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I promessi sposi. La datazione, il titolo, l’opera Fermo e Lucia ( ) I promessi sposi ( revisione e ristrutturazione complessiva del.

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Presentazione sul tema: "I promessi sposi. La datazione, il titolo, l’opera Fermo e Lucia ( ) I promessi sposi ( revisione e ristrutturazione complessiva del."— Transcript della presentazione:

1 I promessi sposi

2 La datazione, il titolo, l’opera Fermo e Lucia (1821-1823) I promessi sposi (1824-1827 - revisione e ristrutturazione complessiva del precedente romanzo) I promessi sposi (1840 - seconda edizione, interamente rivista sul piano linguistico) Il titolo definitivo è I promessi sposi. Storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni. L’opera comprende una Introduzione (in cui compaiono l’inizio della trascrizione di un presunto manoscritto del Seicento che conterrebbe il resoconto della storia di Renzo e Lucia), poi 38 capp. di narrazione; infine, in appendice, la Storia della colonna infame.

3 La struttura dell’opera e l’organizzazione della vicenda Il romanzo è diviso in sei nuclei narrativi principali. Primo nucleo narrativo: i due protagonisti insieme nel paese (capp. I-VIII); Secondo nucleo narrativo: la vicenda di Lucia a Monza (capp. IX-X); prima digressione (storia di Gertrude); Terzo nucleo narrativo: vicenda di Renzo nei tumulti di Milano e fuga nel Bergamasco (capp. XI-XVII); seconda digressione: incontro tra Conte zio e Padre provinciale; storia dell’Innominato (capp. XVIII-XIX);

4 Quarto nucleo narrativo: vicenda di Lucia nel castello dell’Innominato e presso donna Prassede (capp. XX- XXVII); terza digressione: carestia, guerra, peste; in azione don Abbondio, Perpetua, Agnese e l’Innominato (capp. XXVIII-XXXII); Quinto nucleo narrativo: viaggio di Renzo dal Bergamasco al paese e dal paese a Milano, colpita dalla peste (capp. XXXIII-XXXV); Sesto nucleo narrativo: i due protagonisti insieme, dapprima nel paese, poi nel Bergamasco (capp. XXXVI-XXXVIII).

5 Il tempo della storia e il tempo del racconto I capp. I-XVII narrano gli eventi fra il 7 novembre e il 13 novembre 1628 (tempo del racconto molto lento e analitico). Successivamente il tempo della storia si allunga e il tempo del racconto diventa condensato e sommario (solo tredici capp. XXVI-XXXVIII per narrare poco meno di ventitrè mesi). L’azione narrativa si svolge nello spazio di due anni. Dal 7 novembre 1628 ai primi dello stesso mese del 1630.

6 All’inizio c’è la necessità di presentare i personaggi principali e di mostrarli immediatamente in azione e dunque di procedere nella parte iniziale e centrale in modo più disteso e argomentato, mentre successivamente la narrazione può diventare più spedita. Nell’ultima parte prevale l’intento riflessivo e morale. Il momento di svolta nel rapporto fra il tempo del racconto e il tempo della storia è fra il XXV e il XXVI, dopo la conversione dell’Innominato.

7 Lo spazio e i cronotopi del paese, della città e della strada Il primo e l’ultimo nucleo: borgo vicino a Lecco. Il terzo e il quinto nucleo: per la strada e a Milano. Il secondo nucleo: a Monza, nel convento. Il quarto nucleo: nel castello dell’Innominato e nei suoi dintorni.

8 Ci sono dunque tre spazi aperti: il paese, la città, la strada. Ci sono tre spazi chiusi: il convento, l’osteria, il lazzaretto. Si può parlare di tre cronotopi fondamentali: il paese, la città e la strada (cronotopo=il condizionamento reciproco di spazio e tempo nelle opere letterarie).

9 Il paese e la città sono in antitesi. Il primo è uno spazio idillico in opposizione alle “città tumultuose”. Presto però esso si rivela vero solo nel sogno e nel ricordo (c’è la carestia, la guerra, il palazzotto di don Rodrigo). Insomma il tempo storico penetra dentro il tempo ciclico dell’idillio, distruggendolo. Se il paese mantiene, pur corrotto, il suo ordine, nella città domina il movimento. La città è il luogo della violenza non solo del potere, ma anche del popolo. Il sapere contadino di Renzo appare qui inefficace. Il tempo della città è più veloce e concitato.

