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TUMORI A CARATTERE EREDITARIO

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Presentazione sul tema: "TUMORI A CARATTERE EREDITARIO"— Transcript della presentazione:

1 TUMORI A CARATTERE EREDITARIO
Mutazioni che coinvolgono geni che vengono denominati oncogeni ed oncosoppressori, i quali controllano la crescita cellulare, la riparazione del DNA e la fedeltà della sua replicazione, apoptosi, Inoltre il numero di mutazioni che possono permettere l’insorgenza del clone cellulare neoplastico, dipende dal tipo cellulare dal quale prende origine, data la natura differente di molti tessuti. nabissi 2017

2 Geni coinvolti nei tumori
Mutazioni in un oncosoppressore Mutazioni in un proto-oncogene Gene soppressore del tumore Controllo normale della crescita proto-oncogene Controllo normale della crescita Controllo normale della crescita Entrambi gli alleli sono mutati proto-oncogene mutato in oncogene PERDITA DI CONTROLLO DELLA CRESCITA PERDITA DI CONTROLLO DELLA CRESCITA nabissi 2017

3 Una storia oncologica in famigliari di primo o di secondo grado viene riscontrata in oltre il 20% dei pazienti affetti da neoplasie. Inoltre, l’1-5% di tutti i casi di tumore sono associati a sindromi specifiche di natura ereditaria. L’identificazione dei portatori di forme di suscettibilità ereditaria allo sviluppo delle neoplasie rappresenta quindi una parte integrante dell’opera di prevenzione in campo oncologico in quanto, in casi selezionati, il riconoscimento del rischio di sviluppare tumori specifici si può accompagnare all’attuazione di interventi clinico-chirurgici ad hoc, in grado di ridurre la mortalità e/o la morbilità per tali neoplasie. nabissi 2017

4 La maggioranza delle lesioni genetiche avvengono a livello somatico, rafforzando il concetto che la maggior parte dei tumori sono riconducibili a fattori di rischio di tipo ambientale, anche se in circa il 10% dei tumori le lesioni genetiche necessarie al compimento della carcinogenesi è presente già a livello germinale e quindi trasmissibile alle progenie. In quest’ultimo caso si parla di tumori ereditari. Le forme di suscettibilità ereditaria a sviluppare tumori si possono suddividere in: Tumori ereditari propriamente detti Sindromi amarto-neoplastiche Sindrome recessive da instabilità genetica Predisposizione ereditaria al cancro senza evidente aggregazione famigliare nabissi 2017

5 UN’ALTERAZIONE GENETICA NON SEMPRE SVILUPPA IL TUMORE.
La penetranza, cioè la frequenza di comparsa effettiva del fenotipo tumorale (es. in una popolazione a rischio) dipende sia da fattori genetici trasmissibili che da fattori esterni (ambientali, igienici, ecc…). La predisposizione di tipo ereditario ha permesso la nascita della: diagnostica medica, che studia le specifiche alterazioni genetiche associandole a specifiche neoplasie. Prevenzione e/o diagnosi pre-sintomatica: lo studio della predisposizione al tumore consente l’identificazione dei soggetti a rischio, che possono avvalersi di un trattamento preventivo. nabissi 2017

6 I tumori ereditari non sindromici (“inherited cancers”) e le sindromi neoplastiche ereditarie (“inherited cancer syndromes”) si trasmettono per lo più con ereditarietà autosomica dominante a penentranza incompleta ma elevata, eventualmente condizionata da fenomeni di “imprinting” (modificazione gamete-specifica del DNA che determina un'espressione differenziale dei due alleli di un gene, a livello delle cellule somatiche, a seconda della loro origine parentale, dall’effetto di geni modificatori e, in ultima analisi, dall’influenza di fattori ambientali. nabissi 2017

7 Tumori ereditari propriamente detti
Comprende difetti genetici ad ereditarietà autosomica dominante (il gene responsabile risiede in un dei 22 cromosomi o autosomi e per il manifestarsi della malattia è necessaria la mutazione a livello germinale di una sola copia del gene. Si manifesta sotto forma di AGGREGAZIONE FAMILIARE di casi multipli della stessa neoplasia. Esempi sono il RETINOBLASTOMA FAMILARE (Rb, 13q14), IL MELANOMA FAMILIARE (CDK4 12q13, CDKN2 9q21), IL CARCINOMA FAMILARE DEL COLO-RETTO (diversi geni), IL CARCINOMA FAMILIARE DELLA MAMMELLA-OVAIO (BRCA1/2, 17q21, 13q12.3), SINDROME DI LI-FRAUMENI (p53, 17p13.1) che si possono associare a predisposizioni a bassa penetranza anche per lo sviluppo di altre neoplasie. nabissi 2017

8 Sindromi amarto-neoplastiche
Difetti ereditari autosomici dominanti, con: insorgenza nello stesso individuo o in membri della stessa famiglia di tumori multipli e tumori di diverso istotipo spesso riconducibili ad un’unica origine embriologica presenza di lesioni multiple preneoplastiche o neoplastiche benigne associazione di specifici quadri malformativi, alterazioni cutanee o cisti parenchimali Di queste patologie si conoscono la maggior parte dei cromosomi e delle alterazioni genetiche coinvolte. Esempi sono: Poliposi familiare del colon, Neurofibromatosi, Sindrome di Von Hippel-Lindau. nabissi 2017

