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Cicerone “O fortunatam natam me consule Romam” (discorso in senato) Epistole ad Attico II, 3.4
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l’educazione e l’ingresso nella vita politica
Nato ad Arpino nel 106 a.C. da un’agiata famiglia, Cicerone si trasferì a Roma ancora adolescente per avviarsi alla carriera politica. Oltre alla giurisprudenza studiò l’arte dell’oratoria, la cultura e la filosofia della Grecia da cui apprese l’amore per il dialogo che sarebbe rimasto una sua caratteristica costante. Il suo debutto come oratore politico avvenne con l’orazione “Pro Roscio Amerino” (dell’80 a.C.) in cui si dichiarò contro ogni forma di ingiustizia e di prepotenza in nome del rispetto della legge e dei diritti della persona. Fece il classico viaggio in Grecia fra il 79 e il 77 per perfezionare ad Atene la propria formazione culturale. Tornato a Roma, intraprese nel 75 la carriera politica e divenne questore in Sicilia. Nel 70 i Siciliani gli affidarono la difesa contro Verre, che si era rivelato un governatore crudele dell’isola e che allora fu costretto a recarsi in esilio. Contro di lui Cicerone scrisse le Verrine: 7 orazioni di condanna che contengono i principi di un governo umano e tollerante ispirato a clemenza e filantropia. l’educazione e l’ingresso nella vita politica
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dal consolato all’esilio
Il successo ottenuto con le Verrine pose la figura di Cicerone in primo piano sulla scena politica e lo condusse prima alla pretura nel 66 e poi alla sua elezione a console nel 63, carica con la quale, apprezzato per le sue doti di onestà, si propose come salvatore della patria sventando - in realtà senza avere in mano prove concrete ma solo delle voci e soprattutto grazie alla sua capacità oratoria da brillante avvocato - la congiura di Catilina, un rivoluzionario che stava progettando un colpo di stato e che fu costretto a fuggire da Roma, mentre gli altri partecipanti al complotto vennero arrestati nella notte e subito condannati a morte senza un regolare processo (per paura che scappassero). In quell’occasione Cicerone scrisse le 4 orazioni dette Catilinarie. Nel 60 intanto si era costituito il I triumvirato fra Cesare, Pompeo e Crasso. Cicerone non aveva simpatia per i triumviri. Il tribuno della plebe Publio Clodio fece approvare una legge “ad personam” che condannava all’esilio chiunque avesse mandato a morte un cittadino romano - come aveva fatto appunto Cicerone con i capi del complotto - e così Cicerone fu costretto all’esilio. dal consolato all’esilio
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dall’esilio allo scoppio della guerra civile
Dall’esilio Cicerone supplicò gli amici più influenti perché gli fosse concesso di poter ritornare in patria e così avvenne nel 57. Nel 56 scrisse un’orazione in cui cercava di rendersi amico Cesare, che stimava come persona ma non per le idee politiche (ricambiato da Cesare in tale opinione), e cercò di porsi – da conservatore – come intermediario tra il fronte dei moderati e quello dei conservatori, ma i suoi tentativi di compromesso furono vani. Nel 51 si recò come proconsole in Cilicia, dove governò saggiamente e con umanità, ma la sua attenzione era rivolta alla minaccia della guerra civile che pesava su Roma e che sarebbe stata la rovina della repubblica. Tutti i suoi inviti rivolti a Cesare di moderazione e conciliazione con Pompeo furono di nuovo vani. Pompeo fu prima sconfitto a Farsalo dalle truppe di Cesare e quindi assassinato da Tolomeo in Egitto. Cesare restò da solo a governare e Cicerone rimase escluso dal gioco politico. dall’esilio allo scoppio della guerra civile
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il ritiro forzato e l’ultima lotta contro la tirannide
