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PubblicatoLino Fabbri Modificato 8 anni fa
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Aristotele A cura di Stefano Ulliana
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Panoramica ● 2.1. La metafisica di Aristotele. ● 2.2. La logica di Aristotele. La scala dell'EssereQuadrato logico
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2.1. La metafisica. ● Il sistema completo delle scienze filosofiche. Aristotele distingue fra scienze teoretiche, pratiche e poietiche (o produttive), secondo lo schema seguente:
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● La metafisica. La “filosofia prima” aristotelica si dedica allo studio dell'Essere di per se stesso, vedendo in esso Dio come sostanza immutabile/immobile ed altre sostanze, anch'esse eterne come gli astri del cielo ed i pianeti, oppure soggette alla generazione e corruzione (le sostanze terrestri o “sublunari”). In questa visione si preoccupa di ritrovare le cause ed i principi primi: ciò senza di cui l'Essere in generale non si comporrebbe con il Divenire e ciò che pare dare origine ad ogni ente e determinazione. In questo modo, se è vero che la ricerca filosofica pare sorgere dall'apertura di uno sguardo nuovo – dalla “meraviglia”, dice Aristotele, proprio nella Metafisica – ovvero dalla possibilità di trovare una ragione diversa da quella immediatamente apparente, più alta e migliore, è anche vero che deve sussistere alla fine una relazione determinativa necessaria, capace di rendere il vero, escludendo l'errore.
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● È dunque in relazione a questo rapporto veritativo che l'Essere – così come sostiene Aristotele – possa essere espresso in molti modi, ovvero abbia diversi significati (determinazioni razionali vere, ovverosia universali e necessarie). Precisamente l'Essere aristotelico può essere espresso e determinato secondo una pluralità di distinzioni: la prima che l'essere possa essere considerato come vero, la seconda e la terza – rispettivamente – come accidente o come categorie; la quarta e la quinta – ancora rispettivamente – come atto e potenza. ● Il rapporto veritativo dell'essere può essere linearmente inquadrato all'interno di una serie ragionata di classi necessarie, ineliminabili e funzioni necessarie del nostro intelletto, che le usa sempre per dare collocazione razionale ad ogni oggetto pensato, immaginato o sentito. Queste sono le categorie.
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● Esse sono, in ordine di importanza, dieci: sostanza; qualità, quantità, relazione; agire, patire; dove, quando; avere, giacere. Esse valgono e funzionano insieme per l'essere reale e vero e per l'essere applicato, cioè detto, ovverosia predicato: sono ontologicamente i generi supremi dell'essere e logicamente i predicati primi o fondamentali nel linguaggio attributivo e dichiarativo, perché tutte le altre attribuzioni o predicati che riferiamo a qualsiasi soggetto vengono classificati al loro interno, ciascuno come particolare sottoinsieme ad essa relativo. In questa serie la categoria di sostanza funge e vale come termine accentratore prioritario. Sia nel caso che si intendano le sostanze sensibili, dotate di movimento e di trasformazione (oggetto di studio della fisica); sia che si tratti degli oggetti immobili, ma non separati (oggetto di studio della matematica); sia, infine, che si tratti della sostanza e causa prima ed universale, della sostanza soprasensibile, immobile e separata (al modo platonico): Dio.
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● sostanza Sensibili, la forma è inseparata Matematici, la forma è immobile Sovrasensibili, la forma è separata Il cielo immaginativo della ragione aristotelica La materia come prope nihil SCHEMA DELLA SOSTANZA ARISTOTELICA
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● Come si vede dallo schema precedente, il concetto di sostanza ha uno stretto rapporto sia con il concetto di forma ( ), che con quello di materia ( ). Sia soprattutto con la loro relazione, che può essere di inscindibilità reciproca (a formare il “sinolo”), di distinzione senza separazione (per gli enti matematici, che sono immobili), e di pura separazione (per quegli enti che sono appunto pura forma, sovrasensibili). Aristotele parte dal sinolo, dall'ente individuo e singolo mostrato dall'esperienza sensibile, per indicare la prima forma di sostanze, per poi risalire via via alle altre, precedentemente indicate. ● Ma che sono sono la forma e la materia?
