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PubblicatoAlina Manzi Modificato 6 anni fa
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Il segreto professionale e gli obblighi di denuncia e testimonianza
Fulvio Frati Il segreto professionale e gli obblighi di denuncia e testimonianza nella legislazione e nella deontologia professionale degli Psicoterapeuti italiani
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MORALE La parola “Morale” descrive e definisce i costumi, gli stili di vita, i comportamenti ed i pensieri umani, con particolare riferimento rispetto a ciò che è considerato “bene” ed a ciò che invece è considerato “male”. Essa non è perciò statica e definibile una volta per tutte, ma “segue i tempi” per soddisfare le esigenze degli individui e delle comunità che essi costituiscono.
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ETICA L’ “Etica” è quella parte della filosofia che studia la Morale, cioè i costumi ed i comportamenti umani, cercando di comprendere e definire i criteri in base ai quali è possibile valutare le scelte e le condotte degli individui e dei gruppi.
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DEONTOLOGIA La “Deontologia” è l'insieme dei valori, dei principi, delle regole e delle consuetudini che ogni gruppo professionale si dà e deve osservare, ed alle quali deve ispirarsi nell'esercizio della sua professione.
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CODICE DEONTOLOGICO Il “Codice Deontologico” è lo strumento, scritto e reso pubblico, che stabilisce e definisce le concrete regole di condotta che devono necessariamente essere rispettate nell'esercizio di una specifica attività professionale.
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CODICE DEONTOLOGICO DEGLI PSICOLOGI ITALIANI
Approvato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine nell’adunanza del giugno 1997. Approvato con referendum dagli iscritti all’Ordine degli Psicologi in data 17 gennaio 1998. In vigore dal 16 febbraio 1998.
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IL “CODICE DI DEONTOLOGIA MEDICA” ITALIANO
Emanato per la prima volta nel 1912 dall'Ordine dei Medici di Torino, successivamente emanato dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici, ed in seguito revisionato più volte. Il testo attuale in 75 articoli veri e propri (più la “Disposizione Finale”) è stato approvato dal Comitato Centrale della FNOMCeO il 16 Dicembre 2006. Il testo approvato attualmente in vigore inizia con la seguente definizione: “Il Codice di Deontologia Medica contiene principi e regole che il medico-chirurgo e l’odontoiatra, iscritti agli albi professionali dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, di seguito indicati con il termine di medico, devono osservare nell’esercizio della professione”.
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CODICE DEONTOLOGICO DEGLI PSICOLOGI ITALIANI
42 articoli Suddivisi in 5 capi: Capo I - Principi generali (artt. 1-21) Capo II - Rapporti con l’utenza e con la committenza (artt ) Capo III - Rapporti con i colleghi (artt ) Capo IV - Rapporti con la società (artt ) Capo V - Norme di attuazione (artt )
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IL “CODICE DI DEONTOLOGIA MEDICA” ITALIANO È COSTITUITO DA 75
ARTICOLI VERI E PROPRI,RAGGRUPPATI NEI SEI SEGUENTI “TITOLI”: TITOLO I : “OGGETTO E CAMPO DI APPLICAZIONE” COMPRENDE I 2 ARTICOLI INIZIALI TITOLO II : “DOVERI GENERALI DEL MEDICO” COMPRENDE 17 ARTICOLI, A LORO VOLTA RAGGRUPPATI IN 5 “CAPI” TITOLO III : “RAPPORTI CON IL CITTADINO” COMPRENDE 38 ARTICOLI, A LORO VOLTA RAGGRUPPATI IN 11 “CAPI” TITOLO IV : “RAPPORTI CON I COLLEGHI” COMPRENDE 7 ARTICOLI, A LORO VOLTA RAGGRUPPATI IN 5 “CAPI” TITOLO V : “RAPPORTI CON I TERZI” COMPRENDE 3 ARTICOLI, RAGGRUPPATI IN 1 “CAPO” TITOLO VI : “RAPPORTI CON IL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE E CON ENTI PUBBLICI E PRIVATI” COMPRENDE 8 ARTICOLI, A LORO VOLTA RAGGRUPPATI IN 3 “CAPI”
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I QUATTRO “IMPERATIVI DEONTOLOGICI” DEGLI PSICOLOGI ITALIANI
MERITARE LA FIDUCIA DEL CLIENTE POSSEDERE UNA COMPETENZA ADEGUATA A RISPONDERE ALLA DOMANDA DEL CLIENTE USARE CON GIUSTIZIA IL PROPRIO POTERE DIFENDERE L’AUTONOMIA PROFESSIONALE
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I PRINCIPI DEONTOLOGICI FONDAMENTALI DELLO PSICOLOGO
(fonte: American Psychological Association) COMPETENZA INTEGRITÀ RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE E SCIENTIFICA RISPETTO PER I DIRITTI E LA DIGNITÀ DELLE PERSONE (inclusi il diritto al segreto professionale, alla privacy, alla riservatezza ed all’autonomia) PREOCCUPAZIONE PER IL BENESSERE DELLE PERSONE RESPONSABILITÀ SOCIALE
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PRINCIPI DI PARTICOLARE INTERESSE PER L’ATTIVITÀ DI AIUTO ALLE PERSONE
(1) Principio della responsabilità professionale Principio dell’autonomia professionale Principio del rispetto e della tutela del benessere del destinatario dell’intervento e/o di terzi Principio del rispetto della fondatezza scientifica della propria attività Principio del consenso informato Principio del diritto dei soggetti alla riservatezza ed all’anonimato Principio del segreto professionale
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PRINCIPI DI PARTICOLARE INTERESSE PER L’ATTIVITÀ DI AIUTO ALLE PERSONE
(2) Principio dell’informazione dell’Autorità Principio del rispetto della libertà di scelta del professionista da parte del cliente Principio del decoro e della dignità professionale Principio dell’aiuto del pubblico e degli utenti a sviluppare in modo libero e consapevole opinioni e scelte
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Diversità dei valori che le une e le altre mirano a tutelare:
CONTRASTO tra le norme deontologiche fissate dalla Categoria professionale e quelle espresse invece dal Codice Penale Diversità dei valori che le une e le altre mirano a tutelare: quelle deontologiche sono rivolte a garantire soprattutto il rapporto di fiducia instaurato con il proprio Psicoterapeuta chiamato a osservare rigorosamente l’obbligo di segreto professionale; le norme statali essendo invece protese a reprimere i reati, e ciò anche grazie alla collaborazione con i cittadini che di essi abbiano notizia nello svolgimento della propria professione.
