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PubblicatoAgnolo Colonna Modificato 7 anni fa
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SCUOLA SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA TIROCINIO MIRATO GIUDICANTE PENALE
M.O.T. nominati con D.M. 10/12/2015 e 18/1/2016 La matematica nella pena e la scrittura del dispositivo di sentenza dott. Piero Messini D’Agostini Consigliere Corte d’Appello di Bologna Scandicci, 8 maggio 2017
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Premessa Privilegiato il taglio pratico con qualche richiamo a principi generali inerenti vari istituti. Allego l’appunto utilizzato per l’esercitazione in gruppi fatta alla Scuola, durante il tirocinio generico (8/6/2016), sulla redazione del dispositivo, unitamente ad una mia nota di aggiornamento in tema di recidiva (Libro dell’Anno del Diritto, Treccani, 2017) e ad un utilissimo estratto di una sentenza di una collega. Il profilo della determinazione della PENA va affrontato in ogni processo che si concluda con una sentenza di condanna ed è estremamente rilevante: NO alle cadute di attenzione, NO alla disapplicazione di regole fondamentali. Non vi è dubbio che gli errori più frequenti nelle sentenze di primo grado, riscontrati in appello, riguardano il calcolo della pena: trattasi di errori materiali ma anche “tecnici”, che vanno al di là dell’ampio potere discrezionale riconosciuto al giudice…
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…dall’art. 132 c.p., che impone al giudice di “indicare i motivi che giustificano l’uso di tale potere discrezionale”. Il giudice è tenuto a indicare quali criteri, fra quelli previsti dall’art. 133 c.p., nel fatto concreto, giustificano la determinazione della pena base all’interno dei limiti edittali, gli aumenti applicati per le circostanze aggravanti, il riconoscimento o meno di eventuali attenuanti, la formulazione del giudizio di comparazione. La disposizione di cui all’articolo 133 c.p. va considerata come una norma generale sulla discrezionalità, poiché non solo orienta la scelta sul quantum della pena all’interno dei limiti edittali (ovvero sulla specie di sanzione in caso di comminatoria alternativa di pena detentiva e pena pecuniaria), ma opera anche, in virtù di un espresso richiamo, in numerosi altri istituti di parte generale, quali quelli della sospensione condizionale della pena, della non menzione della condanna, della sostituzione della pena detentiva.
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MOTIVARE CON SCRUPOLO ANCHE SULLA PENA?....
La motivazione del giudice di primo grado è in sostanza surrogabile totalmente da quella del giudice d’appello: secondo il costante orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite, neppure la mancanza assoluta di motivazione della sentenza rientra tra i casi, tassativamente previsti dall'art. 604 c.p.p., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, dovendo lo stesso provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante: cfr. Cass. SS.UU. 27/11/2008, R., RV ; Cass. 12/11/2009, Ignatiuk, RV ; Cass. 8/6/2011, B., RV (fattispecie in tema di omessa redazione della motivazione, con la pronuncia del solo dispositivo di condanna); Cass. 25/9/2012, Singh, RV ; Cass. 1/10/2013, Ben Nasr, RV ; Cass.19/8/2014, Rusu, RV
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…SÌ!!! Questo richiamo di giurisprudenza non è un invito rivolto ai giudici di primo grado alla “diserzione”, tutt’altro: la motivazione della sentenza di primo grado è fondamentale, poiché con la completezza ed efficacia della stessa si devono misurare l’appellante prima e i giudici di secondo grado poi. Tanto più è completa la motivazione della prima decisione tanto maggiori saranno: l’onere dell’appellante di censurare specificamente i punti della sentenza non condivisi (specie alla luce della recente sentenza “Galtelli” delle Sezioni Unite - Cass. SS.UU. 27/10/2016, RV in tema di inammissibilità); la possibilità per la Corte d’Appello di richiamare e confermare le argomentazioni del primo giudice.
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La determinazione della pena
Secondo costante giurisprudenza, “la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso il cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 c.p.” (così ultimo, Cass. ord. 4/3-21/4/2016 n , n.m. In senso conforme v., ad es., Cass. 12/3/2014, Del Toso, RV , nonché Cass. 20/3/2013, Serratore, RV Nello stesso senso cfr., da ultimo, Cass. 17/11-21/12/2016 n , Marchiafava e altro).
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Secondo la giurisprudenza di legittimità, “non vi è alcun obbligo per il giudice di merito di seguire il medesimo criterio nella determinazione della pena base detentiva e di quella pecuniaria: per cui, se si determina quella detentiva nel minimo, non deve necessariamente essere determinata nel minimo anche quella pecuniaria” (così Cass. 15/3/2012, Lucky, RV ; in senso conforme, più di recente, v. Cass. 19/5/2015, D.G., RV ). Il giudice, nell'esercizio del potere di scelta fra l'applicazione della pena detentiva o di quella pecuniaria, alternativamente previste, ha l'obbligo di indicare le ragioni che lo inducano ad infliggere la pena detentiva (Cass. 21/10/2014, Ottino, RV )
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In funzione della determinazione della pena, il giudice può trarre elementi di valutazione sulla personalità dell'imputato dalla pendenza di altri procedimenti penali a suo carico, anche se successivi al compimento dell'illecito per cui si procede. Cass. 23/5/2012, Giovane e altri, RV : “bene e correttamente sono stati apprezzati i precedenti di vita successivi al fatto contestato in quanto elementi di assoluto rilievo ex art. 133 c.p. e tenuto conto il principio di non colpevolezza di cui all'art. 27 Cost., comma 2, il quale vieta di assumere appunto la "colpevolezza" a base di qualsivoglia provvedimento, fino a quando essa non sia stata definitivamente accertata, ma non vieta affatto di trarre elementi di valutazione sulla personalità dell'accusato, dal fatto obiettivo della pendenza, a suo carico, di altri procedimenti penali (Cass.pen. sez. 1, 4878/1997 Rv ) anche se successivi al compimento dell'illecito per cui è giudicato. Invero il citato art. 133 c.p., al n. 3 del comma 2 stabilisce, agli effetti della valutazione della pena, che il giudice deve tener conto della gravità del reato, anche della condotta susseguente al reato”.