10 Cronotopo della strada (viaggio verso l’Adda, verso Milano). La strada è il luogo del pubblico, degli incontri, delle esperienze. Lo spazio cambia sempre, il tempo non è monotono, ma vario. Le mete raggiunte contribuiscono a dare a Renzo il senso della propria identità, della propria formazione, del proprio destino. La strada è l’itinerario dell’eroe “cercatore”, che deve seguire un percorso di iniziazione che lo condurrà fino agli inferi del lazzaretto. Sulla strada R. incontra la storia.

11 Il sistema dei personaggi. Manzoni costruisce un sistema di personaggi tanto articolato, quanto equilibrato. Gli otto personaggi principali si dispongono in coppie per similarità: Renzo e Lucia sono le vittime; padre Cristoforo e il cardinale Federigo Borromeo sono i protettori e, insieme, i rappresentanti della Chiesa “buona”; don Abbondio e Gertrude sono gli strumenti degli oppressori e i rappresentanti della Chiesa “cattiva”; don Rodrigo e l’Innominato (solo agli inizi, quest’ultimo) gli oppressori, esponenti del potere sociale;

12 o per opposizione: Renzo è in opposizione a don Rodrigo, ma anche a don Abbondio,in quanto strumento di don Rodrigo; Lucia all’Innominato, ma anche a Gertrude, in quanto strumento dell’Innominato. Padre Cristoforo si oppone a don Rodrigo e il cardinale a don Abbondio. Quattro personaggi rappresentano il modo laico e quattro il mondo ecclesiastico (questi sono distribuiti in coppie antitetiche: padre Cristoforo e don Abbondio per la Chiesa povera e popolare, il cardinale e Gertrude, per la Chiesa potente).

13 Quattro personaggi provengono dal mondo popolare e borghese e quattro da quello nobiliare. Il romanzo è dunque costruito su un sistema binario di pesi e contrappesi, di forze e controforze, sistema che serve per comunicare un messaggio ideologico, tutto giocato sul contrasto fra bene e male e sull’esemplarità dei “buoni” e dei “cattivi”. I personaggi permettono di allargare il discorso alla sfera sociale, politica, religiosa e a una complessiva visione del mondo.

14 Il punto di vista narrativo Anche ne I promessi sposi occorre tenere presente che la prospettiva dell’autore non coincide affatto con quella del narratore o della voce narrante. I narratori nel romanzo sono due: uno è l’Anonimo secentesco, l’ altro è l’io narrante che trascrive in italiano moderno la storia dei due sposi. L’io narrante ne sa più dell’Anonimo e aggiunge alla rappresentazione dei fatti continui giudizi, d’ordine morale, politico e religioso, che indirizzano il lettore, indicandogli dove sta il bene e il male.

15 Si tratta dunque di un narratore onnisciente che ne sa molto più dei suoi personaggi, ne conosce passato, presente e futuro, penetra nei loro sogni e nella loro vita segreta, li inserisce in uno spazio geografico che egli conosce più ampiamente ed esattamente di loro (vedi incipit del romanzo e la prospettiva dall’alto). E’ vero che spesso il narratore assume l’ottica dei propri eroi, ma è anche vero che tale focalizzazione è sempre subordinata all’onniscienza del narratore.

16 E’ autoritario il punto di vista del narratore manzoniano? Ci sono a proposito due interpretazioni: Il punto vista del narratore (e dell’autore che se ne serve per comunicare la propria visione del mondo) ha carattere unitario o addirittura autoritario. Il punto di vista del narratore è ambiguo e ha un carattere dialogico.

17 Secondo la prima interpretazione, l’io narrante offre un saldo punto di vista che il lettore è invitato a far suo per inquadrare prospettivamente i fatti. Prevarrebbe dunque un punto di vista autoritario che mira a indirizzare in modo univoco la lettura. Secondo l’altra interpretazione, nel testo si assumono prospettive diverse e nella voce del narratore, o in quella di un personaggio, risuonano le parole di altri personaggi con effetti di ironia.

18 All’autore sfuggirebbe il senso profondo della storia e del processo stesso attraverso cui la Provvidenza realizza la volontà divina. La “polifonia” presente nel romanzo rivelerebbe una realtà multiforme ed enigmatica, sfaccettata e relativa.

