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Le malattie metaboliche
Prof. Pietro Andreone Dr. Giovanni Vitale Dipartimento di Medicina Clinica Università di Bologna Policlinico Sant’Orsola Malpighi
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DIABETE MELLITO
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Anatomia del pancreas
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Insulina Ormone proteico con proprietà anaboliche
Prodotto dalle cellule beta delle isole di Langherans E’ formata da due catene unite da due ponti solfuro: catena A di 21 aminoacidi e catena B di 30 aminoacidi. Regola i livelli ematici di glucoso. Ha un ruolo nella proteo-sintesi in sinergia con GH/IGF-1 e testosterone Responsabile della lipogenesi Nel SNC (centro ipotalamico per la sazietà), ci sono recettori per l'insulina.
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Etimologia Termine coniato da Areteo di Cappadocia ( d.C.). In greco antico il verbo διαβαίνειν significa "attraversare" (dià: attraverso; baino: vado) alludendo al fluire dell'acqua, come in un sifone, poiché il sintomo più appariscente è l'eccessiva produzione di urina. Nel Medioevo la parola fu "latinizzata" in diabètés. Il suffisso mellito (dal latino mel: miele, dolce) è stato aggiunto dall'inglese Thomas Willis nel 1675 per il fatto che il sangue e le urine dei pazienti diabetici avevano un sapore dolce, caratteristica peraltro conosciuta da lungo tempo dagli indiani, greci, cinesi ed egiziani. La malattia era chiamata Shoukachi (malattia della sete) fino al XVIII secolo in Giappone.
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Nel Medioevo in tutta Europa i medici facevano diagnosi di diabete mellito assaggiando letteralmente le urine dei pazienti,
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1921 I ricercatori canadesi Banting e Best cambiarono la storia della medicina e salvarono la vita a milioni di persone scoprendo che la condizione di diabete nel cane pancreasectomizzato poteva essere risolta somministrando insulina estratta dalle isole di Langerhans di un cane sano. Tale scoperta valse il premio Nobel per la medicina.
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Epidemiologia
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Epidemiologia 3% della popolazione mondiale ne è affetta 6% della popolazione USA 20 % della popolazione di 80 aa 90% diabete tipo II In costante aumento
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Definizione Malattia multifattoriale caratterizzata da molteplici alterazioni del metabolismo che inducono iperglicemia e ad al cui sviluppo concorrono: fattori genetici fattori ambientali
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Classificazione Diabete mellito tipo I Diabete mellito tipo II Diabete gestazionale Altre forme di diabete (legate a malattie, pancreatiche, endocrine e a farmaci)
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Criteri diagnostici Glicemia a digiuno maggiore di 126 mg/dL Glicemia alla II ora dopo carico orale con 75 gr di glucosio > 200 mg/dL Glicemia non a digiuno maggiore di 200 mg/dL in presenza di sintomatologia tipica Hb glicata ≥ 48 momol/mol (≥ 6.5%)
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Condizioni prediabetiche
Iperglicemia a digiuno: glicemia tra 110 e 126 mg/dL Ridotta tolleranza glucidica: glicemia alla II ora dopo carico orale con 75 gr di glucosio >140 e < 200 mg/dL
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Differenze Diabete tipo I Diabete tipo II Età iniziale minore di 30 anni Sopra la terza decade Obesità Non si presenta alcun'associazione Costituisce fattore di rischio Livelli plasmatici di insulina endogena Irrilevanti Varia a seconda dell'insulina (resistenza - difetto di secrezione), può essere elevata Rapporto con antigeni HLA-D SI NO Rilevazione di anticorpi anti-insulae In terapia efficacia dei farmaci ipoglicemizzanti orali L'iperglicemia non diminuisce Inizialmente si hanno effetti sull'iperglicemia
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Diabete tipo I Incidenza in Italia 0.26% Picco tra 5 e 15 aa
Presenza nel sangue di anticorpi diretti contro antigeni presenti a livello delle cellule che producono insulina, detti ICA, GAD, IA-2, IA-2β. Fattori ambientali (virus e batteri) Predisposizione genetica Progressiva distruzione delle cellule β
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I sintomi La polidipsia
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I sintomi La poliuria
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Diabete mellito tipo I: sintomi Esordio acuto
Spesso in relazione a episodio febbrile Astenia Poliuria Polidipsia Calo ponderale Emesi Dolore addominale Disidratazione Respiro di Kussmaul (tachipnea con respiro profondo) Chetoacidosi Diabetica
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Diabete mellito tipo I: la diagnosi