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Secondo giurisprudenza consolidata, fra gli elementi di valutazione utilizzabili ai fini del giudizio sul riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale, rientrano i precedenti giudiziari non definitivi: «l'utilizzazione, da parte del giudice, della posizione di indiziato per la commissione di altro reato a carico dell'imputato, non contrasta con il principio della presunzione di innocenza dello stesso fino alla condanna definitiva, in quanto, nella valutazione del giudice, non viene dato rilievo al fatto che l'imputato abbia o non abbia commesso i reati o il reato di cui è indiziato in altri processi, ma solamente e precisamente alla sua condizione, costituendo questa, di per sé, un precedente di carattere giudiziario rilevante ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 133 cpv. n. 2 cod. pen.» (Cass. 30/9/2015, Pomposo, RV ; in senso conforme, per motivare il diniego delle attenuanti generiche, da ultimo v. Cass. 22/2-15/3/2016, ord. n , non massimata).
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Un cenno alle attenuanti generiche
Le attenuanti generiche “non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale "concessione" del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell'art. 133 cod. pen., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena” (così Cass. 15/7-10/9/2015 n , non massimata; in senso conforme v. Cass. 12/11/ /4/2016 n , Cass. 26/11/2015-8/4/2016 n , Cass. 11/3-6/4/2016 n , Cass. 6/7-9/9/2016 n ). Inoltre, ai fini della concessione o del diniego delle suddette attenuanti, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso (ex plurimis v. Cass. 4/12/2014, Masella, RV ; Cass. 15/7-21/8/2015, n. 3508; Cass. 27/10/ /1/2016, n. 2258; Cass. 26/1-31/3/2016, n ; Cass. 20/5-9/6/2016, Matera e altro, RV ; Cass. 12/7-13/10/2016, n ; da ultimo cfr. Cass. ord. nn. 168/2017, 179/2017, 315/2017, 337/2017). Le attenuanti generiche, dunque, legittimamente possono essere negate anche solo alla luce dei precedenti penali dell’imputato (in questo senso v., ad es., Cass. 29/10-4/12/2015 n , nonché, da ultimo, Cass. ord. n. 358/2017).
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Cass. 7/9-31/10/2016 n : “dall'assenza di elementi di segno positivo legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola”. Inoltre, “il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente giustificato con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell'art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente lo stato di incensuratezza dell'imputato” (così, ad es., Cass. 11/2-31/3/2016 n , non massimata).
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Significativi sul tema alcuni principi incidentalmente affermati dalle Sezioni Unite:
è legittimo il diniego delle attenuanti generiche motivato con la esplicita valorizzazione negativa dell'ammissione di colpevolezza, laddove quest'ultima sia stata dettata non da effettiva resipiscenza ma da intento utilitaristico (Cass. 29/3/2012, Di Lauro e altri, RV ): ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche, il pieno esercizio del diritto di difesa, se consente all’imputato il silenzio e persino la menzogna, non lo autorizza, per ciò solo, a tenere comportamenti processualmente obliqui e fuorvianti, in violazione del fondamentale principio di lealtà processuale, che deve comunque improntare la condotta di tutti i soggetti del procedimento, la cui violazione è valutabile da parte del giudice di merito (Cass. 24/5/2012, Biondi, RV ).
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In alcune pronunce la Corte di Cassazione riconosce che la funzione di “adeguare la pena al caso concreto, considerato nella globalità degli elementi soggettivi ed oggettivi” possa essere svolta anche mediante il riconoscimento delle attenuanti generiche (cfr., di recente, Cass. 10/11/2015-5/2/2016 n. 4817, non massimata). In senso conforme v. Cass. 17/12/ /1/2016 n. 2562, n.m., ove si è fatto riferimento “all’esigenza di adeguare la sanzione finale all'effettivo disvalore del fatto oggetto di giudizio”.
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Fra i giudici di merito viene dato rilievo, a volte, al “patteggiamento sulla prova”, che può produrre effetti equivalenti a quelli del rito abbreviato, ferma restando la disomogeneità fra i due istituti (rito abbreviato e accordo sulla prova: v. Corte Cost., ord. n. 290/2011). La Corte di Cassazione ha sovente affermato che tra i positivi elementi che possono suggerire la necessità di attenuare la pena rientra il corretto comportamento processuale o la collaborazione prestata nelle indagini. I dubbi sorgono qualora sia il difensore, in assenza dell’imputato, a prestare il consenso all’acquisizione degli atti d’indagine (generiche date alla difesa…).
