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PubblicatoBeata Pavone Modificato 8 anni fa
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Fashion and the City
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Il saggio sulla moda di G. Simmel Die Mode (1895) è considerato tra le prove più alte del metodo sociologico di Simmel per la straordinaria ricchezza dei rilievi analitici e per l’attualità dei riferimenti all’organizzazione del lavoro e dell’economia. La moda è indagata come manifestazione collettiva di imitazione, nella quale si esprime il bisogno di approvazione sociale, e come spinta incessante alla differenziazione individuale e al cambiamento. La moda è un fenomeno tipicamente urbano. Grande attenzione ai comportamenti dettati dalla moda, specie dei comportamenti femminili, e al funzionamento dei meccanismi di mercato.
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Imitazione come “il trasferimento della vita di gruppo nella vita individuale […] Nell’imitare non solo trasferiamo da noi agli altri l’esigenza di energia produttiva, ma anche la responsabilità dell’azione compiuta. L’individuo si libera dal tormento della scelta e la fa apparire come un prodotto del gruppo, come un recipiente di contenuti sociali”. [Simmel, trad. it. 1985, pp. 11-2]
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“La moda è imitazione di un modello dato e appaga il bisogno di un appoggio sociale, conduce il singolo sulla via che tutti percorrono, dà un universale che fa del comportamento di ogni singolo un puro esempio. Nondimeno appaga il bisogno di diversità, la tendenza alla differenziazione, al cambiamento, al distinguersi.” [idem, p. 13]
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“la moda significa da un lato coesione di quanti si trovano allo stesso livello sociale, unità di una cerchia sociale da essa caratterizzata, dall’altro chiusura di questo gruppo nei confronti dei gradi sociali inferiori e loro caratterizzazione mediante la non appartenenza ad esso” [p. 15] “La moda […] appartiene soltanto alle classi sociali superiori. Non appena le classi inferiori cominciano ad appropriarsene superando i confini imposti dalle classi superiori e spezzando l’unità della loro reciproca appartenenza così simbolizzata, le classi superiori si volgono da questa moda ad un’altra” [pp. 18-9]
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“il cambiamento della moda indica la misura dell’ottundimento della sensibilità agli stimoli nervosi: quanto più nervosa è un’epoca, tanto più rapidamente cambieranno le sue mode, perché il bisogno di stimoli diversi, uno dei fattori essenziali di ogni moda, va di pari passo con l’indebolimento delle energie nervose. Già per questo motivo le classi più elevate sono la sede della moda” [p. 23]
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“L’essenza della moda consiste nell’appartenere soltanto a una parte del gruppo mentre tutto il gruppo è già avviato verso di essa. Non appena cioè tutti fanno ciò che originariamente facevano solo alcuni, come avviene per alcuni elementi del vestito e per alcune forme di convenienza sociale, questa non viene più indicata come moda. Ogni crescita la conduce alla morte perché elimina la diversità. La moda appartiene a quel tipo di fenomeni che tendono a un’estensione illimitata e a una realizzazione perfetta, ma che con il conseguimento di questa meta assoluta si contraddicono distruggendosi da sé” [pp. 25-6]
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“Il caratteristico tempo «impaziente» della vita moderna significa non soltanto il desiderio di un rapido cambiamento dei contenuti della vita ma anche la potenza del fascino formale del confine, dell’inizio e della fine, del venire e dell’andare […] la moda è contemporaneamente essere e non essere, si trova sempre sullo spartiacque fra passato e futuro e ci dà, finché è fiorente, un senso del presente così forte da superare in questo senso ogni altro fenomeno” [pp. 27-8]
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“Se la moda porta a espressione e accentua l’impulso all’eguaglianza e quello all’individualizzazione, si spiega in certa misura perché in generale le donne dipendano particolarmente dalla moda. È dalla debolezza della posizione sociale alla quale le donne sono state condannate per la maggior parte della storia che deriva il loro vincolante rapporto con tutto ciò che appartiene al «costume», con «ciò che si conviene», con la forma di esistenza generalmente valida e approvata” [p. 36]
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Esempi di moda vittoriana
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Woman and the City
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T. Dreiser, Sister Carrie, 1990 (Trad. it Nostra sorella carrie, Rizzoli, 1957)
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Theodore Dreiser (1871 – 1945) ha dominato come un gigante il panorama della letteratura americana. La grandiosità delle sue visioni d'insieme, il gusto e la precisione del particolare, l'interesse alla vita che lo circonda nei suoi aspetti più reali, fanno della sua opera un documento realistico e potente dell'America del suo tempo. È l'America degli uomini che costruiscono le grandi fortune, degli uomini che vincono con la forza, l'astuzia, la mancanza di scrupoli. «Nostra Sorella Carrie» (Sister Carrie) è il primo romanzo di Dreiser. Usci nel 1900 e fu subito ritirato dallo stesso editore per «immoralità». Voleva essere il manifesto d'una nuova scuola realista, sulle orme dei maestri del naturalismo francese; fu, di fatto, l'opera che aprì la strada alla nuova letteratura americana.
