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PubblicatoAmbrogio Mele Modificato 8 anni fa
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Immanuel Kant La Critica del Giudizio A cura di Stefano Ulliana
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Panoramica ● 1. Il problema e la struttura dell'opera. ● 2. L'analisi del bello e la natura del giudizio estetico. ● 3. L'universalità del giudizio estetico. ● 4. La sua giustificazione. ● 5. Il sublime, le arti belle e il genio. ● 6. Il giudizio teleologico: il finalismo e la mente umana. ● 7. Religione, politica e storia. ● 8. Kant nella storia del pensiero. Immanuel Kant
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1. Il problema e la struttura dell'opera. ● La deposizione del mondo morale (noumenico), finalistico e libero, sul quello naturale (fenomenico), costruito secondo lo sviluppo di necessitazione operato dalle leggi dell'intelletto, doveva imporre un elemento di mediazione, capace di accostare e tenere insieme il meccanismo naturale, la finalizzazione che la mente umana accosta ad esso e la subordinazione che tale finalizzazione espone, relativamente al mondo noumenico della libertà e della legge morale. Se i postulati della ragion pratica rendevano conto della possibilità reale della vita morale dell'uomo, altri postulati avrebbero dovuto garantire la possibilità della congiunzione fra i due mondi – quello morale e quello naturale – e la possibilità stessa reale della subordinazione effettiva del secondo al primo. Che cosa può infatti garantire che l'uomo possa applicare la legge morale al mondo fenomenico? Che gli sviluppi naturali fenomenici consentano l'accostamento con le finalità proprie del mondo morale?
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● Kant ritiene di poter trovare come elemento di mediazione, di scorrimento e di applicazione fra il mondo noumenico e quello fenomenico, una facoltà al tempo stesso radicale e d'orizzonte razionale, individuandola in quella che esprime un contenuto sentimentale ed emotivo come immagine di una volontà e di una determinazione superiore: la facoltà del Giudizio. In questo modo tale facoltà dovrà esibire per se stessa – come propria natura – una doppia finalità: l'una apparente e capace di adagiarsi sui fenomeni, per coglierne una possibile tendenza, l'altra che procede a determinarsi come autonoma e che dà ed offre spazio alla legislazione morale. In altri termini il Giudizio opererà come se la natura fosse effettivamente agli ordini della legge morale, apparentemente ritrovando nel mondo naturale stesso la possibilità per l'applicazione di un riferimento alla legge morale.
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● Perciò anche il Giudizio come la ragione pratica opererà, si svilupperà e vivrà di una serie di presupposti basati sull'esigenza umana di unità (fra mondo fenomenico e mondo noumenico), completezza (per l'ordinamento apparente fra di essi) e totalità (per la razionalità di questo). In questo modo il soggetto tende ad imporre un'oggettività che vale per se stesso e per la sua unità con il mondo naturale. Così egli vive dentro di sé la possibilità di un incontro e di una mediazione fra la determinazione pura della ragione (moralità) – che si esprime attraverso i giudizi di tipo determinante – e l'accostamento del contenuto e delle finalità di questa con le finalità soggettivamente sovrapposte – che costituiscono la natura dei giudizi riflettenti (propri del Giudizio stesso) - alla serie dei meccanismi naturali (natura fenomenica). Così mentre i giudizi determinanti esprimono e portano con sé il concetto reale, quelli riflettenti integrano il reale empirico nel termine ideale (finalità della natura e della ragione).
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● Così all'apparente estroflessione dei primi – cfr. nella speculazione di G.W.F. Hegel la natura come fuori-di-sé dello Spirito – viene a corrispondere dall'altro lato l'introflessione dei secondi – sempre in Hegel l'essere dello Spirito, all'opposto della natura, prima in-sé e poi per-sé (come riunificazione, però superiore, di ciò che prima valeva come fuori-di-sé). In questo modo il bisogno razionale di un'immagine focale, che sembra originarsi dalla radice più profonda dell'umanità, pare trasformarsi nella ragione reale di quell'immagine nella sua realtà empirica e verità (ragione però superiore ed astratta). Sarà la successiva linea critica che da L. Feuerbach va sino a K. Marx a portare allo scoperto e a delineare come tale innalzamento di potenza e di volontà (quindi di giudizio) sia prima una forma di alienazione religiosa – la creazione del feticcio divino – poi una forma di separazione e di controllo totale progettato e voluto dal Capitale (ideologia della classe borghese). Per non dire della ulteriore critica portata da F. Nietzsche (preparata da A. Schopenhauer e S. Kierkegaard).
