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INFERNO CANTO XIII PARAFRASI
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DOVE, CHI E QUANDO secondo girone del settimo cerchio
violenti contro se stessi alba del 9 aprile 1300 (Sabato Santo)
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COSA PIER DELLE VIGNE – VV 55-78 LA SELVA DEI SUICIDI - VV. 1-30
L’ARBUSTO SANGUINANTE – VV 31-54 PIER DELLE VIGNE – VV 55-78 Spiegazione di come i suicidi si trasformino in piante - vv Gli scialacquatori - vv Il suicida fiorentino - vv
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LA SELVA DEI SUICIDI (VV. 1-30)
Nesso non aveva ancora raggiunto la riva del Flegetonte, quando Virgilio ed io entrammo in un bosco che non aveva strade. [le piante] non [avevano] fronde verdi, ma scure, i rami non erano diritti, ma bitorzoluti e ritorti; non c'erano frutti, ma spine avvelenate. Non hanno [per loro dimora] rami secchi così ispidi, tantomeno così fitti, quegli animali selvaggi che tra Cecina e Corneto fuggono i luoghi coltivati. Non era ancor di là Nesso arrivato, quando noi ci mettemmo per un bosco che da neun sentiero era segnato. 3 Non fronda verde, ma di color fosco; non rami schietti, ma nodosi e 'nvolti; non pomi v'eran, ma stecchi con tòsco. 6 Non han sì aspri sterpi né sì folti quelle fiere selvagge che 'n odio hanno tra Cecina e Corneto i luoghi cólti. 9
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LA SELVA DEI SUICIDI (VV. 1-30)
Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno, che cacciar de le Strofade i Troiani con tristo annunzio di futuro danno. 12 Ali hanno late, e colli e visi umani, piè con artigli, e pennuto 'l gran ventre; fanno lamenti in su li alberi strani. 15 E 'l buon maestro "Prima che più entre, sappi che se' nel secondo girone", mi cominciò a dire, "e sarai mentre 18 che tu verrai ne l'orribil sabbione. Però riguarda ben; sì vederai cose che torrien fede al mio sermone". 21 Qui le luride Arpie, le quali furono cacciate dai compagni di Enea dalle Strofadi dopo una cupa profezia di sventure future, costruiscono i loro rifugi. Hanno ali larghe, collo e volto umano, artigli ai piedi e piume sul grande ventre; modulano [i loro] versi dagli alberi insoliti. E Virgilio «Prima di entrare, devi sapere che ti trovi nel secondo girone», cominciò a dir[mi], «e ci rimarrai finché arriverai ad una spaventosa distesa di sabbia. Perciò osserva bene; così vedrai cose che a parlarne soltanto non sarebbero credute».
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LA SELVA DEI SUICIDI (VV. 1-30)
Io sentivo gemere in ogni direzione ma non vedevo [alcuna] persona che lo facesse; per cui mi fermai [del] tutto confuso. Credo che Virgilio abbia creduto che io credessi che tutti quei gemiti uscissero, tra quegli sterpi, da persone che si nascondevano da noi. Perciò Virgilio disse: «Se tu spezzerai qualche ramo di una di queste piante, l'idea che [ora] ti sei fatto si troncherà completamente». Io sentia d'ogne parte trarre guai, e non vedea persona che 'l facesse; per ch'io tutto smarrito m'arrestai. 24 Cred'ïo ch'ei credette ch'io credesse che tante voci uscisser, tra quei bronchi, da gente che per noi si nascondesse. 27 Però disse 'l maestro: "Se tu tronchi qualche fraschetta d'una d'este piante, li pensier c'hai si faran tutti monchi". 30
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L’ARBUSTO SANGUINANTE – VV 31-54
[E] allora allungai la [mia] mano e raccolsi un ramoscello da un grande arbusto;e il suo tronco gridò: «Perché mi spezzi?». Dopo che si coprì di sangue scuro, continuò a dire: «Perché mi spezzi? Non hai nessuna pietà? [Noi] siamo stati uomini, e adesso siamo arbusti: la tua mano avrebbe dovuto essere più pietosa, [anche] se [noi] fossimo stati spiriti di serpenti». Allor porsi la mano un poco avante e colsi un ramicel da un gran pruno; e ’l tronco suo gridò: "Perché mi schiante?". 33 Da che fatto fu poi di sangue bruno, ricominciò a dir: "Perché mi scerpi? non hai tu spirto di pietade alcuno? 36 Uomini fummo, e or siam fatti sterpi: ben dovrebb’esser la tua man più pia, se state fossimo anime di serpi". 39