9 Sindromi recessive da instabilità genetica Comprendono le malattie caratterizzate da difetti nei meccanismi di riparazione del DNA, in seguito a danni da agenti chimici/fisici (raggi UV, agenti chimici alchilanti, radiazioni ionizzanti). Sono forme autosomiche recessive che si manifestano nel 25% delle progenie di portatori eterozigoti del difetto genetico (principalmente asintomatici). I soggetti sono ipersensibili agli agenti chimo-fisici che danneggiano il DNA, a causa di un difetto enzimatico in uno specifico meccanismo di riparazione del DNA. Esempi sono XERODERMA PIGMENTOSO, ATASSIA-TELANGECTASICA, ANEMIA DI FANCONI. nabissi 2017

10 Possono rientrare in questa categoria:
Suscettibilità ereditaria allo sviluppo delle neoplasie senza evidente aggregazione famigliare Classe eterogenea di predisposizioni ereditarie allo sviluppo di neoplasie, in parte ipotizzata da un punto di vista teorico e/o epidemiologico e in parte mediata dallo studio di modelli animali. Possono rientrare in questa categoria: • i portatori eterozigoti dei difetti recessivi dei meccanismi di riparazione del DNA in seguito a danno chimico-fisico • soggetti che presentano una particolare sensibilità a cancerogeni ambientali per difetti su base genetica della loro metabolizzazione. • fenomeni di ereditarietà poligenica a soglia, la predisposizione ereditaria allo sviluppo di una specifica neoplasia è determinata dalla ereditarietà di una combinazione di alleli multipli di suscettibilità e resistenza nabissi 2017

11 • retinoblastoma 35-49% dei casi
La percentuale dei casi di tumore riconducibili a forme di predisposizione ereditaria (forme famigliari e forme sindromiche) è stata così stimata per le seguenti neoplasie: • retinoblastoma % dei casi • carcinoma della mammella femminile % dei casi • carcinoma della mammella maschile > del 15% dei casi • carcinoma del colon % dei casi • carcinoma della prostata % dei casi (43% dei casi < 55 anni) • carcinoma midollare della tiroide % dei casi • feocromocitoma % dei casi • paraganglioma del glomo carotideo % dei casi • melanoma % dei casi • tumore di Wilms (nefroblastoma) % dei casi • rabdomiosarcoma embrionale > del 10% dei casi • carcinoma cortico-surrenalico % dei casi < 16 anni • mixomi cardiaci > del 5% dei casi • carcinoma renale % dei casi • sarcomi % dei casi • neuroblastoma < del 1% dei casi • tumori pediatrici nel loro complesso % dei casi nabissi 2017

12 - Carcinoma famigliare della mammella/ovaio gene BRCA117q21
MALATTIE a GENE NOTO -Carcinoma famigliare del colon non poliposico, HNPCC (AD) gene hMSH2§ 2p21-22 gene hMLH1*§ 3p21-23 gene hPMS1 2q31-33 gene hPMS2* 7p22 - Poliposi famigliare del colon - sindrome di Gardner (AD) gene APC*5q21 - Carcinoma famigliare della mammella/ovaio gene BRCA117q21 - Carcinoma famigliare della mammella (anche maschile) gene BRCA2 13q12.3 - Sindrome di Reifenstein (resistenza agli androgeni) gene AR Xq11-12 - Retinoblastoma/osteosarcoma famigliare (AD) gene Rb1 13q14 Melanoma famigliare (AD) e Sindrome famigliare melanoma + carcinoma del pancreas gene MTS1-CDKN2 - Pancreatite ereditaria (AD predisponente al ca. del pancreas) gene TRY1 17q35 - Carcinoma renale tubulo-papillare famigliare gene MET7q31-34 nabissi 2017

13 - Sindrome di Li-Fraumeni (AD) gene TP53 17p13.1
- Neurofibromatosi tipo I (AD) gene NF1 17q11.2 - Neurofibromatosi tipo II (AD) gene NF2 22q12.2 - Sindrome di Von Hippel-Lindau (AD) gene VHL 3p26-25 - Sindrome di Cowden (AD) gene PTEN/MMAC1 10q23.3 - Sclerosi tuberosa tipo I (AD) gene TSC1 9q34 - Sclerosi tuberosa tipo II (AD) gene TSC2 16p13.3 - Sindrome di Gorlin (basal cell nevus) (AD) gene PTC/BCNS 9q22.3 - Neoplasie endocrine multiple tipo II gene RET10q11.2 - Neoplasie endocrine multiple tipo I gene MEN1 11q13 - Sindrome di Denys-Drash e sindrome WAGR (predisponenti al tumore di Wilms) gene WT1-PAX6 11p13 - Sindrome di Simpson-Golabi-Behmel gene SGBS Xq26 nabissi 2017

14 MELANOMA FAMILIARE (CDK4 12q13, CDKN2 9q21)
(CDKN2Aregola il ciclo cellulare inibendo l’attivtà di CDK4/6 e CDK2 nabissi 2017