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SEGRETO PROFESSIONALE
E’ possibile, a causa di questa divergenza concettuale di base, che sorgano complicati dilemmi per lo Psicoterapeuta che venga chiamato a rendere “testimonianza” per elementi relativi al proprio lavoro ed in qualche modo collegati, anche indirettamente, a fatti rispetto ai quali le Autorità preposte abbiano già avviato o stiano avviando procedimenti civili, penali o amministrativi. problema del SEGRETO PROFESSIONALE
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SEGRETO PROFESSIONALE
Il segreto professionale viene sancito dal codice penale e dai codici deontologici ed attiene al diritto/dovere del singolo professionista di non rivelare a terzi fatti,informazioni o dati appresi da un determinato soggetto in ragione del rapporto professionale instaurato con lo stesso, a meno che non sussista una “giusta causa”.
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RISERVATEZZA È il primo intervento organico in materia di privacy
Con l’introduzione della legge sulla privacy, essa viene spesso confusa con il segreto professionale Legge n. 675/96, recante il titolo “Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali” È il primo intervento organico in materia di privacy MIRA ALLA SALVAGUARDIA E ALLA TUTELA DELLA VITA PERSONALE E SOCIALE DEI CITTADINI Il trattamento dei dati è ammesso solo con il consenso espresso dal soggetto interessato
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Decreto legislativo 30 Giugno 2003, n. 196
Dal 1° Gennaio 2004 la Legge n. 675/96 “Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali” è stata sostituita dal Decreto legislativo 30 Giugno 2003, n. 196 “Codice in materia di protezione dei dati personali”
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DATI PERSONALI Tutte le informazioni relative a persona fisica (o giuridica, ente od associazione) identificate o identificabili. (ad es., il nome, il cognome, l’indirizzo, i numeri telefonici, etc.) (cfr. art. 4 D.Lgs. 196/2003) DATI SENSIBILI Sono i dati che devono essere maggiormente tutelati, e sono relativi a razza o etnia, ad eventuali adesioni a partiti, organizzazioni a carattere religioso, politico, associazioni di categoria, nonché dati personali idonei a ricavare lo stato di salute e la vita sessuale del singolo (cfr. art. 4 D.Lgs. 196/2003)
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CONSENSO INFORMATO Figura di consenso elaborata in relazione ai diritti, riconosciuti al paziente: Di conoscere i dati sanitari che lo riguardano Di esserne informato in modo completo In particolare riguardo La diagnosi La prognosi La natura I benefici e i rischi delle procedure diagnostiche e terapeutiche Le possibili alternative e le conseguenze del rifiuto del trattamento Prestare o negare il proprio consenso in relazione ai trattamenti sanitari che siano per essere eseguiti o che siano prevedibili nello sviluppo della patologia in atto
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DELEGATO A CHI ESERCITA LA POTESTA’ DESTINATARIO DELLA PRESTAZIONE
IL DIRITTO AL CONSENSO E’ PERSONALE , OPPURE DELEGATO A CHI ESERCITA LA POTESTA’ SUL SOGGETTO DESTINATARIO DELLA PRESTAZIONE
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Del segreto professionale si sono occupati:
Il CODICE DEONTOLOGICO degli Psicologi italiani (artt ) IL CODICE DI DEONTOLOGIA MEDICA (art. 9) IL CODICE PENALE (artt ) IL CODICE DI PROCEDURA PENALE (artt ) L'art. 326 c.p. è rferito ai soli PUBBLICI UFFICIALI IDEM per quanto riguarda l'art. 201 c.p.p.
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Art. 11 Codice Deontologico degli Psicologi italiani
Lo psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale. Pertanto non rivela notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale, né informa circa le prestazioni professionali effettuate o programmate, a meno che non ricorrano le ipotesi previste dagli articoli seguenti.
