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PubblicatoGianluigi Pisano Modificato 6 anni fa
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Raffaello Sanzio [nasce ad Urbino 1483 – muore a Roma 1520]
Una morte prematura – fu sepolto nel Pantheon a Roma con tutti gli onori dei grandi mentre i grandi umanisti rimpiangeranno la mancata ricostruzione umanistica di Roma annunciata da Raffaello in una lettera a Leone X che peraltro morì lo stesso anno. Per Raffaello l’antico non era visto come ultima armonia cui pervenire in un processo di statico recupero del passato, ma quale punto di partenza di un’arte nuova, capace di ripristinare l’antica età dell’oro, preannunciando l’ideale classico del primo Seicento. Ma chi era Raffaello e quale la sua formazione? Raffaello Sanzio
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Raffaello era figlio di Giovanni Santi e nacque ad Urbino nella città per eccellenza (urbis) incontro tra culture, tra matematici e filosofi e sede nel secolo che consideriamo del Duca da Montefeltro. Urbino fu la città ideale per molti artisti di ispirazione latina e francescana. Raffaello si forma sul disegno lineare e prospettico di stile antico di Piero della Francesca, un pittore che non rinuncia ad assaporare i generi più disparati inventando lui stesso alcune forme di inquadratura dei soggetti in primissimi piani (per dare un senso di partecipazione e vicinanza) con sfondi di interni o di paesaggio, analogo in parte ad una dimostrazione di conoscenza dell’antichità per presenza di citazioni dall’antico (corse con carri sulla striscia dei fori romani sono infatti rappresentate nel retro di alcuni quadri ad icona ovvero dotati di sportelli dipinti. La presenza inoltre del riferimento riminese dava all’artista la possibilità di riprendere motivi portuali con riferimenti sempre all’antico e alla navigazione). Ispirato dalle opere giovanili del Bellini, Raffaello, inoltre, intraprende un genere inizialmente illusionistico, dove la fantasia e la restituzione di cieli immaginari, fanno da cornice ad eventi tratti dalla storia Cristiana e dunque dai vangeli. Link interattivo: Dizionario Toscano del disegno - Baldinucci
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Questi risultavano incorniciati narrativamente sotto forma di una vera e propria illustrazione fantastica, fatta di gamme cromatiche chiaroscurali accese e contrastate a toni caldi e freddi. Quindi, dall’interno della rappresentazione, questi scenari fantastici, popolati di putti alati colorati di gradazioni calde e fredde, ora più bianche ora più solari ed ocra, sembravano galleggiare beatamente con un effetto più che altro narrativo e teatrale, su cieli incredibilmente evocativi, dall’effetto illustrato. È con la frequentazione dell’elite culturale, dal Laurana a Francesco di Giorgio, che la corte di Montefeltro a Urbino riuscirà ad essere un punto di partenza per il nostro artista e poi cultore di disegno e di antichità. Dagli undici anni in su è costretto a badare alla bottega ereditata dal padre e a cimentarsi con pittori del calibro di un perugino che presto lo inviterà a Roma per confrontarsi su opere illustrative dell’oratorio magistrale della Cappella Sistina. Raffaello dimostrando di essere all’altezza delle conoscenze del maestro, acquisito alla morte del padre dipingerà, su modello della Cappella Palatina di Acquisgrana la ancona pala di altare de Lo sposalizio della Vergine di 168,2 per 113,2 centimetri conservata alla Accademia di Brera, a Milano la cui composizione innovativa per la forma mossa delle figure e la dimensione raccolta del proscenio, restituirà una intimità e un calore emotivo mai risolto prima. Pietro Perugino
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Qualche dettaglio per comprendere la personalità dell’artista: egli si firma a caratteri capitali e con la datazione romana proprio sulla parte frontale del poliedro a sedici lati che costituisce il tamburo e il pronao porticato della cappella. Le scalinate sono ambientate da personaggi più vicini per costume all’artista e la scena dello sposalizio appare realizzata secondo una sorta di codice di simboli e riferimenti da un lato a Giuseppe e dall’altro alla Vergine Maria. I gesti contenuti che indicano riserbo e dedizione, i piedi messi in pose assimilate alla coreografia cortese, fanno di questa opera un esempio ingentilito di opera cortese. Da un lato, sembra, sulla destra, il ritratto di Raffaello che potrebbe avere sedici diciassette anni. Conquista l’idea che l’opera si ponga come Scuola mariana. Si direbbe, con il linguaggio di oggi: un manifesto programmatico per l’opera di Raffaello. Il saggio del manuale (Bona Castellotti) pone ancor più l’attenzione sul fatto che la citazione epigrafica a lettere capitali latine, ricordi autobiograficamente la formazione dell’artista e non è quindi un caso se il fregio posto sulla trabeazione del palazzo ducale che dà all’interno di Urbino, sia proprio sulla piazza, restituendo così una messa in pagina prospettica proporzionata allo spazio reale della piazza stessa.