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● La forma è l'elemento attivo e determinante dell'ente esistente, mentre la materia è l'elemento passivo e determinato dello stesso. Mentre il primo vale come termine di riferimento per la posizione veritativa dell'essere dell'ente esistente, il secondo vale come termine di base (sostrato o soggetto o potenza, ) per il divenire finale dello stesso. Forma o posizione dell'essere veritativo (essenza) dell'ente esistente Materia o base potenziale del divenire finale dell'ente esistente fine
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● Così, dunque, sia la forma che la materia sono elementi necessari per la composizione reale – ma anche logica – del singolo essere esistente. Per la loro necessità esse assurgono al concetto ed al valore di cause, appunto l'una formale e l'altra materiale, dell'essere. Di fronte e di contro a questa necessità, Aristotele pone tutte quelle qualità che possono o possono non essere o venire attribuite ai singoli esseri, definendole accidenti. ● Ma fra le cause ve ne sono altre due che Aristotele sostiene di introdurre, insieme alle prime due, per la prima volta in maniera precisa nella storia del pensiero greco: la causa efficiente e la causa finale.
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● È facile osservare come la causa efficiente sia la causa che produce l'ente esistente, ovverosia la causa che è all'origine del suo movimento. Nello stesso tempo non è difficile indicare come invece la causa finale sia il termine, che si fa valere come scopo del movimento stesso e che lo porta a compimento. Va subito notata nella speculazione aristotelica l'importanza della causa finale, successivamente collegata alla nozione duplice dell'essere come atto e potenza. Forma o posizione dell'essere veritativo (essenza) dell'ente esistente Materia o base potenziale del divenire finale dell'ente esistente fine Causa efficiente Causa finale
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● Come si è già visto durante la trattazione della filosofia platonica, Aristotele propone in Metafisica A una critica stringente alla teoria delle idee. Secondo lo Stagirita l'idea platonica nella sua separatezza non può essere causa formale degli esseri esistenti, dal momento che la relazione verticale che dovrebbe congiungerla con essi prevede la possibilità di un intervento moltiplicatore all'infinito, che non innesta e fa partire mai il momento della effettiva costituzione materiale dell'ente esistente stesso. Poi le stesse relazioni orizzontali fra gli enti dovrebbero costituirsi in immagine di relazioni ideali, via via sempre più complicate e difficili da ammettere (come per esempio l'idea di negazione o transitorietà).
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● Al contrario le forme aristoteliche sono immanenti agli esseri esistenti e da essi possono essere solamente “astratti” con un'operazione dell'immaginazione e dell'intelletto, come si vedrà quando si tratterà della teoria dell'anima e della conoscenza aristoteliche. Qui sopra la critica di Aristotele a Platone.
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● Il divenire in Aristotele. I concetti di potenza ed atto, la loro particolare unità e la speciale subordinazione della prima al secondo risolvono il problema della definizione, determinazione e organizzazione dello spazio e del movimento nel tempo degli enti esistenti sensibili o comunque visibili nel cielo. Forma o posizione dell'essere veritativo (essenza) dell'ente esistente Materia o base potenziale del divenire finale dell'ente esistente Causa efficiente Causa finale Fine Potenza Atto
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● Per potenza ( ) Aristotele, infatti, intende la possibilità, per la materia, di assumere una determinata forma; per atto invece intende la realizzazione di tale capacità. Per questo la materia viene vista all'inizio del processo come “privazione” della forma che è destinata a realizzare. Mentre, appunto l'atto viene considerato come perfezione che si realizza ( ). L'atto, dunque, ha una priorità ontologica, gnoseologica e cronologica sulla potenza: l'atto dà inizio, corrobora e sostiene, finalizza e porta a compimento perfetto la potenza materiale. La catena lineare alla quale l'atto dà luogo (e tempo) necessita di una base materiale generale, che consenta tutte le trasformazioni: essa viene chiamata da Aristotele materia prima, ente completamente indifferenziato ed indeterminato. Totalità delle differenze e delle determinazioni è invece ed all'opposto l'atto puro, la sostanza divina ed immobile.
