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DELITTI CONTRO LA VITA Omicidio:
soppressione di una vita umana cagionata dalla condotta (AZIONE CRIMINOSA) di un altro uomo. A tutela della vita il codice penale prevede all’art. 575 c.p. (“Omicidio”): “Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni 21”. Come tutti gli altri reati previsti nel codice penale, ove non vi sia espressa indicazione di un diverso elemento psicologico del reato (preterintenzionale ovvero colposo), l’omicidio deve considerarsi doloso.
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condotta, attiva od omissiva, tesa ad uccidere;
Affinché tale fattispecie delittuosa si realizzi è, dunque, necessario sussistano nel caso concreto: morte della persona; condotta, attiva od omissiva, tesa ad uccidere; nesso di causalità materiale; - nesso di causalità psichico. L’evento morte, imprescindibile per il conclamarsi del delitto di omicidio, può conseguire sia da un’azione positiva nel compimento di un atto pregiudizievole (omicidio per commissione), sia da un’azione negativa ovvero determinatasi nel non fare (omicidio per omissione), ma comunque prevedibile nel suo risultato. Si configurerà, infatti, il reato di delitto tentato (art. 56 c.p.) nel caso in cui, pur essendo l’azione delittuosa idonea a cagionare l’evento morte, quest’ultima non verrà comunque a verificarsi. L’ Art. 56 c.p. (“Delitto tentato”) così recita: “Ci compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica. Il colpevole del delitto tentato è punito: con la reclusione non inferiore a dodici anni, se la pena stabilita è l’ergastolo; e, negli altri casi, con la pena stabilita per il delitto, diminuita da un terzo a due terzi. Se il colpevole volontariamente desiste dall’azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sé un reato diverso. Se volontariamente impedisce l’evento, soggiace alla pena stabilita per il delitto tentato, diminuita da un terzo alla metà.”.
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L’omicidio è il classico reato “a forma libera”
L’omicidio è il classico reato “a forma libera”. Sono numerosi, infatti, i mezzi che possono impiegarsi nella produzione dell’evento morte, non solo fisici (armi da fuoco, armi bianche, mezzi veleniferi, etc.) ma anche psichici, come le minacce ovvero uno spavento improvviso. Condizione necessaria per la punibilità è, inoltre, la dimostrazione del nesso causale materiale, ex art. 40 c.p. (“Rapporto di causalità”), tra condotta delittuosa ed evento mortale: “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione o omissione”. In nessun caso le concause potranno risultare attenuanti del delitto a meno che non siano sopravvenute o siano sufficienti a determinare l’evento. Sussisterà colpa anche nei casi d’impiego di mezzi inidonei a determinare la morte dell’offeso, se essa sarà cagionata per il concorso materiale di altre circostanze, purché sempre riconducibili a responsabilità di terzi ovvero dello stesso defunto (Cassazione Penale, Sez. IV, 6 maggio 1986 in Cass. Pen. 1988, 56: “In tema di rapporto di causalità, ai sensi dell’ultimo comma dell’art.41 c.p., secondo cui le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente, simultanea o sopravvenuta, consiste nel fatto illecito altrui, il nesso di causalità non resta escluso dal fatto volontario altrui, cioè quando l’evento è dovuto anche all’imprudenza di un terzo e della stesso offeso, poiché il fatto umano, involontario o volontario, realizza anch’esso un fattore causale, al pari degli altri fattori accidentali o naturali”).