15 CDKN2A  codifica per 2 proteine strutturalmente non correlate
p16 (o INK4A)  agisce a monte di RB1: inattiva le chinasi che fosforilano pRB (forma inattiva). La sua assenza causa quindi, indirettamente, un aumento della fosforilazione di pRB, cioè della sua forma inattiva p14 (o ARF)  blocca il gene MDM2 che, a sua volta, blocca p53 (la lega e la degrada); quindi l’assenza di p14 causa, in maniera indiretta , la diminuzione di p53 nabissi 2017

16 Nevi displastici e tumori melanocitici atipici
Progressione Precursori (nevo displastico) Melanoma in fase di crescita orizzontale Melanoma in fase di crescita verticale Melanoma metastatico nabissi 2017

17 Nevo displastico nevo displastico (o nevo atipico) nabissi 2017

18 Sindrome famigliare (familial dysplastic nevus syndrome, DNS) con nevi atipici/displastici multipli e melanoma (FAM-M familial atypical multiple mole and melanoma) nabissi 2017

19 Nevo displastico famigliare Nevo displastico sporadico
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20 Nevo displastico: definizione
Nevi solitari o multipli, variabili in colore, bordi e dimensioni, con localizzazione preferenziale alla parte superiore del tronco e alle estremità; i nevi displastici si manifestano come lesioni sporadiche o in ambito famigliare e possono progredire in melanoma. nabissi 2017

21 Nevo giunzionale / composto
Nevo displastico Melanoma in situ / in fase di crescita orizzontale nabissi 2017

22 Crescita orizzontale e crescita verticale
L’identificazione della fase di crescita radiale o orizzontale (RGP) vs. la fase di crescita verticale (VGP) è il fattore prognostico più importante ma soprattutto sono fasi biologicamente differenti. La presenze della fase di crescita verticale (VGP) indica che la neoplasia ha acquisito la capacità di sviluppare metastasi. nabissi 2017

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24 TUMORI EREDITARI DEL COLON Le principali condizioni ereditarie che predispongono allo sviluppo di carcinomi del colon, sono la POLIPOSI ADENOMATOSA FAMILIARE (FAP) e IL CANCRO COLORETTALE EREDITARIO NON ASSOCIATO A POLIPOSI (HNPCC). La FAP è caratterizzata dalla formazione di polipi adenomatosi dell’intestino crasso, e se non s’interviene chirurgicamente, evolve in carcinoma intorno ai 40 anni. Ulteriori manifestazioni cliniche della patologia includono adenomi e carcinomi del tratto gastrointestinale, osteomi, anomalie dentali, cisti epidermoidi. nabissi 2017

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26 Ereditare una singola copia mutata (inattiva) sviluppa adenomi multipli benigni
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27 Il gene responsabile della FAP, è stato identificato sul braccio lungo del cromosoma 5 ed è denominato APC (adenomatous polyposis coli). Il gene APC comprende una regione codificante suddivisa in 16 esoni, che codifica per una proteina costituita da diversi domini funzionali: regione N-terminale: contiene sequenze aminoacidi che sono coinvolte nell’interazione tra proteine implicate nei processi d’adesione cellulare. Regione centrale: siti per il legame e la degradazione della b-catenina, proteina coinvolta nell’attivazione dei segnali mitotici legandosi a specifici fattori trascrizionali. Estremità C-terminale: contiene siti di legame per diverse proteine, tra le quali le proteine del citoscheletro nabissi 2017

28 APC/b-Catenine APC è un componente della via di segnalazione WNT, che ha un ruolo importante nel controllo del destino cellulare. WNT trasmette i propri segnali attraverso dei recettori di superficie denominati frizzled (FRZ) e stimola diverse vie, fra cui quella che coinvolge b-catenina e APC. La funzione di APC è quella di sottoregolare la b-catenina. In assenza di segnale proveniente da WNT, APC degrada b-catenina prevenendo il suo accumulo nel citoplasma, formando un complesso con la catenina ed la sua degradazione. L’inattivazione del APC porta ad un aumento di b-catenina che nel nucleo forma un complesso con fattori trascrizionali aumentando la proliferazione cellulare mediante la trascrizione di c-myc, ciclina D1 ed altri geni. La mutazione di APC o di catenina stimola la proliferazione incontrollata. nabissi 2017

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32 HNPCC (carcinoma familiare del colon-retto non poliposico)
Nell’HNPCC la tendenza a sviluppare tumori colo-rettali non si associa alle manifestazioni premaligne della FAP e le mutazioni principalmente responsabili sono a carico di particolari regioni di DNA, denominate “microsatelliti”. Alterazioni a carico di queste sequenze , presenti in migliaia di copie distribuite lungo il DNA, vengono indicate come “instabilità dei microsatelliti o MSI” e sono principalmente dovute a mutazioni su geni responsabili della fedeltà di replicazione del DNA, denominati geni MRR (mismatch repair). Mutazioni in questi geni sono state riscontrate nella HNPCC. I “loci bersaglio” dei geni MRR sono stati individuati in geni che possiedono nella loro regione codificante tratti di DNA ripetitivo, fra cui i geni TGFbR2 (recettore del TGF beta), BAX ed altri geni della famiglia MRR. nabissi 2017