19 I destinatari del romanzo Il lettore ideale de I promessi sposi è un intellettuale non molto diverso da quelli che frequentavano la casa dello scrittore. Manzoni pensa anche al lettore reale. Egli concepisce l’arte solo all’interno di un progetto pedagogico di utilità sociale e morale rivolta al numero massimo di persone storicamente raggiungibile (cioè a un pubblico medio e piccolo-borghese). Lo stile deve essere perciò più “basso” e realistico.

20 Due sono dunque i messaggi del romanzo: uno rivolto al lettore ideale e uno al lettore reale. Al primo è rivolto quello che ha per oggetto il mistero della vita e del male, il senso religioso dell’esistenza, il tema della Provvidenza e della Grazia. Al secondo è indirizzato il progetto morale e politico del romanzo (quello cioè che riconosce le ingiustizie sociali, ma invita alla pazienza e alla fiducia nella mediazione della Chiesa).

21 Il significato esistenziale e religioso L’unica certezza di Manzoni è la fede in Dio, mentre resta del tutto enigmatico il mistero della salvezza dell’anima e dunque del significato della vita. Ci sono due piani: quello sociale e quello religioso. Per il primo occorrono disciplina, ragione, buon senso, “morale cattolica”; per il secondo non bastano le opere, occorre, giansenisticamente, la Grazia, la capacità di cercare Dio dentro il proprio cuore per vie che restano imperscrutabili e comunque diverse da uomo a uomo.

22 Lo stile e la “rivoluzione linguistica” manzoniana; il realismo, l’ironia, le similitudini Manzoni volle creare un romanzo realistico e popolare, destinato ad un vasto pubblico borghese. Questo implicava scelte linguistiche coerenti (tra cui il rifiuto del simbolismo romantico e il ricorso invece alla similitudine). Viene perciò attuata dallo scrittore una rivoluzione linguistica che consiste in ampie escursioni da un codice espressivo ad un altro, ma senza un ampliamento del lessico (Manzoni usa un numero ristretto di vocaboli, preferendo quelli di uso più comune, derivati dal toscano parlato) e cercando la varietà nella straordinaria agilità della sintassi.

23 La tendenza alla polifonia fa risuonare sulla pagina le voci più diverse dei personaggi, mimandone modi di dire, riproducendone il tono e lo stile. Il realismo di Manzoni non è però solo nella lingua, ma anche nelle rappresentazioni (interni popolari, schizzi di personaggi minori, ritratti di poveri, movimenti convulsi della folla, scene di desolazione e di orrore durante la peste).

24 Il realismo di Manzoni ha inoltre sempre una carica morale e una dimensione storica. Accanto agli individui vengono creati dei tipi, che rappresentano categorie sociali in un momento storico preciso. Frequentissimo è il ricorso all’ironia, che varia dal sarcasmo alla parodia. Il primo colpisce i personaggi d’autorità e poi l’ambivalenza morale, il formalismo, l’ipocrisia, la tendenza alla doppiezza (vedi Ferrer).

25 L’ironia si appunta soprattutto sulla cultura, sul comportamento e sul linguaggio del Seicento. L’uso della stessa può essere spiegato come eredità della cultura illuministica, come indice del pessimismo dello scrittore e della sua vigilanza polemica nei confronti della natura umana, come strumento di difesa psicologica.

26 I temi principali del romanzo: la storia, gli umili, la politica, l’economia, la giustizia. La critica al potere è uno dei grandi temi del romanzo. La Lombardia del Seicento, governata dagli Spagnoli, viene scelta per ambientare il romanzo perché si presta a un facile parallelo con quella all’inizio dell’Ottocento, parimenti oppressa dagli Austriaci. Anche la storia è uno dei grandi protagonisti del romanzo: impregna di sé scene e psicologie, condiziona i comportamenti dei personaggi, che, anche quando sono inventati, hanno sempre una precisa dimensione storica, cioè sociologica, economica, culturale.

27 I protagonisti manzoniani ad esempio, Renzo e Lucia, sono inventati e provengono dagli strati popolari. La scelta è una novità assoluta: per la prima volta personaggi che non sono né nobili né borghesi vengono portati come eroi sulla scena letteraria, realisticamente rappresentati nella loro umanità e addirittura indicati come modelli esemplari. La scelta degli “umili” si collega sia all’interesse romantico per il popolo, sia alla cultura cristiana di Manzoni.

