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PubblicatoClemente Di Stefano Modificato 7 anni fa
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LA MAFIA mafia – maxi processo – Operazione Aemilia – Peppino impastato– Giovanni falcone – paolo borsellino
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LA MAFIA La mafia è un’organizzazione criminale. Il termine mafia venne inizialmente utilizzato per indicare un progetto originario della Sicilia, più precisamente definito come ‘’COSA NOSTRA’’. La prima volta che compare ufficialmente tale vocabolo è in un rapporto del capo procuratore di Palermo, Filippo Antonio Gualterio. Già due anni prima, nel 1863, viene interpretato da Giuseppe Rizzotto e Gaetano Mosca nel ‘’I mafiusi di la Vicaria’’, opera che diffonde i termini mafia, omertà e pizzo in Italia. Le analisi moderne del fenomeno della mafia la considerano, si, un’ organizzazione criminale, ma, in particolare, un’organizzazione di ‘’potere’’. Ciò evidenzia come la sua principale garanzia di esistenza non stia tanto nei proventi delle attività illegali, ma nelle alleanze e nelle collaborazioni con funzionari dello Stato, esempio i politici. Di conseguenza il termine viene spesso usato per indicare un modo di fare o organizzare azioni illecite. Quindi il termine ‘’mafioso’’ può essere utilizzato nel linguaggio comune per definire, per esempio, un sindaco che dia concessioni edilizie solo ai suoi ‘’amici’’, oppure un professore universitario che fa vincere borse di studio ‘’a persone a lui legate’’. La mafia adotta comportamenti basati su un modello di economia statale, ma è parallela e sotterranea. L’organizzazione mafiosa trae prodotti da numerosi tipi di attività criminali. I capimafia comunicano principalmente in modo scritto, con i pizzini, poiché non sempre sono in grado di comunicare di persona a tutti coloro sottoposti. La mafia non si trova solo nel Sud, ma anche nel Nord, in particolare in Emilia Romagna. Nei primi anni Settanta, quando Gaetano Badalamenti, capo della cosca palermitana di Cinisi, condannato nel 2002 come ordinante dell’omicidio di Peppino impastato, risiedeva a Sassuolo, una centoventotto rossa andasse e venisse da Bologna ogni venerdì, per portare a don Tano il pesce fresco della Sicilia, che doveva essere offerto a tutti gli ospiti dell’hotel Leon d’oro, nel cui attico risiedeva il boss. Tuttora ci sono mafie in Emilia Romagna come: Camorra, Cosa nostra e ‘Ndrangheta.
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MAXIPROCESSO Il maxiprocesso rappresenta l’evento giudiziario con il quale lo Stato apre una nuova fase della lotta alla criminalità organizzata in Italia. Il maxiprocesso, avviato per la prima volta da Giovanni Falcone e Polo Borsellino, il 10 ottobre 1986, fu la svolta nella lotta contro Cosa nostra e, in generale, alle mafie italiane. Per la prima volta trovò larga applicazione il 416bis, ossia la norma sull’associazione mafiosa approvata nel 1982, sull’onda emotiva dell’assassinio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, prefetto di Palermo. Proprio dalla Chiesa aveva messo le basi del procedimento firmando il ‘’rapporto sui 162’’. In tre anni il numero degli imputati era arrivato a oltre 700, ma, in conclusione, solo 475 furono portati in giudizio. Video:
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OPERAZIONE AEMILIA L’operazione Aemilia è il primo maxiprocesso contro la mafia, mai registrato in Emilia Romagna. Essa ha portato allo smaltimento di una fittissima rete di rapporti tra politica imprenditoria e ‘Ndrangheta in Emilia Romagna, aprendo scenari nuovi nella lotta contro la criminalità organizzata al nord. In oltre 32 anni, l’associazione si è sviluppata, crescendo come una metastasi nel corpo sano. L’organizzazione si è prima insediata e strutturata nel territorio, inquinando diversi settori dell’economia a partire dall’edilizia fino ad arrivare a toccare consulenti, ma anche amministratori e dirigenti pubblici appartenenti alle forze dell’ordine e anche i giornalisti. Lo scenario è impressionante, per l’ampiezza della base su cui poggia, per la solidità delle sue radici criminose e per la tecnica con cui produce e maschera ricchezze illecitamente costruite a danno della comunità italiana.