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34 Il sistema MMR funziona per correggere gli errori introdotti nei microsatelliti
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35 CARCINOMA DELLA MAMMELLA-OVAIO
La maggior parte dei tumori alla mammella sono sporadici, cioè insorgono in donne che non hanno una storia familiare di cancro, ma in alcune famiglie tale neoplasia è riscontrata con una frequenza maggiore rispetto alla popolazione. La predisposizione ereditaria, nel circa il 5% dei casi, è di tipo autosomica dominante e coinvolge mutazione nei geni BRCA1 e BRCA2. BRCA1 è mutato nel 45% degli individui con storie familiari di tumore alla mammella, e la percentuale sale al 90% se si considerano le famiglie in cui si è osservato un rischio elevato per il carcinoma ovarico. nabissi 2017

36 BRCA1 è un gene oncosoppressore e la sua inattivazione (spesso mutazioni di tipo troncato) permettono alle cellule di acquisire un fenotipo trasformato. BRCA1 aumenta durante la fase di sintesi del DNA e nella mitosi ed è fosforilato dai complessi C-CDK durante la proliferazione cellulare, inoltre è costituito da un dominio proteico, caratteristico dei fattori trascrizionali, che gli permette di interagire con proteine della famiglia Rad (50, 51), coinvolte nei processi di riparazione del DNA. RAD: ricombinasi, media l’appaiamento delle sequenze omologhe di DNA per consentirne la successiva riparazione nabissi 2017

37 Quindi si suppone che BRCA1 sia fondamentale nel mantenimento dell’integrità del DNA e nel controllo della proliferazione cellulare. Le modificazione genetiche di BRCA1 sembrano essere anche di tipo epigenetico (metilazioni del promotore) che ne inattivano la trascrizione. BRCA2, pur non avendo omologia di sequenza con BRCA1 sembra essere coinvolto negli stessi meccanismi (controllo del ciclo cellulare, integrità del DNA). nabissi 2017

38 BRCA1-interacting proteins in the response to DNA damage.
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39 RETINOBLASTOMA FAMILIARE
Il retinoblastoma è una patologia che insorge nelle cellule immature della retina e la forma familiare rappresenta il classico modello di funzionamento dei geni oncosoppressori. Il gene responsabile della predisposizione allo sviluppo del retinoblastoma (Rb1) è un gene oncosoppressore il cui prodotto ha la funzione principale di regolare il ciclo cellulare, mediante inibizione di particolari fattori trascrizionali e principalmente il fattore E2F. Nel gene Rb1 sono state riscontrate mutazioni puntiformi, nonsense e missense. Geneticamente la predisposizione al retinoblastoma si manifesta con un carattere autosomico dominante sostenuto dalla presenza di mutazioni germinali in eterozigosi (una sola copia del gene è mutata nel DNA costitutivo) e la patologia si sviluppa dopo una seconda mutazione (somatica) sull’allele indenne del gene Rb1. L’inattivazione del gene Rb1 predispone allo sviluppo di tumori dei tessuti molli (osteosarcoma, fibrosarcomi, liposarcomi con un incidenza superiore del 200%) nabissi 2017

40 40% casi ereditari (autosomico dominante);
Il retinoblastoma Tumore aggressivo infantile che colpisce la retina (incidenza 1/20000 nascite); 60% casi sporadici; 40% casi ereditari (autosomico dominante); Cromosoma 13q14 nabissi 2017

41 Il gene RB e il controllo del ciclo cellulare
Tramite il dominio A/B pocket interagisce con fattori trascrizionali ed enzimi coinvolti nel rimodellamento della cromatina (istone deacetilasi, HDAC), reprimendo la trascrizione. Viene fosforilato dal complesso CiclinaD-CDK4/6, si libera E2F che attiva la trascrizone della ciclina E che complessa con CDK2 iperfosforilando Rb. nabissi 2017

42 SIDROME DI VON HIPPEL-LINDAU Rappresenta una forma di predisposizione allo sviluppo di neoplasie appartenenti alle cosiddette sindromi amarto-neoplastiche per la presenza di lesioni associate di tipo cistico e neoplastico benigno. La malattia si manifesta con una ereditarietà autosomica dominante ed una penetrazione completa entro i 65 anni, con formazione di angiomi o un’emangimatosi retinica con insorgenza di alterazioni del campo visivo. Nel 20% dei casi si possono sviluppare carcinomi renali o piu’ raramente tumori pancreatici. Il gene responsabile è stato identificato nel gene oncosoppressore VHL, che codifica per una proteina che è in grado di legare le elonghine B e C formando un fattore trascrizionale in grado d’inibire la trascrizione di geni attivati nell’ipossia e del gene del fattore di crescita VEGF. nabissi 2017

43 EMANGIOMA CAPILLARE RETINICO
Stadio I formazione di angiomi e dilatazione artero-venosa Stadio II comparsa di emorragie e depositi lipidici attorno al tumore o in zona maculare Stadio III essudazione massiva e distacco retinico Stadio IV glaucoma neovascolare, perdita acuità visiva nabissi 2017

44 Quindi la perdita di VHL contribuisce alla trasformazione neoplastica
Meccanismo d’azione VHL fa parte di un complesso ad attività ubiquitino-ligasica, VHL fa parte della subunità che riconosce la proteina substrato e ne stimola la ubiquitinazione e la degradazione proteosoma-dipendente. Il bersaglio principale è HIFa che stimola: VEGFA, PDGF (angiogenesi) MMP1 e MET (crescita invasiva) Quindi la perdita di VHL contribuisce alla trasformazione neoplastica nabissi 2017