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● La concezione del divino e di Dio. Come la catena che da un primo atto passa attraverso la potenza ad un atto finale, così il movimento – in senso generale, dunque compreso ogni mutamento – attraversa una serie di tappe causali: senza poter risalire all'infinito è necessario che sussista una causa prima, immobile e necessaria, del movimento stesso. Essa è Dio. Nella relazione del tempo – che è il tempo – ineliminabile, perché continuamente presupponente un “prima” ed un “poi”, ovverosia una relazione di tipo causale, il movimento - soprattutto quello eterno della sfera delle stelle fisse - compare come suo contenuto. L'Essere che lo contiene e lo muove è l'atto puro, necessariamente immobile: appunto Dio. Esso muove non per spinta, perché entrerebbe in tal modo nel movimento e sarebbe corruttibile (e non eterno), ma per trazione, per desiderio dell'universo intero, che vi tende come perfezio-
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● -ne da amare, distinta e distaccata, senza parti perché indivisibile, e indivisibile perché necessaria, eterna ed immobile, indivenibile, non trasformabile (impassibile ed inalterabile). Prima nel suo valore e valere, tale perfezione è oggetto dell'intelligenza umana, ma prima di tutto è soggetto di pensiero: pensiero che pensa se stesso come pensiero, pensiero di pensiero. Per questa ragione Dio vive eternamente nella bellezza e nella bontà, nella piacevolezza, della propria autocontemplazione. ● Ricapitolando: Dio è atto puro (senza potenza), forma pura (senza materia), causa prima ed immobile (necessari ed eterna) del movimento universale, che tende ad esso come alla sua perfezione completa e compiuta.
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● Causa finale, muove ed è oggetto d'amore e di intelligenza. Come soggetto è pensiero di sé come pensiero, in una vita eternamente beata. Non deve però essere dimenticata a questo punto la connessione della visione metafisica aristotelica con la relativa concezione cosmologica, che prevedeva la sussistenza di una combinazione di molteplici sfere concentriche (47/55 per nove cieli), per dare ragione del movimento dei pianeti, del Sole e della Luna, come si vedrà nell'Unità dedicata alla fisica. Ad ognuna di questa doveva perciò essere associata un'intelligenza motrice.
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● Forma o posizione dell'essere veritativo (essenza) dell'ente esistente Materia o base potenziale del divenire finale dell'ente esistente Causa efficiente Causa finale Fine Potenza Atto Intelligenze motrici Dio SCHEMA FINALE DELLA METAFISICA ARISTOTELICA
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2.2. La logica. ● La strutturazione completa del mondo metafisico aristotelico si accompagna con la definizione della sua determinazione conoscitiva. Per Aristotele il sapere si acquisisce e si accumula attraverso il procedimento dimostrativo. Ma questo a sua volta ha bisogno di essere analizzato – da qui il termine Analitica che compare negli Analitici primi e negli Analitici secondi - e costruito, controllato e verificato progressivamente, dal punto di vista razionale. Così la metafisica e la logica aristoteliche, procedendo sempre insieme, costituiscono una particolare onto-logia, fondata sulla combinazione necessaria dei due principi di identità e differenza. Identità della sostanza e differenza stabilita attraverso la variabile combinazione delle significazioni offerte e deposte nella mente umana dalla serie delle altre categorie.
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● Questa unità progressivamente costruita, definita e determinata, giunge sino alla sua applicazione al singolo ente esistente, al sinolo. Ma pretende di valere secondo due piani diversi: l'uno generale e l'altro appunto ulteriormente modificabile secondo la variabilità dei soggetti empirici. L'uno che attende sempre al valore ed al valere di una posizione universale (deduzione), l'altro che cerca di riferire il possibile insieme di dati raccolto attraverso l'esperienza ad un certo grado di certezza e verità, o verisimiglianza (induzione). La logica aristotelica prende in considerazione ed analizza entrambi questi procedimenti, rimanendo però famosa nella tradizione filosofica occidentale per il primo di essi (teoria delle categorie, della formazione delle proposizioni e dei giudizi; sillogismo).
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● Con questa premessa, per la quale la determinazione conoscitiva non può essere scissa dalla determinazione reale, è facile comprendere come il principio logico aristotelico forse più famoso nella storia del pensiero occidentale sia il cosiddetto principio di non- contraddizione. In virtù di questo principio di uno stesso soggetto non può essere affermata una determinazione e nello stesso tempo la sua opposta. L'identità della sostanza diventa immediatamente la non-variabilità della medesima determinazione. In questo modo e senso ogni concetto applicato è subito esistenza di un oggetto determinato. Seguendo la distinzione precedentemente delineata, l'orizzonte generale ed universale (genere) si deposita progressivamente attraverso delle differenze specifiche (specie), mostrando la stessa impostazione discendente e via via individuante platonica.