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Art. 12 Codice Deontologico degli Psicologi italiani
Lo psicologo si astiene dal rendere testimonianza su fatti di cui è venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto professionale. Lo psicologo può derogare all’obbligo di mantenere il segreto professionale, anche in caso di testimonianza, esclusivamente in presenza di valido e dimostrabile consenso del destinatario della sua prestazione. Valuta, comunque, l’opportunità di fare uso di tale consenso, considerando preminente la tutela psicologica dello stesso.
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Art. 13 Codice Deontologico degli Psicologi italiani
Nel caso di obbligo di referto o di obbligo di denuncia, lo psicologo limita allo stretto necessario il riferimento di quanto appreso in ragione del proprio rapporto professionale, ai fini della tutela psicologica del soggetto. Negli altri casi, valuta con attenzione la necessità di derogare totalmente o parzialmente alla propria doverosa riservatezza, qualora si prospettino gravi pericoli per la vita o per la salute psicofisica del soggetto e/o di terzi.
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Art. 15 Codice Deontologico degli Psicologi italiani
Nel caso di collaborazione con altri soggetti parimenti tenuti al segreto professionale, lo psicologo può condividere soltanto le informazioni strettamente necessarie in relazione al tipo di collaborazione.
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CODICE DI DEONTOLOGIA MEDICA ART. 10 - SEGRETO PROFESSIONALE
(vers. 18 Maggio 2014) ART SEGRETO PROFESSIONALE Il medico deve mantenere il segreto su tutto ciò di cui è a conoscenza in ragione della propria attività professionale. La morte della persona assistita non esime il medico dall’obbligo del segreto professionale. Il medico informa i collaboratori e discenti dell’obbligo del segreto professionale sollecitandone il rispetto. La violazione del segreto professionale assume maggiore gravità quando ne possa derivare profitto proprio o altrui, ovvero nocumento per la persona assistita o per altri. La rivelazione è ammessa esclusivamente se motivata da una giusta causa prevista dall’ordinamento o dall’adempimento di un obbligo di legge. Il medico non deve rendere all’Autorità competente in materia di giustizia e di sicurezza testimonianze su fatti e circostanze inerenti al segreto professionale. La sospensione o l’interdizione dall’esercizio professionale e la cancellazione dagli Albi non dispensano dall’osservanza del segreto professionale.
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Art. 326 Codice Penale - Rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio
1. Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. 2. Se l’agevolazione è soltanto colposa, si applica la reclusione fino a un anno. 3. Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, è punito con la reclusione da due a cinque anni. Se il fatto è commesso al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto, si applica la pena della reclusione fino a due anni.
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Art. 622 Codice Penale - Rivelazione di segreto professionale
Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da € 30 a € 516. La pena è aggravata se il fatto è commesso da amministratori, direttori generali, sindaci o liquidatori o se è commesso da chi svolge la revisione contabile della società. Il delitto è punibile a querela della persona offesa.
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I REATI DI OMISSIONE DI DENUNCIA
Inoltre… Il Codice Penale contempla anche 3 artt. riguardanti I REATI DI OMISSIONE DI DENUNCIA ART. 361 c.p. - OMESSA DENUNCIA DI REATO DA PARTE DI PUBBLICO UFFICIALE ART. 362 c.p. - OMESSA DENUNCIA DA PARTE DI UN INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO ART. 365 c.p. - OMISSIONE DI REFERTO
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Art. 361 Codice Penale - Omessa denuncia di reato da parte di Pubblico Ufficiale
Il pubblico ufficiale il quale omette o ritarda di denunciare all'Autorità giudiziaria, o ad un'altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, un reato di cui ha avuto notizia nell'esercizio o a causa delle sue funzioni è punito con la multa da € 30 a € 516. La pena è della reclusione fino a un anno, se il colpevole è un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria, che ha avuto comunque notizia di un reato del quale doveva fare rapporto. Le disposizioni precedenti non si applicano se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa.
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Art. 362 Codice Penale - Omessa denuncia da parte di un incaricato di pubblico servizio
L'incaricato di un pubblico servizio, che omette o ritarda di denunciare all'Autorità indicata nell'articolo precedente un reato del quale abbia avuto notizia nell'esercizio o a causa del servizio, è punito con la multa fino a € 103. Tale disposizione non si applica se si tratta di un reato punibile a querela della persona offesa né si applica ai responsabili delle comunità terapeutiche socio-riabilitative per fatti commessi da persone tossicodipendenti affidate per l'esecuzione del programma definito da un servizio pubblico.
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Art. 365 Codice Penale - Omissione di referto
Chiunque, avendo nell’esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d’ufficio, omette o ritarda di riferirne all’Autorità indicata nell’articolo 361, è punito con la multa fino a € 516. Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale.
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ART. 357 C.P. – NOZIONE DEL PUBBLICO UFFICIALE
Art Nozione del Pubblico Ufficiale 1. Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. 2. Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi.
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Art. 358 - Nozione della persona Incaricata di un Pubblico Servizio
ART. 358 c.p. – Nozione della persona Incaricata di un Pubblico Servizio Art Nozione della persona Incaricata di un Pubblico Servizio 1. Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. Per pubblico servizio deve intendersi un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di questa ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale.