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L’ARBUSTO SANGUINANTE – VV 31-54
Come [accade per] un tronco acerbo che viene bruciato su uno dei lati, mentre l'altro [lato] gocciola e stride per il vapore che [vi] esce, così dal ramo spezzato fuoriuscivano allo stesso tempo parole e sangue;§ per cui feci cadere il ramo, e [ne] rimasi spaventato. «Se tu avessi potuto credere prima», rispose Virgilio, «[o] anima offesa, a ciò che hai [potuto] vedere anche nei miei versi, Come d’un stizzo verde ch’arso sia da l’un de’ capi, che da l’altro geme e cigola per vento che va via, 42 sì de la scheggia rotta usciva insieme parole e sangue; ond’io lasciai la cima cadere, e stetti come l’uom che teme. 45 "S’elli avesse potuto creder prima", rispuose ’l savio mio, "anima lesa, ciò c’ ha veduto pur con la mia rima, 48
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L’ARBUSTO SANGUINANTE – VV 31-54
non averebbe in te la man distesa; ma la cosa incredibile mi fece indurlo ad ovra ch’a me stesso pesa. 51 Ma dilli chi tu fosti, sì che ’n vece d’alcun’ammenda tua fama rinfreschi nel mondo sù, dove tornar li lece". 54 [egli] non avrebbe disteso la mano su di te; ma il prodigio fece sì che lo inducessi ad un'azione che anche a me dispiace. Ma racconta a Dante chi sei stato [in vita], così che per scusarsi del danno procurato rinnovi la tua fama nel mondo [dei vivi]».
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PIER DELLE VIGNE – VV 55-78 E la pianta [rispose]: «mi alletti a tal punto con parole gentili che io non posso restare in silenzio; e a voi non dispiaccia se mi trattengo un po' a conversare. Io sono colui che ebbe [in custodia] entrambe le chiavi del cuore di Federico, e che le fece girare, aprendo e chiudendo, così dolcemente, che allontanai quasi tutti dalla confidenza privata con lui; e tenni fede al [mio] compito onorevole, a tal punto che perdetti [prima] la pace e [poi] la vita. E ’l tronco: "Sì col dolce dir m’adeschi, ch’i’ non posso tacere; e voi non gravi perch’ïo un poco a ragionar m’inveschi. 57 Io son colui che tenni ambo le chiavi del cor di Federigo, e che le volsi, serrando e diserrando, sì soavi, 60 che dal secreto suo quasi ogn’uom tolsi; fede portai al glorïoso offizio, tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e ’ polsi. 63
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PIER DELLE VIGNE – VV 55-78 La prostituta che mai dalla corte imperiale distolse i [suoi] disonesti occhi, [che è] rovina di tutti [gli uomini] ed [è il] malcostume delle corti, mise contro di me l'animo di tutti [i cortigiani]; e gli invidiosi influenzarono a tal punto l'imperatore, che i [miei] felici onori si trasformarono in cupi dolori. Il mio animo, essendo indignato, pensando che morendo avrebbe cancellato il disprezzo, mi fece [agire] in modo ingiusto contro me stesso, [mentre ero in realtà] una persona onesta. La meretrice che mai da l’ospizio di Cesare non torse li occhi putti, morte comune e de le corti vizio, 66 infiammò contra me li animi tutti; e li ’nfiammati infiammar sì Augusto, che ’ lieti onor tornaro in tristi lutti. 69 L’animo mio, per disdegnoso gusto, credendo col morir fuggir disdegno, ingiusto fece me contra me giusto. 72
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PIER DELLE VIGNE – VV 55-78 Per le nove radici d’esto legno vi giuro che già mai non ruppi fede al mio segnor, che fu d’onor sì degno. 75 E se di voi alcun nel mondo riede, conforti la memoria mia, che giace ancor del colpo che ’nvidia le diede". 78 Giuro, per le nuove radici di questa pianta [che ora mi ospita], che mai infransi la fedeltà verso il mio signore, che fu [sempre] degno d'onore. E se uno di voi tornerà nel mondo [dei vivi], rivendichi il mio onore, che ancora subisce la fama che l'invidia gli procurò».