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OSSERVAZIONE: ferma la validità dei richiamati principi, nelle sentenze di primo grado si rinviene spesso una tendenza ad un benevolo riconoscimento delle attenuanti generiche, anche per fatti successivi alla novella del (non basta la sola incensuratezza!), accompagnata da una determinazione della pena base in misura lontana dal minimo edittale, operazione legittima (cfr., ad es., Cass. 18/7/2014, Cavicchi, RV ) ma forse più complicata e soggetta a censure: in sostanza a me pare più agevole motivare il diniego delle attenuanti generiche (per i precedenti penali o giudiziari, la mancanza di resipiscenza, il negativo comportamento processuale, ecc. o comunque per l’assenza di positivi elementi di valutazione) piuttosto che la determinazione della pena base in misura troppo lontana dal minimo edittale.
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Le circostanze del reato ed il giudizio di comparazione (art. 69 c. p
Fondamentale la distinzione fra circostanze ad effetto comune e circostanze ad effetto speciale, che ha rilievo, ad esempio, oltre che sul calcolo della sanzione (art. 63 commi 3 e 4 c.p.), sulla determinazione della pena in tema di misure cautelari (art c.p.p.) e – quanto alle aggravanti – sulla individuazione del tempo necessario a prescrivere (art. 157 comma 2 c.p.). Da ultimo (udienza 27/4/2017) le Sezioni Unite hanno statuito che, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, le circostanze c.d. indipendenti che comportano un aumento di pena non superiore ad un terzo (ad es. art ter c.p.), non sono circostanze ad effetto speciale, ai sensi dell’art. 63, comma 3, codice penale.
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Esempi di calcolo della pena con aggravanti ad effetto speciale (senza attenuanti e ipotizzando di voler quantificare la pena nel minimo edittale). Art. 625 comma 2° nn. 2 e 5 c.p. > furto con violenza sulle cose ad opera di persona travisata: pena predeterminata (tre anni). Art. 628 comma 3° nn. 1 e 2 c.p. > rapina commessa con minaccia da più persone, ponendo la vittima in stato d’incapacità > 4 anni e 6 mesi + aumento da 0 giorni a 1/3 (art. 63 comma 4° c.p.) = massimo 6 anni. Art. 628 comma 3° n. 1 e 61 n. 7 c.p. > rapina commessa con armi, che causa un danno patrimoniale di rilevante gravità > 4 anni e 6 mesi + aumento da 1 giorno a 1/3 (art. 63 comma 3° c.p.) = massimo 6 anni. Art. 628 comma 3° n. 1 c.p. con recidiva reiterata aggravata: cinque anni (v. infra, Cass. SS.UU. «Indelicato», 24/2/2011, RV ) + aumento da 0 giorni a 1/3 (art. 63 comma 4° c.p.) = massimo 6 anni e 8 mesi.
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N. B. La regola di cui all’art. 63 comma 4 c. p
N.B. La regola di cui all’art. 63 comma 4 c.p. non va applicata nel caso in cui la questione concernente l’entità della pena applicabile per effetto della ritenuta sussistenza di più circostanze aggravanti ad effetto speciale sia diversamente affrontata e risolta dal legislatore nell’ambito della singola fattispecie criminosa, così come avviene nell’art. 416 bis c.p. > vedi la giurisprudenza citata nell’allegato estratto della sentenza emessa il 22/4/2016 nel processo “Aemilia” dal G.U.P. del Tribunale di Bologna (dott.ssa Francesca Zavaglia), che costituisce una preziosissima guida per il calcolo della pena in ordine ad una serie di altri rilevanti problemi, di cui pure si dirà oltre (recidiva, aggravanti “blindate”, reato continuato).
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“In tema di concorso di circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o di circostanze ad effetto speciale (art. 63 c.p., comma 4), è richiesto al giudice uno specifico dovere di motivazione sia ove egli escluda la rilevanza della circostanza concorrente meno grave, sia ove la ritenga, ed in quest'ultimo caso sarà necessario indicare le ragioni che hanno indotto alla quantificazione dell'aumento” (Cass. 22/11/2012, Bonaccorsi, RV ; in senso conforme cfr. Cass. 5/2/2014, Prinno e altri, RV , e Cass. 30/4/2015, Brutto, RV ).
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Concorso di circostanze aggravanti ad effetto speciale e calcolo della prescrizione.
Ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, deve aversi riguardo, in caso di concorso fra circostanze ad effetto speciale, all'aumento di pena massimo previsto dall'art. 63, comma 4°, c.p., per il concorso di circostanze della stessa specie (Cass. 15/7/2014, Bovio, RV In senso conforme cfr., ad es., Cass. 3/10/2013, Farinella e altri, RV , nonché Cass. 10/5/2012, Lo Bianco, RV ). Esempio > reato ex artt. 99 co. 3, 640 co. 1 e 2 n. 2, 61 nn. 5, 7 e 11 c.p. Termine ordinario di prescrizione (art. 157 c.p.): anni 5 ex art. 640 comma 2 c.p., aumentati per la recidiva ex art. 63 comma 4 c.p., nella misura massima di un terzo, ad anni 6 e mesi 8. Termine massimo (art. 161 c.p.): anni 10.
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N.B. Il giudice deve indicare la pena base prima di procedere all’eventuale diminuzione per il riconoscimento di circostanze od all’aumento per l’applicazione di un’aggravante, per consentire non solo il controllo sulla correttezza del calcolo, ma anche la valutazione sulla congruità della pena base inflitta e sulla diminuzione o sull’aumento operato. L’indicazione di una pena “base” (che tale, invero, non è) che comprenda anche l’aumento per l’applicazione di aggravanti o la riduzione per il riconoscimento di attenuanti non è corretta. Ad esempio, nel reato di violenza sessuale: “riconosciuta l’attenuante del caso di minore gravità, pena base anni due e mesi sei di reclusione”. NO! Si è partiti da una pena base di cinque anni e si è operata una diminuzione della metà oppure da una pena di sette anni e sei mesi, diminuita poi di 2/3? Non è la stessa cosa (a mio avviso).