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● Rispetto al genere la specie è un concetto che include un maggior numero di caratteristiche, ma che può venir riferito a un minor numero di individui. Al contrario rispetto alla specie il genere include un minor numero di caratteristiche, ma può venir riferito ad un maggior numero di individui. L'aumento della precisione nella determinazione (comprensione) comporta, dunque, una diminuzione del numero (estensione) dei soggetti inclusi nel dato concetto. E viceversa. Dunque la diramazione delle differenziazioni successive procede in basso sino alla sostanza prima o soggetto infimo ed ultimo della predicazione, mentre in alto si conclude con le dieci già viste categorie o “generi sommi” dell'essere.
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● Dopo la trattazione dei termini (Categorie), Aristotele prende in considerazione le modalità di composizione dei soggetti e dei predicati nelle enunciazioni apofantiche o dichiarative (Sull'interpretazione). La modalità o qualità affermativa del giudizio terrà insieme soggetto e predicato attraverso l'“è”, quella negativa li separerà attraverso il “non è”. L'estensione o quantità del giudizio sarà poi universale – p.es. “tutti gli uomini sono mortali” - particolare – p.es. “alcuni uomini sono bianchi” - o singolare – p.es. “Socrate è un filosofo”. Per Aristotele i giudizi singolari non diventano patrimonio della scienza, in quanto possono essere accertati direttamente dall'esperienza. Egli invece si dedica alla sistemazione ed organizzazione delle relazioni sussistenti fra le proposizioni universali (affermative o negative) e le proposizioni particolari (affermative o negative).
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● A questo proposito Psello, un logico medievale, sistemerà ed amplierà i risultati dell'analisi aristotelica, costruendo uno speciale quadrato logico, che qui sotto disponiamo. Universale affermativa “Tutti gli uomini sono bianchi” Universale negativa “Nessun uomo è bianco” Particolare affermativa “Alcuni uomini sono bianchi” Particolare negativa “Alcuni uomini non sono bianchi” adfirmo nego adfirmo nego
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● Per il principio di non-contraddizione due proposizione contrarie non possono essere entrambe vere; possono però essere entrambe false. Le contraddittorie devono invece essere l'una vera e l'altra falsa (opposizione radicale). Le sub-contrarie possono essere entrambe vere, ma non entrambe false. La relazione subalterna tratta invece in modo particolare l'affermazione di verità o falsità delle relative proposizioni. ● Aristotele distingue poi fra le modalità di giudizio: 1) il giudizio assertivo (A è B); 2) il giudizio di possibilità (è possibile che A sia B); 3) il giudizio necessario (è necessario che A sia B).
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● Infine Aristotele sottolinea che la verità o la falsità riguardano le singole proposizioni, ma relativamente e dipendentemente dall'identità della sostanza considerata. Così la verità o la falsità di una proposizione consisterà nell'aver rettamente o scorrettamente congiunto o separato fra di loro il soggetto ed il predicato della frase presa in considerazione, a seconda che il predicato stesso sia o non sia realmente dell'oggetto considerato ed il soggetto della frase stessa sia riferibile o meno al predicato utilizzato (congiunzione/disgiunzione). Ciò evidenzia come e quanto l'immagine della realtà conti ed abbia valore per la corretta strutturazione delle frasi e dei giudizi.
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● Se l'immagine della realtà sensibile o visibile comporterà per Aristotele la trattazione e l'analisi del modo attraverso il quale si formano i giudizi empirici (induzione), la data acquisizione di alcune basi certe (premesse), dalle quali partire per dedurre opportune ed adeguate, soprattutto corrette, conclusioni consentirà alla riflessione dello Stagirita di portare ad evidenza e definizione le possibili strutture ed i modi del ragionamento e della deduzione. Aristotele riuscirà a costruire una macchina logica perfetta, capace di combinare alcuni tipi di proposizioni, per produrre come risultato finale asserzioni che costituiranno il patrimonio esclusivo della scienza. Questa macchina logica perfetta ha il nome di sillogismo.
