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Introduzione al teatro classico La tragedia greca

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Presentazione sul tema: "Introduzione al teatro classico La tragedia greca"— Transcript della presentazione:

1 Introduzione al teatro classico La tragedia greca

2 Contesto storico Il teatro nasce durante la tirannide di Pisistrato (534-33). Nell’ambito di feste pubbliche in onore di Dioniso vengono allestiti agoni ‘drammatici’, rappresentazioni sceniche di un’azione (drama). Nel corso di alcuni decenni lo spettacolo si precisa nei contenuti e nella struttura. La tragedia, primo genere teatrale, viene poi affiancato al dramma satiresco e la commedia. La stagione del grande teatro classico durerà meno di un secolo, e attraverserà un periodo storico per Atene denso di eventi grandiosi e tragici: caduta la tirannide, la costituzione clistenica e instaurazione della democrazia, la vittoria sulla Persia, l’imperialismo ateniese, l’età di Pericle, le alterne vicende della lunga guerra del Peloponneso ( ) fino alla totale resa di Atene. La grande stagione della tragedia greca finisce di fatto con la messa in scena dell’ultima opera dell’ultimo grande tragediografo, l’Edipo a colono di Sofocle del 401 (anche se gli agoni teatrali continueranno nel IV secolo).

3 Contesto culturale Dalla tirannide di Pisistrato Atene inizia una profonda trasformazione politico-culturale rispetto alla società aristocratica del VI sec., che la porterà verso la prima forma di democrazia diretta. La politica culturale di Pisistrato tendeva al controllo dei contenuti tradizionali aristocratici, base imprescindibile della formazione del cittadino, adeguandoli a una realtà sociale nuova allargata. Con gli agoni drammatici si apre la possibilità di riutilizzare il materiale mitico in forme sempre aggiornate, adeguando le sue potenzialità paradigmatiche all’attualità politica e culturale della polis, così da interpretare i fermenti che percorrevano la società. Con il teatro si dà voce in modo nuovo al legame tra divinità, polis e poesia. Il teatro è legato al culto di Dioniso, che si esprime in rituali volti a stabilire una connessione profonda tra l’uomo, la natura e la divinità stessa.

4 TEATRO E DEMOCRAZIA Il genere drammatico, restaurata la democrazia, diventerà espressione di una comunità politica che costruisce la propria identità negli spazi della polis (l’agorà, il teatro, il tribunale), capaci di farsi carico del confronto politico e della formazione del cittadino. Attraverso l’interpretazione dei contenuti mitici, il teatro diventa spazio di scambio di idee sulle grandi questioni etico-politiche, sulle quali la comunità deve confrontarsi. Il mito rappresenta l’ossatura del sistema culturale tradizionale e fornisce l’interpretazione dell’uomo nel mondo e del suo rapporto con gli dei. La trasformazione della società richiedeva una rilettura del mito, attraverso un nuovo genere poetico. Mediante la forma del nuovo genere tragico si mescolano elementi della poesia corale di matrice arcaico-aristocratica con elementi che riproducono il dialogo, il dibattito, strumento privilegiato del confronto democratico.

5 Il teatro reinterpreta il mito
Nel nuovo genere drammatico la città ha la possibilità di reinterpretare sempre se stessa, rinnovando la sua identità dinamica, mantenendosi però sempre solidamente ancorata alla tradizione. Per fare questo si deve selezionare, adattare, modificare: il mito epico si trasforma in mito tragico. Il poeta sceglie la vicenda, focalizza l’attenzione sull’azione e sugli effetti che essa determina sui personaggi. Il dialogo pone di fronte allo spettatore la passione, il dolore, il rapporto con il divino senza l’intermediazione del narratore. L’azione è sottolineata e dilatata dalla presenza del coro che si alterna agli attori e rappresenta in vario modo la comunità e la sua reazione di fronte alla scena. La vicenda epica si carica di significati nuovi, espressione del dibattito contemporaneo: il concetto di violenza e di eccesso, l’apprendimento della saggezza e della moderazione, il significato della sofferenza, l’acquisizione della consapevolezza, il problema della responsabilità e della colpa, il rapporto libertà e destino.

6 Le Grandi Dionisie Le rappresentazioni teatrali più importanti avvengono all’interno delle Grandi Dionisie (marzo-aprile), che riveste un’importanza politica, religiosa e sociale di primo piano. L’idea di festa religiosa non è separabile da quella di festa della comunità politica. Le azioni e le parole in scena per i cittadini riuniti assumono un significato politico ed etico-religioso che annulla la distanza tra il pubblico e le vicende epiche. Il responsabile dell’organizzazione delle Grandi Dionisie è l’arconte eponimo. La festa vera e propria è preceduta dalla processione con sacrifici e rituali di vario tipo e dal proagone, una cerimonia durante la quale i tragediografi in gara (accompagnati dagli attori) riassumevano al pubblico il contenuto delle tragedie che sarebbero state rappresentate. Seguiva altra processione con i tributi degli alleati e gli orfani di guerra armati dallo Stato: la città celebra se stessa. Nei giorni successivi si svolgevano: gli agoni ditirambici, gli agoni tragici in tre giorni consecutivi con tetralogie (3 tragedie e un dramma satiresco), gli agoni comici, 5 in una giornata.