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IL PROBLEMA DELL’OBBLIGO DI TESTIMONIANZA
All’argomento della testimonianza riservano importanti spazi specifici, inoltre, sia il Codice di Procedura Penale che il Codice di Procedura Civile attualmente vigenti nel nostro Paese. Inoltre sono da tenere al riguardo ben presenti alcuni articoli compresi tra l’art. 194 c.p.p. (“Oggetto e limiti della testimonianza”) e l’art. 207 c.p.p. (“Testimoni sospettati di falsità o reticenza. Testimoni renitenti”) del nostro attuale Codice di Procedura Penale: in particolar modo, per ciò che qui interessa, l’art. 198 c.p.p. (“Obblighi del testimone”), l’art. 200 c.p.p. (“Segreto professionale”) e l’art. 201 c.p.p. (“Segreto di ufficio”) dello stesso.
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Art. 194 Codice di Procedura Penale – Oggetto e limiti della testimonianza
1. Il testimone è esaminato sui fatti che costituiscono oggetto di prova (187). Non può deporre sulla moralità dell’imputato (234-3), salvo che si tratti di fatti specifici, idonei a qualificarne la personalità (133 c.p.) in relazione al reato e alla pericolosità sociale (203 c.p.). 2. L’esame può estendersi anche ai rapporti di parentela e di interesse che intercorrono tra il testimone e le parti o altri testimoni nonché alle circostanze il cui accertamento è necessario per valutarne la credibilità. La deposizione sui fatti che servono a definire la personalità della persona offesa dal reato è ammessa solo quando il fatto dell’imputato deve essere valutato in relazione al comportamento di quella persona. 3. Il testimone è esaminato su fatti determinati (499). Non può deporre sulle voci correnti nel pubblico (2343) né esprimere apprezzamenti personali salvo che sia impossibile scinderli dalla deposizione sui fatti.
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Art. 198 Codice di Procedura Penale - Obblighi del testimone
l. Il testimone ha l’obbligo di presentarsi al giudice e di attenersi alle prescrizioni date dal medesimo per le esigenze processuali e di rispondere secondo verità (497) alle domande che gli sono rivolte. 2. Il testimone non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale.
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Art. 200 Codice di Procedura Penale - Segreto professionale
1. Non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria (331, 334): a) i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano; b) gli avvocati, i procuratori legali, i consulenti tecnici (2224 cord.) e i notai; c) i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria; d) gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale .
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Art. 200 Codice di Procedura Penale - Segreto professionale
2. Il giudice, se ha motivo di dubitare che la dichiarazione resa da tali persone per esimersi dal deporre sia infondata, provvede agli accertamenti necessari. Se risulta infondata, ordina che il testimone deponga. 3. Le disposizioni previste dai commi 1 e 2 si applicano ai giornalisti professionisti iscritti nell’albo professionale, relativamente ai nomi delle persone dalle quali i medesimi hanno avuto notizie di carattere fiduciario nell’esercizio della loro professione ( 1957). Tuttavia se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l’identificazione della fonte della notizia, il giudice ordina al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni.
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L’ Art. 200 Codice di Procedura Penale è quindi molto chiaro nell’affermare che:
“Non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria (331, 334): (omissis) c) i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria; (omissis)”. QUESTO ARTICOLO TUTELA QUINDI COMPLETAMENTE GLI PSICOTERAPEUTI MEDICI, SALVI GLI SPECIFICI CASI IN CUI ESSI HANNO L’OBBLIGO DI RIFERIRNE ALL’AUTORITÀ GIUDIZIARIA SECONDO QUANTO PREVISTO DAGLI ART.331 E 334 DEL C.P.P., RISPETTO A QUALUNQUE ALTRO OBBLIGO DI TESTIMONIANZA RELATIVAMENTE A QUANTO ESSI HANNO APPRESO NEL CORSO DELLA LORO ATTIVITA’.
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ART. 331 c.P.p. – Denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio
1. Salvo quanto stabilito dall’art. 347, i pubblici ufficiali (357 c.p.) e gli incaricati di un pubblico servizio (358 c.p.) che nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito. 2. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero (51) o a un ufficiale (57) di polizia giudiziaria (107 att.; 221 coord.). 3. Quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto, esse possono anche redigere e sottoscrivere un unico atto. 4. Se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio, l’autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero (106 att.).
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ART. 334 c.p.P. - Referto Art. 334 - Referto
1. Chi ha l`obbligo del referto (365 c.p.) deve farlo pervenire entro quarantotto ore o, se vi è pericolo nel ritardo immediatamente al pubblico ministero (51) o a qualsiasi ufficiale di polizia giudiziaria (57) del luogo in cui ha prestato la propria opera o assistenza ovvero, in loro mancanza all’ufficiale di polizia giudiziaria più vicino. 2. Il referto indica la persona alla quale è stata prestata assistenza e, se è possibile, le sue generalità, il luogo dove si trova attualmente e quanto altro valga a identificarla nonché il luogo, il tempo e le altre circostanze dell’intervento; dà inoltre le notizie che servono a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con i quali è stato commesso e gli effetti che ha causato o può causare. 3. Se più persone hanno prestato la loro assistenza nella medesima occasione, sono tutte obbligate al referto, con facoltà di redigere e sottoscrivere un unico atto.
