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Sociologia economica del welfare Piera Rella – 10 maggio

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Presentazione sul tema: "Sociologia economica del welfare Piera Rella – 10 maggio"— Transcript della presentazione:

1 Sociologia economica del welfare Piera Rella – 10 maggio
corso di laurea in Programmazione Gestione e Valutazione dei Servizi Sociali PROSS- I anno 12 crediti formativi (inclusi 6 Vitiello) – gruppo disciplinare SPS/09 Dal 2 marzo al 31 maggio Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche Ricevimento stanza B12 dopo la lezione di giovedì 1 1

2 Spesa e rendimento scolastico
Secondo Pattarin in una struttura scolastica immutata, il clima neoliberista non ha agito in modo significativo, se non per le strategie di azione degli attori sociali L’Italia ha una spesa scolastica in diminuzione dal 1995 ad oggi, più bassa di quella di altri paesi Ue (tranne che alle elementari, la scuola che funziona meglio) Bassi stipendi dei docenti hanno prodotto un’alta femminilizzazione e meridionalizzazione  basso prestigio scolastico anche per cattiva manutenzione edifici scolastici PISA Programme for International Student Assessment.  Critiche a test di valutazione

3 Ma è ancora così dopo la riforma della buona scuola?
Tra i meriti della legge 107 del 13 luglio 2015 c’è l’aumento delle spese: assunzione di circa precari e avvio di un concorso riservato agli abilitati nel 2016 Previsione di una carriera per i docenti che dovrebbe far diminuire i bassi stipendi Tra i punti discutibili la creazione di una via italiana al sistema duale In senso neoliberista, la riforma della “buona scuola” pone tra gli obiettivi formativi la Alternanza obbligatoria scuola-lavoro (A.S.L.) L’impresa didattica (commercializzazione propri prodotti) L’apprendistato PISA Programme for International Student Assessment.  Critiche a test di valutazione

4 L’alternanza scuola lavoro istituita dalla legge Moratti per tecnici e professionali viene ampliata a tutta la scuola Aumentano obbligatoriamente le ore di Alternanza: “almeno 400 ore negli istituti tecnici e negli istituti professionali e almeno 200 ore nei licei”. Poiché la legge Moratti aveva trovato difficoltà nella collaborazione con le Regioni, si procede in modo accentrato, mettendo in discussione l’autonomia scolastica Nell’anno scolastico 2014/2015, prima dell’obbligatorietà, gli studenti coinvolti erano e il 54% delle scuole faceva alternanza. Nell’anno scolastico 2015/2016 hanno partecipato ragazzi, con un incremento del 139%.

5 Le scuole che hanno fatto alternanza sono passate dal 54% al 96%.
I percorsi di alternanza attivi sono passati da a (+154%). Le strutture ospitanti sono state (+41%). Dove hanno fatto alternanza gli studenti? Soprattutto in imprese (36,1% dei casi), a scuola con l’impresa simulata o svolgendo attività interne, ad esempio nelle biblioteche (12,4%), nelle Pubbliche Amministrazioni (8,5%), nel settore No Profit (7,6%) e per la restante percentuale in studi professionali, ordini, associazioni di categoria

6 Le disuguaglianze formative
Il Nord ha più elevati punteggi PISA ma tassi di regolarità bassi come al Centro Sud e tassi di diplomati anche più bassi  oltre alla divaricazione territoriale dovuta alla peggiore formazione professionale, divaricazione classista ↙↘ Figli borghesia classi meno abbienti nei licei nei professionali↓ concludono la scuola presto, ma al Nord hanno la rete di salvataggio della formazione professionale (anche se + figli migranti respinti) La “buona scuola” diminuirà o accentuerà questi fenomeni?