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Nel caso di concorso fra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, di ogni genere, il giudizio di comparazione (unico!) va effettuato fra tutte le circostanze (compresa la recidiva), con le eccezioni espressamente previste dalla legge, di cui si dirà. Quale criterio per il giudizio di bilanciamento? Secondo il diritto vivente (cfr., anche di recente, Cass. 30/9-19/10/2016 n , Sabetta), detto giudizio è rimesso al potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio deve essere certamente motivato, ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudicante circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo.
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Le circostanze “rigide”
(sottratte ex lege al giudizio di comparazione) Attenuante della cosiddetta “dissociazione attuosa”, prevista dall'art. 8 D.L. 13 maggio n. 152, convertito nella legge 12 luglio n. 203, non soggetta al giudizio di bilanciamento (v. Cass. SS.UU. 25/2/2010, Contaldo, RV ).
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SEGUE: LE AGGRAVANTI “RIGIDE” (o “blindate”, non “bilanciabili”)
Art. 1 d.l. n. 625/1979 (conv. nella legge n. 15/1980). Aggravante della finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico. Artt. 280 e 280 bis c.p. Delitti di attentato per finalità terroristiche o di eversione e atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi. Art. 7 d.l. n. 152/1991 (conv. nella legge n. 203/1991). Aggravanti del metodo mafioso e del fine di agevolazione dell’attività delle associazioni mafiose. Art . 4 legge n. 146/2006. Aggravante della transnazionalità. Art. 628 comma 3 nn. 3, 3 bis, 3 ter, 3 quater, 3 quinquies c.p. Aggravanti varie della rapina.
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SEGUE: LE AGGRAVANTI “RIGIDE”
Art. 590 quater c.p. Aggravanti varie dei reati di omicidio stradale e lesioni personali stradali. Artt. 186 commi 2-sexies e 2-septies e 187 comma 1-quater. Aggravante dell’ora notturna nei reati di guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti (per la pena pecuniaria!). N.B. nel disegno di legge approvato di recente dal Senato, in corso di esame alla Camera, diventano rigide le aggravanti previste dall’art. 625 c.p. per i reati ex art. 624 bis c.p. (furto in abitazione e furto con strappo) > la ratio: togliere discrezionalità al giudice (le nostre responsabilità, che - a mio avviso - esistono). 7
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NOTA. Nel caso di concorso di una circostanza aggravante “rigida”, di altre circostanze aggravanti e di attenuanti, si deve comunque operare un successivo giudizio di bilanciamento fra le altre aggravanti e le attenuanti. Esempio: ipotesi di rapina (art. 628 c.p.), pluriaggravata perché commessa in abitazione (comma 3° n. 3-bis), con il ricorso a minaccia congiuntamente da parte di due persone (comma 3° n. 1, ult. parte), che pongono la vittima in stato di incapacità dandole un sonnifero (comma 3° n. 2). Ritenendo, in ipotesi, le imputate meritevoli delle attenuanti generiche, si dovrà comunque determinare la pena base partendo da quella indicata nel 3° comma dell’art. 628, proprio in forza della previsione dell’ultimo comma. Ciò fatto (ipotizziamo che ci si orienti sul minimo: quattro anni e sei mesi di reclusione e euro di multa), si dovrà comunque esprimere un giudizio di comparazione fra le due residue aggravanti e dette attenuanti, con conseguenze ben diverse: laddove il giudizio fosse solo di equivalenza, detta pena rimarrebbe invariata; se invece si esprimesse un giudizio di prevalenza delle attenuanti, la pena potrebbe scendere sino a tre anni di reclusione e 688 euro di multa. In assenza di attenuanti, ovvero laddove le stesse fossero ritenute subvalenti rispetto ad altre aggravanti ad effetto speciale (nell’esempio, quelle di cui all’art. 628 commi 3° nn. 1 e 2 c.p.), dovrebbe trovare applicazione quanto disposto dall’art. 63 commi 3° e 4° c.p. (possibile aumento della pena sino ad un terzo > nel caso di specie: sei anni di reclusione e euro di multa).
