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Gl’inni d’Italia.

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Presentazione sul tema: "Gl’inni d’Italia."— Transcript della presentazione:

1 Gl’inni d’Italia

2 Cara Italia! dovunque il dolente Grido uscì del tuo lungo servaggio; Dove ancor dell’umano lignaggio Ogni speme deserta non è; Dove già libertade è fiorita, Dove ancor nel segreto matura, Dove ha lacrime un’alta sventura, Non c’è cor che non batta per te. Quante volte sull’Alpe spiasti L’apparir d’un amico stendardo! Quante volte intendesti lo sguardo Ne’ deserti del duplice mar6 ! Ecco alfin dal tuo seno sboccati, Stretti intorno a’ tuoi santi colori, Forti, armati de’ propri dolori, I tuoi figli son sorti a pugnar. Alessandro Manzoni, 1821

3 In armi, in armi! (Inno della Giovine Italia)
Su. Figli d’Italia! su, in armi! coraggio! Il suolo qui è nostro: del nostro retaggio Il turpe mercato finisce pei re. Un popol diviso per sette destini, In sette spezzato da sette confini, Si fonde in un solo, più servo non è. Su. Italia! su, in armi! Venuto è il tuo dì! Dei re congiurati la tresca finì! Dall’Alpi allo Stretto fratelli siam tutti! Su i limiti schiusi, su i troni distrutti Piantiamo i comuni tre nostri color! Il verde, la speme tant’anni pasciuta; Il rosso, la gioia d’averla compiuta; Il bianco, la fede fraterna d’amor. Su, Italia! su, in armi! Venuto è il tuo dì! Giovanni Berchet,

4 Coro del Nabucco Va’, pensiero, sull’ali dorate; va’, ti posa sui clivi, sui colli, ove olezzano tepide e molli l’aure dolci del suolo natal! Del Giordano le rive saluta, di Sionne le torri atterrate... Oh, mia patria sì bella e perduta! Oh, membranza sì cara e fatal! Giuseppe Verdi , 1842

5 Addio, mia bella, addio Addio, mia bella, addio: l’armata se ne va; se non partissi anch’io sarebbe una viltà! Non pianger, mio tesoro: forse ritornerò; ma se in battaglia io moro in ciel ti rivedrò. La spada, le pistole, lo schioppo li ho con me: all’apparir del sole mi partirò da te! Il sacco preparato sull’òmero mi sta; son uomo e son soldato: viva la libertà!

6 Il brigidino E lo mio amore sé n’è ito a Siena, m’ha porto il brigidin di due colori: il bianco è la fè che c’incatena, il rosso è l’allegria de’ nostri cuori. Ci metterò una foglia di verbena ch’io stessa alimentai di freschi umori. E gli dirò che il rosso, il verde, il bianco gli stanno bene, colla spada al fianco, e gli dirò che il bianco, il verde, il rosso vuol dir che l’Italia il suo giogo l’ha scosso, e gli dirò che il bianco, il rosso, il verde è un terno che si gioca e non si perde. Francesco dell’Ongaro, 1847

7 La bella Gigogin Oh, la bella Gigogin, col tromilerillellera,
la va spasso col so’ spincin, A diciassette mi sono spartita... col tromilerillerà! Dàghela avanti un passo, delizia del mio cor! a ven, la ven, la ven alla finestra, Di quindici anni facevo all’amore... l’è tutta, l’è tutta, l’è tutta insipriata! Dàghela avanti un passo, La dis, la dis, la dis che l’è malada delizia del mio core! per non, per non, per non mangiar polenta! A sedici anni ho preso marito... Bisogna, bisogna, bisogna aver pazienza, lassàlla, lassàlla, lassàlla maridà!

8 La spigolatrice di Sapri
Luigi Mercantini, 1857 Eran trecento: eran giovani e forti, e sono morti! Me ne andava al mattino a spigolare quando ho visto una barca in mezzo al mare: era una barca che andava a vapore, e alzava una bandiera tricolore. All’isola di Ponza si è fermata, è stata un poco, e poi s’è ritornata; s’è ritornata ed è venuta a terra; sceser con l’armi, e a noi non fecer guerra. Sceser con l’armi, e a noi non fecer guerra, ma s’inchinaron per baciar la terra: ad uno ad uno li guardai nel viso: tutti aveano una lagrima ed un sorriso. Li disser ladri usciti dalle tane, ma non portaron via nemmeno un pane; e li sentii mandare un solo grido: -Siam venuti a morir pel nostro lido!-

9 Eran trecento: eran giovani e forti,
e sono morti! Con gli occhi azzurri e coi capelli d’oro Quel giorno mi scordai di spigolare, un giovin camminava innanzi a loro. e dietro a loro mi misi ad andare: Mi feci ardita, e, presol per la mano, due volte si scontrar con li gendarmi, gli chiesi: -Dove vai, bel capitano? e l’una e l’altra li spogliar dell’armi. Guardommi, e mi rispose: - O mia sorella, Ma quando fûr della Certosa ai muri, Vado a morir per la mia Patria bella. – s’udirono a suonar trombe e tamburi; Io mi sentii tremare tutto il core, e tra ‘l fumo e gli spari e le scintille né potei dirgli: - V’aiuti il Signore! – piombaron loro addosso più di mille.