28 Per quanto riguarda il secondo punto occorre dire che la propensione democratica in M. resta limitata alla sfera religiosa. Le disuguaglianze e le ingiustizie sociali vanno perciò limitate e contrastate, ma lo strumento non è la lotta politica, bensì la carità cristiana. I poveri devono aver fiducia nella Provvidenza e in una giustizia divina che però si realizza pienamente solo nell’aldilà (vedi programma moderato del cattolicesimo liberale con dose di paternalismo).

29 Manzoni si batte indubbiamente per un processo risorgimentale in cui la borghesia possa avere una funzione dirigente. Egli ritiene che il liberismo economico sia un indubbio vantaggio per tutti, tuttavia il pessimismo circa la natura umana lo induce a cercare rimedi più sicuri in un progetto di ricristianizzazione della società (politica +religione; linea politica moderata + spinta cristiana alla solidarietà fra le classi).

30 Un altro tema-cardine è quello della giustizia (visto in un’ottica religiosa). Sul piano politico M. sa che“a metter fuori l’unghie, il debole non ci guadagna”; sul piano religioso la vera giustizia non è di questo mondo e per aspirare a quella di Dio bisogna sopportare, fare la carità e affidarsi alla Provvidenza.

31 Accanto alla giustizia come problema sociale Manzoni avverte, ancor più forte, quello della giustizia come problema individuale e religioso. In ogni circostanza egli pone il quesito: quale sarebbe stato il giusto comportamento (dove “giusto” è da intendere in senso religioso)? Resta irrisolta l’inquietudine circa il mistero della giustizia divina e della salvezza individuale. Questa superiore giustizia rimane in realtà un enigma di fronte al quale il moralista autoritario deve confessare il proprio sbigottimento e cedere il campo.

32 L’ideologia religiosa; il problema del male e il tema della Provvidenza; la conclusione del romanzo Alla storia come prodotto della natura umana, e dunque come serie di errori e di colpe, Manzoni contrappone un valore fisso e universale, sottratto al relativismo storico: il valore della morale cattolica. Alla luce di questa il narratore onnisciente commenta e giudica, in modo autoritario, il comportamento di tutti i personaggi del romanzo. Ne I promessi sposi la condanna della storia non è meno radicale che nell’Adelchi. Attraverso le figure religiose positive del romanzo si indica però la strada di un fattivo operare degli eroi dell’ideale all’interno della società.

33 Nella storia, certo, agisce la Provvidenza, anche nella forma della “provvida sventura” (vedi Adelchi). Ma vi agisce in modi enigmatici, imperscrutabili per la mente umana. Perché il male nella storia? Certo, il male prodotto dall’uomo può spesso essere evitato; ma il male naturale, la peste? Si tratta forse di una punizione divina della malvagità umana? Le domande restano senza risposta.

34 La Provvidenza agisce sì nella storia, ma non ne indirizza il senso in modo chiaro e univoco, non la converte in “progresso”, in sviluppo civile (la morale utilitaria di don Abbondio o di Renzo non è quella di M.). Ogni cosa accade perché voluta da Dio per i suoi fini, ma questi sono incomprensibili per la mente umana. Della Provvidenza M. coglie soltanto l’aspetto individuale della Grazia nella esperienza concreta della singola persona umana (la “provida sventura” è la Grazia che permette ad Adelchi ed Ermengarda, attraverso la sofferenza individuale, di riscattarsi dalla colpe del loro popolo. Così avviene per Ludovico e per l’Innominato ne I promessi sposi).

35 Sul piano storico il male resta un enigma, come il percorso della Provvidenza. Si veda a tale proposito la conclusione del romanzo. All’interrogativo sul male i due protagonisti danno una risposta che lo scrittore pone come “sugo di tutta la storia”:”i guai vengono bensì spesso, poiché ci si è dato cagione; ma la condotta più cauta e innocente non basta a tenerli lontani”; comunque sia,”quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore”.

36 Il male dunque non è interpretabile semplicemente come punizione divina e nemmeno come prova da superare, ma risponde a ragioni che la mente umana non può ricostruire. Il dolore non si spiega dentro la storia. La fiducia in Dio serve però a renderlo più sopportabile e magari utile per la salvezza dell’anima. E’ una conclusione anti-idillica.


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