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PEPPINO IMPASTATO Giuseppe Impastato, detto Peppino era nato in una famiglia mafiosa il 5 gennaio 1948, ma fin da ragazzo aveva preso le distanze dai comportamenti mafiosi del padre e e aveva provato a denunciare il potere delle cosche e il clima di omertà e di impunità a Cinisi. Per questo motivo fu cacciato di casa dal padre fin da ragazzo. E' stato un giornalista siciliano, ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978 a Cinisi, cittadina a pochi chilometri da Palermo, per ordine del boss mafioso Gaetano Badalamenti. Il giornalista siciliano, che si era candidato alle elezioni comunali con Democrazia proletaria, fu ucciso nella notte tra l’8 e il 9 maggio e il suo cadavere fu fatto saltare con del tritolo sui binari della ferrovia Palermo-Trapani, così da far sembrare che si trattasse di un fallito attentato suicida. I mezzi d’informazione, le forze dell’ordine e la magistratura parlarono di un’azione terroristica in cui l’attentatore era rimasto ucciso. Solo la determinazione della madre di Peppino, Felicia, e del fratello, fece emergere la matrice mafiosa dell’omicidio, riconosciuta nel maggio del 1984 anche dall’ufficio istruzione del tribunale di Palermo. Tuttavia, nel maggio del 1992, i giudici decisero l’archiviazione del caso, pur riconoscendo la matrice mafiosa del delitto. Il tribunale escluse la possibilità di individuare i colpevoli. Soltanto nel 1994 il Centro di documentazione dedicato a Peppino Impastato presentò la richiesta di riapertura del caso. Nell’inchiesta si chiedeva di interrogare il nuovo collaboratore di giustizia Salvatore Palazzolo, affiliato alla cosca mafiosa di Cinisi. Nel giugno del 1996, Badalamenti fu indicato come il mandante dell’omicidio insieme al suo braccio destro Vito Palazzolo, e l’inchiesta fu formalmente riaperta. Nel novembre del 1997 fu emesso un ordine di arresto per Badalamenti, detenuto negli Stati Uniti. Il 5 marzo 2001 la corte d’assise di Palermo condannò Vito Palazzolo a 30 anni di carcere per l’omicidio di Giuseppe Impastato. L’11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti fu condannato all’ergastolo per essere il mandante di quell’omicidio. Palazzolo e Badalamenti sono morti in carcere.
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GIOVANNI FALCONE Giovanni Falcone, nato a Palermo, dopo una breve esperienza all'Accademia Navale di Livorno, studia Giurisprudenza all'Università degli studi di Palermo dove si laurea con lode nel 1961, con una tesi sulla "Istruzione probatoria in diritto amministrativo". Arriva a Palermo, dove, dopo l'omicidio del giudice Cesare Terranova, comincia a lavorare all'ufficio istruzione. Il consigliere istruttore Rocco Chinnici gli affida, nel maggio 1980, le indagini contro Rosario Spatola, un lavoro che coinvolgeva anche criminali negli Stati Uniti e che era osteggiato da alcuni altri magistrati. Alle prese con questo caso, Falcone comprese che per indagare con successo associazioni mafiose era necessario basarsi anche su indagini patrimoniali e bancarie, per ricostruire il percorso del denaro che accompagnava i traffici e ricostruire un quadro complessivo del fenomeno e per evitare la serie di assoluzioni con cui si erano conclusi i precedenti processi contro la mafia. Nel gennaio 1985 il Consiglio Superiore della Magistratura, nella votazione fra Falcone e Antonino Meli, basandosi sull'anzianità di servizio, nomina il secondo a capo dell'Ufficio istruzione di Palermo, in luogo di Caponnetto che aveva lasciato l'incarico per raggiunti limiti di età. Qualche tempo dopo, l'autunno 1986, Claudio Martelli, allora vicepresidente del Consiglio e ministro di Grazia e Giustizia ad interim, offre a Falcone di dirigere la sezione Affari Penali del ministero. Falcone muore nella strage di Capaci il 23 maggio Una carica di 500 chili di tritolo posizionata sotto il tratto di autostrada nei pressi di Capaci, fa saltare in aria le due auto blindate su cui viaggiano Falcone con la moglie e l’autista, e i tre agenti della scorta. Si salva solo l’autista della macchina di Falcone. Insieme a Falcone e alla moglie Francesca Morvillo, magistrato anche lei, muoiono gli agenti di scorta Rocco Di Cillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro.
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PAOLO BORSELLINO Nato a Palermo nel quartiere della Kalsa, dove vivono tra gli altri Giovanni Falcone e Tommaso Buscetta, Paolo Borsellino si laurea in Giurisprudenza il 27 giugno 1962 all'età di 22 anni. Nel 1963 supera il concorso per entrare in magistratura, nel 1967 diventa pretore a Mazara del Vallo, nel 1969 pretore a Monreale, dove lavora insieme ad Emanuele Basile. Nel 1975 viene trasferito a Palermo e a luglio entra nell'ufficio istruzione affari penali sotto la guida del giudice istruttore Rocco Chinnici. Il 1980 vede l'arresto dei primi sei mafiosi grazie all'indagine condotta da Basile e Borsellino, ma nello stesso anno arriva la morte di Emanuele Basile e la scorta per la famiglia Borsellino. In quell'anno viene costituito il pool antimafia sotto la guida di Chinnici, Il 29 luglio 1983 viene ucciso Rocco Chinnici nell'esplosione di un'autobomba e pochi giorni dopo arriva da Firenze Antonino Caponnetto. Nel 1984 viene arrestato Vito Ciancimino e si pente Tommaso Buscetta. "Don Masino" come viene chiamato nell'ambiente mafioso viene arrestato a San Paolo del Brasile ed estradato in Italia. Con Falcone a Roma, Borsellino chiede il trasferimento alla Procura di Palermo e l'11 dicembre 1991 Paolo Borsellino, insieme al sostituto Antonio Ingroia, torna operativo alla Procura di Palermo. Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si reca insieme alla sua scorta in via D'Amelio, dove vive sua madre. Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell'abitazione della madre con circa 100 kg di tritolo a bordo esplode, uccidendo oltre a Paolo Borsellino anche Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traia. L'unico sopravvissuto è Antonino Vullo.
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