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Spiegazione di come i suicidi si trasformino in piante - vv. 79-108
Un poco attese, e poi "Da ch’el si tace", disse ’l poeta a me, "non perder l’ora; ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace". 81 Ond’ïo a lui: "Domandal tu ancora di quel che credi ch’a me satisfaccia; ch’i’ non potrei, tanta pietà m’accora". 84 Perciò ricominciò: "Se l’om ti faccia liberamente ciò che ’l tuo dir priega, spirito incarcerato, ancor ti piaccia 87 [Virgilio] restò pensoso, e poi «Poiché egli tace», mi disse il poeta, «non perdere tempo; ma parla, e domandagli [qualcosa], se vuoi». E allora gli dissi: «Sii tu a domandargli ancora su ciò che pensi possa soddisfare [il mio desiderio di sapere]; perché io non posso, tanta è la mia commozione». Per questo riprese [a dire]: «ti si faccia prontamente ciò che chiedi, anima rinchiusa, se vuoi,
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Spiegazione di come i suicidi si trasformino in piante - vv. 79-108
spiega [noi ancora] come l'anima [una volta arrivata qui] si unisce a questi tronchi; e spiegaci, se puoi, se qualche [anima] si svincola mai da tale corpo». Allora il tronco emise un duro soffio, e il sibilo [che ne uscì] divenne questa voce: «Vi risponderò in poche parole. Quando l'anima violenta lascia il corpo da cui essa [da sé] si è strappata via, Minòs la destina al settimo cerchio. Precipita nella selva, e non viene stabilito alcun luogo per lei; ma lì dove il caso la scaglia, in quel luogo comincia a germogliare come un seme di spelta. di dirne come l’anima si lega in questi nocchi; e dinne, se tu puoi, s’alcuna mai di tai membra si spiega". 90 Allor soffiò il tronco forte, e poi si convertì quel vento in cotal voce: "Brievemente sarà risposto a voi. 93 Quando si parte l’anima feroce dal corpo ond’ella stessa s’è disvelta, Minòs la manda a la settima foce. 96 Cade in la selva, e non l’è parte scelta; ma là dove fortuna la balestra, quivi germoglia come gran di spelta. 99
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Spiegazione di come i suicidi si trasformino in piante - vv. 79-108
Surge in vermena e in pianta silvestra: l’Arpie, pascendo poi de le sue foglie, fanno dolore, e al dolor fenestra. 102 Come l’altre verrem per nostre spoglie, ma non però ch’alcuna sen rivesta, ché non è giusto aver ciò ch’om si toglie. 105 Qui le strascineremo, e per la mesta selva saranno i nostri corpi appesi, ciascuno al prun de l’ombra sua molesta". 108 Nasce un ramoscello che [diventa] una pianta selvatica: le Arpie, nutrendosi poi delle sue foglie, [le] fanno male e aprono al dolore il [suo] lamento. Come [tutte] le altre anime ci uniremo ai nostri corpi, ma non ci rivestiremo [nuovamente] con essi, perché non è giusto [ri]avere ciò che l'uomo ha rifiutato. Le trascineremo in questo luogo, e i nostri corpi saranno appesi nella triste selva, ognuno alla pianta [generata] dalla sua anima nemica».