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● Il primo comparire di quella finalità, che è tipica del Giudizio e che attiene a quel termine ideale d'immagine, è quello istituito dal giudizio estetico o di gusto, relativo all'applicazione del predicato della bellezza all'oggetto d'esperienza o artistico. Il secondo è quello costituito dall'esposizione del giudizio teleologico, che applica delle finalità ai meccanismi naturali di sviluppo. Il primo tipo di applicazione fa sì che il giudizio di bellezza sia l'incontro fra la realtà esterna ed il nostro desiderio, in modo immediato e senza concettualizzazione (spiegazione). Il secondo crede di poter reperire una finalità oggettiva (razionale perché spiegabile) nell'origine, nella crescita e nello sviluppo (nella composizione ontogenetica) dei meccanismi presenti negli esseri naturali (visti quindi come organismi). Mentre la prima finalità sembra fermarsi all'interno del soggetto e della sua rappresentazione immediata (finalità soggettiva e formale), la seconda pare fuoriuscire da esso, per ritenere di poter ritrovare una finalità oggettiva imposta agli oggetti della natura (finalità oggettiva e reale).
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● La Critica del Giudizio si divide quindi in due parti fondamentali: la critica del giudizio estetico e la critica del giudizio teleologico. La prima parte riguarderà prima gli elementi del giudizio di gusto (il bello ed il sublime, Analitica), poi l'antinomia del giudizio di gusto stesso (Dialettica). La seconda prenderà in considerazione prima la finalità della natura (Analitica), poi l'antinomia fondamentale del Giudizio (Dialettica). Il testo si conclude con un'appendice, dedicata alla Metodologia del Giudizio teleologico. Kritik der Urteilskraft (1790)
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2. L'analisi del bello e la natura del giudizio estetico. ● Riferendosi alla tavola delle categorie dell'intelletto puro Kant definisce la bellezza soggetta al giudizio di gusto come: ● 1) ciò che è oggetto di un piacere soggettivo, provato senza alcun interesse per l'esistenza reale o il possesso dell'oggetto considerato, ma riguardante la sua sola presenza nella rappresentazione del soggetto stesso (categoria di qualità). Un piacere che dunque resta nel soggetto stesso e che non fuoriesce, per legittimare alcun tipo di azione. ● 2) Ciò che piace poi universalmente, anche se senza concetto (categoria di quantità). Il piacere provato dal soggetto nei confronti dell'oggetto bello viene esteso a tutti i soggetti umani, che possono provare lo stesso sentimento. ● 3) Ciò che costituisce la forma della finalità di un oggetto, in quanto questa vi è percepita senza la rappresentazione di uno scopo (categoria di relazione). Secondo tale definizione la
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● bellezza di un oggetto segnala solamente che esso pare essere predisposto per la fruizione di un piacere da parte dell'uomo, che è capace di apprezzarne le caratteristiche di armonia formale, nel gioco delle sue parti. ● 4) Che tale finalità debba essere una finalità riconosciuta necessariamente da tutti con un piacere che è quindi necessario. Qui bello è ciò che, senza concetto, è riconosciuto come oggetto di un piacere necessario (categoria di modalità). Parigi, Louvre – Venere di Milo
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3. L'universalità del giudizio estetico. ● Il giudizio estetico kantiano si qualifica dunque come una rappresentazione interiore, che apparentemente si isola dall'oggetto che ne è stato l'occasione (e non la determinazione) e che intende godere per se stessa di un piacere e di un riconoscimento insieme necessari ed universali. Come termine d'incontro della realtà interna – sentimentale – dei soggetti, il giudizio di gusto che si esprime nella qualificazione della bellezza pare riflettersi su se stesso ed affermare la propria eguaglianza di fronte a tutte le possibili e diverse dichiarazioni di piacevolezza provocate e determinate dalla presenza ed influenza empirica degli oggetti reali. Così per Kant il piacere del bello è diverso dal piacevole dei sensi: mentre questo è variabile ed impuro (perché determinante sensibilmente), questo è formale e riconoscibile da tutti a priori (perché fondato sulla facoltà umana del sentimento, rivolto alla rappresentazione ed alla sua finalità interiore).