Con Cesare da solo alla guida dello stato, a Roma Cicerone si illuse ancora per qualche tempo di poter collaborare con lui, invitandolo alla clemenza, ma, quando a partire dal 45 il governo di Cesare si trasformò in dittatura, Cicerone si ritirò definitivamente a vita privata, deluso e amareggiato. A questo proposito va anche detto che nel 46 Cicerone, dopo 30 anni di matrimonio, aveva ripudiato la moglie Terenzia per sposare in seconde nozze la ricca Publilia, più giovane di sua figlia. Ben presto però aveva divorziato anche dalla seconda moglie dopo soli 7 mesi di matrimonio in seguito al dolore per la morte di parto della figlia Tullia, occasione nella quale Publilia pare si fosse rallegrata (essendo quasi coetanee, evidentemente Publilia ne era gelosa), un dispiacere troppo grande per Cicerone. Dopo la morte di Cesare, Cicerone attaccò il suo successore Antonio, incline alla dittatura, con le 14 orazioni dette le Filippiche, così chiamate per la somiglianza con i discorsi che Demostene aveva tenuto contro Filippo, considerato il nemico della libertà della Grecia, ma ne subì ben presto le conseguenze… il ritiro forzato e l’ultima lotta contro la tirannide
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il giudizio sull’uomo pubblico e sul suo ideale di cultura
Cicerone aveva riposto le sue ultime speranze in Ottaviano (il futuro Augusto), ma quest’ultimo, una volta ottenuta una posizione di potere, si accordò con Antonio e alla fine Cicerone, raggiunto dai sicari di Antonio, fu ucciso nel 43 a.C. Non avendo trovato nella vita politica personalità disinteressate e dedite soltanto al bene pubblico, Cicerone non seppe calare nella pratica il suo programma teorico e anzi dovette scendere più volte a compromessi (come il suo tentativo di andare d’accordo con Cesare) e per questo fu accusato di incoerenza, ma in politica erano normali i giochi di alleanze personali e di clientele. Inoltre la sua stessa professione di avvocato e di oratore gli aveva insegnato ad adattarsi strategicamente alle circostanze a seconda della causa che di volta in volta doveva trattare. Più valido del programma politico risulta il suo ideale di cultura con un duplice fine: morale (per il miglioramento dell’uomo) e pratico (per il miglioramento della società). il giudizio sull’uomo pubblico e sul suo ideale di cultura
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l’eloquenza e le opere retoriche
I periodi ciceroniani sono famosi per la loro lunghezza e cura formale, essendo Cicerone sempre alla ricerca di sentenze importanti costruite con uno stile elaborato e con parole elevate per ‘toccare’ il cuore delle folle. Cicerone preferisce lo stile asiano caratterizzato da periodi ampi e ornati, in polemica con lo stile atticista di derivazione greca. Nel trattato “De oratore” l’autore presenta la figura del perfetto oratore che non deve soltanto saper parlare bene, ma deve anche possedere una cultura letteraria completa e avere una salda educazione morale. L’ideale da lui tracciato ha evidentemente un fondo autobiografico (modestia a parte). Altre opere di retorica sono il Brutus (in cui Cicerone intende dimostrare che i Romani non sono per nulla inferiori ai Greci per tradizione di oratoria) e l’Orator (in cui sostiene che il bravo oratore deve saper padroneggiare vari stili da utilizzare a seconda dell’argomento e dell’occasione). Lo stile di Cicerone è considerato il modello del latino perfetto. l’eloquenza e le opere retoriche
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La più famosa opera politica di Cicerone è il “De republica” in cui, secondo l’ideale platonico, viene presentato il modello di uno stato ideale che poggi saldamente sul principio della giustizia. Se la repubblica di Platone viveva soltanto nell’idea, quella di Cicerone vorrebbe calarsi (ma invano) nella realtà storica romana. Il ‘princeps’ ideale si contrappone al tiranno e ha il compito di rappresentare la volontà dei cittadini, di tutelare la libertà e di far rispettare le leggi. All’interno dell’opera si trova il cosiddetto “Somnium Scipionis” in cui Scipione l’Africano appare in sogno a Scipione l’Emiliano e, mentre gli mostra la piccolezza della Terra in confronto alla maestà del cielo, gli rivela che l’immortalità dell’anima è concessa soltanto agli uomini virtuosi che in vita si sono adoperati per il bene della patria. Un’altra opera politica è il “De legibus”, rimasta però incompleta. le opere politiche
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la filosofia di Cicerone
