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Cicerone (Arpino106 a.C. Formia 43 a.C.)
Personalità eclettica: oratore, filosofo, avvocato, statista, uomo politico
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La vita Nacque verso la fine del II secolo a. C. nei pressi dell’attuale città di Sora, a circa 100 Km di distanza da Roma, in località di Arpino. Gli abitanti di tali località, situate nelle immediate vicinanze della capitale, avevano ottenuto già da qualche secondo la civitas sine suffragio: status che permetteva loro di partecipare attivamente alla vita sociale e culturale della repubblica e di poter utilizzare la lingua latina come idioma ufficiale.
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Ad Arpino era previsto anche l’insegnamento della lingua greca (in seguito all’ellenismo già diffusosi sotto il circolo degli Scipioni), in quanto considerata degna di interesse da parte della nobiltà: una lingua resa ricca da secoli di cultura in ambito politico e filosofico. In questo contesto fu possibile l’ascesa di Cicerone nella scala gerarchica della vita pubblica romana. Il giovane Cicerone, già interessato alle scienze e alla cultura, fu portato dal padre a Roma affinché potesse usufruire del sapere dei migliori docenti.
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Nel proprio curriculum studiorum Cicerone può vantare di essere stato formato sotto dei veri e propri “mostri sacri” della cultura latina. Il suo maestro di arte oratoria fu Lucio Licinio Crasso, al quale Cicerone era molto legato, mentre il suo mentore nella giurisprudenza fu Quinto Muzio Scevola. Durante il corso degli studi conobbe quello che divenne il suo amico fraterno: Tito Pomponio Attico (il cognomen venne aggiunto dopo la sua lunga permanenza nella capitale Greca).
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Grazie alla sua profonda conoscenza della lingua greca, gli fu possibile tradurre termini filosofici e redigere quello che divenne il primo vocabolario filosofico in lingua latina. Il momento in cui la carriera di Cicerone virò sensibilmente verso l’arte filosofica è sicuramente quello in cui incontrò, insieme al suo amico Tito Pomponio Attico, il filosofo epicureo Fedro in visita a Roma. Tuttavia dei due solo Tito Pomponio rimase un fermo sostenitore dell’epicureismo per tutta la sua vita, diversamente Cicerone rimase talmente attratto dalla corrente platonica da arrivare a considerare Platone come un dio. La ragione di questo profondo cambiamento di punto di vista deriva dall’incontro con i maestri di retorica Apollonio Molone e Filone di Larissa, quest’ultimo a capo dell’Accaemia Platonica di Atene, fondata dal medesimo Platone nel IV secolo a. C.
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Il pensiero Cicerone fu il primo autore romano a comporre opere filosofiche in lingua latina e ne andava estremamente fiero pur sapendo che la dedizione a tali attività, secondo una parte della cittadinanza, non era molto apprezzabile sia perché era ritenuto disdicevole dedicarvi troppo tempo sia perché almeno fino a quell’epoca il livello della filosofia greca era considerato certamente inarrivabile. Cicerone era invece convinto che, con il dovuto impegno, la filosofia latina avrebbe potuto eguagliare in qualità quella greca, così come era già avvenuto per l’arte retorica. A differenza però del popolo greco amante della cultura, anche fine a se stessa, quello romano era molto più pragmatico, alla continua ricerca di gloria e ricchezza, valori ben più materiali che ideali. Al fine di limitare la diffusione della filosofia, la nobiltà romana arrivò a cacciare dall’urbe tutti i filosofi greci in quel momento in visita, salvo poi richiamarli per ottenere delle vere e proprie lezioni in forma privata.
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Proprio per la scalata del cursum honorum cui Cicerone dedicò tutte le sue energie dalla propria gioventù fino all’età matura, ma anche per la visione scettica della cittadinanza romana verso la filosofia, Cicerone riuscì a dedicarsi all’attività di produzione scritta (trascrizione della sue orazioni) solo in età avanzata. Gran parte dei suoi libri furono infatti redatti nell’arco di due anni, tra il 46 ed il 44 a.C., quando nella concomitanza della vittoria di Gaio Giulio Cesare con la conseguente instaurazione di un sistema monarchico assolutista, il divorzio dalla moglie Terenzia e la morte della figlia Tullia, la filosofia rappresentò una vera e propria medicina per la sua anima.
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Lo strumento letterario di cui Cicerone si avvale nella sua opera di diffusione della filosofia greca non é la poesia ma il dialogo. Attingendo infatti dalla propria lunga esperienza forense e dalla relativa pratica giudiziaria, Cicerone riteneva che il metodo migliore di studio fosse proprio quello di esporre argomentazioni opposte, pro e contro una determinata tesi, proprio come in un tribunale ognuna delle parti può esprimere il proprio punto di vista. Cicerone fa propria questa tecnica di discussione in quando garante di un approccio di tipo libero al problema.
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Tale approccio lascia infatti liberi di formulare un proprio giudizio dopo aver attentamente ascoltato le parti in causa a differenza dalle altre maggiori scuole filosofiche dell’epoca che si stavano maggiormente radicando a Roma come quella stoica e quella epicurea, che richiedevano invece ai loro adepti un cieco asservimento verso la dottrina della scuola stessa. Secondo Cicerone infatti solo dopo aver partecipato al confronto tra convinti sostenitori di due o più tesi opposte si può ritenere di essersi almeno avvicinati al vero o almeno al probabile. In questa ottica il lavoro di Cicerone rappresenta un nuovo punto di vista in linea con la figura del cittadino romano di ceto elevato che non può asservirsi ciecamente alla dottrina di un’unica scuola di pensiero, ma si sente in dovere di opporre il giudizio libero, tipico della tradizione romana. Questo approccio fa sì che Roma in questo periodo diventi il fulcro delle contese culturali dei filosofi greci in contrasto tra loro, tipo “Romanae Disputationes”.
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La I Catilinaria: “Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?” (sul libro a pag. 218)
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