Sant’Agostino Insieme a Sant’Ambrogio e a San Girolamo, Sant’Agostino fa parte dei «Padri della Chiesa». La ‘patristica’ è la letteratura di ispirazione.

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1 Sant’Agostino Insieme a Sant’Ambrogio e a San Girolamo, Sant’Agostino fa parte dei «Padri della Chiesa». La ‘patristica’ è la letteratura di ispirazione religiosa nata ad opera degli scrittori cristiani, i quali hanno operato un processo di fusione tra la cultura classica (greca e latina) e appunto quella cristiana, approfondendo particolarmente l’analisi dei problemi etici e religiosi. I «Padri della Chiesa» hanno condizionato per diversi aspetti tutta la storia del Cristianesimo occidentale.

2 Il Cristianesimo: dall’età delle persecuzioni a religione ufficiale di Stato
Il Cristianesimo si afferma nel periodo del tardo impero travolgendo l’antico paganesimo e soppiantando qualsiasi altro culto. Nato come religione dei ceti subalterni, si diffonde nell’arco di due secoli fino a diventare una componente decisiva negli equilibri politici al punto che la Chiesa interviene a sostituire in parte l’autorità dello Stato. Vi aderiscono soprattutto molte donne romane di famiglie ricche, le “clrarissimae feminae”, che assicurano alla Chiesa sostanziose donazioni. Per tutto il III sec. si alternano da parte del potere imperiale periodi di tolleranza (da ricordare già l’apertura al Cristianesimo da parte dell’imperatore Traiano su consiglio di Plinio il giovane) ad altri di violenta persecuzione, l’ultima sotto Diocleziano (dal 304 al 311 d.C.). Con Costantino il Cristianesimo ottiene pari dignità di diritti e con Teodosio avviene la sua definitiva affermazione fino alla supremazia sul paganesimo. Alla morte di Teodosio vi è la divisione fra Impero di Oriente e di Occidente; la parte occidentale dell’impero romano è quella che si disgrega, mentre la parte orientale resta ancora integra per parecchi secoli. Rimane aperto il grande interrogativo sulle cause che provocarono la caduta dell’impero romano; i motivi principali sembrano essere stati due: da un lato le invasioni barbariche nel IV sec. (causa esterna) e dall’altro il venir meno dell’unità religiosa (degli antichi dèi pagani) per la vittoria del Cristianesimo (causa interna). Di pari passo con l’evoluzione storica si afferma la letteratura degli autori cristiani come importante avvenimento culturale.

3 L’apogeo della cultura cristiana: i Padri della Chiesa
Nel IV sec. si assiste ad una grande rinascita culturale. La prima lingua del Cristianesimo è il greco e i testi di fede sono scritti in quella lingua; al diffondersi del Cristianesimo tra le comunità che non parlano greco si avverte l’esigenza di avere una produzione letteraria cristiana anche in latino con l’intento di propagandare il Cristianesimo e di combattere le resistenze del paganesimo: siamo nell’ambito della cosiddetta ‘patristica’. I tre grandi autori di questo periodo sono: Sant’Ambrogio, San Girolamo e Sant’Agostino. ♥

4 Vita di Sant’Agostino Nasce nel 354 e muore nel 430 d.C. (IV sec.). La madre - Monica - era una fervente cristiana, mentre il padre era pagano (convertitosi al Cristianesimo solo in punto di morte). Il giovane Agostino trascorre un’adolescenza spensierata dedicandosi ai divertimenti e all’amore. Si dedica anche agli studi letterari a Tagaste (in Africa, per la precisione in Numidia), sua città natale, poi a 19 anni si reca a Cartagine, dove conosce una giovane che diventa la sua concubina e dalla quale ha anche un figlio, Adeodato (lett.: dato da Dio). Legge l’Hortensius di Cicerone e questa lettura provoca in lui una profonda crisi spirituale che lo fa inizialmente aderire alla dottrina (di origine persiana)del manicheismo, secondo cui esistono due soli princìpi: il bene e il male. Agostino è alla costante ricerca della Verità (e alla fine la troverà in Cristo). Studiando filosofia, abbandona gradatamente la dottrina manichea per abbracciare finalmente quella cristiana all’età di 31 anni. La sua conversione avviene in Italia, a Milano, in seguito all’ascolto delle prediche di Sant’Ambrogio, allora vescovo di Milano (capitale dell’Impero d’Occidente).