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Nell'ipotesi di concorso tra più circostanze aggravanti ad effetto speciale, poiché l'aggravante di cui all'art. 7 del D.L. n. 152 del 1991 (convertito in L. n. 203 del 1991) è esclusa dal giudizio di bilanciamento, ai fini del calcolo degli aumenti di pena irrogabili, non si applica la regola generale prevista dall'art. 63, comma quarto, cod. pen., bensì l'autonoma disciplina derogatoria di cui al citato art. 7, che prevede l'inasprimento della sanzione da un terzo alla metà. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto correttamente quantificato, all'esito del giudizio di bilanciamento tra le altre circostanze, l'aumento della pena nella misura della metà per la circostanza aggravante di cui all'art. 7 D.L. n. 152 del 1991). Così Cass. 2/10/2014, Fariello e altro, RV In senso conforme, di recente, v. Cass. 8/3/2016, Buonanno e altri, RV
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La determinazione della pena nel reato tentato
“Per univoca e costante affermazione della giurisprudenza e della dottrina nel delitto tentato va ravvisata una figura autonoma di reato, qualificato da una propria oggettività giuridica e una propria struttura, delineata dalla combinazione della norma incriminatrice specifica e della disposizione contenuta nell'art. 56 C.P., la quale ha reso perseguibili fatti altrimenti non sanzionabili perché arrestatisi al di qua della soglia della consumazione. Nel far ciò l'art. 56 C.P. ha stabilito una sanzione penale autonoma, ha individuato il bene giuridico protetto (costituito dal pericolo di lesione dell'interesse che giustifica la tutela penale) e, soprattutto, ha definito il comportamento tipico, consistente nel compimento di "atti idonei", diretti in modo non equivoco a realizzare la detta lesione. Da tale autonomia dell'illecito e della sanzione discende che, in presenza di un delitto tentato, la determinazione della pena può effettuarsi con il cosiddetto metodo diretto o sintetico, ossia senza operare la diminuzione sulla pena fissata per la corrispondente ipotesi di delitto consumato, oppure con il calcolo "bifasico", ossia scindendo i due momenti enunciati. Entrambi i sistemi, peraltro, non si sottraggono ai vincoli normativi relativi al contenimento della riduzione da uno a due terzi. Solo l'inosservanza in concreto di tali limiti comporta violazione di legge” (così Cass. 16/5/2001, RV In senso conforme, quanto al calcolo della pena, cfr. Cass. 30/9/2008, Chiarvesio, RV ; Cass. 6/6/2013, Colombo e altri, RV ; Cass. 19/6/2013, Brescia e altri, RV ; Cass. 15/10/2013, Birra e altri, RV ; da ultimo v. Cass. 16/2-1/3/2017 n ).
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SEGUE: esempio Tentato furto aggravato dalla violenza sulle cose (art comma 1 n. 2 c.p.), ipotizzando che non venga riconosciuta alcuna circostanza attenuante. La “bussola” è sempre quella dell’art. 133 c.p., ma credo sia opportuno – specie se si segue il primo metodo – esprimere una valutazione sulla soglia alla quale si è attestato il tentativo, con una conseguente incidenza sul quantum della riduzione, da esplicitare in motivazione. Metodo “bifasico”: determinerò la pena (detentiva) tra il minimo (un anno) ed il massimo (sei anni) e poi opererò la diminuzione (da un terzo a due terzi ex art. 56 comma 2 c.p.). Metodo sintetico: determinerò la pena (detentiva) tra il minimo di quattro mesi di reclusione (minimo della pena con diminuzione massima per il tentativo) ed il massimo di quattro anni (massimo della pena con la diminuzione minima per l’ipotesi tentata).
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Il reato tentato circostanziato
Ai fini della determinazione della pena per il delitto tentato nel caso di concorso di circostanze anche ad effetto speciale, deve farsi riferimento alla pena base per il reato consumato e aggravato, qualora il giudizio di comparazione si sia concluso nel senso della prevalenza delle aggravanti, e alla pena base per il reato semplice (Cass. 21/10/2005, Picone, RV ). Esempio: tentato furto monoaggravato (art. 625 comma 1° c.p.), con contestazione ed applicazione della recidiva specifica (art. 99 comma 2 c.p. > aumento fino alla metà…, ma limite del 63 comma 4° c.p.). Ipotizziamo di infliggere il minimo della pena (detentiva), con l’aumento massimo (1/3) per la recidiva e la diminuzione della metà per il tentativo. Senza attenuanti: pena base un anno di reclusione, con recidiva un anno e quattro mesi, con tentativo 8 mesi. Con attenuanti equivalenti: P.B. mesi sei di reclusione, con tentativo tre mesi. Con attenuante prevalente P.B. mesi sei, quattro con attenuante e due con il tentativo (oppure tre con il tentativo, due con l’attenuante > stesso risultato!).
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La determinazione della pena nel reato continuato
Fondamentale il principio affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza “Ciabotti” (Cass. 28/2/2013, RV ). In tema di reato continuato, la violazione più grave va individuata in astratto in base alla pena edittale prevista per il reato ritenuto dal giudice in rapporto alle singole circostanze in cui la fattispecie si è manifestata e all'eventuale giudizio di comparazione fra di esse. Esempio: Tizio commette prima un furto pluriaggravato (artt comma 1 nn. 2 e 7 e comma 2 c.p. > autovettura rubata in strada con forzatura della portiera) e poco dopo un furto con strappo, non aggravato (art. 624 bis comma 2 c.p.). Quale il reato più grave? La risposta è ovvia se non si riconosce alcuna attenuante (3-10 anni per il primo reato, 1-6 anni per il secondo). Non lo è nel caso in cui, ad esempio, si intendano riconoscere le attenuanti generiche a Tizio….
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La determinazione della pena nel reato continuato - ESEMPIO
Nel caso specifico, ipotizzando di riconoscere a Tizio le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti del furto dell’autovettura (a maggior ragione se prevalenti), il reato più grave diventerà quello sub B) (la pena base del 624 bis va da 1 a 6 anni, mentre quella dell’ipotesi base del 624 c.p. va da sei mesi a 3 anni) A quel punto, però, divenuto più grave il reato sub B), non aggravato, le attenuanti generiche non entreranno più nel giudizio di comparazione con le aggravanti del furto ex art. 625 c.p., in quanto questo è divenuto reato-satellite: infatti, secondo giurisprudenza consolidata, il giudizio di comparazione fra circostanze trova applicazione solo con riguardo al fatto considerato come violazione più grave e con riferimento alle sole aggravanti ed attenuanti che allo stesso specificamente si riferiscono, cosicché delle circostanze riguardanti ciascuno dei reati satellite si deve tener conto esclusivamente ai fini dell’aumento di pena ex art. 81 c.p. (cfr., ad es., Cass. 25/3/2014, Di Maggio e altro, RV ; Cass. 13/11/2013, Gelao, RV ; Cass. 30/6/2011, Toldan, RV ).