7 In conclusione 3 domande
Quale grado di successo hanno avuto le politiche scolastiche? obiettivo parità formazione prof. e liceale mancato dalla riforma Moratti a causa tagli spesa Il clima neoliberista ha mutato i rapporti tra gli attori sociali?  famiglie più impegnate, insegnanti attaccati rispondono in modo ambivalente Rimangono disuguaglianze formative?  Tra Nord e Sud specie per la formazione professionale e tra ceti sociali, con in fondo gli immigrati

8 La scuola strumento di welfare universalistico
Va considerato anche il ruolo della Ue contro la dispersione scolastica, per la parità di genere, per l’incremento della scolarizzazione secondaria, delle competenze linguistiche,per la formazione continua  l’Italia tra i paesi mediterranei Nonostante le contraddizioni la scuola rimane uno dei capisaldi del welfare universalistico di ispirazione costituzionale

9 Le politiche per l’università
Di Gabriele Ballarino

10 Università parte del welfare?
Spesso si parla del ruolo di espansione dell’economia della conoscenza, dimenticando altri effetti: Creazione di occupazione anticiclica: personale universitari e dei servizi che ruotano attorno Diminuzione della disoccupazione giovanile Aumento valori civici: + partecipazione politica, + letture, + sostegno alla libertà di parola Selezione sociale delle classi dirigenti che lo stato dovrebbe rendere legata al merito e non alle origini sociali

11 Le specificità italiane
Rispetto ad altri paesi è un sistema universitario sottodimensionato, poco differenziato, governato da una diarchia Ministero- Elite professori Nasce aggregando università degli stati pre-unitari: Al sud una sovraffollata a Napoli e due troppo piccole in Sardegna  tentativi falliti di razionalizzazione per resistenze locali soprattutto dei professori  anche la concessione dell’autonomia dal 1990 produce proliferazione sedi Il sistema si espande di 100 volte: da 2625 lauree nel 1882 a 228mila nel 2008

12 Passaggio da università di elite a università di massa fine anni ‘60
La crescita delle immatricolazioni sopra al 15% dei diciannovenni provoca scompensi nel rapporto docenti/allievi aumento fuoricorso 7-8 anni in media per laurearsi. Per qualche decennio ha i problemi dell’università di massa e l’output dell’università di elite <15% popolazione in età In altri paesi (scandinavi e R.U) l’università di massa (15-35%) comincia dopo la I guerra mondiale per arrivare a quella universale (>35%) nel II dopoguerra

13 Un’organizzazione poco differenziata e molto accentrata
Negli Usa + tipi di istruzione e università di diverso prestigio In Germania sistema binario come nella scuola→ scuole tecniche e università In Italia istruzione terziaria ≈ università prevalentemente pubblica: le private poche, piccole e di bassa qualità (10/26 a distanza ) Scuole dottorali negli anni ’90, ma insieme Accademie e Conservatori parificati all’università Accentramento inizialmente per controllare elite non aderenti allo stato unitario Autonomia anni ‘90 dei professori e non delle istituzioni, da cui si è tornati indietro con vincoli imposti dal Miur Accentramento come nella scuola per lo stesso motivo

14 La diarchia tra professori e politica
Legami diretti tra strato superiore locale professori ed elite politica< centrale Il potere dell’oligarchia accademica, coperto da forme legali - razionali, di tipo tradizionale e personalistico si esercita soprattutto nel reclutamento, quindi nelle Facoltà (ora Dipartimenti) e nelle associazioni disciplinari ↓ Vale la tradizionale distinzione tra costituzione formale e materiale

15 Una riforma ogni 10 anni 1969 liberalizzazione degli accessi. Aumenta l’eterogeneità degli studenti  non vengono cambiati i modelli di insegnamento e valutazione, mancano i docenti  gli abbandoni già alti aumentano e cresce il precariato 1980 riforma organizzazione: dipartimenti governati in modo democratico al posto di Istituti intorno a un cattedratico- eliminazione assistenti e 3 ruoli docenti- concorsi nazionali - istituzione dottorato autonomia: possibilità di introdurre nuovi corsi e curricula, senza l’approvazione ex ante del Ministero

16 Una riforma ogni 10 anni -segue
nel quadro del Processo di Bologna (omogeneizzazione dei paesi Ue al modello anglosassone con lauree brevi), il Centrosinistra cambia il sistema di reclutamento ritornando a concorsi locali e aumenta i posti di ordinario  acquisito il favore dei docenti, si introduce il 3+2 (laurea triennale e specialistica) Nella fretta i corsi triennali divennero troppi e con troppi esami 2011 riforma Gelmini: taglio lineare progressivo fondi, blocco stipendi dal 2009 ed aumento ore didattica - ritorno a (pochi) concorsi nazionali – nuovi ricercatori solo a tempo determinato- istituzione controlli esterni ANVUR