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Armonizzazioni: bellezza classica e chiarezza umanistica sembrano aleggiare con rapporti geometrici riconoscibili, qualitativamente in tutta l’opera. Dagli archi ai contrafforti classicheggianti alle finestre scure ma classiche, per non parlare di quella soglia aperta verso il paesaggio anteriore che tanto sarà il pregio nel lavoro di Leonardo a Milano (Il cenacolo). L’ordine culturale e conservativo sembra riaprirsi ad una equilibrata interpretazione tra le teorie di Leon Battista Alberti e quelle di Piero della Francesca in solide ma armoniose inquadrature prospettiche il cui reticolo non è così irrigidito dalla conoscenza poetica e letteraria del nostro Raffaello. Sono stati fatti riferimenti alle ritmie musicali, alla concinnitas intesa come armonia dell’intero con le parti, dal fraseggio all’intero modo di orchestrare i valori timbrici e tonali. Dimostrano una cittadella che ambisce ad essere una rinascimentale capitale della cultura. Certo la continuità della ricerca sulla forma rotonda, sulla pianta a fuoco centrale attorno alla quale sia imperniato come valore il raccordo con il paesaggio, fa pensare ad una sorta di antropocentrismo.
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La citazione è esauriente: nel VII libro del De Aedificatoria Pingendi Alberti aveva ben teorizzato la graduata sopraelevazione della pianta sulla stregua dell’antico modo di scegliere il luogo per il tempio o per comparazione, per identificare la partitura marmorea e la scena umana del secondo stile, in un teatro vivente – secondo le leggi retoriche della descrizione vivida. Era proprio Francesco di Giorgio Martini, che compose il fregio dell’accesso urbinate al Palazzo Ducale ad aver proposto e riordinato lo studio della pianta rotonda per ricordare il tempio dello sposalizio della Vergine, così come il Bramante ce lo restituisce, sulla falsariga di una citazione filologica accanto al suo chiostro romano in un tempietto a forma di tholos, temprato dal chiaroscuro classico, re-innervato da possenti colonne che scavano e sprofondano il pronao e dunque l’accesso, la soglia, in un profondo innesto con la forma principale che costituisce la cella dell’altare. La citazione di Raffaello alla scuola palatina tuttavia gli permette di superare il modello sul suo stesso piano, il disegno.