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Il codice penale, in base all’elemento psicologico o psichico del reato, distingue l’omicidio in tre fattispecie delittuose ben distinte: omicidio doloso (art. 575 c.p.), preterintenzionale (art c.p.) e colposo (art. 589 c.p.). Per ognuno di essi, il Codice prevede pene diverse, con un minimo ed un massimo affidati al potere discrezionale del giudice, il quale dovrà necessariamente tenere conto degli artt c.p. L’omicidio previsto all’art. 575 c.p. è anche detto omicidio tipo per differenziarlo da quello circostanziato in cui ricorrono le circostanze che il codice penale prevede come “aggravanti” ed “attenuanti”. CIRCOSTANZE AGGRAVANTI ( speciali e comuni ) sono: - premeditazione: indicativa di pericolosità sociale, denunciando essa una mancanza di scrupoli non indifferente; chi agisce con premeditazione avrebbe modo e tempo per desistere dal suo proposito; - uso di mezzi venefici e subdoli: sostanze tossiche, batteri o virus, corrente elettrica, radiazioni ionizzanti, esplosivi nascosti, etc.; avere adoperato sevizie o agito con crudeltà; avere ucciso nel commettere violenza sessuale;
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se il fatto è commesso contro discendente o ascendente;
fatto eseguito per occultarne un altro; latitanza per sottrarsi all’arresto; se commesso contro il coniuge, figli naturali o adottivi, sorella, padre, madre. Altri fatti aggravanti (dotati di insidiosità e premeditazione) sono: agguato ( attesa della vittima in un luogo); prodizione (attirare la vittima in un luogo opportuno); mandato (dare ad altri l’incarico di uccidere). N.B. Cosa esprime la premeditazione? La maggiore intensità del dolo! Cosa si intende per mezzo venefico? Ogni sostanza dotata di azione tossica, che può esser somministrata di nascosto con cibi o bevande o per altra via traendo in inganno la vittima. Cos’è un mezzo insidioso? Possono essere colture di batteri o virus somministrati attr.vs cibi o bevande, oppure l’uso di corrente elettrica, R.I., esplosivi in valigie o buste ec.
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CIRCOSTANZE ATTENUANTI
Le circostanze attenuanti sono, invece, contemplate negli artt bis c.p. (rispettivamente attenuanti comuni e generiche), 63 c.p. (“Applicazione degli aumenti o delle diminuzioni di pena”), 65 c.p. (“Diminuzione di pena nel caso di una sola circostanza attenuante”), 67 c.p. (“Limiti delle diminuzioni di pena nel caso di concorso di più circostanze attenuanti”), 68 c.p. c.p. (“Limiti al concorso di circostanze”). Esempi di circostanze attenuanti sono: Aver agito per motivi morali o sociali; aver commesso il reato per stato d’ira derivante dall’aver subito un fatto ingiusto; aver concorso a determinare l’evento; ec.
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L’omicidio preterintenzionale
All’art. 584 c.p. è previsto e disciplinato il delitto di omicidio preterintenzionale: “Chiunque con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli artt. 581 e 582, cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni”. Si denomina, pertanto, omicidio preterintenzionale l’uccisione non voluta di un uomo cagionata da atti volontari di percosse o di lesioni personali; la morte non è voluta e viene a determinarsi per cause indipendenti dalla stessa volontà dell’agente (ad es. la morte per rottura di un aneurisma aortico secondaria ad un pugno all’addome). Ai fini del determinismo del reato saranno necessarie due circostanze: A) condotta mirata a cagionare percosse ovvero lesioni personali, purché vengano impiegati mezzi atti all’esclusivo determinismo dei suddetti eventi; B) nesso causale tra l’evento morte e l’azione compiuta atta a non cagionare la morte, bensì percosse o lesioni personali. N.B. L’omicidio preterintenzionale è attribuibile all’agente esclusivamente sulla base del nesso causale, prescindendo da qualsiasi indagine psicologica, essendo il fatto di indubitabile responsabilità oggettiva.
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Al riguardo, la Cass. Pen. con più sentenze ha ciarito che “L’omicidio preterintenzionale è concretato dal fatto dell’agente che nel percuotere o nel cagionare lesioni personali provochi senza volerlo la morte di una persona. Esso costituisce un quid pluris rispetto all’evento effettivamente voluto dal colpevole. Allorquando però l’agente abbia agito con dolo alternativo, con la volontà cioè di ferire o uccidere indifferentemente o con dolo eventuale, cioè con previsione o rappresentazione dell’evento in termini di probabilità e di accettazione, non ricorre l’ipotesi preterintenzionale.”.
