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PubblicatoNicola Marino Modificato 8 anni fa
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PREGARE DIO PER I VIVI E PER I MORTI PARROCCHIA MARIA SS. ADDOLORATA OPERA DON GUANELLA – BARI Anno Pastorale 2015-2016
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Introduzione “Pregare Dio per i vivi e per i morti”: la lista delle opere di misericordia spirituali culmina con la preghiera. Come l’amore, anche la preghiera è un’opera, un lavoro. Pregare è un’azione faticosa. E la preghiera qui intravista è l’intercessione, la preghiera per gli altri.
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Ovvero, la preghiera in cui l’uomo manifesta l’inscindibile connessione tra la relazione con Dio e la responsabilità per gli uomini, la confessione di fede e l’impegno storico, l’amore per il Signore e la solidarietà con i fratelli.
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Pregando, noi portiamo tutto il nostro essere davanti al Signore, dunque anche le relazioni che ci hanno plasmato e che nutrono la nostra vita. Come viviamo con e per gli altri, così noi preghiamo con e per gli altri.
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Etimologicamente intercedere significa “fare un passo tra (intercedere)”, “interporsi”, situarsi tra due parti per cercare di costruire un ponte, una comunicazione tra di esse.
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Riprendendo un’immagine del libro di Giobbe, possiamo dire che l’intercessore è colui che pone una mano su Dio e una sull’uomo, sulla spalla di Dio e sulla spalla dell’uomo divenendo lui stesso un ponte tra l’uno e l’altro (cfr. Gb 9,33).
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La postura di Mosè che, in piedi sul monte, tende verso il cielo le sue braccia assicurando così la vittoria al popolo che sta combattendo contro Amalek, mostra innanzitutto la fatica fisica della preghiera per gli altri (le braccia tese verso l’alto si fanno pesanti, le mani aperte sembrano riempirsi di un peso insopportabile), tanto che Aronne e Cur, l’uno da un lato e l’altro dall’altro, devono sostenere la sue braccia (cfr. Es 17,8-13).
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Ma essa evidenzia anche la dimensione spirituale di tale preghiera: uno stare davanti a Dio a favore di qualcun altro, una compromissione attiva tra due parti, un situare se stessi al confine, uno stare sulla soglia, un porsi nel vuoto che intercorre tra Dio e l’uomo, un abitare il “tra”.
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È la posizione di Aronne che “ergendosi in mezzo” (Sap 18,23) arrestò l’ira divina impedendole di raggiungere i viventi; è la posizione di Mosè che “si erge sulla breccia” (Sal 106,23) per stornare l’ira di Dio dal popolo; è la posizione del profeta cercato vanamente da Dio secondo Ezechiele 22,30: “Ho cercato un uomo che costruisse un muro e si ergesse sulla breccia di fronte a me per difendere il paese... ma non l’ho trovato”.
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L’intercessore è l’uomo del confine, che sta tra due fuochi, nella delicatissima posizione di chi è completamente esposto, di chi si assume la responsabilità del popolo peccatore e la porta davanti al Dio santo e misericordioso. È una posizione “cruciale”.
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È la posizione di Gesù sulla croce, quando il suo stare tra cielo e terra, con le braccia stese per portare a Dio tutti gli uomini, diviene narrazione dell’esito ultimo dell’intercessione: il dare la vita per i peccatori da parte di colui che è santo, il “morire per” gli ingiusti da parte di colui che è giusto.
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Come il Servo del Signore che, ritenuto ingiusto e castigato da Dio, in verità, soffrendo e morendo per i peccatori, senza volontà di vendetta e di rivalsa, ha portato la loro situazione davanti a Dio divenendo loro intercessore: “Egli è stato annoverato tra gli empi, mentre portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori” (Is 53,12).
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Luca pone espressamente in bocca a Gesù crocifisso l’invocazione di perdono per i suoi aguzzini: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). E quella preghiera al momento della morte sintetizza un’intera vita spesa davanti a Dio per gli altri e mostra un Gesù divenuto egli stesso intercessione con la sua vita e la sua morte.
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E il Risorto continua a intercedere per gli uomini dall’alto dei cieli: egli, infatti, “è sempre vivo per intercedere” in favore dei credenti (Eb 7,25; cfr. 9,24); “è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi” (Rm 8,34).
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L’intercessione è una preghiera di domanda, una supplica, un’invocazione in cui facciamo memoria davanti a Dio di altri uomini. Nell’intercessione non chiediamo a Dio, che già sa ciò di cui abbiamo bisogno (cfr. Mt 6,8.32), di ricordarsi di qualcuno, ma “davanti a lui” ci ricordiamo, noi stessi, di altre persone per vedere illuminata dalla parola del Signore la nostra relazione con esse.
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Mentre invochiamo da Dio perdono o aiuto per chi è nel bisogno, noi ci impegniamo concretamente e facciamo tutto ciò che è in nostro potere per lui.
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In questo senso l’intercessione è lotta contro l’amnesia che ci minaccia, purificazione della nostra relazione con gli altri e concreta dedizione per coloro per i quali si prega.
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L’intercessione di Mosè è elemento costitutivo del suo ministero di guida del popolo: le tappe del cammino dell’uscita dall’Egitto sono scandite dalla sua continua intercessione (cfr. Es 15,25; 17,9- 11; 32,11-14; Nm 11,2; 12,13; 14,13-19).
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La figura di Mosè mostra come l’intercessione sia anche il faticoso situarsi del profeta tra la giustizia e la misericordia di Dio: la soglia abitata dall’intercessore è la tensione che abita il nome stesso di Dio, un nome che lo proclama misericordioso, lento all’ira e capace di perdono, ma anche giusto e che non lascia senza punizione (cfr. Es 34, 6-7).
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Questo situarsi sul crinale segna anche la vita dell’intercessore che appare come uomo che abita la solitudine per incontrare il Signore, come Mosè che sale sul monte e vi rimane per lunghi giorni in solitudine (cfr. Es 24,18; 34,28), e come uomo che esce dalla solitudine per incontrare gli uomini e condividere il loro cammino, come Mosè che scende dal monte e si situa nuovamente tra i suoi fratelli (cfr. Es 34,29-35).
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L’intercessione pone l’uomo nell’alternanza di solitudine e solidarietà. L’intercessore è l’amico di Dio (cfr. Es 33,11) che, in nome di questa stessa amicizia, lotta contro Dio per il suo popolo, mostrandosi così amico del suo popolo (cfr. 2Mac 15,14).
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Se Gesù, nel suo ministero storico, ha pregato per i suoi discepoli (si pensi alla preghiera di Gesù per Pietro, perché non venga meno la sua fede: cfr. Lc 22,32), anche i discepoli sono chiamati a “pregare gli uni per gli altri” (Gc 5, 16).
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Soggetto della preghiera nel cuore del discepolo e della comunità cristiana è lo Spirito santo, il Paraclito, che parla la lingua di Dio e insegna al credente a pregare intercedendo con insistenza per lui (cfr. Rm 8,26).
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