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● Il sillogismo è infatti “un discorso [un ragionamento] in cui poste talune cose [le premesse] segue necessariamente qualcos'altro [la conclusione], per il semplice fatto che quelle sono state poste.” (Analitici Primi, I, 1, 24b, 18 ss.). Premessa maggiore Premessa minore Conclusione Ogni animale (termine medio) è mortale (termine o estremo maggiore) Ogni uomo (termine o estremo minore) è animale (termine medio) Ogni uomo (termine o estremo minore) è mortale (termine o estremo maggiore)
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● Orizzonte predicativo La mortalità si predica di ogni animalità che si predica di ogni umanità Risultato: la mortalità si predica di ogni umanità Discesa predicativa [estremo maggiore] [termine medio] [estremo minore]
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● Nel sillogismo, dunque, è la necessità che si svolge o sviluppa, prorompe e attraversa le premesse e pare realizzarsi conclusivamente e unitariamente nell'affermazione o giudizio finale a costituire il nerbo del ragionamento. Ma questa struttura ha bisogno per muoversi di una mediazione, per l'appunto svolta da opportuni termini che svolgono la funzione di intermediari e di cerniera fra i contenuti o predicabili superiori e quelli inferiori. Nell'esempio considerato la mortalità è necessariamente predicabile di ogni uomo, in quanto e perché animale. L'universalità del primo predicato perciò si rovescia attraverso la natura essenziale e costitutiva dell'animale sull'uomo, su ogni uomo.
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● Sulla base della posizione del termine medio – come soggetto e predicato nelle tre proposizioni – Aristotele indaga e stabilisce la possibilità di quattro “figure” del sillogismo. Queste sono via via diversamente articolabili in differenti modi, a seconda della qualità e quantità delle proposizioni (con esclusione delle proposizioni singolari). Di seguito vengono poste le rappresentazioni schematiche (diagrammi di Venn) adoperate dalla logica formale moderna per indicarli e definirli.
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● Come si può immaginare la logica aristotelica avrebbe avuto uno sviluppo ed una ripresa continui, lungo l'intera storia della filosofia e della logica occidentale, sino ai giorni nostri, con gli attuali tentativi di superamento del principio di non-contraddizione (cfr. logiche della paraconsistenza), sotto lo stimolo derivato dalle trasformazioni della scienza fisica all'inizio del '900. ● http://www.superstringtheory.com/http://www.superstringtheory.com/ – http://logica.rug.ac.be/centrum/events/WCP97/index.html http://logica.rug.ac.be/centrum/events/WCP97/index.html
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● Se negli Analitici Primi Aristotele si preoccupa solamente di stabilire la forma corretta del sillogismo, negli Analitici Secondi egli definisce il sillogismo scientifico o dimostrativo, che parte da “premesse vere, prime, immediate, più note della conclusione, anteriori a essa e cause di essa.” (Analitici Secondi, 2, 71b, 20-25) Ora le premesse vere dei sillogismi dimostrativi vengono costruite adottando appunto come vere delle ipotesi, oppure stabilendo a priori delle definizioni, che delimitino l'ambito di validità del singolo oggetto scientifico, per il quale si cerca poi una possibile conclusione particolare. La definizione aristotelica si compone, quindi, del genere e della differenza specifica: essa si attinge per induzione (universale “perlopiù”), confermata e resa stabile dall'intuizione operata dall'intelletto (universale “del sempre”).
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● Aristotele confina lo studio della dialettica nei Topici: qui egli definisce i principi dell'argomentazione dialettica come basati sul consenso dei più o dei più competenti, in questo modo trasformando il carattere delle loro acquisizioni finali in conoscenze non scientifiche (universali, necessarie e vere), ma solamente probabili (non assolutamente certe). Utilizzati nell'oratoria forense o nell'ambito politico, le argomentazioni dialettiche vengono riferite ai propri “luoghi logici”, alle condizioni del loro possibile uso ed alla loro possibile costruzione schematica. ● Infine Aristotele conclude nelle Confutazioni sofistiche le proprie ricerche logiche analizzando, commentando e criticando lo sviluppo deteriore che la logica sofistica aveva intrapreso, puntando tutto sull'apparente probabilità delle proprie premesse argomentative.
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● Per concludere due approfondimenti: il primo dedicato strettamente alla logica aristotelica, con esercitazioni varie; il secondo con riferimenti alla trattazione moderna della logica formale tradizionale (appunto di derivazione aristotelica).
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