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● La convergenza dell'attenzione razionale e critica sulla finalità interna della rappresentazione dell'oggetto qualificato come bello è accentuata dalla distinzione kantiana fra bellezza aderente – apparentemente riferibile all'ideale di perfezione dell'oggetto – e bellezza libera. Quest'ultima appare come svincolata dalla stessa apparenza rappresentativa dell'oggetto, come se fosse un'estrema spiritualizzazione dell'attività del soggetto stesso, posto di fronte all'impulso empirico dell'oggetto. Per Kant è la bellezza libera a mostrare quella caratteristica di purezza e di mancata commistione con la materialità degli oggetti concreti o degli interessi umani ad essi rivolti, che costituisce il fondamento interno del giudizio di gusto sul bello. Ludwig van Beethoven – Sinfonia n. 6 op. 68 Mov. 1 Mov. 2 Mov. 3 Mov. 4 Mov. 5
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4. La sua giustificazione. ● Il fatto di ragione che il giudizio di gusto sia fondato e dia esplicitazione ad una finalità interna al soggetto costituisce la giustificazione delle proprie richieste di universalità intersoggettiva e di necessitazione sentimentale ed emotiva. È infatti l'incontro fra l'immagine della forma armoniosa dell'oggetto dichiarato bello e l'intelletto puro del soggetto a dare luogo al giudizio di gusto ed a giustificarne conseguentemente le pretese di universalità e necessità soggettive. Così l'incontro fra immaginazione ed intelletto dà evidenza interiore ad un punto d'unione che costituisce l'interezza, la completezza e la totalità dell'orizzonte formale del soggetto nella formulazione dei propri giudizi estetici a priori (deduzione dei giudizi estetici a priori). Un punto d'unione che dà egualmente risoluzione all'antinomia del giudizio di gusto, affermando la presenza, il valore e la funzione di un concetto formale, non di contenuto e di determinazione, nella costituzione del giudizio medesimo (Dialettica del giudizio estetico).
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● Così il giudizio di gusto non è senza concetto – semplicemente esso non ha un concetto determinato – e nel contempo tale indeterminatezza non toglie la sua universalità e necessità, perché quel punto d'unione (“sostrato soprasensibile dei fenomeni”) consente l'elevazione di una potenza volontaria, che vive della propria libertà nei confronti dei fatti e degli sviluppi naturali (“un fondamento in generale della finalità della natura rispetto al Giudizio”). Tramite questo punto d'unione la finalità della natura viene intuita come intimità del soggetto a se stesso, per poi essere disposta come luogo del possibile intervento del soggetto stesso, qualora questi faccia valere per l'ordinamento di quella la propria razionalità (libertà). Intanto la speculazione kantiana afferma la determinazione soggettiva e formale del giudizio estetico di bellezza, rigettando da un lato la giustificazione sensista e la ricerca empirica della determinatezza estetica, dall'altro ed all'opposto la determinazione oggettiva e di contenuto cara ai razionalisti metafisici.
