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Distu Università di Viterbo 25 ottobre 2011
La riforma dei controlli
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Il punto di partenza delle riforme
Prima della stagione delle riforme amministrative i controlli erano svincolati da qualsiasi logica aziendale ed economica Essi si limitavano a verifiche preventive di regolarità formale: - rigide (applicazione uniforme a ogni atto) - inefficaci (crescita spesa pubblica, scarsa qualità servizi, corruzione sistemica) Il cittadino era escluso dalla attività di controllo (nessuna informazione nè forme di partecipazione)
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Obiettivi delle riforme
Dare maggior peso al principio costituzionale del buon andamento (efficienza, efficacia, economicità) Orientare la gestione delle pubbliche amministrazioni verso criteri economici attraverso l’individuazione degli obiettivi e la misurazione dei risultati Passare dal controllo esterno preventivo di legittimità al controllo interno orientato ai risultati
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Primo ciclo: La riforma Cassese
Nella XI legislatura vengono gettati i semi della riforma dei controlli: - riduzione drastica del controllo preventivo di legittimità da parte della Corte dei Conti - distinzione tra politica e amministrazione: esercizio dell’indirizzo politico attraverso l’emanazione di una direttiva annuale contenente l’attribuzione delle risorse e degli obiettivi alle unità organizzative - istituzione all’interno dei gabinetti dei servizi di controllo interno cui era affidata la valutazione di costi e rendimenti
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Secondo ciclo: La riforma Bassanini (D.lgs. 286/1999)
Il controllo interno viene articolato in quattro funzionalità: 1. Controllo strategico per dotare l’indirizzo politico di un supporto professionale per fissare priorità, definire livelli di performance, formulare un giudizio di adeguatezza dei sistemi direzionali esistenti 2. Controllo di gestione per rilevare l’efficienza organizzativa 3. Valutazione della dirigenza 4. Controllo di regolarità amministrativa e contabile
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Secondo ciclo: La riforma Bassanini
k Secondo ciclo: La riforma Bassanini Assenza di una connessione tra sistema dei controlli e accountability delle amministrazioni (gli uffici preposti ai controlli riferisco ai vertici politici in via riservata): Controlli come esclusivo supporto alle funzioni direzionali Introduzione del CTS (Comitato Tecnico Scientifico per la Valutazione e il Controllo Strategico nelle amministrazioni dello Stato) che viene istituito presso la Presidenza del Consiglio per guidare dal centro l’implementazione dei controlli offrendo sostegno metodologico ai Servizi di Controllo Interno
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Secondo ciclo: L’implementazione della riforma Bassanini
Scarso interesse dei politici (direttive di scarsa qualità emanate in ritardo) Professionalità impegnate nei SECIN squilibrate sul versante delle competenze giuridico/amministrative Mancato raccordo con la programmazione finanziaria Sforzo del CTS e delle direttive madri della Presidenza del Consiglio è stato centrato sulla omogeneizzazione dei processi di programmazione e controllo piuttosto che sulla circolazione delle pratiche tra amministrazioni differenziate Indebolimento del legame tra controlli e riforma amministrativa (passaggio dal DFP al Ministero per l’Attuazione del Programma)
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Secondo ciclo: L’implementazione della riforma Bassanini
Riforma affetta da “Implementation gap”: Introduzione tardiva e formale degli strumenti di performance management come mero obbligo normativo da soddisfare Monitoraggio basato sulle dichiarazioni dei dirigenti piuttosto che su obiettivi sfidanti e indicatori specifici Erogazione indifferenziata della retribuzione di risultato (97% dei dirigenti ha conseguito il 100% degli obiettivi nel 2006)
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Gli approcci per spiegare l’implementation gap
1. L’approccio del regime politico-amministrativo L’introduzione dei sistemi di performance management è un trend globale Diversi contesti di riforma determinano diverse traiettorie di implementazione del trend globale (Pollitt e Bouckaert) La traiettoria italiana è caratterizzata da un deficit di implementazione che scaturisce dalle caratteristiche del regime politico-amministrativo italiano che determina una bassa capacità di riforma Il contesto politico frammentato indebolisce gli esecutivi Il contesto amministrativo (cultura legalista, assenza di meccanismi di coordinamento orizzontale) inibisce gli sforzi di riforma
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Gli approcci per spiegare l’implementation gap
2. L’approccio della tradizione amministrativa Una riforma di ispirazione manageriale come quella del performance management è inibita da una tradizione amministrativa ostile Le dimensioni della tradizione amministrativa napoleonica tipica del sistema italiano: - Concezione organica dello Stato (scarsa attenzione al cittadino come utente dei servizi) - Concezione legalista dell’amministrazione - Politicizzazione dell’amministrazione - Carriera burocratica separata dalle altre carriere - Enfasi sull’uniformità - Concezione formale dell’accountability
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Gli approcci per spiegare l’implementation gap
Gli approcci del regime politico-amministrativo e della tradizione amministrativa riescono a inquadrare solo il fallimento delle riforme a livello macro in contesti di implementazione difficili In Italia, però, l’implementazione del performance management ha avuto successo a livello micro (singole organizzazioni), soprattutto nel mondo delle autonomie locali dove la riforma dei controlli in alcuni casi ha superato i tre stadi della costruzione di capacità amministrativa: - Introduzione (formazione di nuove strutture, mobilitazione risorse) - Implementazione (effettiva attuazione delle disposizioni relative all’introduzione) - Internalizzazione (l’innovazione diventa routine organizzativa) Si rende necessario il ricorso ad approcci più attenti alla dimensione processuale delle riforme
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