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È la storia di una ragazza di provincia, Carrie Meeber, venuta a Chicago a cercar lavoro. Siamo nel 1890, l'epoca dell'irrompente ascesa dell'industrialismo americano e dei primi fermenti sociali nella classe operaia. Dapprima Carrie fa l'operaia in una fabbrica di scarpe, poi diviene l'amante di un commesso viaggiatore, e fugge quindi col gerente di un caffè che si rovina per lei e che ella abbandona per seguire la carriera di attrice, in cui raggiunge fama e successo. Ma due cose, soprattutto, costituiscono il fascino del libro: il personaggio di Carrie, e la stessa Chicago. Carrie, anche se alla sua fortunata carriera sembra sottintesa una furiosa voglia di «arrivare», è un personaggio «positivo» e, quel che più conta, un vero personaggio. E le camminate di Carrie per Chicago, in cerca di lavoro, ci aprono la visione della grande città che sorge.
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W. I. Thomas, The Unadjusted Girl (1927)
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“ Chi tradurrà per noi il linguaggio delle pietre?” La città come luogo dei desideri: relazione precisa tra il ruolo della donna nel mondo moderno e l’espansione dell’economia dei consumi. A teatro, Carrie si mette in mostra come una merce di lusso esibita in un grande magazzino. Essa stimola il desiderio e fa del suo corpo la metafora finale di un processo consumistico che non si può mai appagare. […] Carrie ha orrore della povertà e si identifica totalmente nei valori del mercato fino a diventare essa stessa letteralmente merce. (Pagetti, 1990)
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Le flappers
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Vestite di seta e calze di nylon, capelli corti, truccate vistosamente e costantemente con una sigaretta in bocca…
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Nonostante si oppongano e contestino simbolicamente i valori della società, possono essere considerate come le anticipatrici di quel percorso di emancipazione che vedrà coinvolta la donna nei decenni successivi
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Il carattere deviante del processo di demoralizzazione che ne sostanzia il comportamento è la premessa di un’innovazione dei costumi, ma anche il prodotto di una società che propone un’ipotesi di rappresentazione del sé fondata sul consumo vistoso di quei prodotti pubblicizzati sui grandi cartelloni che negli anni ‘20 cominciavano a colorare i muri della città
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Il capitale sessuale “Nelle ragazze l’ingresso nel mondo della delinquenza è in genere un impulso verso il divertimento, l’avventura, l’abbigliamento carino e alla moda, il richiamare l’attenzione, il distinguersi, la libertà all’interno del vasto mondo che presenta così tante seduzioni ed è dominato dalla competizione. I casi che ho esaminato (circa tremila) mostrano che la passione sessuale non gioca un ruolo importante nelle ragazze, in quanto queste diventano “selvagge” prima ancora dell’emergere del desiderio sessuale; e dalle loro casuali relazioni sessuali di solito non si sviluppa nessun tipo di relazione sentimentale o sessuale duratura. La loro potenzialità sessuale è usata come una condizione per la realizzazione di altri desideri. È il loro capitale.” (Thomas, 1923: 109)
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Louise Brooks
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Theda Bara
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P. Cressey, The Taxi-dancehall (1932)
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If a man couldn't net himself a dance partner, he could rent a 'taxi dancer' for a typical price of 10 cents per song.
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Queste ragazze, stigmatizzate come prostitute, non facevano altro che mostrare le contraddizioni interne al sogno americano. Le ballerine, come gli hobo, sono soggetti giovani che rivendicano la propria individualità e la possibilità di una vita gestita in piena autonomia
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