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GARIBALDI E LA SPEDIZIONE DEI MILLE
Dopo la Seconda guerra d’indipendenza il regno di Sardegna comprendeva Piemonte, Liguria, Sardegna, Lombardia, Toscana, Emilia e Romagna. I democratici facevano piani per liberare il regno delle Due Sicilie, e in vista di una spedizione, raccoglievano fondi per comperare fucili. Tuttavia il tentativo dei fratelli Bandiera (1844) aveva mostrato quanto fosse rischioso uno sbarco nel Mezzogiorno d’Italia. Perciò Garibaldi attendeva un’occasione propizia. Ma quando a Palermo scoppiò una rivolta popolare, nell’aprile 1860, il generale decise di passare all’azione.
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La notte fra il 5 e il 6 maggio 1860, dopo essersi impossessato di due piroscafi, il Piemonte e il Lombardo, Garibaldi salpò dal porticciolo ligure di Quarto alla volta della Sicilia. Aveva con sé poco più di un migliaio di volontari in camicia rossa: i Mille. Garibaldi e i suoi uomini avrebbero combattuto in nome del re per costruire un’Italia monarchica sotto la dinastia dei Savoia.
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L’11 maggio i Mille sbarcarono in Sicilia e fin dal primo scontro batterono l’esercito borbonico a Calatafimi. Ma la battaglia decisiva per la conquista della Sicilia fu combattuta a Milazzo, dove Garibaldi fu raggiunto da volontari arrivati dal continente: le truppe dei Borboni vennero nuovamente sconfitte e dovettero abbandonare l’isola. Garibaldi comandava ormai un vero piccolo esercito, a cui si erano aggregati, oltre ai volontari del continente, anche molti insorti siciliani, soprattutto contadini.
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Con l’aiuto di Garibaldi, i contadini che speravano di liberarsi dalla loro miseria e di potersi impadronire di un pezzo di terra. Garibaldi aveva abolito la tassa sul macinato (cioè sulle farine), che colpiva soprattutto i più poveri, e aveva promesso di distribuire ai contadini che combattevano con lui le terre tolte al demanio. Ma, anche se la giustizia sociale gli stava a cuore, egli lottava soprattutto per cacciare i Borboni e unificare l’Italia: perciò non poteva tollerare illegalità e disordini che avrebbero potuto togliergli l’appoggio di molti borghesi possidenti e fornire il pretesto per interventi delle potenze straniere. .
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Così, quando i contadini siciliani insorsero contro i latifondisti e occuparono le terre (per esempio, a Bronte, in provincia di Catania), i garibaldini intervennero prontamente e repressero la rivolta con grande durezza. Episodi come questo indussero i grandi proprietari terrieri siciliani a pensare che solo la protezione del forte regno piemontese poteva difendere le loro proprietà.
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Viene proclamato il regno d’Italia
Il regno di Sardegna comprendeva ormai quasi tutta la penisola: mancavano solo, a nord, il Veneto con Trento e Trieste – sottoposti al dominio austriaco – e, al centro, il Lazio con Roma. Il 17 marzo 1861 il parlamento di Torino poteva proclamare Vittorio Emanuele II re d’Italia. Capitale del nuovo regno d’Italia restava Torino
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L’UNITA’ D’ITALIA A conquistare Roma, nel 1862, provò Garibaldi. Insieme ai suoi volontari egli partì dalla Sicilia ma sull’Aspromonte (in Calabria) fu fermato. Nel 1864 la capitale del regno fu spostata da Torino a Firenze, lasciando intendere che l’Italia aveva rinunciato a Roma capitale.
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Si apriva intanto per il regno d’Italia la possibilità di ottenere il Veneto, ancora in mano austriaca, combattendo contro l’Austria a fianco di un nuovo alleato: la Prussia La Prussia era diventata una grande potenza economica. Possedeva industrie moderne, le banche più importanti della Germania, un’efficiente rete ferroviaria che la collegava a quasi tutti gli Stati della Confederazione. Lo Stato prussiano si assunse IL COMPITO DI UNIFICARE LA GERMANIA: il re di Prussia nominò cancelliere (cioè capo del governo, Kanzler in tedesco) il conte Otto von Bismarck, grande statista e diplomatico.
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Alla guerra Bismarck si preparò rafforzando l’esercito, assicurandosi la neutralità della Francia e della Russia e procurandosi l’alleanza italiana, importante perché avrebbe costretto l’Austria a combattere su due fronti. La guerra iniziò nel L’esercito e la marina italiani affrontarono gli Austriaci sia per terra (a Custoza) sia per mare (a Lissa), ma furono sconfitti. Solo Garibaldi con le sue “camicie rosse” riportò qualche successo in Trentino. L’esercito prussiano sbaragliava le forze austriache con una sola decisiva vittoria a Sadowa. L’Austria, battuta e costretta alla resa, dovette cedere il Veneto all’Italia, per la quale il conflitto rappresentò la terza guerra d’indipendenza.
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La presa di Roma Nel 1870 ebbe inizio la guerra franco-prussiana: la Francia fu sconfitta dalla Prussia a Sedan. L’Impero francese fu dichiarato decaduto e Guglielmo I di Prussia fu nominato imperatore tedesco. Sconfitto Napoleone III e caduto l’impero, non c’era più motivo di rimandare la presa di Roma: Il 20 settembre 1870, un reparto di bersaglieri entrò nella città, aprendo un varco nelle mura, presso Porta Pia Qualche giorno più tardi il popolo romano votava, con un plebiscito, l’annessione di Roma e del Lazio al regno d’Italia. .
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Dopo la presa di Roma, il parlamento approvò la legge delle guarentigie (cioè delle garanzie).
Con essa lo Stato italiano assicurava al pontefice tutte le condizioni necessarie al libero svolgimento della sua missione spirituale, gli assegnava i palazzi del Vaticano, del Laterano e di Castel Gandolfo, riconosceva l’inviolabilità della sua persona e si impegnava a versargli una somma annua a titolo di risarcimento. Ma Pio IX rifiutò l’offerta e vietò ai cattolici di partecipare alla vita politica
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