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La protezione internazionale nel diritto interno
Donatella Loprieno Diritto dei migranti
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Le due fasi per istituire un regime europeo in materia di asilo
Fino al 2005 L’obiettivo era il ravvicinamento dei quadri giuridici degli Stati membri sulla base di norme minime. Dal 2005 si lavora per istituire una procedura comune di asilo e attribuzione uniforme di status: Direttiva 2011/95 (Nuova direttiva qualifiche) Direttiva 2013/32 (Nuova direttiva procedure) Direttiva 2013/33 (Nuova direttiva accoglienza). Regolamento 604/2013 (Nuovo Regolamento Dublino Siamo ora nel mezzo di una terza fase…
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Le misure di protezione internazionale nel diritto dell’Unione e nel diritto interno
Nel sistema normativo delle misure di protezione internazionale, il riconoscimento dello status di rifugiato, secondo quanto previsto dalla CdG, cessa di essere l’unica forma giuridicamente disciplinata dell’asilo politico. Accanto ad esso, si prevede la protezione sussidiaria. L’ordinamento giuridico italiano prevede, inoltre, altre forme di protezione (la protezione umanitaria, la cd protezione sociale ex art. 18 TUI …) Nella nuova Direttiva Qualifiche (recepita dal d. lgs. 18 del 2014) rifugio politico e protezione sussidiaria vengono ricondotti unitariamente alla categoria della protezione internazionale ed un tendenziale status uniforme quanto al godimento dei diritti (es.: aumento della durata del pds per protezione sussidiaria da tre a cinque anni).
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La nozione di rifugiato e di protezione sussidiaria nella direttiva qualifiche e nella normativa nazionale di attuazione La nozione di rifugiato è costruita sulla base dell’art. 1 della CdG, tenuto conto degli orientamenti interpretativi dell’UNHCR e prevedendo la possibilità di deroghe sono ove più favorevoli per il richiedente protezione internazionale. Per «persona ammissibile alla protezione sussidiaria» si intende il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal decreto in esame e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese.
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I responsabili della persecuzione o del danno grave (art. 5, d. lgs
Gli agenti di persecuzione possono essere: a) Lo Stato; b) i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio; c) soggetti non statuali, se i responsabili di cui alle due lettere precedenti, comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi.
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I soggetti che offrono protezione
I soggetti (Stato, partiti, organizzazioni anche internazionali, di cui alla slide precedente) possono offrire protezione a condizione che abbiano la volontà e la capacità di offrire una protezione effettiva e non temporanea e cioè «l’adozione di adeguate misure per impedire che possano essere inflitti atti persecutori o danni gravi, avvalendosi tra l’altro di un sistema giuridico effettivo che permetta di individuare, di perseguire penalmente e di punire gli atti che costituiscono persecuzione o danno grave».
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Gli atti persecutori (art. 7, d.lgs 251/2007).
Ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, gli atti persecutori devono essere alternativamente: a) sufficientemente gravi, per la loro natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave dei diritti fondamentali e inderogabili (es.: diritto alla vita); b) costituire la somma di diverse misure, tra cui violazione dei diritti umani, il cui impatto sia sufficientemente grave da esercitare sulla persona un effetto analogo a quello di cui alla lett. a). Elenco non esaustivo: violenza fisica o psichica; atti legislativi, amministrativi, di polizia o giudiziari discriminatori (per natura o per la loro attuazione); azioni giudiziarie o sanzioni sproporzionate o discriminatorie; atti specificamente diretti contro un genere sessuale o contro l’infanzia; azioni giudiziarie o sanzioni penali in conseguenza di un rifiuto di prestare servizio militare in un conflitto.
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I motivi della persecuzione art. 8, d.lgs 18/2014
Quanto ai motivi della persecuzione, nella normativa interna si deve sottolineare la specificazione di «particolare gruppo sociale»: quello costituito da membri che condividono una caratteristica innata o una storia comune, che non può essere mutata oppure condividono una caratteristica o una fede che è così fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi, ovvero quello che possiede un’identità distinta nel paese di origine, perché vi è percepito come diverso dalla società circostante. In funzione della situazione del paese di origine, un particolare gruppo sociale può essere individuato in base alla caratteristica comune dell’orientamento sessuale, fermo restando che tale orientamento non includa atti penalmente rilevanti ai sensi della legislazione italiana ai fini della determinazione dell’appartenenza a un determinato gruppo sociale o dell’individuazione delle caratteristiche proprie di tale gruppi, si tiene debito conto delle considerazioni di genere, compresa l’identità di genere».