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La luce e la mano unificante del disegno: ecco che allora l’intrecciare figure, come per archettature musicali, propone di comporre la dispositio sulle tonalità emotive dei personaggi, tanto da graduare la composizione in una versione ascendente e trascendente al pari di un ductus espressivo, volto allo studio della lettera carolina minuscola ora umanizzata indicante la mano pervasiva dello stile. Natura e forma ideale accanto ad elegiache monumentalità sono la cifra stilistica di Raffaello che troviamo in tutte le opere successive: non rinuncerà mai all’efficacia del testo narrativo soggiacente al complesso impiantito, qualunque sia la difficoltà e qualunque l’accesso, come nella decorazione della sala della Biblioteca Vaticana. Le opere che ricordano questa impostazione di raccordo tra paesaggio e rappresentazione del fenomeno trascendente, sono dirette come se si trattasse di una ripresa cinematografica, di uno studio: la Trasfigurazione la sua ultima opera, si può dire, rappresenterà quel ritorno all’unità dell’uomo di fronte alla storia. Trasfigurazione
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Raffaello a Firenze dal 1504 al 1508: rientrano nella città d’arte fiorentina sia Michelangelo che Leonardo spinti dalla competizione, mentre il giovane Raffaello di fronte alle prime composizioni raggruppate dei due, comincerà il ciclo delle Madonne con variazioni sul tema. L’opera di Raffaello non ha un unico modello, ma affronta alcune tematiche discendenti direttamente dal triangolo – si tratterebbe, se stessimo accanto alle parole di Sangallo, della forma triangolare isoscele scelta nella natura umana, nel volto, per la sua forma di calma e spontaneità che l’architetto urbanista riteneva fosse anche la migliore delle forme per il disegno urbanistico. Raffaello ne indovina il raggruppamento nella sacra famiglia, giungendo ad una sua interpretazione del rapporto tra la famiglia, la Madonna e il paesaggio ora visto come sacralizzazione ora come vera e propria toponomastica ravvivata nelle sembianze. Nella Madonna del Prato ad esempio la sorgente della luce, il minimo movimento dei putti, sembra ammiccamento, riferimento a qualcosa. Se il Battista rappresenta la presenza del battistero cittadino fuori porta, immerso nella naturalità di una fonte, il Jesù porta con sé i crismi, quasi tra una tensione non rassegnata, di dialogo e di empatia con il suo compagno bambino. L’austerità di queste rappresentazioni è mitigata dal rintocco delle emozioni nei volti – in una teoria di sguardi che sembra risuonare e vibrare nel quadro. Madonna del Belvedere Madonna del cardellino Madonna del Prato Madonna col Bambino e San Giovannino Sacra famiglia i santi Elisabetta e Giovannino Sacra Famiglia canigiani La bella giardiniera L’opera
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I formati di questa fase:
Madonna del Belvedere Sacra Famiglia Canigiani Madonna del cardellino La bella giardiniera Madonne e Sacre Famiglie I formati di questa fase: La Madonna del Belvedere opera del 1506 ora a Vienna al Kunsthistorische Museum, è un’opera di formato medio grande per una tavolta ad olio: 113 x 88 cm. La bella giardiniera, dell’anno seguente sarà poco minore 122 x 80 cm – Parigi, Musée du Louvre. La Madonna del cardellino sempre del 1507 di 77 x 107 cm è ora conservata a Firenze alla Galleria degli Uffizi. Madonna del Belvedere Madonna del cardellino Madonna del Prato Madonna col Bambino e San Giovannino Sacra famiglia i santi Elisabetta e Giovannino - Sacra Famiglia Canigiani La bella giardiniera