7 Aspetti tecnici Gli spazi: cavea, orchestra, scena. Dalla agorà si passa già nel 499 al teatro stabile presso il santuario di Dionisio Eleutereo alle pendici meridionali dell’acropoli. Gli attori sono tutti maschi con maschere. Si passa da un attore a due con Eschilo, tre con Sofocle. I tre attori interpretano tutti i personaggi in scena. Coro: prima 12 coreuti poi con Sofocle 15. Uno dei coreuti il corifeo (uomo di punta) ha il compito di dialogare con i personaggi come portavoce del coro. Aspetti economici: le spese degli agoni tragici erano coperte dalla coregìa, ovvero la liturgia per cui un ricco cittadino si assumeva le spese del coro tragico e dei costumi. Le parti della tragedia: prologo, parodo, episodi (da un minimo di tre a un massimo di 5) monologhi o reseis, dialogo serrato sticomitie, scambi di battuta all’interno di uno stesso verso antilabè, strutture miste di canto e recitazione o sezioni epirrematiche, duetti lirici tra attore e coro amebei, kommoi canti di lamento; stasimi, esodo.

8 La questione delle origini Le testimonianze antiche
L’origine della tragedia rimane questione aperta. L’autore antico che ci fornisce il maggior numero di informazioni è Aristotele nella Poetica. Le altre testimonianze antiche sono Erodoto e la Suda (X sec.) Aristotele Poetica (1149A): ‘(la tragedia) derivò la sua origine dall’improvvisazione […] dei corifei che intonavano il ditirambo. […] Richiese tempo per acquistare nobiltà dovendo abbandonare la sua impronta satiresca (satyricòn)’ […] Erodoto (Storie I 23) ‘Arione […] primo fra gli uomini di cui abbiamo conoscenza compose un ditirambo e gli diede il nome e lo fece rappresentare a Corinto”. Erodoto (Storie V 67) ‘i Sicioni veneravano Adrasto in molti modi, e fra l’altro celebravano con cori tragici le sue sventure […], venerando non Dioniso ma Adrasto. Clistene invece restituì i cori a Dioniso’ Suda ‘. Arione di Metimna […] si dice sia stato l’inventore dello stile tragico, che abbia istituito per primo un coro e cantato un ditirambo e che abbia dato un titolo a ciò che era cantato da un coro e abbia introdotto dei satiri che recitavano in versi’.

9 L’origine: una ricostruzione complessa
Aristotele riteneva che la tragedia fosse un’evoluzione dei ditirambi satireschi, e sembra riconoscere i primordi del dialogo drammatico dalla contrapposizione tra i corifei e il coro (cfr. Teseo Bacchilide). Il primo nucleo delle forme teatrali sarebbe da individuare in un originario satyricòn collegato per contenuti e contesto con il culto di Dioniso; da qui si sarebbero sviluppati il dramma satiresco e il ditirambo. Dal ditirambo poi si sarebbe sviluppata la tragedia. Il ditirambo è collegato al culto di Dioniso già da Archiloco (fr. 120w); probabilmente Arione fu il primo a trasformare il ditirambo in canto corale; il fatto che la Suda attribuisca ad Arione l’invenzione dello stile tragico confermerebbe la stretta correlazione tra ditirambo e tragedia. Ad Arione la tradizione attribuisce anche la disposizione circolare del coro ditirambico, due semicori che dialogano cantando. Il passaggio successivo sarà il corifeo che dialoga con il coro, il primo nucleo di dialogo drammatico. Il ditirambo per la sua struttura duttile e fluida amplia il proprio orizzonte tematico ed espressivo. Erodoto testimonia come il culto dell’eroe (Adrasto) diventi contenuto del ditirambo (cfr. i ditirambi di Bacchilide che di dionisiaco hanno ben poco).

10 La tragedia come rituale collettivo
La tragedia oltre ad essere evento politico, culturale, paideutico, è un evento rituale, ricorda il rito iniziatico che libera l’uomo dalle pulsioni emozionali. Nella tragedia si vedono gli istinti, le passioni per lasciarli andare dopo averli conosciuti, raggiungendo una consapevolezza profonda che porta alla saggezza, cioè quell’insieme di temperanza, autocontrollo, accettazione. Eschilo fu accusato di aver svelato misteri eleusini; questo da un lato farebbe presupporre che ad Eleusi si facessero drammi (il rapimento di Persefone, il dolore e la ricerca di Demetra, accoglienza di Demetra presso il re di Eleusi, da cui la fondazione dei misteri eleusini); dall’altro lato, poiché l’esperienza dei misteri eleusini culminava con la visione suprema, ci farebbe pensare che nella tragedia venisse reso essoterico il cuore della verità che veniva rivelata ad Eleusi: la contemplazione del mistero profondo della vita e della morte. Nella tragedia tale contemplazione la troviamo umanizzata, messa in scena, con maschere. La maschera è simbolo del teatro ma anche il simbolo rituale dell’uscita da sé (l’estasi dionisiaca) l’unica via per cogliere il mistero. Dioniso è anche il dio del teatro