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Gli scialacquatori - vv. 109-129
Noi eravamo ancora rivolti verso la pianta, pensando che volesse parlare d'altro, quando fummo colpiti da un rumore [improvviso], come quello che, nel luogo del suo appostamento, sente arrivare il cinghiale, e [di seguito] i cacciatori, [e] che avverte muoversi gli animali e le fronde. Ed ecco [arrivare] due [anime] da sinistra, nude e ferite, che fuggivano così velocemente, che [nel correre] spezzavano ogni fascio di rami. Noi eravamo ancora al tronco attesi, credendo ch’altro ne volesse dire, quando noi fummo d’un romor sorpresi, 111 similemente a colui che venire sente ’l porco e la caccia a la sua posta, ch’ode le bestie, e le frasche stormire. 114 Ed ecco due da la sinistra costa, nudi e graffiati, fuggendo sì forte, che de la selva rompieno ogne rosta. 117
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Gli scialacquatori - vv. 109-129
Quel dinanzi: "Or accorri, accorri, morte!". E l’altro, cui pareva tardar troppo, gridava: "Lano, sì non furo accorte 120 le gambe tue a le giostre dal Toppo!". E poi che forse li fallia la lena, di sé e d’un cespuglio fece un groppo. 123 Di rietro a loro era la selva piena di nere cagne, bramose e correnti come veltri ch’uscisser di catena. 126 In quel che s’appiattò miser li denti, e quel dilaceraro a brano a brano; poi sen portar quelle membra dolenti. 129 Il primo dei due [che arrivò, gridava]: «morte vieni adesso!». E il secondo, al quale sembrava di non correre abbastanza, urlava: «Lano, non furono così abili le tue gambe negli scontri dalle parti di Toppo!». E poiché forse gli mancava il fiato, si gettò dietro un cespuglio [quasi] avvolgendosi ad esso. Dietro di loro, la selva era piena di cagne nere, affamate e che correvano come levrieri appena slegati dalla catena. [Le cagne] azzannarono il dannato che si nascose [dietro al cespuglio], e lo straziarono pezzo per pezzo; e poi portarono via quei brandelli doloranti.
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Il suicida fiorentino - vv. 130-151
Allora Virgilio mi prese per mano, e mi portò [vicino] al cespuglio che si lamentava inutilmente attraverso i [suoi] rami sanguinanti. «O Iacopo», diceva [piangendo] «da Santo Andrea, che vantaggio hai avuto nel nasconderti dietro me? Che cosa ho a che fare io con la tua colpa?». Quando Virgilio si fermò sopra di lui, domandò: «chi fosti [tu], che per tutti i rami che hai spezzati sfiati fuori assieme al sangue [questo] lamento?». Presemi allor la mia scorta per mano, e menommi al cespuglio che piangea per le rotture sanguinenti in vano. 132 "O Iacopo", dicea, "da Santo Andrea, che t’è giovato di me fare schermo? che colpa ho io de la tua vita rea?". 135 Quando ’l maestro fu sovr’esso fermo, disse: "Chi fosti, che per tante punte soffi con sangue doloroso sermo?". 138
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Il suicida fiorentino - vv. 130-151
Ed elli a noi: "O anime che giunte siete a veder lo strazio disonesto c’ ha le mie fronde sì da me disgiunte, 141 raccoglietele al piè del tristo cesto. I’ fui de la città che nel Batista mutò ’l primo padrone; ond’ei per questo 144 sempre con l’arte sua la farà trista; e se non fosse che ’n sul passo d’Arno rimane ancor di lui alcuna vista, 147 que’ cittadin che poi la rifondarno sovra ’l cener che d’Attila rimase, avrebber fatto lavorare indarno. 150 Io fei gibetto a me de le mie case". Ed egli ci disse: «O anime che siete venute ad assitere allo scempio crudele che mi ha spezzato i rami, radunateli ai piedi del [mio] infelice cespuglio. Io nacqui nella città che cambiò il [suo] primo patrono con S. Giovanni Battista; per cui quello, per tale ragione, la renderà sempre infelice con la sua arte; e se non fosse che sopra il ponte che sovrasta l'Arno è rimasta qualche traccia di lui, quei cittadini che in seguito la rifondarono sopra le macerie che restarono [dopo il passaggio] di Attila, l'avrebbero fatta ricostruire invano. Io feci della mia casa la mia forca».
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