45 NEUROFIBROMATOSI Le caratteristiche principali della neurofibromatosi di tipo 1 (NF1) sono le macchie cutanee caffè-latte e la lentigginosi mentre le caratteristiche piu’ rare comprendono la macrocefalia e la formazione di neuro fibromi. Le complicazioni della malattia sono la scoliosi, ritardo mentale, epilessia, gliomi e carcinomi duodenali. Il gene responsabile è l’oncosoppressore NF1 che codifica per una proteina contenente un dominio GRD (GTPase activating protein (GAP) related domain) che accellera la conversione del p21ras-GTP attivo in p21ras-GDP inattivo, operando cosi’ un controllo negativo su Ras e di conseguenza sulla divisione cellulare. nabissi 2017

46 MACCHIE CUTANEE CAFFE’-LATTE
gravi dismorfie Neurinomi del nervo acustico bilaterali Gliomi del nervo ottico nabissi 2017

47 NF1 o NEUROFIBROMINA NF1 GAP(GTPasi) NON ATTIVO RAS RAS ATTIVO
Gene oncosoppressore mutato localizzazione 17q11.2 Mutazione germinale di 1 allele Mutazione somatica acquisita del secondo allele La NEUROFIBROMINA regola il protoncogene RAS NF1 GAP(GTPasi) NON ATTIVO RAS RAS ATTIVO GDP GTP nabissi 2017

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49 SINDROME DI LI-FRAUMENI (LFS)
Esistono delle “cancer families” che presentano diverse forme tumorali (sarcomi, tumori al seno, leucemie,...) che colpiscono diversi membri della famiglia, in giovane età, ereditati per via autosomica dominante Il gene oncosoppressore TP53 (17p13) è inattivato nelle forme sporadiche dei tumori nella LFS per cui viene considerato il gene candidato per queste forme tumorali (il 70% dei casi di LFS presenta mutazioni a carico di TP53 come mutazione germinale) La LFS è una forma estrema di un gruppo di tumori che si manifestano sia in forma sporadica che in forma familiare nabissi 2017

50 La p53 è una DNA-binding protein, importante nella risposta cellulare ai danni al DNA. Oltre ad essere un fattore di trascrizione (regola la trascrizione di geni coinvolti nell’arresto della divisione cellulare, permettendo la riparazione del DNA), la p53 è coinvolta nella induzione dell’apoptosi in cellule che hanno subito un danno irreparabile al DNA. nabissi 2017

51 Sindrome di COWDEN La perdita di funzione di PTEN ( fosfatasi e tensina omologa) predispone a sidrome amartomatose associate, fra cui la sindrome di Cowden. PTEN defosforila il PIP3 generando PIP2, inibendo l’azione della PI3K la quale invece converte PIP2 in PIP3. PIP3 attiva la serin-treonin chiansi AKT la quale svolge diverse azioni: Inibisce: p27KIP1 (blocco del ciclo cellulare); GSK3b (Glycogen synthase kinase-3) degrada la B-Catenina e blocca la sintesi proteica e promuove BAD Stimola: Angiogenesi (HIFa) mTOR (chinasi che complessa con i fattori mTORC1 e 2) attivando EIF4e e la chinasi p70S6, stimolando la sintesi proteica (es. cMyc, ciclina D, HIFa) nabissi 2017

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53 VIRUS ONCOGENI Le particelle virali o virioni, hanno piccole dimensioni (da 0,02 a 0,4 m) e una semplice organizzazione strutturale. Sono costituiti da piccole particelle formate essenzialmente da solo materiale genetico (RNA o DNA), detto core, avvolto da membrane protettive, quali capside e pericapside di natura lipo e/o glicoproteico, che ha una duplice funzione di proteggere il genoma e mediare la penetrazione nella cellula ospite. La mancanza di ribosomi e di sistemi enzimatici deputati alla produzione di energia (ATP) fa si che il processo di replicazione possa avvenire solo quando il genoma virale, penetrato nella cellula ospite, si spoglia della capsula ed inizia il suo processo replicativo con il contributo della cellula ospite. Nabissi 2017

54 Molti virus hanno invece un secondo rivestimento, proveniente dalla membrana cellulare della cellula ospite e formato da fosfolipidi. Questo secondo rivestimento è chiamato envelope, su cui sono evidenti le molecole necessarie per l’infezione. Nabissi 2017

55 Virus oncogeni Le caratteristiche generali che sono rappresentative della trasformazione virale delle cellule eucariotiche sono: 1) la singola interazione di una particella virale con la cellula suscettibile è sufficiente per indurre la trasformazione 2) La trasformazione induce una modificazione genetica spesso irreversibile nella cellula infettata, in quanto il genoma virale s’integra stabilmente nel DNA cellulare. Per alcune forma virali il DNA virale rimane nella cellula ospite in forma episomiale (DNA non integrato). Nabissi 2017

56 3) La trasformazione comporta l’espressione dei geni virali necessari al mantenimento del DNA virale nella cellula infettata. 4) Le cellule trasformate possono rilasciare il virus, esprimere antigeni virali (nucleari, citoplasmatici o di membrana), acquisire un fenotipo immortalizzato (perdere i meccanismi di controllo della proliferazione e crescere in modo indefinito). Nabissi 2017

