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PubblicatoGiorgina Bello Modificato 8 anni fa
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L’intercessione manifesta la solidarietà e la comunione dell’intera comunità con un suo membro nel bisogno: “Mentre Pietro era in prigione, una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla chiesa per lui” (At 1 2,5).
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In particolare, l’Apostolo svolge il suo ministero pastorale presso le sue comunità intercedendo, pregando per esse (cfr. 2 Cor 9,14; Col 1,3.9-11) e venendo sostenuto dalla loro preghiera per lui (cfr. Rm 15,30; 2Cor 1,11; Fil 1,19).
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Anzi, l’atto stesso del pregare per gli altri sostiene anche colui che prega: “Colui che sostiene gli altri con l’intercessione, sostiene anche se stesso grazie a questo stesso atto e a coloro che egli sostiene”.
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Chiamato a pregare, il credente è chiamato in particolare a intercedere, a innalzare suppliche e preghiere “per tutti gli uomini” (1 Tm 2, 4), manifestando così la volontà di Dio “che tutti gli uomini siano salvati” (1Tm 2,4).
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Grazie all’intercessione, la volontà di Dio e l’amore universale che la anima diventano prassi quotidiana del credente convertendo il suo cuore. Infatti, la preghiera per gli altri nasce dall’amore e conduce all’amore purificando l’amore.
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Scrive Dietrich Bonhoeffer: Una comunità cristiana vive dell’intercessione reciproca dei membri o perisce. Non posso giudicare o odiare un fratello per il quale prego, per quanta difficoltà io possa avere ad accettare il suo modo di essere o di agire. Il suo volto, che forse mi era estraneo o mi riusciva insopportabile, nell'intercessione si trasforma nel volto del fratello per il quale Cristo è morto, nel volto del peccatore perdonato. Questa è una scoperta veramente meravigliosa per il cristiano che incomincia a intercedere. Non esiste antipatia, non esiste tensione e dissidio personale che, da parte nostra, non possa essere superato nell’intercessione. L’intercessione è il bagno di purificazione a cui il singolo e il gruppo devono sottoporsi giornalmente... Intercedere signifi ca: concedere al fratello lo stesso diritto che è stato concesso a noi, cioè di porsi davanti a Cristo ed essere partecipe della sua misericordia 1. 1. Dietrich Bonhoeffer, La vita comune, Queriniana, Brescia 1969, p. 112.
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Del resto, come sarebbe mai possibile arrivare ad amare i nemici senza pregare per loro? Non a caso Gesù, dopo aver detto: “Amate i vostri nemici” (Lc 6,27), subito aggiunge: “Pregate per coloro che vi maltrattano” (Lc 6,28). La preghiera infonde intenzionalità al nostro agire e relazionarci, e ne diviene il fondamento spirituale.
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Finora abbiamo parlato della preghiera dei vivi per i vivi, ma la Scrittura attesta anche la preghiera dei vivi per i morti (cfr. 2Mac 12,41-45) e dei morti per i vivi (cfr. 2Mac 15,11-16).
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Se nel secondo brano si attesta l’intercessione per i vivi da parte di due giusti trapassati come il sommo sacerdote Onia e il profeta Geremia, nel primo si narra di Giuda Maccabeo che esorta a pregare perché venga perdonato il peccato commesso da alcuni giudei morti in battaglia che si erano impadroniti di idoli e amuleti trovati in templi pagani.
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La preghiera per i defunti è sostenuta e resa possibile dalla fede nella resurrezione (“Se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti”: 2 Mac 12,44) e diviene un compito della comunità credente che vive anche in questo modo la sua solidarietà con i fratelli defunti.
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La fede nella resurrezione è l’esito radicale dell’alleanza che Dio stringe con gli uomini e che parla di un amore divino che “vale più della vita” (Sal 63,4) e si spinge oltre la vita.
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Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe è il Dio dei viventi, non dei morti (cfr. Es 3,6; Mc 12,26-27), sicché i giusti che in vita si sono affidati a lui, ora, dopo la morte, sono viventi in lui. Si pensi a Mosè ed Elia attorno al Cristo trasfigurato (cfr. Mc 9,2-8) davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni.
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La comunione vissuta in vita non è spezzata dalla morte perché il credente trova la sua vita “in Cristo”: coloro che vivono i loro giorni in Cristo restano pertanto in comunione con coloro che sono “morti in Cristo” e tra di loro si stabilisce una misteriosa comunione che rende possibile anche una comunicazione (cfr. AP 7, 13 - 17).
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Del resto, il battesimo, che incorpora il singolo credente all’evento pasquale e crea la comunione di coloro che nella storia formano il corpo di Cristo, rappresenta una morte simbolica per vivere in Cristo e infonde la convinzione che la morte fisica non spezza il legame del credente che, in Cristo, è unito alla comunità di fede.
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La chiesa attesta, fin dall’antichità, la possibilità di una preghiera per i morti, che si situa nella communicatio idiomatum (comunicazione dei linguaggi) che unisce in Cristo i vivi e i morti: L’unione... di coloro che sono in cammino con i fratelli morti nella pace di Cristo non è minimamente spezzata, anzi, secondo la perenne fede della chiesa, è consolidata dalla comunicazione dei beni spirituali 2. 2. Concilio Vaticano II, Lumen gentium 49, in Enchiridion vaticanum I, p. 592, nr. 419.
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Così, la liturgia della chiesa prega per i defunti soprattutto nelle anafore eucaristiche. La chiesa prega per tutti i suoi membri, vivi o morti, e prega per i morti nella santità e per i morti peccatori: tutti, infatti, sono bisognosi della misericordia di Dio, unica potenza di salvezza.
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Nella preghiera per i defunti la chiesa manifesta la sua qualità di corpo di Cristo e vive la solidarietà con tutte le membra di questo corpo anche con coloro che già sono trapassati.
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La chiesa, mentre prega per i morti, prega con loro. Unica, infatti, è la liturgia della chiesa celeste e terrestre. Pregando per i morti la chiesa confessa il perdono dei peccati su tutti: sui vivi come sui morti.
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Del resto, la salvezza che Cristo è venuto a portare è per tutti gli uomini e il Risorto è disceso agli inferi per annunciare il vangelo anche ai morti (cfr. 1 Pt 3, 18-20; 4,6).
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Pregando per i morti la chiesa si inserisce nel piano di salvezza di Dio che ha come fine il Regno, la resurrezione finale, la vita eterna.
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Ecco allora che le preghiere tradizionali per i morti invocano “pace”, “riposo eterno”, “refrigerio”, “luce eterna”, ed evocano immagini quali “il seno di Abramo” (Lc 16,22), il “paradiso” (Lc 23,43), la “Gerusalemme celeste” (Ap 21, 2).
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Pregare per i vivi e per i morti è lottare contro l’inferno della non relazione che minaccia le nostre vite e far regnare l’amore che è legame vitale e salvifico invocando il Dio misericordioso e compassionevole.
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Infatti, il Dio misericordioso si rallegra di vedere i suoi figli affrettarsi ad aiutare il prossimo. Il Misericordioso vuole e desidera che noi tutti ci facciamo reciprocamente del bene, sia mentre viviamo che dopo la morte 3. 3. Giovanni di Damasco, Su quanti si sono addormentati nella fede, PG 95, 262B.
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