5 Vita e pensiero L’incontro con il vescovo Ambrogio è fondamentale nella sua vita. In quel tempo (il periodo del suo soggiorno a Milano comprende 3 anni e va dal 384 al 387) Agostino vive un momento di profonda agitazione interiore, di inquietudine e di crisi, a cui segue però la rivelazione della fede. A Milano svolge l’attività di insegnante di retorica (mentre aveva iniziato la sua ‘carriera’ come avvocato). Infine, lasciato l’insegnamento – e lasciata anche la compagna e il bambino – torna in Africa, a Tagaste, dove rinuncia a tutto per dedicarsi alla vita monastica. L’anno precedente (nel 387), dopo una breve malattia, era morta a soli 55 sua madre. Diventa vescovo di Ippona e tale resterà per 35 anni fino alla mortei; in qualità di vescovo combatte le eresie, soprattutto si schiera contro quella stessa dottrina manichea a cui in precedenza aveva aderito. Si schiera anche contro il pelagianesimo: dal nome del monaco Pelagio, che esaltava tanto il libero arbitrio da vanificare la forza della ‘grazia’ di Dio per la salvezza dell’uomo. Agostino sottolinea invece quanto sia necessario l’intervento di Dio proprio attraverso la ‘grazia’ affinché l’uomo si possa salvare.

6 Carrellata delle opere
Agostino ha scritto moltissimo. La critica letteraria ha catalogato le sue opere (oltre a più di 200 lettere e a più di 500 sermoni, cioè le classiche ‘prediche’) in: autobiografiche, filosofiche, apologetiche, dogmatiche, polemiche e morali. Al gruppo delle opere autobiografiche appartengono le Confessioni concepite come una lode a Dio. Tra le opere filosofiche ricordiamo il De vita beata e il De musica (in quest’ultima Agostino sostiene che l’armonia musicale è fondata su precise norme matematiche, che a loro volta riflettono l’armonia del creato). Opera apologetica (intesa nel senso di giustificazione) è invece il De civitate Dei. Fra le opere dogmatiche la principale è il trattato De Trinitate sul mistero della Trinità. Le opere polemiche si oppongono tutte al manicheismo; interessante è il De libero arbitrio in difesa della libertà di scelta concessa all’uomo da Dio, ribadendo però che per raggiungere la salvezza l’uomo ha bisogno dell’intervento di Dio attraverso la ‘grazia’; i criteri della scelta divina sono imperscrutabili per l’uomo. Lo stesso tema è trattato nel De predestinatione sanctorum. Al gruppo delle opere morali appartiene il De doctrina christiana sul modo in cui dovrebbero essere condotte le prediche e sull’interpretazione allegorica (cioè simbolica e non letterale) dei testi biblici (secondo l’insegnamento di Ambrogio). Un altro testo da ricordare è il De vera religione scritto per invitare l’uomo a cercare Dio e la Verità all’interno di se stesso. Un motivo ricorrente è quello del colloquio interiore alla ricerca di Dio: la preghiera per Agostino è un colloquio a due fra l’uomo e Dio.

7 Le Confessioni Il titolo allude al fatto che Agostino ‘confessa’ (cioè professa) la sua fede in Cristo; si tratta del riconoscimento della grandezza di Dio, a cui Agostino è giunto dopo avere più volte sbagliato nella vita (è il percorso dell’uomo peccatore fino a Dio). Agostino scrive le Confessioni (in 13 libri) all’età di 43 anni, nei primi anni in cui è stato nominato vescovo, fra il 397 e il 398, cioè 12 anni dopo la conversione. Definisce questo libro un itinerarium mentis ad Deum: un cammino della mente verso Dio. Le Confessioni sono la storia spirituale della sua anima dalla nascita fino al momento della conversione. Sono un’autoanalisi psicologica in cui il protagonista è un comune peccatore che, per intercessione di Dio, ha trovato la strada della salvezza. Agostino ringrazia Dio di avergli mostrato la via della salvezza proprio attraverso il peccato. Le Confessioni possono essere interpretate come una preghiera a Dio.