57 •Un gene che potenzialmente trasforma le cellule normali in
Cancro indotto da virus a DNA ONCOGENE •Un gene che potenzialmente trasforma le cellule normali in cellule cancerose •Quando l’oncogene è trasmesso da virus ONCOGENE VIRALE v-onc Nabissi 2017

58 I virus oncogeni a DNA appartengono a cinque famiglie:
PAPOVAVIRUS: PA (papilloma), PO (polioma), VA (virus vacuolizzante) ADENOVIRUS: isolati per la prima volta dalle adenoidi HERPESVIRUS: induce delle striscianti progressioni di lesioni erpetiche (herpes dal greco strisciare) POXVIRUS: deriva dalla parola inglese pock (pustola) HEPADNAVIRUS: deriva da HEPA(tic), DNA, virus Nabissi 2017

59 Il comportamento dei virus dipende dalla permissività della cellula ospite, infatti nelle cellule permissive in cui viene permessa la replicazione delle particelle virali, dopo integrazione del genoma virale in quello dell’ospite si ha una infezione di tipo produttivo con effetto citopatico litico e quindi morte della cellula. Di conseguenza non si ha trasformazione cellulare con possibile sviluppo di cellule tumorali. Nabissi 2017

60 Nelle cellule non permissive non si ha produzione delle particelle virali necessarie a completare il ciclo replicativo del virus e quindi i pochi geni virali espressi possono spingere la cellula verso la trasformazione. La trasformazione puo’ contribuire allo sviluppo di tumori in quanto puo’ indurre la modifica di meccanismi cellulari (proliferazione, apoptosi, sopravvivenza, immunosoppressione) grazie all’integrazione di porzioni di DNA virale nel DNA della cellula ospite che avrà introdotto un nuovo gene o alterata l’espressione di geni preesistenti, inoltre la cellula trasformata non rilascia mai il virus infettivo. Nabissi 2017

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62 Nell’ambito del processo di trasformazione numerose proteine virali interagiscono con le proteine cellulari dell’ospite formando dei complessi che modificano i normali processi regolatori cellulari, spesso regolando attivando proto-oncogeni o disattivando le funzioni dei proto-oncosoppressori. Nabissi 2017

63 PAPOVAVIRUS Famiglia di virus di piccole dimensioni con DNA bicatenario racchiuso in un capside privo di envelope, costituita da due generi: i poliomavirus ed i papillomavirus. Il genoma dei poliomavirus è costituito da 7 geni codificanti proteine precoci e tardive, le tardive sono proteine virali strutturali e quindi non vengono mai espressi nelle cellule trasformate. Le proteine precoci (antigene T piccolo, medio e grande),sono necessarie per la replicazione del DNA virale nelle cellule permissive e per la trasformazione. Nelle cellule trasformate l’antigene T medio si associa alla membrana plasmatica ed attiva la protein-chinasi c-src, antigene T piccolo si localizza nel nucleo mentre il T grande è in parte associato alla membrana plasmatica diventando bersaglio dei linfociti T citotossici. Comunque l’infezione da poliomavirus non è attualmente associato a tumori umani, pur essendo presenti in diverse patologie umane regioni geniche del virus. Nabissi 2017

64 regolatrici (URR) di circa 1000 bp che non codificano per proteine ma
PAPILLOMAVIRUS La particella del Human Papillomavirus (HPV) consiste di un DNA circolare di 8000 bp racchiuso in un capside composto da due molecole (L1 e L2). Il genoma ha la capacità di codificare per queste due proteine e per almeno sei proteine precoci (E1, E2, E4-7) che sono necessarie per la replicazione del DNA virale e per l’assemblamento di nuove particelle virali all’interno della cellula infettata. I due gruppi di geni sono separati da delle regioni regolatrici (URR) di circa 1000 bp che non codificano per proteine ma contengono cis-elementi necessari per la regolazione genica, la replicazione del genoma e per il suo impacchettamento nelle particella virali Nabissi 2017

65 HPV RESPONSABILE DELLA FORMAZIONE DELLE VERRUCHE
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67 Il ciclo infettivo del HPV inizia quando le particelle infettive raggiungono lo strato basale dell’epitelio, dove esse si legano ed entrano nelle cellule, attraverso piccole lesioni. Il ciclo replicativo all’interno dell’epitelio puo’ essere suddiviso in due parti: il genoma virale viene replicato in circa 100 copie e mantenuto per un periodo di tempo variabile a questo basso numero di copie all’interno delle cellule permissive. Le proteine E1 e E2 sono essenziali per questa replicazione del DNA. Nella seconda fase le cellule basali sono spinte verso il compartimento sub-basale, perdono la loro capacità di dividersi ed iniziano il loro programma di differenziamento. Il HPV replica in questo compartimento e per il suo rilascio nell’ambiente extracellulare approfitta della disintegrazione delle cellule epiteliali che avviene in conseguenza del loro naturale turn-over nello strato superficiale Nabissi 2017

68 Le proteine critiche nel processo di replicazione virale sono le proteine E6 ed E7 che interagiscono con diverse proteine cellulari. Pur essendoci differenze fra le proteine E6/E7 nei sottotipi HPV ad alto e basso rischio, le principali interazioni caratterizzate delle proteine E6/E7 sono con le proteine cellulari p53 ed Rb, le quali sono molecole centrali nel controllo del ciclo cellulare. Il legame di E7 a Rb attiva il fattore trascrizionale E2F il quale attiva la trascrizione di geni coinvolti nella replicazione del DNA. La proteina virale E6 interagisce ed inattiva (portandolo a proteolisi) il fattore trascrizionale p53. Nabissi 2017