10 Eran trecento: eran giovani e forti, e sono morti
Eran trecento: eran giovani e forti, e sono morti! Eran trecento, e non voller fuggire; parean tremila e vollero morire; ma vollero morir col ferro in mano, e avanti a loro correa sangue il piano. Finché pugnar vid’io, per lor pregai; ma un tratto venni men, né più guardai: io non vedeva più fra mezzo a loro quegli occhi azzurri e quei capelli d’oro!...

11 Inno di Garibaldi Si scopron le tombe, si levano i morti, i martiri nostri son tutti risorti! La spada nel pugno, gli allori alle chiome, la fiamma ed il nome – d’Italia sul cor! Veniamo! Veniamo! Su, o giovani schiere! Su al vento per tutto le nostre bandiere! Su tutti col ferro, su tutti col foco, su tutti col foco - d’Italia nel cor! Va fuora d’Italia, va fuora ch’è ora, va fuora d’Italia, va fuora, o stranier!

12 La camicia rossa Quando la tromba sonava all’armi con Garibaldi corsi a arruolarmi: la man mi strinse con forte scossa e mi diè questa camicia rossa! E dall’istante che t’indossai, le braccia d’oro ti ricamai! Quando a Milazzo passai sergente, Camicia rossa, camicia ardente!… Fida compagna del mio valore, S’io ti contemplo mi batte il core; Par che tu intenda la mia favella, Camicia rossa, camicia bella. Là sul Volturno, di te vestito, tu sei la stessa che allor vestia, camicia rossa, camicia mia. Con te sul petto farò la guerra ai prepotenti di questa terra mentre l’Italia d’eroi si vanta, Porti l’impronta di mia ferita, Sei tutta lacera, tutta scucita: Per questo appunto mi sei più cara, Camicia rossa, camicia rara! Tu sei l’emblema dell’ardimento, Il tuo colore mette spavento: Fra poco uniti saremo a Roma, Camicia rossa, camicia indoma! camicia rossa, camicia santa Ed all’appello di Garibaldi e di quei mille suoi prodi e baldi, daremo insieme fuoco alla mina, camicia rossa garibaldina! Se dei Tedeschi nei fieri scontri vien che la morte da prode incontri, chi sa qual sorte ti sia serbata, camicia rossa, camicia amata!

13 Goffredo Mameli, Michele Novaro

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15 La canzone degli Italiani
Goffredo Mameli, 1847 l'elmo di Scipio: L'Italia ha di nuovo sulla testa l'elmo di Scipio (Scipione l'Africano), il generale romano che nel 202 avanti Cristo sconfisse a Zama (attuale Algeria) il cartaginese Annibale. L'Italia è tornata a combattere. Le porga la chioma: La Vittoria sarà di Roma, cioè dell'Italia. Nell'antica Roma alle schiave venivano tagliati i capelli. Così la Vittoria dovrà porgere la sua chioma perché sia tagliata, perché la Vittoria è schiava di Roma che sarà appunto vincitrice. coorte: nell'esercito romano le legioni (cioè l'esercito), era diviso in molte coorti. Stringiamoci a coorte significa quindi restiamo uniti fra noi combattenti che siamo pronti a morire per il nostro ideale. Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta,  dell'elmo di Scipio s'è cinta la testa.  Dov'è la Vittoria?  Le porga la chioma,  che schiava di Roma  Iddio la creò.  Stringiamoci a coorte,  siam pronti alla morte.  Siam pronti alla morte,  l'Italia chiamò.  Stringiamoci a coorte,  siam pronti alla morte.  Siam pronti alla morte,  l'Italia chiamò, sì

16 Raccolgaci: la lingua di Mameli è la lingua poetica dell'Ottocento
Raccolgaci: la lingua di Mameli è la lingua poetica dell'Ottocento. Questo raccolgaci in italiano moderno sarebbe ci raccolga, un congiuntivo esortativo che assimila il pronome diretto. Il significato è: ci deve raccogliere, tenere insieme. una speme: altra parola letteraria e arcaica. Significa speranza. Non c'è però da stupirsi troppo se Mameli usa queste parole. Nella lingua delle canzonette di musica leggera intorno al 1950, queste parole si trovano ancora. fonderci insieme: negli anni di Goffredo Mameli l'Italia è ancora divisa in molti staterelli. Il testo dice che è l'ora di fondersi, di raggiungere l'unità nazionale. Noi fummo da secoli  calpesti, derisi,  perché non siam popoli,  perché siam divisi.  Raccolgaci un'unica bandiera, una speme:  di fonderci insieme  già l'ora suonò. Stringiamoci a coorte,  siam pronti alla morte.  Siam pronti alla morte,  l'Italia chiamò, sì! 