Cicerone non ebbe certamente la pretesa di essere anche un filosofo, ma si dedicò comunque a scrivere opere filosofiche soltanto negli ultimi anni della sua vita quando si ritirò dalla vita pubblica. Nella filosofia trovò conforto in seguito alle delusioni politiche (come la dittatura di Cesare) e ai dispiaceri personali (come la morte dell’amata figlia Tullia). Seguì in particolare la dottrina stoica, che sentiva più affine al suo carattere e alla nobiltà dell’uomo (l’humanitas per cui la natura umana era comune a tutti gli uomini, liberi e schiavi), e avversò invece l’epicureismo, che avvertiva come contrario alle sue idee. La coscienza di una natura umana comune imponeva secondo Cicerone all’uomo l’obbligo morale di rispettare i propri simili. Il suo intento era quello di rendere la filosofia una pratica di vita concreta e non soltanto qualcosa di astratto. Della filosofia amava soprattutto l’insegnamento della libera ricerca della verità, del dialogo e del costante confronto fra le diverse opinioni. la filosofia di Cicerone
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L’Hortensius (per noi perduto) - di cui abbiamo solo testimonianze indirette - era un dialogo che conteneva un invito alla filosofia. Lo cita autorevolmente Sant’Agostino nelle Confessioni dicendo che fu proprio attraverso quella lettura che cominciò ad avvenire in lui la conversione. Il “De finibus bonorum et malorum” (= I confini del bene e del male) tratta della disputa tra la teoria stoica e quella epicurea, in cui ha la meglio la dottrina stoica con il primato della virtù sul piacere per la ricerca della vera felicità (o per meglio dire: della serenità interiore). Sempre dedicate al tema della ricerca della felicità sono le “Tusculanae disputationes” che espongono dei consigli sul modo in cui sopportare (stoicamente) i dolori e le sventure della vita (Cicerone parla per esperienza diretta, avendo vissuto in prima persona il dolore per la morte della figlia) in un’ottica provvidenziale. Sempre in quest’opera si affronta inoltre il tema dell’immortalità dell’anima (vedremo poi la ≠ rispetto a Lucrezio). le opere filosofiche
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Nel “De divinatione” Cicerone afferma di non credere nelle facoltà di coloro che dicono di predire il futuro attraverso l’interpretazione dei segni che dovrebbero (a loro parere) esprimere la volontà degli dei. Nel trattato “Cato Maior de senectute” delinea il proprio ideale di una vecchiaia operosa, dedita allo occupazioni dello spirito e all’ammaestramento dei giovani come dovere degli anziani. Nel “Laelius de amicitia” definisce l’amicizia il bene più prezioso dopo la ‘sapientia’, sostenendo che l’amicizia può nascere soltanto fra uomini ‘buoni’, cioè: onesti. La vera amicizia è quella disinteressata che non nasce dalla ricerca di un proprio utile personale, ma da un’inclinazione naturale. Infine nel “De officiis” (opera dedicata al figlio Marco) tratta di quei doveri che non rientrano nell’ambito delle virtù dell’uomo saggio, ma che sono comunque necessari per saper vivere in società; ne emerge la figura del perfetto gentiluomo cortese quale Cicerone probabilmente doveva essere. altre opere
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Cicerone tenne per tutta la vita una vastissima corrispondenza epistolare, una sorta di diario autobiografico che venne pubblicato postumo dopo la sua morte dal suo segretario Tirone e dall’amico Tito Pomponio Attico. Troviamo lettere di vario contenuto ai famigliari, allo stesso Attico, al fratello Quinto, a Bruto e ad altri personaggi politici. Le lettere ci mostrano un uomo sincero, generoso, sensibile, ma anche molto vanitoso ed estremamente indeciso. Oltre ad essere un documento importante sull’uomo Cicerone, le lettere rappresentano anche una fonte preziosa per la conoscenza della storia e della società romana dell’epoca cesariana, svelando alcuni retroscena di quel periodo politico. Lo stile varia naturalmente a seconda dei destinatari: più dignitoso e controllato nei documenti ufficiali (simili alle orazioni e ai trattati) e più spontaneo e confidenziale nelle lettere private, ricche di diminutivi (come l’affettuoso ‘Tulliola’) e di espressioni colloquiali che non appartenevano certo all’uomo pubblico. l’epistolario
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