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ART. 347 c.P.p.- Obbligo di riferire la notizia del reato
1. Acquisita la notizia di reato, la polizia giudiziaria, senza ritardo, riferisce al pubblico ministero, per iscritto (108 bis att.), gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi sino ad allora raccolti, indicando le fonti di prova e le attività compiute, delle quali trasmette la relativa documentazione . 2. Comunica, inoltre, quando è possibile, le generalità, il domicilio e quanto altro valga alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti. 2 bis. Qualora siano stati compiuti atti per i quali è prevista l`assistenza del difensore (350, 352, 353-2, 354 ) della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini (61), la comunicazione della notizia di reato è trasmessa al più tardi entro quarantotto ore dal compimento dell’atto, salve le disposizioni di legge che prevedono termini particolari . 3. Se si tratta di taluno dei delitti indicati nell’art. 275, comma 3, e, in ogni caso, quando sussistono ragioni di urgenza, la comunicazione della notizia di reato è data immediatamente anche in forma orale . Alla comunicazione orale deve seguire senza ritardo quella scritta con le indicazioni e la documentazione previste dai commi 1 e 2. 4. Con la comunicazione la polizia giudiziaria indica il giorno e l`ora in cui ha acquisito la notizia (221 coord.).
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SECONDO COMMA DELL’ART. 365 c.p.
E’ peraltro evidente anche che tutti i casi rispettivamente previsti dagli articoli 331, 334 e 347 del C.P.P., vale, per gli esercenti una professione sanitaria quale senza ogni dubbio è quella del Medico Psicoterapeuta, la norma generale ribadita dal SECONDO COMMA DELL’ART. 365 c.p. (OMISSIONE DI REFERTO), norma secondo la quale l’obbligo di referto “non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale”.
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Art. 201 Codice di Procedura Penale - Segreto di ufficio
1. Salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria (331), i pubblici ufficiali (357 c.p.), i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio (358 c.p.) hanno l’obbligo di astenersi dal deporre (204) su fatti conosciuti per ragioni del loro ufficio che devono rimanere segreti (326 c.p.). 2. Si applicano le disposizioni dell’art. 200 commi 2 e 3.
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Art. 249 Codice di Procedura Civile - Facoltà d'astensione
Si applicano all'audizione dei testimoni le disposizioni degli articoli 351 e 352 del codice di procedura penale relative alla facoltà d'astensione dei testimoni. (Si vedano, attualmente, gli artt. 199 nuovo c.p.p. per la facoltà di astensione e gli artt. 200 e 204 stesso codice per l’obbigo di astenersi a causa di segreto professionale o di Stato). Art. 250 Codice di Procedura Civile - Intimazione ai testimoni L'ufficiale giudiziario, su richiesta della parte interessata, intima ai testimoni ammessi dal giudice istruttore di comparire nel luogo, nel giorno e nell'ora fissati, indicando il giudice che assume la prova e la causa nella quale debbono essere sentiti.
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Art. 255 Codice di Procedura Civile - Mancata comparizione dei testimoni
Se il testimone regolarmente intimato non si presenta, il giudice istruttore può ordinare una nuova intimazione oppure disporne l'accompagnamento all'udienza stessa o ad altra successiva. Con la medesima ordinanza lo condanna a una pena pecuniaria non inferiore a lire quattrocento e non superiore a lire ottomila, oltre che alle spese causate dalla mancata presentazione. Se il testimone si trova nell'impossibilità di presentarsi o ne è esentato dalla legge o dalle convenzioni internazionali, il giudice si reca nella sua abitazione o nel suo ufficio; e, se questi sono situati fuori della circoscrizione del tribunale, delega all'esame il pretore del luogo.
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Art. 256 Codice di Procedura Civile - Rifiuto di deporre e falsità della testimonianza
Se il testimone, presentandosi, rifiuta di giurare o di deporre senza giustificato motivo, o se vi è fondato sospetto che egli non abbia detto la verità o sia stato reticente, il giudice istruttore lo denuncia al pubblico ministero, al quale trasmette copia del processo verbale. Il giudice può anche ordinare l'arresto del testimone.
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RIASSUMENDO Alcune figure professionali, per la loro specifica natura sanitaria (tra le quali ricadono quindi sicuramente gli Psicoterapeuti Medici) o per il fatto che svolgano una particolare “professione od arte” regolate da un apposito Albo e Codice Deontologico (tra le quali dovrebbe quindi ricadere anche quella di Psicologo “tout-court”, sia o non sia esso esercente l’attività di Psicoterapeuta), sono di norma tenute all’ “obbligo di segreto professionale”, anche se interrogate in qualità di testimoni. In caso contrario commettono un reato in violazione dell’art. 622 c.p. (oppure del e 326 c.p. se esse sono “pubblici ufficiali” o “incaricati di pubblico servizio”), a meno che non rivelino quanto di loro conoscenza per “giusta causa”.
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Tale norma generale del “segreto professionale”
può peraltro essere derogata in caso di valido e dimostrabile “consenso informato” della persona da cui le notizie da considerarsi segrete o comunque riservate sono state riferite, oppure, anche in assenza di tale consenso informato, da un obbligo di testimonianza sancito da un Giudice di un Tribunale Penale che consideri prevalente l’interesse generale del dover rendere giustizia ad una vittima rispetto all’interesse individuale relativo all’inviolabilità del segreto. Non ricadono tuttavia sotto tale obbligo di testimonianza gli ESERCENTI UNA PROFESSIONE SANITARIA , quale è ad esempio quella del Medico Psicoterapeuta, la cui testimonianza esporrebbe il proprio assistito ad un procedimento penale.