17 per Dio: doppia interpretazione possibile
per Dio: doppia interpretazione possibile. Per Dio è un francesismo e quindi significa "da Dio": se siamo uniti da Dio, per volere di Dio, nessuno potrà mai vincerci. Certo è però che in italiano "per Dio" può essere anche una imprecazione, una esclamazione piuttosto forte. Che avrà mai voluto intendere Goffredo Mameli? Siccome aveva Vent'anni ci piace pensare che abbia voluto lui stesso giocare sul doppio senso (in fondo i suoi rapporti con il Vaticano non erano buonissimi, tant'è vero che è morto proprio a Roma dove combatteva per la Repubblica) Uniamoci, uniamoci,  l'unione e l'amore  rivelano ai popoli  le vie del Signore.  Giuriamo far libero  il suolo natio:  uniti, per Dio,  chi vincer ci può? Stringiamoci a coorte,  siam pronti alla morte.  Siam pronti alla morte,  l'Italia chiamò, sì! 

18 Dall'Alpe a Sicilia,  Dovunque è Legnano;  Ogn'uom di Ferruccio  Ha il core e la mano;  I bimbi d'Italia Si chiaman Balilla;  Il suon d'ogni squilla  I Vespri suonò. Stringiamoci a coorte,  siam pronti alla morte.  Siam pronti alla morte,  l'Italia chiamò, sì! Dovunque è Legnano: ogni città italiana è Legnano, il luogo dove nel 1176 i comuni lombardi sconfissero l'Imperatore tedesco Federico Barbarossa Ferruccio: ogni uomo è come Francesco Ferrucci, l'uomo che nel 1530 difese Firenze dall'imperatore Carlo V. Balilla: è il soprannome del bambino che con il lancio di una pietra nel 1746 diede inizio alla rivolta di Genova contro gli Austro-piemontesi I Vespri: Nel 1282 i siciliani si ribellano ai francesi invasori una sera, all'ora del vespro. La rivolta si è poi chiamata la rivolta dei Vespri siciliani

19 Son giunchi che piegano  Le spade vendute; Già l'Aquila d'Austria Le penne ha perdute. Il sangue d'Italia E il sangue Polacco Bevé col Cosacco, Ma il cor le bruciò. Stringiamoci a coorte,  siam pronti alla morte.  Siam pronti alla morte,  l'Italia chiamò, sì!  Le spade vendute: i soldati mercenari si piegano come giunchi e l'aquila, simbolo dell'Austria, perde le penne. Il sangue polacco: L'Austria, alleata con la Russia (il cosacco), ha bevuto il sangue Polacco, ha diviso e smembrato la Polonia. Ma quel sangue bevuto avvelena il cuore degli oppressor

20 « […] Fu composto l'otto settembre del quarantasette, all'occasione di un primo moto di Genova per le riforme e la guardia civica; e fu ben presto l'inno d'Italia, l'inno dell'unione e dell'indipendenza, che risonò per tutte le terre e in tutti i campi di battaglia della penisola nel 1848 e 1849 […] » (Giosuè Carducci[17])

21 « […] Mi posi al cembalo, coi versi di Goffredo sul leggio, e strimpellavo, assassinavo colle dita convulse quel povero strumento, sempre cogli occhi all'inno, mettendo giù frasi melodiche, l'un sull'altra, ma lungi le mille miglia dall'idea che potessero adattarsi a quelle parole. Mi alzai scontento di me; mi trattenni ancora un po' in casa Valerio, ma sempre con quei versi davanti agli occhi della mente. Vidi che non c'era rimedio, presi congedo e corsi a casa. Là, senza neppure levarmi il cappello, mi buttai al pianoforte. Mi tornò alla memoria il motivo strimpellato in casa Valerio: lo scrissi su d'un foglio di carta, il primo che mi venne alle mani: nella mia agitazione rovesciai la lucerna sul cembalo e, per conseguenza, anche sul povero foglio; fu questo l'originale dell'inno Fratelli d'Italia […] » (Michele Novaro)