69 La conseguenza di questa infezione è la perdita del controllo del ciclo cellulare, della riparazione del DNA ed il rallentamento del processo differenziativo delle cellule epiteliali. L’abilità del HPV di persistere ed indurre progressione verso la malignità puo’ essere spiegata da una particolarità di questo stadio del suo ciclo replicativo. La costante attivazione delle proteine E6/E7 portano ad un incremento dell’instabilità genomica, perdita del controllo del ciclo cellulare ed in ultimo al cancro. Durante la progressione del tumore il genoma virale s’integra spesso nel genoma della cellula ospite con il risultato di una costante espressione delle proteine E6/E7 mediante stabilizzazione del loro trascritto (mRNA), grazie all’influenza sulle modifiche della cromatina o mediante la perdita della regolazione negativa della trascrizione mediata dalla proteina virale E2. Nabissi 2017

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71 Gli HPV attualmente caratterizzati sono piu’ di 100, di cui 40 capaci di infettare le mucose del tratto genitale e sono caratterizzati come a basso rischio ed alto rischio in conseguenza della loro prognosi clinica. Quelli a basso rischio sono principalmente associati con le lesioni anogenitali mentre quelli ad alto rischio con i tumori ano genitali. Due dei tipi a basso rischio (HPV-6 e HPV-11) causano la maggior parte delle lesioni ano genitali e dei papillomi respiratori ricorrenti. Le infezioni con HPV ad alto rischio causano virtualmente il 100 % dei tumori alla cervice, 90 % dei tumori all’ano, 50 % di quelli alla vulva, vagina e pene. HPV-16 e HPV-18 od entrambi sono responsabili del 70 % dei tumori della cervice. Nabissi 2017

72 CIN 2: moderata displasia con maggiore presenza di cellule anormali
La progressione dell’infezione da HPV a cancro alla cervice è accompagnata da una sequenza di cambiamenti istologici. La neoplasia intraepiteliale cervicale (CIN) è un’anormalità istologica dell’epitelio squamoso della cervice che è associata con l’infezione da HPV ed è riconosciuta come un potenziale precursore del tumore alla cervice. La CIN è classificata in tre gradi: CIN 1: presenza di una leggera displasia, con presenza di cellule anormali CIN 2: moderata displasia con maggiore presenza di cellule anormali CIN 3: displasia severa con cellule anormali che occupano la maggior parte dell’epitelio della cervice. Nabissi 2017

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74 Nel caso di CIN 2 e 3 la persistenza della displasia è associata con lo sviluppo del cancro, con percentuali rispettivamente del 57 % e 70 %. I due vaccini che sono stati sviluppati prevengono l’infezione primaria da HPV e sono costituiti dalle proteine L1 assemblate fra loro in particelle virali-simili che sono morfologicamente identiche al virione HPV ma non contengono il genoma virale. Cosi’ il vaccino induce una risposta anticorpale virus-neutralizzante. I due vaccini contengono uno particelle virus simile dei ceppi HPV mentre il secondo per HPV Nabissi 2017

75 Patogenesi dell’epatite B.
HBV non è direttamente citotossico per le cellule, infatti molti portatori del virus HBV sono asintomatici o hanno lievi danni epatici per quanto vadano incontro a replicazione intraepatica del virus. Quindi si pensa che la risposta immunitaria dell’ospite sia il principale determinante del danno epatico, infatti pazienti con difetti immunitari che sono infettati da HBV mostrano spesso lievi danni epatici acuti ma alta possibilità di andare incontro a danni cronici. La risposta immunitaria a HBV coinvolge risposta mediata da linfociti T MHC-classe II CD4+ helper e MCH-classe I CD8+ diretti contro diversi epitopi del core ed envelope dell’HBV, mentre nei portatori cronici la risposta linfocitaria è attenuata, con una maggiore presenza di anticorpi anti-HBs Nabissi 2017

76 Questo tipo di risposta suggerisce che la maggior parte del danno epatico sia dovuto piu’ ad una risposta antigene-non specifica infiammatoria secondaria data dal rilascio di prodotti citotossici come TNF, ROS, proteasi e cellule natural killer (NK). Nabissi 2017

77 Carcinoma epatocellulare
Un altro aspetto dell’infezione da HBV è dato da un alto rischio di sviluppare carcinoma epatocellulare nei pazienti infettati cronici, con un incidenza 100 volte superiore a quella dei non-portatori. Terapia Il successo della terapia nei pazienti con infezione da HBV è nella riduzione dei livelli di viremia (livelli di antigene HBe) e delle disfunzioni epatiche (valutabili dai livelli di aminotransferasi). Attualmente comunque la scomparsa completa del virus si ha solo nel 5% dei pazienti, sebbene lo sviluppo di nuovi antivirali potrebbe incrementare questo dato. Nabissi 2017