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Nessuna Autorità può ordinare ad uno Psicoterapeuta Medico
di rendere testimonianza su fatti che il Medico Psicoterapeuta stesso ha appreso durante lo svolgimento della propria attività professionale, a meno che il Medico Psicoterapeuta in questione non sia anche “Pubblico Ufficiale” oppure un “Incaricato di Pubblico Servizio” ed abbia appreso tali fatti nell’esercizio di tali ruoli e, comunque, la testimonianza da esso resa non esponga il proprio assistito ad un procedimento penale.
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IN ESTREMA SINTESI, QUINDI:
Nessuna Autorità, nemmeno un Giudice o un presidente di un Tribunale Penale, può ordinare ad uno Psicoterapeuta Medico di rendere testimonianza su fatti che il Medico Psicoterapeuta stesso ha appreso durante lo svolgimento della propria attività professionale se la testimonianza resa da tale Professionista espone il proprio assistito ad un procedimento penale.
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nessuna Autorità al di fuori di un Giudice o di un
INVECE, nessuna Autorità al di fuori di un Giudice o di un Presidente di Tribunale Penale può ordinare ad uno Psicoterapeuta Psicologo di rendere testimonianza su fatti che lo Psicoterapeuta Psicologo stesso ha appreso durante lo svolgimento della propria attività professionale, a meno che lo Psicologo Psicoterapeuta in questione non sia anche un “Pubblico Ufficiale” oppure un “Incaricato di Pubblico Servizio” ed abbia appreso i fatti per i quali è chiamato a testimoniare proprio nell’esercizio di tali ruoli. In queste due eventualità, a differenza di quanto avveniva per lo Psicoterapeuta Medico, lo Psicoterapeuta Psicologo è chiamato a testimoniare da parte di un Giudice di un Tribunale penale anche nel caso che la testimonianza da esso resa esponga il proprio assistito ad un procedimento penale.
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IPOTESI DI TESTIMONIANZA
Tribunale Ecclesiastico (Tribunale della Sacra Rota) Tribunale Amministrativo regionale Corte d’Assise Tribunali Ordinari (Civile o Penale) Giudice di Pace in sede civile o penale Tribunale Ecclesiastico (Tribunale della Sacra Rota) Tribunale Amministrativo regionale Corte d'Assise Tribunali Ordinari (civile e penale) Giudice di Pace in sede civile o penale
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TRIBUNALE DELLA SACRA ROTA
In questi casi, non avendo questo Tribunale alcuna autorità di tipo penale o civile ma solo una funzione di tipo religioso, allo Psicoterapeuta sia Medico che Psicologo eventualmente convocato non compete alcun obbligo di presentarsi dinanzi a tale Corte. Inoltre se lo facesse senza aver prima acquisito al riguardo un apposito consenso informato scritto da parte del proprio cliente coinvolto in tale causa ricadrebbe in una violazione dell’art. 622 C. P. nonché dell’art. 12 del Codice Deontologico degli Psicologi oppure dell’art. 9 del Codice di deontologia Medica, esponendosi quindi sia alle conseguenti sanzioni sia penali che disciplinari conseguenti a tali norme.
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TRIBUNALI CIVILI O PENALI
è opportuno che lo Psicoterapeuta sia Medico che Psicologo si presenti spontaneamente di fronte a tale Autorità; che chiarisca in via preliminare i propri doveri ed i propri limiti a lui imposti dalle vigenti normative deontologiche e penali in materia di segreto professionale; nel caso che l’Autorità in questione non sia un Giudice, essa deve solo prendere atto di tale obbligo dello Psicoterapeuta, senza alcuna possibilità di “obbligarlo” a testimoniare; nel caso si tratti di un Giudice o di un Presidente di Tribunale, invece, possono originarsi alcune differenti possibilità.
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ESSERE AL SICURO RISPETTO AI PROVVEDIMENTI SEGNALATI IN PRECEDENZA
Il primo “passo” è quello di ottenere il consenso informato alla testimonianza da parte degli assistiti ESSERE AL SICURO RISPETTO AI PROVVEDIMENTI SEGNALATI IN PRECEDENZA Senza aver ottenuto tale consenso allo Psicoterapeuta non è di norma possibile prestare alcun tipo di testimonianza, perché da un lato ciò infrangerebbe il rapporto di fiducia col proprio assistito, e dall’altro lo esporrebbe sia ad una concreta sanzione disciplinare da parte del proprio Ordine territoriale di appartenenza sia a non meno pesanti conseguenze da parte della Giustizia ordinaria.
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Nel caso non si ottenesse il consenso informato…..