8 Temi delle Confessioni
Riflessioni sul tempo e sulla storia del mondo. Il tempo è considerato da Agostino un “eterno presente” articolato in: presente del passato (la memoria e il ricordo), presente del presente (l’intuizione e la consapevolezza) e presente del futuro (l’aspettativa e l’attesa). Agostino definisce il tempo una distensio animae perché è solo nell’anima che si ‘misura’ il tempo. Dio è stato l’iniziatore del tempo ed Egli si trova fuori dal tempo. Dio ha dato senso al tempo e alla storia; il senso della storia per il cristiano è la venuta di Cristo. Si tratta della concezione ‘lineare’ cristiana del tempo, che non avrà mai fine (mentre prima si parlava di una concezione ‘ciclica’ perché si pensava che ogni età si concludesse per poi riprendere di nuovo il suo ciclo). La presenza di Cristo nel tempo coordina il “già adesso” con il “non ancora” in quanto il secondo (che deve ancora venire) realizzerà compiutamente il primo. Agostino concepisce il mondo come un essere soggetto alle stesse tappe esistenziali dell’uomo: infanzia, puerizia, adolescenza, giovinezza, maturità, vecchiaia e morte. Le 7 età del tempo corrispondono simbolicamente ai 7 giorni della creazione del mondo; secondo Agostino l’età della ‘vecchiaia’ del mondo corrisponde al giorno della creazione dell’uomo ed è il momento in cui viviamo (discorso affrontato negli ultimi 3 libri delle Confessioni). Dio si rivela nella storia, nel suo divenire; la storia ci fa scoprire sempre nuovi aspetti di Dio, ma il fine dell’uomo è oltre la storia. L’uomo può cogliere l’Assoluto solo morendo e solo allora potrà vedere finalmente Dio.

9 Sempre sul discorso filosofico del tempo in relazione all’uomo
La caducità (il fatto cioè di essere mortali) è l’unica via per crescere in pienezza. Anche questo discorso sul tempo ha origini nella vita reale di Agostino, che da ragazzo aveva sperimentato di persona il tema della caducità nella morte di un amico di soli 16 anni: quell’amico, grazie alla memoria (= il presente del passato), continuava a vivere in lui nel presente. Il ricordo cioè permette all’amico morto di continuare ad ‘esistere’ nell’amico vivo (Agostino) = identico a quello che dice Foscolo ne “I sepolcri”. Come il passato - che non c’è più - vive ancora nel presente, così il futuro – che non c’è ancora – esiste già come aspettativa (= il presente del futuro). Dunque degli unici due tempi stabili l’uno (il passato) non c’è più e l’altro (il futuro) non c’è ancora. Il tempo presente (= il presente del presente) è inafferrabile proprio nel senso che non si può ‘afferrare’ (Agostino è lontanissimo dal “carpe diem”) in quanto il presente è un attimo che trapassa immediatamente dal passato al futuro. Pertanto esiste un’unica dimensione temporale: l’eterno presente. La via della caducità sarà continua nell’uomo fino alla fine dei tempi.