22 Umnos eis thn eleuqerian Inno alla libertà
Σε γνωρίζω από την κόψη, του σπαθιού την τρομερή, Σε γνωρίζω από την όψη, που με βια μετρά[ει] τη[ν] γη. Απ' τα βγαλμένη, των Ελκόκαλα λήνων τα ιερά, Και σαν πρώτα ανδρειωμένη [oder -μένοι], χαίρε, ω χαίρε Ελευθεριά. Inno alla libertà Di quel brando io ti ravviso al ferir tremendo in guerra, ed al guardo che la terra misurar sa in un balen: Dalle sacre ossa degli avi qual giù un tempo e forte e ardita or risorta a nuova vita, salve, salve o Libertà.

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24 Suona la tromba Suona la tromba: ondeggiano le insegne gialle e nere. Fuoco! perdio, sui barbari, sulle vendute schiere. Già ferve la battaglia al Dio dei forti, osanna! le baionette in canna è giunta l'ora di pugnar!   Non deporrem la spada non deporrem la spada, finchè sia schiavo un angolo dell'itala contrada. Non deporrem la spada non deporrem la spada, finchè non sia l'Italia una dall'Alpi al mar.

25 Marcia reale Fanfara: Evviva il Re! Evviva il Re! Evviva il Re! Chinate, oh reggimenti, le Bandiere al nostro Re, la gloria e la fortuna dell'Italia con Lui è. Chinate, oh reggimenti, le Bandiere al nostro Re, bei fanti di Savoia gridate «Evviva il Re!». Marcia: Viva il Re! Viva il Re! Viva il Re! Le trombe liete squillano. Viva il Re! Viva il Re! Viva il Re! Con esse i canti echeggiano. Rullano i tamburi e le trombe squillano, squillano. Cantici di gloria eleviamo con gioia e fervor. Tutta l'Italia spera in te, l'Italia crede in te, segnal di nostra stirpe e libertà, e libertà! Quando i nemici agognino i nostri campi floridi dove gli eroi pugnarono nella trascorsa età finché duri l'amor di Patria fervido finché regni la nostra civiltà. L'Alpe d'Italia libera del bel parlare angelico piede d'odiato barbaro giammai calpesterà finché duri l'amor di Patria fervido finché regni la nostra civiltà. Come falange unanime i figli della Patria si copriran di gloria gridando «Viva il Re!» Viva il Re!

26 La leggenda del Piave (inno provvisorio 1943-46)
Il Piave mormorava Calmo e placido al passaggio Dei primi fanti , il ventiquattro Maggio: l'Esercito marciava per raggiungere la frontiera, per far contro il nemico una barriera… Muti passaron quella notte i fanti: tacere bisognava, e andar avanti! S'udiva, intanto, dalle amate sponde, sommesso e lieve il tripudiar dell'onde, Era un presagio dolce e lusinghiero. Il Piave mormorò: "Non passa lo straniero!"

27 Giovinezza Salve, o Popolo d'Eroi Salve, o Patria immortale! Son rinati i figli tuoi Con la fé nell'ideale. Il valor dei tuoi guerrieri, La virtù dei pionieri La vision de l'Alighieri Oggi brilla in tutti i cuor. Giovinezza, giovinezza, Primavera di bellezza Della vita nell’asprezza Il tuo canto squilla e va! Dell’Italia nei confini Son rifatti gli Italiani, Li ha rifatti Mussolini Per la guerra di domani, Per la gioia del lavoro, Per la pace e per l'alloro, Per la gogna di coloro, Che la Patria rinnegar. I poeti e gli artigiani, I signori e i contadini, Con orgoglio d’italiani Giuran fede a Mussolini. Non v’è povero quartiere Сhe non mandi le sue schiere, Сhe non spieghi le bandiere Del Fascismo redentor.

28 Nel 1960 viene bandito un concorso per scrivere un nuovo inno
Nel 1960 viene bandito un concorso per scrivere un nuovo inno. Ci furono centinaia di proposte, ma alla fine nessuna venne presa in considerazione. In un sondaggio proposto dalla Rai, sempre nel 1960, si chiese agli Italiani quale grande brano preso dalla lirica avrebbero preferito come inno nazionale. I più votati furono il «Và pensiero», la marcia trionfale de «L’ Aida» e l’inno a Roma di Puccini.

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31 «Quando lo ascolti sull’attenti, ti fa vibrare dentro
«Quando lo ascolti sull’attenti, ti fa vibrare dentro. È un canto di libertà di un popolo che, unito, risorge dopo secoli di divisione e di umiliazioni.» (Carlo Azeglio Ciampi)

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