E’ doveroso informare innanzitutto l’Autorità dei doveri imposti dal Codice Deontologico di riferimento dello Psicoterapeuta, dal Codice Penale e delle ulteriori limitazioni dovute alla mancanza del consenso informato. quindi 2 possibilità: Tribunale Civile Tribunale Penale
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TRIBUNALE CIVILE Se lo Psicologo Psicoterapeuta ritiene di non potere
(in quanto privo del necessario consenso informato) o di non dovere testimoniare (sulla base di quanto previsto a sua volta dall’ultimo periodo dell’art. 12 C.D.), al Giudice non resta che prendere atto di tale “giustificato motivo” esplicitamente previsto dal sopra riportato art. 256 C.P.C., e di rinunciare quindi ad acquisire la testimonianza dello Psicologo stesso senza alcuna conseguenza ulteriore per quest’ultimo. Lo stesso dicasi per lo Psicoterapeuta Medico che ritenga di non dover testimoniare, in quanto anch’egli è sicuramente, in ambito Civile, un Professionista esente da ogni obbligo di testimonianza.
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TRIBUNALE PENALE Anche davanti ad un Tribunale Penale lo Psicoterapeuta Medico che ritenga di non dover testimoniare al fine di tutelare un proprio assistito rispetto ai rischi di un procedimento penale a carico di quest’ultimo non ha nessun obbligo di farlo, in quanto egli è sicuramente un “esercente una professione sanitaria”. Per quanto riguarda, invece, lo Psicologo-Psicoterapeuta, le norme attualmente vigenti non appaiono del tutto univoche come quelle vigenti per questo stesso Professionista in materia di procedimenti religiosi, civili o amministrativi. Occorre pertanto distinguere, a questo proposito, tre differenti ulteriori casi particolari: Rischio di procedimento penale riguardante un tossicodipendente; Rischio di procedimento penale riguardante un soggetto minorenne; Rischio di procedimento penale riguardante un soggetto maggiorenne non tossicodipendente.
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“si privilegia qui la necessità terapeutica
1. Processo penale a carico di un soggetto tossicodipendente La legge attualmente vigente (art. 120 D.P.R. n.309 del 9/10/1990) riconosce allo Psicologo ed al Medico operanti presso Servizi pubblici oppure presso Enti, Centri, Associazioni o Gruppi convenzionati con il Servizio pubblico per le tossicodipendenze il totale diritto di astenersi da qualunque tipo di testimonianza o di denuncia. “si privilegia qui la necessità terapeutica rispetto a quella giudiziaria”
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Tale norma è stata peraltro pienamente
recepita anche dal secondo comma dell’art. 362 del Codice Penale. ARTICOLO 362 CODICE PENALE Omessa denuncia da parte di un incaricato di pubblico servizio 1. L'Incaricato di un Pubblico Servizio (358), che omette o ritarda di denunciare all'Autorità indicata nell'articolo precedente un reato del quale abbia avuto notizia nell'esercizio o a causa del servizio (331 c.p.p.; 221 disp. coord. c.p.p.), è punito con la multa fino a € 103. 2. Tale disposizione non si applica se si tratta di un reato punibile a querela della persona offesa né si applica ai responsabili delle comunità terapeutiche socio-riabilitative per fatti commessi da persone tossicodipendenti affidate per l'esecuzione del programma definito da un servizio pubblico .
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2. Processo penale a carico di un soggetto minorenne
Per i soggetti minorenni sembra valere lo stesso principio applicato ai soggetti tossicodipendenti in programma terapeutico, in quanto tutto lo spirito del D.P.R. n. 448 del 1988 (“Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni”) appare orientato a tutelare prioritariamente la salute e l’adeguato sviluppo psicologico successivo di questi soggetti rispetto ad esigenze immediate di accertamento della verità attraverso procedure che potrebbero invece comprometterlo.
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3. Processo penale a carico di un soggetto maggiorenne
non- tossicodipendente l’art. 200 del Codice di Procedura Penale esonera dall’obbligo di “deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione” …. “i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria” (Comma 1 lettera c)
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ARTICOLO 99 REGIO DECRETO 27 LUGLIO 1934, N
ARTICOLO 99 REGIO DECRETO 27 LUGLIO 1934, N “APPROVAZIONE DEL TESTO UNICO DELLE LEGGI SANITARIE” Articolo 99 È soggetto a vigilanza l'esercizio della medicina e chirurgia, della veterinaria, della farmacia e delle professioni sanitarie ausiliarie di levatrice, assistente sanitaria visitatrice e infermiera diplomata (1). È anche soggetto a vigilanza l'esercizio delle arti ausiliarie delle professioni sanitarie. S'intendono designate con tale espressione le arti dell'odontotecnico, dell'ottico, del meccanico ortopedico ed ernista e dell'infermiere abilitato o autorizzato, compresi in quest'ultima categoria i capi bagnini degli stabilimenti idroterapici e i massaggiatori (2). Con decreto, su proposta del Ministro della sanità, sentiti il Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica ed il Consiglio di Stato, possono essere sottoposte a vigilanza sanitaria altre arti, che comunque abbiano rapporto con l'esercizio delle professioni sanitarie, secondo le norme che sono determinate nel decreto medesimo. La vigilanza si estende: a) all'accertamento del titolo di abilitazione; b) all'esercizio delle professioni sanitarie e delle arti ausiliarie anzidette. (1) Inoltre, la professione di vigilatrice d'infanzia, ex art. 7, l. 19 luglio 1940, n (2) Inoltre, l'arte ausiliaria di puericultrice, ex art. 12, l. 19 luglio 1940, n e di tecnico di radiologia medica, ex l. 4 agosto 1965, n
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L’ATTIVITA’ DELLO PSICOLOGO E’ DEFINIBILE CON CERTEZZA COME
“SANITARIA”? La legge a questo riguardo risponde NO
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perché: Né la figura professionale dello Psicologo “tout court” né quelle più “specialistiche” dello Psicologo-Psicoterapeuta o dello Psicologo Clinico risultano in realtà inserite tra le “Professioni sanitarie” esplicitamente citate nell’art. 99 del “Testo Unico delle Leggi Sanitarie”.