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Le SS.UU. hanno ribadito altri importanti principi di diritto:
1.“…è indubbio che, nel concorso fra tali reati [delitto e contravvenzione], debba essere ritenuta più grave la violazione costituente delitto, anche se la contravvenzione è punita edittalmente con una pena che, riguardata sotto il profilo della conversione, risulti maggiore quantitativamente rispetto a quella stabilita per il delitto” “In caso di concorso di reati puniti con sanzioni omogenee sia nel genere che nella specie per i quali sia riconosciuto il vincolo della continuazione, l'individuazione del concreto trattamento sanzionatorio per il reato ritenuto dal giudice più grave non può comportare l'irrogazione di una pena inferiore nel minimo a quella prevista per uno dei reati-satellite”. Ad esempio, in caso di continuazione fra i reati di violenza privata (punito con la reclusione fino a 4 anni) e truffa semplice (punita con la pena da sei mesi a 3 anni di reclusione, oltre a quella pecuniaria), pur essendo più grave il primo reato, la pena base non può essere determinata in misura inferiore a sei mesi di reclusione (la pena complessiva non potrà essere inferiore a sei mesi ed un giorno di reclusione).
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3. Anche se essa deve essere il risultato di una operazione unitaria, occorre tuttavia che sia individuabile la pena stabilita dal giudice in aumento per ciascun reato-satellite (Sez. U, n del 21/04/1995, Zouine, Rv ), e ciò sia per la verifica dell'osservanza del limite di cui al terzo comma dell'art. 81 cod. pen. sia perché a taluni effetti il cumulo giuridico si scioglie: basti pensare alla prescrizione che va considerata distintamente per ciascun reato (Sez. li, n del 24/01/1996, Panigoni, cit.; Sez. U, n del 10/10/1981, Cassinari, Rv ); all'indulto, in cui occorre applicare il beneficio a quei reati che in esso rientrano (Sez. U, n. 18 del 16/11/1989, dep. 15/01/1990, Fiorentini, Rv ); all'estinzione di misure cautelari personali, quando la suddivisione della pena irrogata per i reati-satellite rilevi per il calcolo della durata massima della custodia cautelare o per l'accertamento dell'avvenuta espiazione di pena (Sez. U, n. 1 del 26/02/1997, Mammoliti, Rv ); alla sostituzione delle pene detentive brevi (art. 53, ultimo comma, legge n. 689 del 1981) in cui la pena del reato continuato si scompone per determinare la porzione di pena suscettibile di sostituzione per quei reati che la ammettono.
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SEGUE: indicare l’entità dei singoli aumenti!
Il principio è spesso disatteso nella prassi. E’ fondamentale, invece, che tale specificazione il giudice compia soprattutto quando l’imputato sia in regime di custodia cautelare, magari per alcuni reati soltanto. Effetti dirompenti, ad esempio, possono esserci nel caso in cui, ad esito del giudizio, vi sia condanna per un reato più grave “non cautelato”, a fronte di reati-satellite per i quali l’imputato è cautelato: in proposito, infatti, le Sezioni Unite hanno statuito che “in caso di condanna non definitiva per reato continuato, per valutare, a norma dell'art. 300 comma 4 c.p.p., l'entità della pena ai fini di un'eventuale dichiarazione di inefficacia della custodia cautelare applicata soltanto per il reato meno grave, occorre avere riguardo alla pena concretamente inflitta come aumento ex art. 81 cpv. c.p.” (Cass. 26/3/2009, Vitale, RV ). Si pensi anche alla ipotesi, non infrequente, in cui l’imputato impugni la condanna per uno solo di due reati-satellite (o ad un annullamento parziale della Cassazione): la pena per il secondo reato, se specificamente determinata, potrebbe essere messa in esecuzione, formatosi il giudicato sul relativo capo.
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Reato continuato e pene accessorie
È pacifico che, per la determinazione delle pene accessorie, in caso di reato continuato, si debba fare riferimento all’entità della pena principale inflitta per il reato più grave e non già a quella individuata dopo l'aumento per la continuazione (fra le tante v. Cass. 29/10/2014, Di Tana ed altri, RV ). Esempio: pena base (detentiva) per una rapina semplice: tre anni e sei mesi di reclusione, aumentata ex art. 81 cpv. di un anno e sei mesi per un’altra rapina > cinque anni di reclusione > riduzione per il rito abbreviato > finale tre anni e quattro mesi. Non applicheremo la pena accessoria (29 c.p.) della interdizione temporanea dai pubblici uffici, perché la pena base, riferibile al più grave reato, è di due anni e quattro mesi di reclusione (al netto della diminuente processuale).
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RINVIO - varie Su alcune questioni in tema di:
sospensione condizionale della pena non menzione della condanna statuizioni civili v. l’appunto allegato, utilizzato per l’esercitazione in gruppi fatta alla Scuola sulla redazione del dispositivo (tirocinio generico – 8/6/2016).