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Raffaello a Roma dal 1508: incontra Bramante che sostiene per alcuni aspetti famigliari – se potessimo in qualche misura valutare l’influenza di questo crogiuolo di artisti dovremmo rivolgerci alla misteriosa e complessa composizione della Scuola di Atene. Roma, sotto questo pontificato, riesce a rileggere i classici, riprende il filo logico con le basi culturali della penisola ed è Aristotele al centro della nuova dimensione universalizzante di Roma, che ridà l’aura alla città – la sua anima universale. Mentre Bramante riordina alcuni schemi spaziali nel cortile del Belvedere e in San Pietro, come già avevamo visto coraggiosamente e filologicamente a Milano, dove l’architetto inserisce in uno spazio interamente pubblico, la chiarezza del Sant’Ambrogio, Raffaello riceve le commissioni per la Biblioteca dove l’antico deve incontrarsi con il presente in una visione unitaria a facce affrontate: le Stanze. La disputa del Sacramento – stanza della Segnatura (sorta di stanza del registro). I temi filosofici del Bene, del Bello, del Vero e del Giusto sono componenti del dialogo. Qui Raffaello ritrae Dante Alighieri, mentre Bramante poserà per vestire i panni di Euclide. La natura della discussione è messa in evidenza dai rispettivi limiti ai lati. Ciò che fa si che possiamo considerare questi affreschi alla stregua di testi è la coerenza interna dell’immagine realizzata attraverso un approccio simmetrico tra ordine e ritmo compositivo e gestuale. La disputa del Sacramento – stanza dlela Segnatura (sorta di stanza del registro). La scuola di Atene La liberazione di San Pietro Cacciata di Eliodoro dal tempio Il miracolo di Bolsena La forma speculare delle opere di Raffello: schieramenti di figure, disposizione interlacciata e coreografica. Roma
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Nel testo: il cartone della pinacoteca ambrosiana
Euclide ed Eraclito: Euclide – chinato sulla lavagna a destra in basso – con le forme costituite dal possesso dell’arte del compasso. Eraclito nei panni di Michelangelo siede sui gradini pensieroso mentre scrive, fa tuttavia pensare che il “momento” possa essere quello del periodo di crisi del pittore dopo la Controriforma, tuttavia il testo ci dice, che nonostante la tecnica pittorica ed alcune figure siano nettamente dipinte nello stile cangiante, questo inserimento potrebbe essere ad opera di Raffaello che imitandolo gli avrebbe reso omaggio all’apertura del 1511 della Cappella Sistina oppure accetteremmo la sfida critica che Michelangelo abbia approfittato di quello spazio per fare il proprio autoritratto – tuttavia, non ci sono linee o sovrapposizioni di sorta o velature, mentre il dubbio è riferito alla lacuna nel disegno in cui la scalinata vede solo la figura all’antica di un personaggio che potrebbe essere un lettore. Si potrebbe pensare quindi che gli artisti lavorassero contemporaneamente nel Vaticano e il dubbio lo rimettiamo ad una analisi più accurata. Stanze Vaticane La disputa del Sacramento – stanza della Segnatura (sorta di stanza del registro). La scuola di Atene - disegno
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Liberazione di san Pietro
Liberazione di san Pietro. L’opera visivamente più complessa – restituita su più piani attraverso un percorso a gradini, un piano semisollevato con le guardie. Le scene ripartiscono una situazione parzialmente al chiuso. La luce tuttavia ha un ruolo essenziale: prima è la torcia con cui agisce la ragione, il pensiero del soldato, poi è la luce notturna della notte fonda e oscura, quindi è la luce dell’angelo che libera san Pietro sciogliendolo dalle catene. I soldati dormono, ma ciò non basta: Raffaello vuol ricondurli ad una sorta di visione abbreviata, messa in uno scorcio forzato all’interno di un punto di vista quasi soffocante, soporifero: come se fossero in balia delle intemperie o delle maree mentre nemmeno si accorgono della fuga-liberazione di san Pietro. Nel Miracolo di Bolsena la scena è trattata con la stessa pacatezza – l’evento passa inosservato mentre tutti i presenti sono veramente attenti a ciò che accade: qui il lume della ragione sembra comunque non bastare a cogliere il mistero. Nella Cacciata di Eliodoro la concitazione è invece rappresentata come fenomeno che sconvolge e attira gli sguardi di tutti gli spettatori mentre un soldato sta per essere scalciato dal cavallo di un cavaliere. Liberazione di san Pietro Stanze Vaticane In chiave di studio personale: Il ritratto di Baldessare Castiglione e il Trionfo di Galatea alla farnesina (Attuale sede del Ministero degli esteri – sala di Galatea).
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Gli arazzi Gli arazzi sono stati realizzati sui disegni di Raffaello con storie direttamente tratte dai Vangeli.
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