17 5 TIPI DI MUTAMENTO ISTITUZIONALE GRADUALE(Streeck)
Anziché parlare continuità o rivoluzione: Spostamento → sostituzione di istituzioni dominanti con altre esistenti ma inattive Sovrapposizione → di diverse istituzioni e crescita differenziata dei diversi strati Deriva → le istituzioni si allontanano dalla realtà e si indeboliscono Conversione → di istituzioni esistenti a a nuovi obiettivi esaurimento → crisi istituzionale per incompatibilità sistemiche ed esaurimento risorse

18 Quali tipi di mutamenti?
Fino anni’60 deriva e sovrapposizione di nuove sedi e scuole tecniche e commerciali, incluse nell’università inizio ‘900 1969 allargamento degli accessi: la conversione non riuscì 1980,nonostante sia la riforma più ampia, ci fu sovrapposizione delle nuove istituzioni all’oligarchia accademica, che controllò il reclutamento straordinario fatto con giudizi d’idoneità anche per figure che mantennero un rapporto strumentale coll’università mutamento istituzionale via conversione. Per paura che l’autonomia ≈ privatizzazione ci fu opposizione comunista, ma la privatizzazione non ci fu

19 Quali tipi di mutamenti?
riforma 3+2 è una conversione istituzionale parzialmente riuscita 2011 la riforma Gelmini, combinata con il + generale blocco delle assunzioni rischia di spingere l’università alla deriva e al forte indebolimento di quelle pubbliche

20 Il finanziamento È prevalentemente pubblico come accade in generale in Occidente Se Sanità e pensioni sono programmi a cui accedono tutti, non così l’Università  rischio che i ceti bassi che non vanno all’università finanzino quelli alti  tasse + basse e borse di studio per i più poveri vanno bene, ma la loro completa abolizione danneggia i ceti bassi  Germania e R.U. le hanno reintrodotte per motivi egualitari Le tasse coprivano il 20% delle spese nel 1958, il 7,6% nel 1986 e1990, il 12% nel 2007  i più recenti aumenti lasciano comunque allo Stato la maggior parte dei costi.

21 Università e disuguaglianza sociale
L’espansione dell’università ha favorito la riduzione delle disuguaglianze di accesso tra strati sociali? Si può dare una risposta cautamente positiva grazie a dati di più generazioni e tecniche più raffinate (modelli di regressione logistica, che confrontano la probabilità di laurearsi tra differenti classi sociali a parità di altre condizioni) Nella fig.7.5 rispetto alla classe di servizio (imprenditori, dirigenti professionisti) gli impiegati sono solo di poco sotto nella probabilità di laurearsi dopo la maturità e gli operai più nettamente a parte i nati negli anni’40 e in generale le differenze si attenuano

22 Università e disuguaglianza sociale
Viceversa a parità di classe sociale il titolo di studio dei genitori pesa ancora molto (fig 7.6) Differenze di genere invertite nel tempo Se l’università si contrae come emerge dai graf. successivi ,il rischio è che le disuguaglianze aumentino di nuovo

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24 Il calo delle matricole è per metà dovuto al calo demografico

25 Università e disuguaglianza territoriale
Le università del Sud attraggono sempre di meno e sono più dipendenti dai finanziamenti pubblici dato che chi li frequenta può pagare meno tasse Il problema più grave è il brain drain conseguente al fatto che chi si sposta per la laurea spesso rimane al Centro Nord I meridionali statici erano nel 2004 solo 1/3 e sono probabilmente ora ancora meno

26 conclusioni Il mancato passaggio a un sistema universale universitario è stato causato dal peso dell’oligarchia accademica a cui la politica non è stata in grado di contrapporsi Ma la contrazione in fase di crisi è ancora più assurda, perché lo studio è un antidoto alla disoccupazione

27 Invito agli studenti Siete pregati di compilare il modulo di valutazione dell’attività didattica E’ anonimo e va comunque compilato prima dell’esame

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