10 Altri temi delle Confessioni
Oltre alla tematica del tempo, l’argomento principale affrontato nelle Confessioni è la drammatica contrapposizione fra le ‘tenebre’ del peccato e la ‘luce’ della fede (molto simile a Dante nella Divina Commedia). Il problema del male è risolto attraverso la sua stessa definizione: il male consiste nella privazione di bene e tale mancanza di bene nasce dall’uso errato della nostra libertà. Ogni volta che si parla di male si suppone implicitamente la presenza di un bene. Il peccato è un “male morale”. Gli uomini sono per loro natura dei soggetti a cui manca la perfezione (propria solo di Dio). Dio è solo Bene. Secondo il principio del libero arbitrio, l’uomo può deviare dal bene per compiere il male e questo dipende dalla sua volontà. La storia delle Confessioni è la storia del modo in cui Dio ha ricondotto al bene Agostino dopo avergli fatto conoscere il male. L’uomo non può trovare Dio se prima non ha ri-trovato se stesso, poiché Dio è già presente nell’interiorità più profonda dell’uomo; per questo è importante la ricerca di se stessi (legame con Seneca), di chi si è e di cosa si vuole veramente (autocoscienza). A questo proposito c’è una frase molto significativa nelle Confessioni che dice: “Cercati in Me e cercaMi in te” (nel testo Agostino fa pronunciare queste parole al Signore). Prima di esistere, noi eravamo già in Dio; l’uomo non ‘è’: ‘esiste’. Solo Dio ‘è’: Egli è Colui che è. L’uomo, in quanto essere creato, ha l’essere per partecipazione. L’uomo porta dentro di sé il marchio di Dio e ha il ricordo dell’essere che si porta dentro. Questo ricordo dà origine alla sua inquietudine; Agostino, all’inizio delle Confessioni, scrive: “È inquieto il nostro cuore finché non trova quiete in Te”. La ‘conversione’ di Agostino è dunque la storia del suo ritorno a Dio. L’uomo è spinto dal ricordo a ritrovare la sua vera natura; il cammino di conversione è perciò un ritorno a casa. La nostalgia emerge dal dolore di chi abbandona la casa del Padre. Non ci sarebbe inquietudine nel cuore dell’uomo se egli non portasse dentro di sé il ricordo della felicità. Dio riporta a Sé l’uomo facendogli avvertire la nostalgia della casa paterna (Dio è il Padre) e l’aspirazione alla felicità. Nella parte finale delle Confessioni Agostino affronta il tema della creazione per cercare di comprenderne il significato e afferma che Dio crea dal nulla solo per amore. L’uomo ama Dio attraverso ciò che Dio stesso ha creato; perciò noi amiamo Dio attraverso il nostro prossimo (cioè amando gli altri). Dio ha creato solo cose buone, dunque tutto ciò che è (= che esiste) è buono.

11 Il De civitate Dei (La città di Dio)
Il De civitate Dei è l’opera più famosa successiva alle Confessioni ed è una storia universale dell’umanità affrontata da un punto di vista religioso e provvidenziale. Così scrive Agostino: “Due amori hanno fatto due città: l’amore di sé (= per sé) spinto fino al disprezzo di Dio la città terrena, l’amore di Dio (= per Dio) spinto fino al disprezzo di sé la città celeste”. Il rapporto (il collegamento) tra la città terrena e la città celeste è mediato dalla Chiesa; le due ‘città’ convivono inoltre in ogni uomo. Nella città terrena non si raggiungerà mai la vera giustizia, poiché essa è propria solo della città di Dio. Agostino ha scritto quest’opera in seguito ad un preciso episodio: dopo il ‘sacco’ di Roma (410), i pagani accusavano i cristiani di aver provocato la caduta dell’impero romano. (Per questo motivo il De civitate Dei è un’opera apologetica.) Agostino vuole ribattere a tale accusa elencando tutti gli errori del paganesimo e schierandosi in difesa del cristianesimo teorizzando appunto l’esistenza di due ‘città’ (quella ‘buona’ e quella ‘cattiva’) che si ‘toccano’ all’interno di ogni uomo. La città terrena è destinata a morire, mentre quella celeste (= il Regno dei Cieli) è eterna. Ciò significa che le cose visibili sono passeggere, mentre quelle invisibili (in primis l’amore) sono eterne. Per il cristiano la vita terrena (l’esistenza dell’uomo sulla Terra) è solo un terreno di prova, una sorta di pellegrinaggio, che ha per meta l’altra città: quella celeste; così l’uomo finché vive è solo un ‘peregrinus’ nella città terrena finché non raggiungerà quella di Dio. Il fine ultimo della storia è la salvezza o la dannazione eterna. Solo il giudizio (universale) finale sarà la conclusione di tutta la storia umana. Per il resto ogni età terrena è destinata a finire e così anche Roma col suo impero è caduta perché era soltanto una tappa delle città dell’uomo; l’impero romano non era altro che un semplice fenomeno storico destinato come altri a scomparire. Per la salvezza dell’umanità serviva soltanto l’intervento di Dio.