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OMICIDIO COLPOSO L’articolo 589 c.p. sancisce:
“Chiunque cagiona, per colpa, la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, la pena è della reclusione da uno a cinque anni. Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni dodici.”. Quindi ricorre la fattispecie delittuosa dell’omicidio colposo, quando l’evento morte è cagionato per colpa da una condotta umana caratterizzata da imperizia, imprudenza, negligenza, inosservanza di leggi, regolamenti o discipline.
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Nei casi in cui sia necessario l’accertamento di una responsabilità professionale in ambito sanitario per errori diagnostici ovvero terapeutici, è d’interesse medico-legale l’accertamento della causa di morte e del nesso causale tra la condotta del sanitario e l’exitus del paziente. Anche per l’omicidio colposo come per altre forme di reato si applicano le circostanze aggravanti comuni, con aumento della pena fino ad un terzo. ESEMPI di omicidio colposo: Incidenti di caccia, avvelenamento di bambini che ingeriscono veleni non custoditi con le opportune cure, errori nell’esercizio di attività professionali (soprattutto in ambito sanitario), ec.
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OMICIDIO DEL CONSENZIENTE
L’art. 579 c.p. prevede, invece, il delitto di omicidio del consenziente, ovverosia l’uccisione di un uomo effettuata con il consenso della vittima; così viene espressamente stabilito: “Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni. Non si applicano le aggravanti indicate nell’art. 61 c.p. Si applicano le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso: - contro una persona minore degli anni diciotto; - contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti; - contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno”. La minore gravità della pena, prevista dal legislatore, esprime certamente la minore carica criminosa necessaria per sopprimere la vita di chi ha manifestato espressamente la volontà di morire.
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Nel caso dell’omicidio del consenziente non si applicano le aggravanti del reato ma solo le attenuanti comuni o generiche. Dal punto di vista giuridico si pongono 2 problemi riguardo questo reato: La vita umana è un bene indisponibile e quindi il consenso non esclude l’antigiuridicità del fatto; Il consenso deve provenire da una persona in grado di intendere e volere…… ….. viene quindi da chiedersi quanto una persona sofferente afflitta ad esempio da una grave malattia sia in grado di prendere consapevolmente tale decisione? In questo caso il reo potrebbe essere accusato di omicidio doloso. In quali casi il consenso potrebbe risultare inefficacie? a) sogg. Infra18; b) sogg, con infermità mentale, sia permanente che temporanea; c) estorsione del consenso con minaccia, violenza, per suggestione o se carpito con l’inganno.
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MORTE O LESIONE COME CONSEGUENZA DI ALTRO DELITTO
Recita l’art. 586 c.p. (“Morte o lesioni come conseguenza di altro delitto”): “Quando da un fatto preveduto come delitto doloso deriva, quale conseguenza non voluta dal colpevole, la morte o la lesione di una persona, si applicano le disposizioni dell’art. 83, ma le pene stabilite negli articoli. 589 e 590 sono aumentate”. Questa fattispecie delittuosa dà luogo a ciò che in dottrina viene chiamato aberratio delicti già previsto all’articolo 83 c.p.; tale delitto, infatti, consiste nell’uccisione di un uomo avvenuta per errore nell’uso di mezzi atti a compiere un altro delitto doloso. E’ il caso del rapinatore che del tutto accidentalmente spara un colpo di pistola ed uccide una persona.
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Trattasi, dunque, di un concorso di reati, di cui uno è preveduto e voluto, mentre l’altro pur non essendo voluto è legato al primo dal nesso di causalità. Tale delitto si differenzia dall’omicidio preterintenzionale in quanto l’attività del colpevole non è diretta a cagionare il reato di percosse o di lesioni personali, bensì un altro delitto doloso. Esempi: Morte per trauma psichico di una donna fatta oggetto di violenza sessuale; Morte di un passante per una pietra scagliata verso una vetrina; Morte di un tossico dipendente a cui era stata fornita droga illegalmente da uno spacciatore ec.