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Cessazione, esclusione, diniego e revoca dello status di rifugiato (artt. 9, 10, 11, 12, 13, d.lgs ) Quanto ai motivi di esclusione, si segnala che ne è escluso lo straniero nei cui riguardi ci siano fondati motivi di ritenere che abbia commesso al di fuori del territorio italiano, prima di esservi ammesso in qualità di richiedente, un reato grave ovvero che abbia commesso atti particolarmente crudeli, anche se perpetrati con un dichiarato obiettivo politico, che possono essere classificati quali reati gravi di diritto comune. La revoca della protezione internazionale è la decisione della competente autorità di revocare, far cessare o rifiutare di rinnovare lo status di rifugiato o di protezione sussidiaria ad una persona. La revoca dello status è adottata qualora, successivamente al riconoscimento, si accerta che: la persona avrebbe dovuto essere stata esclusa dallo status (vedi art. 10, d.lgs. 251/2007);
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To be continued… i fatti sono stati presentati in modo erroneo o siano stati omessi o si sia fatto ricordo a documenti falsi , quando ciò è stato un fattore determinante per l’ottenimento dello status. Ai titolari dello status di rifugiato o protezione sussidiaria è rilasciato un permesso di soggiorno di validità quinquennale, rinnovabile.
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La protezione sussidiaria
la domanda di protezione internazionale può avere come esito non l’ottenimento dello status di rifugiato ma quello di protezione sussidiaria: ciò avviene quando la situazione del richiedente non è così grave da potergli riconoscere il rifugio. E, tuttavia, nei confronti di tale persona («ammissibile alla protezione sussidiaria) sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine o di residenza, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno. A norma dell’art. 14, d.lgs. 251/2007, è da considerare grave danno: la condanna a morte o alla esecuzione della pena di morte; la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano degradante ai danni del richiedente; la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. Le prime due fattispecie sono una riproduzione dell’art. 3 CEDU. Assai importante l’ultima ipotesi perché evocata da chi fugge da paesi dilaniati da guerre tra bande rivali del tutto incontrollate dallo Stato (Nigeria, Congo); o da guerre civili (Siria) o dominio non contrastato da organizzazioni terroristiche (Afghanistan o Pakistan).
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Segue… Spesso i richiedenti lamentano il concreto pericolo di violenza derivante dalle condizioni del paese o della regione di provenienza, pur non potendo affermare di essere direttamente perseguitati o individualmente minacciati. Per quanto riguarda la cessazione essa viene dichiarata, su base individuale, quando vengono meno o mutate le circostanze che ne avevano giustificato il riconoscimento. Tali mutate circostanze devono avere natura non temporanea e così significativa che la persona ammessa al beneficio non sia più esposta al danno grave e non devono sussistere «gravi motivi umanitari» che impediscono il ritorno nel paese di origine. È esclusa per gli stessi motivi di cui al rifugio e revocata se sussistono le cause di esclusione (art. 16) o se tale riconoscimento è stato determinato, in modo esclusivo, da fatti presentati in maniera erronea o dalla loro omissione o dal ricorso ad una falsa documentazione dei medesimi fatti.
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Contenuto della protezione internazionale
L’art. 19 del d.lgs. 251/07 specifica che le disposizioni debbano tener conto della specifica situazione delle persone vulnerabili (minori, disabili, anziani, donne gravide, genitori single con figli minori, minori non accompagnati, vittime di tratta, persone con disturbi psichici, che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale. Il superiore interesse del fanciullo deve essere preso in considerazione con carattere di priorità. Mantenimento del nucleo familiare (art. 22); accesso all’occupazione (art. 25); accesso all’istruzione (art. 26); assistenza sanitaria e sociale (i titolari di protezione internazionale hanno diritto al medesimo trattamento riconosciuto al cittadino italiano in materia di assistenza sociale e sanitaria, art. 27):
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Orientamento sessuale
Esistenza di norme penali che vietano, direttamente o indirettamente, rapporti consensuali tra persone dello stesso sesso. Si tratta di domande generalmente ricondotte alla appartenenza ad un particolare gruppo sociale. La normativa UE non specifica se ai fini del riconoscimento sia sufficiente che nel paese di origine l’omosessualità sia considerato reato o sia necessaria la prova di effettivi atti persecutori. La nostra Corte di Cassazione (2012) ha affermato che la sola esistenza di norme penali sanzionatorie costituisce di per sé una condizione generale di privazione del fondamentale diritto a vivere liberamente la propria vita sessuale ed affettiva. Esiste poi il problema della prova della omosessualità del richiedente: prova testimoniale, indagini officiose di tipo sanitario o psicologico (assai discutibili). Importante sentenza della CdG del 2014 (C-184/2013 e 150/2013): garanzia del rispetto della vita privata e familiare, lesività di eventuali test, non rilevanza della mancata tempestività.
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