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RECIDIVA – RINVIO... Su varie questioni in tema di recidiva v. lo stesso appunto (punto 3) nonché l’articolo allegato, con la segnalazione delle più importanti novità. Ad esempio: sentenze Corte cost. nn. 251 del 2012, 105 e 106 del 2014 e 74 del 2016 sul divieto di prevalenza ex art. 69 co. 4 c.p. in caso di applicazione della recidiva reiterata; sentenza Corte cost. n. 185/2015 sulla recidiva obbligatoria (venuta meno); ricadute delle sentenze in sede esecutiva; Cass. SS.UU. "Filosofi” sull’art. 81 co. 4 cp
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…ma…RECIDIVA “in pillole”
Non dimenticare che la recidiva è una circostanza aggravante (inerente alla persona del colpevole – art. 70 comma 2 c.p.), ad effetto speciale (tranne che per quella semplice dell’art. 99 comma 1 c.p.). Distinguere bene le fasi della: contestazione della recidiva (obbligatoria per il P.M., che deve indicare quale ipotesi ricorra fra quelle dei primi quattro commi dell’art. 99 c.p.), presupposto per la valutazione da parte del giudice, che non può applicare una forma di recidiva più grave di quella contestata; controllo del giudice della correttezza della contestazione (riconoscimento): ad es. v. art. 109 c.p. in caso di riabilitazione (Cass. 17/6/2016, Pesce, RV ) o di esito positivo dell’affidamento in prova ai servizi sociali (Cass. S.U. 27/10/2011, Marcianò, RV ); eventuale applicazione (in concreto) della recidiva, alla luce dei principi indicati delle S.U. “Calibè” del 27/5/2010, RV (e conforme giurisprudenza). NO!!!!!!: «visto il certificato penale….». E’ poi richiesto al giudice uno specifico dovere di motivazione sia ove egli ritenga sia ove egli escluda la rilevanza della stessa (Cass. SS.UU. 27/10/2011, Marcianò, RV ; Cass. 27/2/2013, Nicotra, RV ; Cass. 19/8/2013, De Silvio, RV ; Cass. 17/12/2014, Gordyusheva, RV ).
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Segue: RECIDIVA “in pillole”
quindi…..nel calcolo della pena: effettuare gli aumenti corretti, vincolati in tutti i casi (tranne che in quello previsto dal 2° comma, laddove l’aumento di pena può essere da un terzo alla metà: v. Cass. 3/12/2010, El Rahman RV ); in caso di concorso della recidiva (tranne quella semplice) con altra circostanza ad effetto speciale, applicare l’art. 63 comma 4° c.p., seguendo il principio delle S.U. “Indelicato” del 24/2/2011 (RV ); nel caso di riconoscimento di attenuanti, inserire la recidiva nel giudizio di comparazione (con i limiti di cui all’art. 69 comma 4° c.p. per la recidiva reiterata, elisi per quattro circostanze dalle sentenze della Corte Costituzionale > v. articolo); nel caso di reato continuato, N.B. l’art. 81 comma 4° c.p. (come ricordato nell’articolo, le S.U. “Filosofi” del 23/6/2016, Rv , hanno statuito che il limite di aumento di pena non inferiore ad un terzo di quella stabilita per il reato più grave - che va riferito all'aumento complessivo per la continuazione e non alla misura di ciascun aumento successivo al primo - opera anche quando il giudice consideri la recidiva equivalente alle riconosciute attenuanti).
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RECIDIVA e PRESCRIZIONE
A proposito del contrasto di giurisprudenza segnalato nell’articolo, può ormai dirsi che isolata è rimasta la pronunzia della 6^ sezione della Suprema Corte (Cass. 9/9/2015, Fallani e altro, RV ) con la quale si è disatteso il tradizionale principio secondo cui la recidiva, eccezion fatta per quella semplice, incide sulla determinazione sia del termine ordinario di prescrizione (art. 157 comma 2 c.p.), quale circostanza aggravante ad effetto speciale, sia del termine massimo (art. 161 comma 2 c.p.). L’orientamento tradizionale è stato ribadito da Cass. 21/9/2016, Lamirowski, RV e da Cass. 28/10/2016, Lofiego Raco, RV La natura costitutiva della contestazione della recidiva non consente di tener conto, ai fini del calcolo dei termini di prescrizione, dell'aumento di pena derivante dalla recidiva medesima ove questa non sia stata contestata prima dello spirare del tempo necessario a prescrivere il reato nella forma non aggravata (Cass. 30/1/2014, Resmini Bellotti, RV ).
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Segue: RECIDIVA e PRESCRIZIONE
Un nuovo contrasto? La recidiva reiterata, essendo una circostanza aggravante ad effetto speciale, rileva ai fini della determinazione del termine di prescrizione, anche qualora nel giudizio di comparazione con le circostanze attenuanti sia stata considerata subvalente (v., in motivazione, Cass. 16/9/2015, Palombella, RV , nonché, da ultimo, Cass. 22/11/ /02/2017, D’Uva, Rv ). Contra Cass. 4/11-15/12/2016, Chen, RV : “…non è da ritenere applicata l'aggravante solo allorquando, ancorché riconosciuta la ricorrenza dei suoi estremi di fatto e di diritto, essa non manifesti concretamente alcuno degli effetti che le sono propri a causa della prevalenza attribuita all'attenuante, la quale non si limita a paralizzarla, ma la sopraffa, in modo che sul piano della afflittività sanzionatoria l'aggravante risulta tamquam non esset (Cass. Sez.Unite, n.17 del 18/06/1991 Rv )”. A me pare preferibile il primo orientamento, atteso che ai fini della prescrizione l’art. 157, comma 3, c.p. esclude espressamente l’efficacia del giudizio di comparazione fra circostanze. Una recidiva ritenuta subvalente è applicata; diversamente il caso verrebbe parificato a quello in cui la recidiva è esclusa.