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5. Il sublime, le arti belle e il genio. ● Il punto d'unione interno al soggetto, che consente la formulazione giustificata del giudizio sulla bellezza relativa ad un oggetto, vale anche come successivo punto di partenza per un'ulteriore traiettoria speculativa kantiana, parabolicamente tesa alla riaffermazione della libertà umana su quella naturale. Esso infatti – come si sosteneva in precedenza – consente l'elevazione – e per questo è fondamento – del sentimento e dell'emozione legati al senso razionale di una grandezza di potenza, alla fine dichiarata coincidente con la potenza della volontà di un essere libero, ma ora ed in questa fase o momento identificata – perché proiettata – con la grandezza della potenza naturale. Con ciò Kant si trova di fronte alla possibilità di definire la prima graduazione del concetto di sublimità: il sublime matematico viene infatti identificato e proiettato sulla presenza della grandezza naturale (come grandezza smisurata ed illimitata).
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● Nella tensione indotta da questo infinito potenziale l'immaginazione umana sembra dover costantemente rincorrere l'ideale di questo infinito, venendo in tal modo accompagnata da un sentimento di dispiacere per questa incapacità di comprensione. L'ideale d'infinito però richiama alla mente dell'uomo l'atto della sua totalità, rispetto al quale la ragione umana prova invece il piacere di una possibile piena identificazione. Così mentre l'infinito potenziale si determina sempre in un'entità finita, l'infinito in atto resta sempre ed eternamente tale. È quindi il riconoscimento della possibilità reale di questo a rendere l'uomo consapevole della propria possibile grandezza spirituale, nel momento in cui esso si immedesimi con il concetto della sua totalità. L'entità dell'infinito però apre immediatamente anche alla considerazione del suo valore e della sua funzione, nel momento in cui si assegna alla natura la presenza di una forza determinante.
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● Nel caso di forze naturali preponderanti il sentimento e l'emozione umana trascorrono dal senso della propria piccolezza e subordinazione al significato razionale opposto di entità libere e perciò determinanti. Con il concetto di sublime dinamico perciò l'animo umano riconosce dialetticamente la propria infinita superiorità spirituale sulle forze della natura, facendo leva sulla presenza e sulla regolazione delle idee di ragione e sulla funzione a priori decretata dalla legge morale. La combinazione del sublime matematico e di quello dinamico consentono quindi al soggetto estetico di utilizzare l'immedesimazione e la realtà dell'infinito – la sua entità, il suo valore e la sua funzione – per realizzare la possibilità del principio della potenza determinante della libertà. In questo modo infatti il soggetto estetico procede dalla concordanza reciproca fra immaginazione ed intelletto prima alla scoperta della discordanza e sproporzione fra immaginazione sensibile e ragione, poi alla ricomposizione dialettica con l'orizzonte determinante della libertà.
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● Lo stato di natura (“bello di natura”) viene però distinto da Kant rispetto allo stato operativo dell'arte (“bello artistico”): qui infatti il soggetto estetico ha a che fare con una spontaneità creativa e determinante – produttiva, finalizzatrice ed organizzatrice (regolatrice) - che deve essere pari a quella della natura elevata alla razionalità dal concetto della presenza in essa di una finalità determinata oggettivamente. In questo senso il genio opera attraverso il lavorio continuo e costante della meditazione e della mediazione, per organizzare oggetti che richiamino in se stessi il potere morale della libertà (simbolo). In questo senso le arti belle non possono non avere come propria caratteristica fondamentale un intento pedagogico e morale. Delacroix La libertà che guida il popolo (1830)
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6. Il giudizio teleologico: il finalismo e la mente umana. ● L'opera d'arte conduce dunque lo sviluppo delle argomentazioni kantiane sul limitare dell'affermazione della presenza necessaria di una finalità oggettiva nella e per la natura (cause finali intrinseche ed estrinseche). Questa finalità oggettiva sembra razionalmente appoggiarsi come un piano ideale al sottostante meccanismo delle relazioni di causa ed effetto, che regolano il mondo naturale. Questa finalità ideale vale per esempio come termine di organizzazione totale degli organismi viventi, delle loro parti in codeterminazione reciproca. In questo modo il tutto razionale della mente divina – la sua potenza, la sua volontà amorosa e la sua decisione e determinazione – viene posto quale orizzonte d'ordine reale ed ideale per la processualità naturale nel suo complesso: l'uomo viene deposto necessariamente dal piano provvidenziale divino nel ventre naturale, perché possa esercitare sino all'estremo la propria natura ideale, di essere senziente e pensante, di soggetto della libertà.