Glicemia > 200 mg/dL (spesso > 600 mg/dL) Glicosuria e chetonuria pH arterioso < 7.35 pO2 normale e pCO2 ridotta C peptide basso ICA, GAD, IAA e IA2
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terapeutica e Counseling
Educazione terapeutica e Counseling
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Diabete mellito tipo II:
Diabete non insulino-dipendente o dell’adulto 90% delle forme di diabete Combinazione di insulino-resistenza e ridotta secrezione di insulina Ruolo fattori ambientali Tre fasi: Glicemia nella norma ma elevata insulina Resistenza insulinica con ridotta tolleranza glicidica Resistenza insulinica con ridotta secrezione di insulina e comparsa di diabete
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Diabete mellito tipo II: sintomi
Esordio subdolo Spesso casuale In concomitanza di stress come infezioni o interventi chirurgici Astenia Poliuria con nicturia Infezioni frequenti Scarsa guarigione delle ferite
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Grasso è bello…
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Questione di punti di vista…
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Diabete mellito tipo II: fattori di rischio
Obesità (BMI ≥ 25) Inattività fisica Ipertensione (PAS ≥ 140 mmHg e\o PAD ≥ 90mmHg) Basso Colesterolo HDL (≤ 35 mg/dl) Trigliceridi (maggiori o uguali a 250 mg/dl) Età adulta: si accompagna ad una riduzione fisiologica del testosterone e IGF-1 e quindi a un diminuita sensibilità dei tessuti periferici all'insulina.
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Diabete mellito tipo II: diagnosi
Iperglicemia Glicosuria Iperinsulinemia basale e dopo carico orale di glucoso Alti livelli di Hb glicata (concentrazione media del glucosio presente nel sangue negli ultimi tre mesi) Alto HOMA Index DCCT- HbA1c IFCC-HbA1c (%) (mmol/mol) 4.0 20 5.0 31 6.0 42 6.5 48 7.0 53 7.5 59 8.0 64 9.0 75 10.0 86 HbA1c (%) Glicemia media (mg/dL) 5 90 6 120 7 150 8 180 9 210 10 240 11 270 12 300
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Complicanze croniche Retinopatia diabetica: microangiopatia che colpisce prevalentemente i piccoli vasi che irrorano la retina. L’iperglicemia determina, attraverso alterazioni metaboliche ed emodinamiche, sovvertimento del microcircolo con obliterazione dei capillari, aree di ischemia e di neoproliferazione vasale.
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Complicanze croniche Nefropatia diabetica:
Causa più frequente di insufficienza renale terminale. Si caratterizza per una progressiva riduzione del filtrato glomerulare e comparsa di proteinuria. Terapia - Controllo della pressione arteriosa con ACE-inibitori e sartani, farmaci che più di altri riducono la pressione di filtrazione e quindi consentono di contenere il danno meccanico glomerulare. - Riduzione della glicemia - Trattamento della dislipidemia
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Complicanze croniche Neuropatia diabetica:
Può interessare sia il SN periferico che il SN autonomo Neuropatia periferica: di solito polineuropatia polidistrettuale sensitivo-motoria, simmetrica, distale, più frequentemente agli arti inferiori, con parestesie e deficit di funzione. - Neuropatia autonomica: - alterazioni cardiovascolari: ipotensione ortostatica, tachicardia a riposo, allungamento del tratto QT alterazioni gastrointestinali: ritardato svuotamento dello stomaco, gastroparesi alterazioni urologiche: disfunzioni vescicali, vescica neurogena, impotenza
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Complicanze croniche Piede diabetico:
Quando la neuropatia e l’arteriopatia degli arti inferiori compromettono la funzione o la struttura del piede si instaura un quadro clinico noto come piede neuropatico-ischemico con comparsa di ulcerazioni che nei casi gravi richiedono amputazioni. Importanza di: Accurata igiene Evitare scarpe strette Contrastare la secchezza con creme idratanti Maneggiare con cautela forbici
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Complicanze croniche Macroangiopatia diabetica:
Cardiopatia ischemica (rischio di infarto aumentato di 3-4 volte) Vasculopatia cerebrale Vasculopatia periferica
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Complicanze acute Chetoacidosi diabetica
Caratteristica del Diabete tipo I. Concentrazione eccessiva di corpi chetonici nel sangue dovuta alla carenza di insulina e al conseguente eccesso di glucagone tipica del DM di tipo 1 e scatenata da forti stress (infezioni, traumi, interventi chirurgici). In condizioni normali i trigliceridi sono immagazzinati nelle VLDL; nelle condizioni di digiuno con eccesso di glucagone e deficit di insulina si attiva la via di formazione dei corpi chetonici: il passaggio di questi nel sangue è alla base dell’acidosi metabolica (fino a valori di pH prossimi a 7,0). Presenti livelli molto elevati di glicemia (tra i 500 e i 700 mg/dl) e glicosuria con notevole disidratazione, dolori addominali, anoressia, vomito, nausea.