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RECIDIVA nel dispositivo
E’ fondamentale che nel dispositivo, prima ancora che nella motivazione, si capisca chiaramente che sorte ha avuto la recidiva contestata. Lo deve dire il giudice, non lo può interpretare dopo, al suo posto, qualcun altro (giudice dell’esecuzione o dell’impugnazione). Si deve capire se: 1. è stata esclusa (no presupposti: es. delitto colposo o casi indicati supra), 2. non è stata applicata in concreto (il nuovo delitto non è indice di maggiore pericolosità o colpevolezza – principi SS.UU. Calibè), 3. è stata applicata (a prescindere dall’aumento di pena). Scriverei così in dispositivo….. 1. esclusa la sussistenza della contestata recidiva, 2. non applicata la contestata recidiva, 3. applicata la recidiva (meglio specificarlo, proprio per la rilevanza degli effetti, anche in sede esecutiva). Invero non dovrebbe essere necessario nel momento in cui si riconosce la responsabilità “per il reato ascrittogli” (ma capita spesso di leggere, in presenza di altra aggravante e della recidiva: “concesse le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante…”, con buona pace della recidiva, svanita).
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IL DlSPOSITIVO - esempio
Visti gli artt. 438, 533, 535, c.p.p., dichiara Caio, Tizio, Sempronio e Mevio colpevoli dei reati loro ascritti, uniti dal vincolo della continuazione, e per l’effetto: condanna Tizio, riconosciute le attenuanti generiche e – in relazione al solo reato sub C) – quella prevista dall’art. 62 n. 6 c.p., con la diminuente per il rito, alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ed euro 400 di multa. Pena sospesa e non menzione della condanna; condanna Caio, applicata la diminuente per il rito, alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione ed euro 400 di multa; condanna Sempronio, esclusa l’applicazione della recidiva e con la diminuente per il rito, alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione ed euro 400 di multa; condanna Mevio, applicata la recidiva e con la diminuente per il rito, alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione ed euro 360 di multa. Condanna gli imputati al pagamento delle spese processuali, di quelle di mantenimento durante la custodia cautelare e – in solido tra loro – al risarcimento del danno subito dalla parte civile, da liquidare in separato giudizio civile, nonché al pagamento in favore della stessa parte di una provvisionale di euro, immediatamente esecutiva ex lege. Condanna gli imputati in solido al pagamento delle spese di assistenza e difesa sostenute dalla parte civile, liquidate in complessivi € 2.000, oltre spese forfettarie (15%), C.P.A. ed I.V.A. come per legge.
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Segue: IL DlSPOSITIVO Quindi….
deve essere ben chiaro se l’imputato è stato ritenuto responsabile dei reati ascrittigli, come contestati (eventuale espressa assoluzione in parte qua, se lo si ritiene non colpevole di un fatto-reato suscettibile di autonoma rilevanza, anche se contestato in unico capo d’imputazione); va precisato se si è operata una riqualificazione giuridica del fatto ex art. 521 comma 1 c.p.p. [N.B. il “tema Drassich”]; va detto espressamente se si è esclusa la sussistenza di una o più aggravanti (per la recidiva v. supra), così come, ovviamente, se si sono riconosciute attenuanti; va esplicitato il giudizio di comparazione fra circostanze (ovviamente unico!); va evidenziato se si è applicata la disciplina della continuazione (o del concorso formale fra reati).
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Segue: IL DlSPOSITIVO. Non dimenticar….
pene accessorie (con durata, se non determinata ex lege); sanzioni amministrative accessorie ed eventuale durata (ovvero trasmissione atti all’autorità amministrativa competente: ad es. assoluzione ex art. 131 bis c.p. per una guida in stato di ebbrezza); misure di sicurezza; spese processuali (e di custodia cautelare); statuizioni civili; eventuali dichiarazioni su cessazione efficacia misura e liberazione ex artt. 300 e 532 c.p.p. (a mio avviso, è preferibile – ma certamente non obbligatorio – fare a parte l’ordinanza ex art. 299 c.p.p. su richiesta di revoca/modifica della misura cautelare); destinazione beni in sequestro (ad es.: conversione in sequestro conservativo e questione della eventuale immediata restituzione); termine per il deposito della motivazione, con indicazione della sospensione dei termini di custodia ex art. 304 lett. c) o c bis) c.p.p.;
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Segue: IL DlSPOSITIVO E soprattutto…..
Annotatevi i passaggi nel calcolo della pena! Rifateli almeno una volta con calma! Non dispensate giorni in più (o in meno) di pena per far “conto pari” (i magistrati sono notoriamente dei matematici....). Se scrivendo la motivazione vi accorgete di avere sbagliato, non cercate di correggere l’inemendabile…..Ricordate che, in caso di discrasia tra il dispositivo della sentenza e la motivazione, per regola generale è il primo a prevalere, trattandosi della parte del documento che esplicita le ragioni della decisione del giudice; la regola può subire deroghe, allorché il contrasto dipenda da un errore materiale relativo all'indicazione della pena nel dispositivo, solo se dall'esame della motivazione sia chiaramente ricostruibile il procedimento seguito dal giudice per determinare la pena (cfr., anche di recente, Cass. 9/3/2016, Palumbo, RV ; Cass. 13/4/2016, Mucci, RV ; Cass. 19/5/2016, Ferlito e altro, RV ). E soprattutto…..
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