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● Con questa deposizione di credenza l'immagine razionale che Kant contribuisce a fondare ed elevare è quella della forma vitale e razionale, materialisticamente costituita dai suoi elementi in interrelazione reciproca, ed idealmente in movimento verso un termine che nell'instaurazione della sua tendenza oggettiva realizzi sia l'impulso e la spinta causale della materia, che l'organizzazione razionale secondo disposizioni della libertà stessa. Nell'Appendice dedicata quindi alla Metodologia del Giudizio teleologico il filosofo prussiano ricorda la funzionalità di scoperta (empirica) e di integrazione (morale) operata dalla legge della finalità, posta al limite opposto fra scienza della natura e teologia. Senza l'idealità razionale umana – quindi senza la creazione dell'uomo come entità preminente – non si realizzerebbe poi quella perfezione, che sa tenere insieme lo sviluppo naturale e quello morale dell'individuo o delle collettività.
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7. Religione, politica e storia. ● Il progressismo critico kantiano svela quindi la manifestazione divina come origine e causa sia dell'orizzonte della libertà, sia di quello inferiore della necessitazione apparente della natura, nelle sue composizioni singolari od organizzate. Sarà nello spazio triangolare decretato dal principio dell'intelletto, dalla finalità della ragione e dalla potenza della natura e della volontà che le speculazioni successive degli idealisti classici tedeschi (Fichte, Schelling, Hegel) troveranno modo di esistere e di venire giustificate (cfr. Fenomenologia dello Spirito, Enciclopedia delle Scienze filosofiche). Il posto dell'uomo nell'ordine naturale ed in quello noumenico viene ritematizzato nella Religione nei limiti della semplice ragione (1793), dove Kant identifica la natura umana nella sua razionalità, dunque nella potenza della sua volontà libera. È in quest'atto di autodeterminazione e di determinazione che l'azione umana inclina verso il male, oppure risale verso il bene.
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● Nel caso in cui la potenza della volontà umana si immedesimi consapevolmente con la necessitazione indotta dalla assolutizzazione degli impulsi sensibili e fisici la ragione umana viene annullata nella propria moralità, nella possibilità di seguire ed obbedire alla legge morale del dovere (male radicale). Essa viene in tal modo abbattuta e fatta decadere: in ciò consiste il peccato originale dell'uomo e il motivo della sua caduta reale. Al contrario una vita pienamente e totalmente morale fa consistere in se stessa la possibilità di quell'elevazione a Dio, che semplicemente vale come culto di una religiosità naturale. Tutto ciò che viene aggiunto ad esso costituisce l'apparenza e la sostanza della superstizione (religiosità stabilita dai culti del dogma). ● Se Dio ha modo di essere venerato attraverso l'attuazione consapevole della legge morale e del dovere, la storia vede la
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● manifestazione dello stesso ordine divino nell'ideale razionale perseguito dall'umanità. Senza essere l'adesione e la realizzazione di un piano o progetto divino prestabilito, la prassi esercitata in nome di questo ideale impone necessariamente il rispetto ed il perseguimento di una costituzione delle relazioni umane fondata sull'espressione del diritto locale tramite la forma e la sostanza repubblicana, l'unione federale fra gli stati e, a livello generale, l'adozione di un principio cosmopolitico (essere cittadino del mondo). Questi obiettivi costituiscono i gradi razionali attraverso i quali può essere costituita una comunità umana planetaria pacifica e felice (Per la pace perpetua, 1795). Questi obiettivi, infatti, non sono altro che la realizzazione della possibilità morale dell'uomo attraverso la comune libertà (Idee per una storia universale, da un punto di vista cosmopolitico; 1784).