78 Interferone Per molti la somministrazione d’interferone alfa è stata la terapia principale, con una risposta positive nel 30 % dei casi (perdita di HBeAg), sviluppo di anticorpi anti-HBe e riduzione dei livelli di aminotrasferasi. Tuttavia gli effetti collaterali, dati in parte dalla stimolazione interferone alfa indotta,di antigeni MHC classe I sugli epatociti, con conseguente attività citotossica da parte dei linfociti T o effetti come febbre, mialgia, trombocitemia e depressione hanno reso difficile l’uso di tale trattamento per molti pazienti. Farmaci antivirali Analoghi nucleosidici o nucleotidici (ex. Lamivudine), che bloccano la replicazione virale mediante inibizione dell’attività delle trascrittasi inversa (RT) senza dare hanno effetto immunomodulatore ma la terapia induce resistenza farmacologica, mediata da mutazioni puntiformi nel sito catalitico della RT. Nabissi 2017

79 Herpes virus 8 Herpes virus umani
Virus a DNA lineare a doppio filamento Possono causare infezioni litiche, persistenti, latenti/ricorrenti, e immortalizzanti (EBV) Alpha-herpesvirus:HSV1, HSV2 Virus della Varicella Zoster (VZV/HHV3) Beta-herpesvirus: Citomegalovirus (CMV/HHV5) Virus erpetici umani 6 e 7 (HHV-6 e 7) Gamma-herpesvirus: Epstein-Barr (EBV/HHV4) Virus erpetico umano 8 (HHV8) Nabissi 2017

80 La caratteristica peculiare di questa famiglia è la possibilità di latentizzare (VIRUS SILENTE, CHE POI PUO’ RIPRENDERE LA FASE INFETTIVA), inseguito all’infezione primaria. A distanza di tempo l’infezione si può riattivare (infezione ricorrente) con patologie che possono essere anche differenti dall’infezione primaria. Le infezioni sono spesso asintomatiche ma possono assumere decorso molto sfavorevole in individui immuno-compromessi Nabissi 2017

81 INFEZIONE LATENTE HERPES VIRUS TIPO 1: dopo infezione primaria si localizza nei gangli del nervo trigemino, persistendo in piu’ copie in forma episomiale e stabilendo una infezione latente per tutta la vita. Stimoli patogeni o “stress” possono riattivare il virus che giunge alle giunzioni neuro-epiteliali e infetta le cellule epiteliali, producendo la lesione erpetica. Nabissi 2017

82 HEPSTEIN BARR VIRUS (HBV) CORRELAZIONE CON IL LINFOMA DI HODGKIN
VIRUS RESPONSABILE DELLA MONONUCLEOSI. SI MOLTIPLICA NELLE CELLULE EPITELIALI NASO-FARINGEE ED INFETTA I LINFOCITI B, IN FORMA LATENTE ED EPISOMIALE. ESPRIME PROTEINE VIRALI (EBNA-1) CHE INDUCE LA DNA POLIMERASI A PRODURRE PIU’ COPIE VIRALI. ALTRE EBNA INDUCONO L’IMMORTALIZZAZIONE DEI LB E PROTEINE DI SUPERFICIE CHE INDUCONO UNA RISPOSTA CELLULO-MEDIATA DEI LINFOCITI T CITOTOSSICI CHE DISTRUGGONO I LB INFETTI. Nabissi 2017 CORRELAZIONE CON IL LINFOMA DI HODGKIN

83 NEI LB PUO’INDURRE IMMORTALIZZAZIONE
EBV E’ TIPICO DEI GIOVANI ADULTI MENTRE NELL’INFANZIA E’ SPESSO ASINTOMATICA. LA MALATTIA SI MANIFESTA CON FEBBRE, FARINGITE, INGROSSAMENTO DEI LINFONODI, SPLENOMEGALIA, ALTERAZIONI DELLE FUNZIONI EPATICHE. TRASMESSO ATTRAVERSO SECREZIONI FARINGEE, SPESSO TRAMITE SCAMBIO DI SALIVA. SEDE PRIMARIA LE CELLULE EPITELIALI DELLA FARINGE, POI LINFOCITI B DOVE S’INSTAURA LA LATENZA. NEI LB PUO’INDURRE IMMORTALIZZAZIONE ASSOCIATO ANCHE AL CARCINOMA NASOFARINGEO Nabissi 2017

84 Virus della Varicella Zoster (VZV)
DETERMINA LA VARICELLA, MOLTO CONTAGIOSA E DIFFUSA , TIPICA DELL’INFANZIA SI TRASMETTE CON LE SECREZIONI DELLE VIE RESPIRATORIE O MEDIANTE CONTATTO CON I FLUIDI VESCICOLARI INCUBAZIONE CIRCA 14 GIORNI VZV SI MOLTIPLICA NELLE VIE AEREE SUPERIORI E POI DIFFONDE NEI LINFONODI, POI SEGUE UNA VIA INFETTIVA (FASE VIREMICA) CON INFEZIONE DEL FEGATO, MILZA, RENI, EPIDERMIDE) NELL’EPIDERMIDE PROVOCA LE MACULE, CHE EVOLVONO IN PAPULE, VESCIOLE, PUSTOLE. PUO’ RIMANERE IN UNA FASE DI LATENZA A VITA (NEI GANGLI SENSORI DORSALI). LA RIATTIVAZIONE PROVOCA UN’ERUZIONE VESCICOLARE DOLOROSA (FUOCO DI SANT’ANTONIO), GENERALMENTE NELLA REGIONE TORACICA. Nabissi 2017

85 Nabissi 2017


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