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ISTIGAZIONE O AIUTO AL SUICIDIO
Il termine suicidio etimologicamente deriva da sui caedes e consiste nell’uccisione di se stessi mediante una condotta volontaria, commissiva od omissiva. Il tentato suicidio non é considerato reato, in quanto la pena appare inefficace come mezzo di intimidazione verso chi considera la propria vita un peso inutile ed il timore di una punizione, in caso di insuccesso, potrebbe comportare una maggiore determinazione nell’attuazione del proposito. In psichiatria alcune forme di tentato suicidio vengono considerate manifestazioni di disagio psichico, con relativa richiesta di aiuto, piuttosto che pulsioni autodistruttive vere e proprie, e proprio questi casi testimoniano la lungimiranza del legislatore. Se dal suicidio derivasse una “punizione” sarebbe un ulteriore motivo che potrebbe rafforzare l’intento di usare tutti i mezzi disponibili per raggiungere lo scopo desiderato.
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Al contrario, è reato la partecipazione al suicidio altrui (art. 580 c
Al contrario, è reato la partecipazione al suicidio altrui (art. 580 c.p.) effettuata sia determinando o rafforzando il proposito autodistruttivo sia agevolandone l’esecuzione. Infatti, così recita l’art. 580 c.p.: “Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima. Le pene sono aumentate se la persona istigata o eccitata o aiutata si trova in una delle condizioni indicate nei numeri 1 e 2 dell’articolo precedente. Nondimeno, se la persona suddetta è minore degli anni quattordici o comunque è priva della capacità d’intendere o volere, si applicano le disposizioni relative all’omicidio.”.
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Pertanto, viene punita la partecipazione morale, intesa come istigazione a far sorgere la volontà di suicidarsi, creandone i presupposti con qualsiasi mezzo psicologico (persuasione, esortazione, etc.), o nel rendere più ferma la decisione di sopprimersi, vincendone le ultime perplessità o resistenze. Viene, inoltre, punita la partecipazione materiale, intesa quale attività in grado di fornire i mezzi idonei, senza alcuna partecipazione attiva. A fronte di una partecipazione attiva, infatti, si risponderebbe di omicidio del consenziente, mentre l’uso della violenza o delle minacce comporterebbe il configurarsi del reato di omicidio volontario. Risponde di suicidio agevolato per omissione chi aveva l’obbligo giuridico di impedire il fatto; è il caso dell’infermiere che si astiene dall’interrompere il tentativo di suicidio del paziente.
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Riassumendo l’istigatore può:
determinare (far sorgere) l’idea del suicidio; rafforzare l’idea; agevolare il suicidio con aiuto materiale e/o morale. Le condizioni di punibilità dell’istigatore sono: a) Che si sia verificata la morte del soggetto istigato (pena da 5 a 12 aa); b) Che dal tentato suicidio siano derivate lesioni gravi o gravissime (pena da 1 a 5 aa), ne consegue quindi che se dal fatto derivino lesioni lievi o lievissime, ciò non costituisce reato. L’art. 580 del c.p. prevede 2 aggravanti speciali: che il sogg. Istigato sia infra14aa oppure totalmente infermo di mente; che il sogg. Istigato abbia tra i 14 ed i 18 aa oppure che si trovi in uno stato di parziale incapacità d’intendere e volere.