11 Dioniso il dio del teatro: il grande assente
Dioniso era connesso ad Eleusi (figlio di Persefone) e all’esperienza iniziatica; è divinità che si collega al mistero della morte e della rinascita. E’ il dio della natura che muore e rinasce, che genera e distrugge. Dioniso è il dio del teatro, ma compare solo in una tragedia (le Baccanti) Dioniso era considerato dai greci un dio di origine straniera. Omero lo nomina ma non l’inserisce nel pantheon dei grandi dèi olimpici. Il suo culto sarebbe giunto dalla Tracia a Tebe. Dioniso ‘fecondò’ la Grecia facendo emergere gli impulsi emotivi, ma il genio ellenico dimostrò tutta la sua grandezza proprio nel cercarne, al contempo, la ‘sublimazione’ attraverso una duplice via: quella filosofico-religiosa e quella artistico-espressiva. Da un lato le energie emozionali erano volte alla conoscenza religiosa: l’iniziato uscendo dalla propria condizione umana (estasi) si faceva ‘dio’; l’esperienza mistica era così connessa all’idea ‘filosofica’ di una Unità di tutte le singole forme, di una Forza di Vita che tutte le produce e dissolve, che si può cogliere solo superando la propria individualità. Dall’altro il dionisismo stimolò l’arte visiva, la musica, la poesia e in particolare la tragedia (che genera nello spettatore, secondo Aristotele, la catarsi delle pulsioni emozionali rappresentate).

12 La sapienza dionisiaca: pathei mathos
Pathèi mathos. Dioniso è il dio del pathos, dell’urgere della vita, del dolore, della gioia, dell’odio, di tutte le possibili condizioni emozionali del genere umano così come è il dio delle forze vitali e distruttive della natura; ma è anche il mathos cioè il distacco, la contemplazione. Dioniso è il dio fondamentale della sapienza ellenica, in stretta correlazione con Apollo: a Delfi antiche tradizioni riferivano che prima che vi giungesse Apollo la Pizia profetizzava incorporando Dioniso (Schol. Pind.); Pausania ci riferisce che la sua tomba era collocata all’interno del celebre tempio (Plut., De Iside, 35). Dioniso è il fremito della vita e il distacco da essa. Ciò che la razionalità divide Dioniso unisce. Non si raggiunge la conoscenza dionisiaca attraverso la sfera mentale, attraverso la ragione, ma il sentire. L’esperienza sapienziale dionisiaca è un’esperienza non intellettuale ma viscerale ed è esperienza che unisce, che consente di acquisire uno sguardo capace di accogliere tutti gli opposti della vita e della nostra interiorità come legittimi. Dioniso è il dio dell’unità, il dio che unisce gli opposti (è l’Uno-Tutto, che è l’Indicibile, il Mistero). La sapienza ellenica unisce empatia e distacco.

13 Il genere tragico nasce in Grecia
Il genere tragico nasce in Grecia. Il popolo greco è un popolo ‘tragico’ perché vide la scissione, la lacerazione che caratterizza la physis: la natura è insieme crudele e innocente perché genera e distrugge. Tale lacerazione caratterizza anche la natura umana. Ma la crudeltà della natura non è mai un’obiezione alla vita. La distruzione delle singole forme non è un’obiezione nei confronti della generazione. I Greci hanno due parole per indicare la vita zoè e bios. Zoè è l’esistere, il vivere in sé della natura, che distrugge e rigenera. Le morti per la natura non sono mai morti: la morte è morte per il singolo, per la natura è accoglienza. Nelle Coefore di Eschilo Elettra di fronte alla tomba del padre in una preghiera rituale dirà ‘O natura che tutto generi e ne accogli il germe fecondo’; il ‘germe fecondo’ è il cadavere. Zoè è rigenerazione infinita, sebbene le singole forme siano mortali. Ciò che per la natura è rigenerazione per il singolo è la fine. Bios è la vita della forma singola che presuppone la morte. L’unico ente consapevole della sua finitezza è l’uomo che pertanto è insieme vita e morte, è nell’agone costante tra vita e morte.

14 Tutta la tragedia è costruita sul doppio
Il cuore della tragedia è la contraddizione profonda tra vita e morte, da cui si declinano tutte le altre contraddizioni (gli opposti) che caratterizzano la natura umana. Tutta la tragedia è costruita sul doppio, così come sul linguaggio ambiguo a livello di parole e di metafore. Lo svolgimento della tragedia è il prodursi del doppio. Questa dimensione della doppiezza, della contraddizione fa parte della vita umana. Ogni vita è oppressa da potenze che la costringono e la sovrastano (il destino); vivere (così come la libertà) significa districarsi fra queste potenze. C’è uno spazio per potersi districare. Nel pensiero greco non c’è un’idea incondizionata di libertà ma una libertà è possibile nel gioco contrastante delle forza. E’ qui che emerge la grandezza dell’uomo. Due le strade: l’eroe e il sapiente.


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