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Complicanze acute Approccio al paziente con chetoacidosi
Valutazione TC e cute Ricerca Respiro di Kussmaul o alito acetonemico Monitoraggio ECG per segni di ipokaliemia Valutazione sintomi addominali Valutazione stato di coscienza Laboratorio: glucosio, elettroliti, esame urine, osmolarità creatinina Esami strumentali: ECG, Rx torace, TC cerebrale
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Complicanze acute Approccio al paziente con chetoacidosi
Correggere disidratazione Correggere acidosi e chetosi Reidratare il pz con SF (1 L nella prima h) Diminuzione oraria sodiemia tra 0.5 e 1 mEq per rischio edema cerebrale Correzione ipopotassemia Tp insulinica e.v. ( UI/Kg) Quando la glicemia è circa 200 mg/dL somministrare glucosata 5% per rischio ipoglicemia
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Complicanze acute Sindrome iperglicemica iperosmolare
Caratteristico del DM di tipo II. Si osserva per lo più in pazienti anziani nei quali la condizione diabetica è aggravata da eventi ricorrenti e la capacità di bere è menomata così da rendere impossibile il compenso della diuresi osmotica. Sintomi: stato confusionale fino a coma e, se non trattato, morte. Sempre presenti glicosuria abnorme (sopra i 1000 mg/dl), iperglicemia (>600 mg/dL), assenza di acidosi. La chetoacidosi è assente, perché forse la concentrazione di insulina nel circolo portale è sufficientemente alta da prevenire la piena attivazione della chetogenesi epatica.
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Complicanze acute Sindrome iperglicemica iperosmolare
Correggere disidratazione Infondere 2-3 L di SF nelle prime 3 ore Anche se la glicemia si riduce con la sola idratazione si usa insulina e.v. a dosi più basse che nella chetoacidosi Come nella chetoacidosi è necessario prevenire/correggere ipopotassemia e ipoglicemia quando glicemia intorno a 200 mg/dL con glucosata 5%.
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Obiettivi Attività fisica regolare (30-40 minuti al giorno)
Correzione sovrappeso/obesità Glicemia <108 mg/dL Emoglobina glicata ≤ 48 mmol/mol Pressione arteriosa < 130/80 mmHg; 125/75 mmHg se c’è disfunzione renale Colesterolo totale < 175 mg/dL Colesterolo LDL < 97 mg/dL Colesterolo HDL > 40 mg/dL (uomini); > 76 mg/dL (donne) • Trigliceridi < 150 mg/dL
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Terapia Esercizio fisico Dieta Abolizione del fumo
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POI Farmaci ipoglicemizzanti orali Insulino-sensibilizzanti (metformina e tiazolinedioni) Insulino-segretatoghi (sulfaniluree e glinidi) Inibitori dell’alfa-glucosidasi Incretine Insulina nelle forme refrettarie alla terapia orale o in cui questa è controindicata
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Metformina Insulinosensibilizzante Antidiabetico orale più usato
Normalmente non provoca ipoglicemie Utile nelle persone obese Non va usato nei pazienti con insufficienza renale per il rischio di acidosi lattica Va sospeso prima di manovre chirurgiche Va sospeso prima di TC con mdc iodato Può dare diarrea e dolori addominali
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Insuline TIPO Agente ritardante inizio Picco Ad azione rapida
AZIONE (ore) inizio Picco Ad azione rapida Insulina umana regolare solubile - 0,5 1,5 Analoghi ad azione rapida insulina lispro insulina aspart insulina glulisina 0,1 0,75 Ad azione intermedia insulina umana NPH insulina umana lenta protamina / zinco 1-3 4-7 A lunga durata d'azione insulina umana ultralenta Zinco 4,5 8-10 Analoghi ad azione ritardata insulina glargine insulina detemir Punto isoelettrico: 7,4
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Spending review?