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● La finalità oggettiva naturale dell'uomo è infatti quella di raggiungere la perfezione e la felicità attraverso l'uso della ragione, cioè della libertà. Di una libertà che possa essere vissuta collettivamente nella codeterminazione reciproca del comune diritto (società politica universale). Il piano di questa eguaglianza formale si serve dunque delle differenziazioni individuali sostanziali per potersi realizzare, nel momento in cui però tali differenziazioni (finalizzate all'isolamento) conservino un piano di mediazione reciproca (ideale reciproco alla socievolezza). Il progetto dell'affermazione individuale viene conseguentemente perseguito con un'attività personale i cui frutti (prodotti del lavoro) possano essere vicendevolmente scambiati, a vantaggio della collettività. Nel movimento stabilito da questa codeterminazione dialettica Kant vide sempre la vita di una razionalità ideale e critica, sempre rivolta all'affermazione del principio di libertà e sempre consapevole della sua umanità (finitezza).
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Idee (1784)Per la pace perpetua (1795) Ludwig van Beethoven – Sinfonia n. 9, op. 125 Mov. 1 Mov. 2 Mov. 3 Mov. 4 Ascolto e lettura guidata dell'opera
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8. Kant nella storia del pensiero. ● Dagli scarsi riconoscimenti iniziali la riflessione razionale kantiana traghettò verso una prima fase di fortunata ricezione con i teorici della rappresentazione (Reinhold, Schulze, Maimon, Beck), per poi approdare alla trasformazione idealistica del suo rapporto fra immaginazione e ragione (la metafisica dell'infinito in Fichte, Schelling ed Hegel). Contro questa trasformazione infinitistica della sua riflessione Herbart e Schopenhauer ne riaffermarono la finitezza formale. Nell'Italia del primo Ottocento Galluppi e Rosmini ne criticano l'impianto soggettivistico, costruito a tutto svantaggio dell'oggettività e dell'essere supremo. L'emergere del successivo positivismo relega la filosofia kantiana fra le riflessioni astratte, sottolineando però nel contempo la sua battaglia a favore della conoscenza scientifica. Il kantismo viene rivalutato nell'ultimo quarto del XIX secolo, come strumento per combattere il riduzionismo materiale dei positivisti.
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● Con il neocriticismo o neokantismo si assiste alla rivalutazione dell'impianto criticistico della sua riflessione, ora usata come baluardo contro ogni dogmatismo metafisico (sia idealistico, che materialistico-positivista). Il neoidealismo italiano di Croce e Gentile celebra poi Kant come precursore degli idealisti tedeschi. Lo spiritualismo fa proprie le sue tensioni per la difesa dei diritti della persona, mentre la fenomenologia e l'esistenzialismo ne accentuano le caratteristiche legate alla oggettività (Husserl, Scheler) o alla soggettività determinata o determinante (Heidegger, Jaspers) dell'apparenza. Anche la filosofia della scienza e della politica del Novecento ha utilizzato l'impostazione kantiana per combattere tutte le forme di totalitarismo metapolitico e metafisico, a favore del valore di certificazione o confutazione dell'esperienza (Popper).
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● Le nuove logiche del neopositivismo logico ne hanno invece criticato l'inapplicabilità, superata dalla nuove impostazioni richieste dalle scoperte rivoluzionarie della scienza del Novecento (geometrie non-euclidee, teoria della relatività, meccanica quantistica). Recentemente il dibattito politico e morale, mosso dalle esigenze della globalizzazione, ha riportato in auge l'importanza del suo universalismo, contro il relativismo morale (Apel, Habermas), e contro l'utilitarismo (Rawls). Contro la tendenza a trasformare il senso storicamente positivo delle strutture economico-sociali e politiche dominanti nella globalizzazione (capitalismo finanziarizzato ed internazionalizzato) in sovrastruttura ideologica d'orizzonte, d'ordine e di idealità razionale. Nascondendo dietro l'apparenza di questa formalità pura la sostanza – determinata e determinante – di un nuovo dispotismo illuminato, autocostituentesi grazie alla triangolazione fra intelletto, ragione ed immaginazione del Capitale (neo-metafisica infinitistica della sua modalità produttiva e riproduttiva).
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