorta di autonomia e di libertà dell'uomo la spiegazione e la giustificazione della vita e dell'esistenza dell'uomo stesso, Pascal ritiene che solamente la sovra-determinazione divina possa fondare da un lato la natura umana e dall'altro segnarne il senso nelle proprie forme della finalità provvidenziale. La natura umana è infatti corrotta dal peccato originale e può essere salvata solamente dalla grazia divina: è decaduta da una sua iniziale grandezza in una attuale condizione di miseria ed abbrutimento, che può essere risollevata solamente grazie all'intervento divino.
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● Nato per l'infinito – con pieno diritto e possesso della verità, del bene e della felicità – l'uomo cerca invece nel finito la soddisfazione del proprio desiderio di felicità, provando una perenne inquietudine ed una costante frustrazione, dimenticando che il vuoto abissale e la carenza ontologica che porta dentro di sé dipendono dal peccato originale e che solamente l'intervento salvifico di Dio può risanarlo e ricomporlo nella propria grandezza. Qui la fede sottomette ed innerva dall'interno la ragione discorsiva, rendendola viva.
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7. La “scommessa” su Dio. ● Di fronte allo scherzo ed al virtuosismo della ragione esibito dalle argomentazioni dei “liberi pensatori” e dei libertini, che parevano giocare con la sostanza essenziale e necessaria per la vita e l'esistenza umana – Dio - Pascal utilizza una persuasione retorica gradita ai suoi stessi avversari, uomini colti del gran bel mondo dorato delle corti e delle accademie: li costringe alla “scommessa” su Dio. Di fronte ad una posta finita – la propria esistenza – ed al proprio desiderio di una vincita, Pascal indica come la sproporzione effettiva fra infinito e finito, convinca a scommettere sull'esistenza di Dio: se Dio esiste egli riempie totalmente la nostra esistenza con la sua beatitudine eterna, se non esiste l'uomo rimane con ciò che offre, la propria finitezza. Se questo argomento ripresenta sotto altre vesti la ragionevolezza del credere, il sentimento della fede può essere poi facilitato dall'adesione esteriore ai riti ed ai comportamenti religiosi, che ottundono l'atteggiamento critico e sostituiscono l'adesione acritica alle più diverse forme di passione esistenziale.
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8. Dalla ragione alla fede: il “cuore” e Dio. ● La fede rappresenta per Pascal l'orizzonte di giustificazione della ragione umana, che nella sua finitezza può a suo modo rappresentare solo un tentativo limitato di comprensione della scissione e della contraddizione umana. Un tentativo destinato al fallimento senza il salto nella fede e nella sua apertura d'infinito. Ma tale apertura d'infinito può essere avvertita, sentita e seguita solamente dal “cuore”, dalla capacità sovrumana di farsi partecipe dell'infinito stesso, in virtù della sua stessa presenza ed offerta.
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9. Ricerca umana e grazia divina. ● Per questa ragione l'apertura d'infinito che è nel “cuore” dell'uomo non può non essere desunta e determinata dall'intervento diretto della grazia divina, la quale con la sua presenza ed azione rende partecipe l'uomo della vita dell'infinito stesso, della sua verità, giustizia e pace (spirito universale). Della sua stessa beatitudine. Ma come il “cuore” dell'uomo è nascosto all'interno del suo animo, così Dio stesso è nascosto – Deus absconditus – nel suo stesso mistero ineffabile. La sua determinazione compare dall'alto come sovra-razionale, per muovere e generare, far vivere ed orientare la libertà stessa della nostra capacità d'azione, in un modo tutto provvidenziale. Nello stesso tempo essa scompare alla vista e dall'orizzonte della nostra comprensione razionale, induttiva e deduttiva. E compare e scompare per effetto del suo stesso giudizio: giudizio di elezione e selezione (mistero della predestinazione).
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