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SINDROME METABOLICA
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Definizione Si intende una situazione clinica ad alto rischio cardiovascolare che comprende una serie di fattori di rischio e di sintomi che si manifestano contemporaneamente nell'individuo. Questi sono spesso correlati allo stile di vita della persona (peso eccessivo, vita sedentaria) o a situazioni patologiche preesistenti (obesità dislipidemia). Colpisce un'elevata percentuale della popolazione a livello mondiale, principalmente in età adulta
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Diagnosi Si basa sulla misurazione di alcuni semplici parametri:
Circonferenza vita Pressione arteriosa Colesterolo HDL Trigliceridi Glicemia
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Epidemiologia In Italia, la sindrome metabolica interessa circa il 25% degli uomini e addirittura il 27% delle donne. 14 milioni di individui
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Epidemiologia Picco massimo di SM tra 65 e 74 aa
Prevalenza dell’80-90 % nel diabete di tipo II Rischio di eventi cardiovascolari raddoppiato rispetto a chi non è affetto Al di sotto dei 50 aa ogni aumento della pressione diastolica di 10 mmHg aumenta il rischio coronarico del 40%
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Criteri diagnostici Nel 2005 l‘IDF (International Diabetes Federation) ha aggiornato i criteri diagnostici; devono essere presenti 3 dei seguenti disordini, uno dei quali deve essere l’obesità viscerale: Glicemia a digiuno: oltre 100 mg/dL; Ipertensione arteriosa: > 130/85 mmHg o terapia ipotensivante; Ipertrigliceridemia: > 150 mg/dl; Ridotto colesterolo HDL: 40 mg/dl nei maschi, 50 mg/dl nelle femmine o terapia ipolipemizzante; Circonferenza vita: > 94 cm nei maschi, > 80 cm nelle femmine per i pazienti di etnia Europide (102 cm nei maschi e 88 cm nella popolazione americana)
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Diabete Tipo 2 Dislipidemia iperinsulinemia Ridotta tolleranza glicidica Insulino- Resistenza Obesità (Centrale) Aterosclerosi Malattia Cardiovascolare ipertensione
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Modifiche stile di vita
TERAPIA Modifiche stile di vita Riduzione del peso corporeo del 7-10% in 12 mesi e poi un progressiva riduzione del BMI fino a < 25 Kg/m2 60 minuti di esercizio fisico aerobico/die Dieta ipolipidica e ipoglicemica (lipidi 25-35%, carboidrati 40-45%)
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Intervento farmacologico
TERAPIA Intervento farmacologico Diabete: obiettivo Hb glicata < 53 mmol/mol Dislipidemia: obiettivo LDL< 100 mg/dL, HDL > 45 mg/dL, TGL < 150 mg/dL Pressione arteriosa: se presenti SM e diabete PAS < 130 mmHg, PAD < 80 mmHg Terapia antiaggregante raccomandata nei pazienti con diabete tipo II Correzione insulino-resistenza con metformina
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Sindrome metabolica e NAFLD (Non Alcholic Fatty Liver Disease)
E’ la più comune malattia cronica epatica negli USA e in Europa Ha un’incidenza del 10-24% nella popolazione generale E’ un problema sottostimato Prevalenza della NASH 2-9% Progressione favorita da SM Decorso peggiore negli ispanici, migliore in afroamericani
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DEFINIZIONE La steatosi epatica non alcolica (NAFLD) comprende un insieme di condizioni associate all'accumulo di grasso nel fegato, in assenza di un significativo consumo di alcol (meno di 2 Ui/die), che varia dal fegato grasso non alcolico o dalla steatosi semplice, alla steatoepatite non alcolica (NASH), che può progredire verso la cirrosi, l'insufficienza epatica e il carcinoma epatocellulare.
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1976 - 77 2003 Fattore di rischio per:
NAFLD Cirrosi HCC Fattori di rischio per l’arteriosclerosi Sindrome Metabolica
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