12 Sempre a proposito delle “due città”: di Dio e dell’uomo
Agostino demitizza così il passato glorioso di Roma; a suo dire i Romani non sono stati né migliori né peggiori di tanti altri popoli. Anzi: Agostino condanna la storia dell’impero romano fondatosi sulle guerre, sulla violenza e sull’ingiustizia, queste ultime celebrate invece dai Romani come ‘virtù’ praticate soltanto per il desiderio di gloria, cosa che distoglie dalla ricerca del vero Bene. L’impero romano è stato del tutto inessenziale per la salvezza dell’umanità. È la presenza di Cristo nel tempo che ‘salva’ la storia. Inoltre la città di Dio è quella che rappresenta l’amore oblativo (= gratuito, disinteressato) che dà senza ricevere e senza chiedere nulla in cambio, fino a trascurare se stessi. Le due città tuttavia non possono sussistere l’una senza l’altra; non è possibile il male senza il bene. L’intervento divino nella storia le unisce. Esso si manifesta non nel miracolo, ma nel ‘Mistero’ perenne. Nella storia non c’è città dell’uomo che non stabilisca dei legami con la città celeste e viceversa. La città terrena può avere dentro di sé dei segni d’amore che rimandano alla città celeste; allo stesso modo alcune manifestazioni dell’amore oblativo di Dio – propri della stessa città di Dio – si insinuano anche nella città terrena, sta all’uomo saperli riconoscere. La città di Dio cerca di interferire nella città dell’uomo attraverso “iniezioni d’amore” (parole del prof. Pizzolato, docente di letteratura cristiana antica greca e latina all’Università Cattolica, durante una conferenza a San Barnaba dal titolo: “Sant’Agostino: le strutture dell’uomo e del mondo”); l’uomo avverte prima l’amore di sé (per sé, cioè l’appartenenza alla città mondana) e poi l’amore di Dio (per Dio, cioè l’appatenenza alla città celeste). La città di Dio si trova sempre ‘spaesata’ nel mondo perché la sua origine è altrove. Tuttavia, la città di Dio trasmette una costante tensione alla città terrena: le leggi mondane infatti possono sempre aprirsi ad un bene maggiore, fino ad arrivare all’amore oblativo finale; la città dell’uomo, in fondo, per vivere, ha bisogno di concordia e di pace. PS) Una bella frase di Sant’Agostino da ricordare è: “Nemo cognoscitur nisi amicitia” (= Non si conosce nessuno se non attraverso l’amicizia). Agostino scrive questa frase a proposito del fatto che un ladro, se vuole, sa rubare un tesoro, perciò è inutile nasconderlo: piuttosto – dice Agostino – “investite in amicizia!”

13 “Non piangete, se mi amate!”
“Non piangete, se mi amate! Se conosceste il dono di Dio che è nei cieli! Se poteste ascoltare il cantico degli angeli e vedermi in mezzo a loro! Se poteste vedere con i vostri occhi gli orizzonti, i campi senza fine e i nuovi sentieri che attraverso! Se poteste per un istante contemplare, come me, la bellezza di fronte alla quale tutte le altre bellezze scomparirebbero! Credetemi: quando la morte verrà a spezzare le vostre catene, come ha spezzato quelle che incatenavano me, quando un giorno che Dio ha fissato e conosce, la vostra anima salirà a questo cielo in cui l’ha preceduta la mia, quel giorno tornerete a vedere Colui che vi amava e sempre vi ama e incontrerete il suo cuore con ogni sua tenerezza. Tornerete a vedermi, ma trasfigurato e felice, non aspettando la morte, ma avanzando con voi sui sentieri nuovi della luce e della vita, bevendo con ubriachezza ai piedi di Dio un nettare, del quale nessuno si sazierà mai. Asciugate le vostre lacrime e non piangete, se mi amate!” Sant’Agostino Con l’augurio che queste bellissime parole scritte da Sant’Agostino vi siano di conforto pensando alla morte di qualcuno che vi era caro e che vi voleva bene. Non si deve continuare a piangere chi non c’è più: quella persona vivrà per sempre nel nostro cuore (nell’ “eterno presente” di Sant’Agostino)…


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