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INFANTICIDIO IN CONDIZIONI DI ABBANDONO MATERIALE E MORALE CONNESSE AL PARTO
L’art. 578 c.p. (“Infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale”): “La madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, è punita con la reclusione da quattro a dodici anni. A coloro che concorrono nel fatto di cui al primo comma si applica la reclusione non inferiore ad anni ventuno. Tuttavia, se essi hanno agito al solo scopo di favorire la madre, la pena può essere diminuita da un terzo a due terzi. Non si applicano le aggravanti stabilite all’articolo 61 del codice penale.”. Il delitto in esame è specifico, configurandosi solo nel caso in cui l’autore materiale del reato sia la madre (ciò si desume dall’uso del termine “proprio neonato”); il medesimo reato commesso, infatti, dal padre del neonato ovvero da altro congiunto della madre configura l’omicidio comune.
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FETO: Prodotto del concepimento, che sta nascendo dal momento in cui ha iniziato il suo distacco dall’utero fino al completamento della sua espulsione (anche se unito alla madre dal cordone ombelicale). NEONATO: Si indica il nato di recente, vivo, vitale o non vitale, che abbia raggiunto un sufficiente grado di sviluppo. Per vitalità si intende l’attitudine del neonato al proseguimento della vita autonoma dopo la nascita. La mancanza di vitalità è dovuta a cause: cronologiche (< 28 sett. Di gestaz.); teratologiche (malformazioni a arresto dello sviluppo); patologiche (malattie congenite). La precisazione del termine di vitalità è importante in quanto è considerato INFANTICIDIO anche la soppressione di un neonato non vitale, ma il giudice ne terrà conto, in quanto la soppressione di un neonato non vitale costituisce un minor danno sociale!
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Riassumendo gli elementi del reato di INFANTICIDIO e FETICIDIO sono:
Intenzione di uccidere (dolo generico); l’aver agito in condizioni oggettive di abbandono materiale e morale connesse al parto; uso di mezzi idonei a provocare la morte; morte come risultato di mezzi adeguati. Quando parliamo di FETICIDIO? Quando si verifica la soppressione della vita durante il parto, prima che egli abbia iniziato la vita extrauterina. Esempio: la madre che uccida il feto appena questi abbia disimpegnato la testa per traumi ripetuti ed inferti sul cranio o per costrizione del collo, prima che sia completata l’espulsione di tutto il corpo. Quando parliamo di INFANTICIDIO? Nel caso in cui si verifica l’uccisione del neonato immediatamente dopo il parto, ma anche a distanza dalla nascita se questi, ad esempio, rimane confinato in uno spazio chiuso e muore più tardi per lenta asfissia.
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Cosa intende il legislatore con i termini di ABBANDONO MATERIALE e MORALE?
Si intende lo stato di una persona lasciata sola, priva di aiuto, in solitudine materiale e spirituale, in balia di se stessa, bisognosa di soccorso e assistenza, in situazioni rese drammatiche dalla gestazione in atto! Tutto ciò spinge la donna ad assumere comportamenti aberranti che un’adeguata assistenza avrebbero potuto evitare!
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Per ottenere la “prova” dell’avvenuto inizio della vita extrauterina in Medicina Legale sono eseguibili docimasie (parola che deriva dal greco “dokimazo” che significa dimostro, ossia dimostrare appunto la vita autonoma del nuovo nato). Distinguiamo docimasie respiratorie che si distinguono in polmonari ed extra-polmonari. Le DOCIMASIE POLMONARI comportano di esaminare i polmoni dal punto di vista: ottico, i polmoni che hanno respirato sono vescicolosi, soffici e crepitanti; idrostatitico, la struttura cardio-polmonare galleggia se il sogg ha respirato; radiologico, nel senso che è presente la fisiologica diafania se vi è aria negli alveoli; istologico, nel polmone che ha respirato, microscopicamente si presentano con cavità alveolari dilatati ed i bronchi sono aperti. Le DOCIMASIE EXTRA-POLMONARI comprendono la ricerca della bolla gastrica e la prova auricolare (con i primi atti respiratori l’aria penetra attravs la tromba di Eustachip, quindi se si punge la MMTT, la si punge ponendo la testa del feto sottacqua.
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