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Risulta pertanto ancora dubbia e comunque da discriminarsi caso per caso, nella normativa attuale, l'applicabilità agli Psicologi delle ipotesi previste dai commi 1 e 2 dell'art. 365 del Codice Penale.
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Ma in data 29 febbraio 2008 è stato approvato in via definitiva dal Parlamento italiano una norma di Legge che testualmente afferma: L'articolo 29 della legge 18 febbraio 1989, n. 56, è sostituito dal seguente: «Art (Vigilanza del Ministro della salute) Il Ministro della salute esercita l'alta vigilanza sull'Ordine nazionale degli psicologi».
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PROFESSIONE SANITARIA.
Con tale norma, di fatto, appare come ormai avviato un processo destinato a far qualificare specificatamente, in un futuro attualmente ancora indeterminato, la Professione di Psicologo come una PROFESSIONE SANITARIA.
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A seguito di tale innovazione, pertanto, appare come presumibilmente destinata a diventare in futuro applicabile anche agli PSICOLOGI LIBERI PROFESSIONISTI quell’ OBBLIGO DI REFERTO sancito dall’art. 334 del Codice di Procedura Penale, ed il cui mancato rispetto comporta l’applicazione dell’art. 365 del Codice Penale.
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E’ invece attualmente già obbligatoria la denuncia all’autorità giudiziaria da parte di tutti gli PSICOLOGI PUBBLICI UFFICIALI OPPURE INCARICATI DI PUBBLICO SERVIZIO in ogni caso si ravvisi un’ipotesi di reato perseguibile d’ufficio: per essi, in questi casi ed in ogni altro caso in cui si ravvisi una situazione di rischio per un minore, è anche previsto l’obbligo della segnalazione ai Servizi Sociali e Sanitari competenti per territorio.
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Tuttavia, come già abbiamo visto,
è già presente, tra le Leggi in vigore nel nostro Paese, una norma che assegna ad operatori di varie professionalità, tra le quali può in taluni casi certamente ritrovarsi anche quella dello Psicologo, un chiaro “non obbligo di testimonianza” assolutamente identico a quello di tutte le altre Professioni per le quali si applica invece inequivocabilmente quanto previsto dall’art. 200 del Codice di Procedura Penale. Si tratta del: comma 7 dell’art. 120 del D.P.R. 9 Ottobre 1990 n. 309 “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”
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DPR 309/90 - TITOLO XI Interventi preventivi, curativi e riabilitativi
Articolo Terapia volontaria e anonimato (omissis) 7. I dipendenti del servizio pubblico per le tossicodipendenze non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione della propria professione, né davanti all'autorità giudiziaria né davanti ad altra autorità. Agli stessi si applicano le disposizioni dell'articolo 200 del codice di procedura penale e si estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell'art. 103 del codice di procedura penale in quanto applicabili. La presente norma si applica anche a coloro che operano presso gli enti, centri, associazioni o gruppi che hanno stipulato le convenzioni di cui all'art. 117.
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Questa norma di Legge, pertanto, assegna a tutti i dipendenti delle strutture autorizzate ad operare nell’ambito delle dipendenze patologiche, inclusi quindi anche i Medici e gli Psicologi che operano in tale ambito, una completa autonomia rispetto all’obbligo di sottostare o meno ad ogni specifica richiesta di testimonianza rivolta a loro da qualunque Autorità. Purtroppo si tratta, almeno sino a questo momento, dell’ unica norma di legge vigente in Italia nella quale tale autonomia di scelta per lo Psicologo chiamato a testimoniare all’interno di un procedimento a carattere penale sia chiaramente ed inequivocabilmente espressa.
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Per tutti gli altri casi
Allo stato attuale, lo Psicologo Psicoterapeuta è chiaramente obbligato a presentarsi di fronte al Giudice di un Tribunale che lo ha chiamato a testimoniare, ed ha l’obbligo di rendere testimonianza anche nel caso in cui essa esponesse il proprio assistito ai rischi di un procedimento penale a carico di quest’ultimo. Ciò, ovviamente, potrebbe mettere in seria difficoltà tutto il sistema etico dello psicologo. Un ultimo tentativo di difendere il proprio sistema etico potrebbe essere il seguente ragionamento, basato su 3 punti:
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1) Sebbene né la figura professionale dello Psicologo “tout court” né quelle più “specialistiche” dello Psicoterapeuta o dello Psicologo Clinico risultino in effetti inserite tra le “Professioni sanitarie” esplicitamente citate nell’art. 99 del “Testo Unico delle Leggi Sanitarie”, ciò è essenzialmente dovuto al fatto che tale Testo risale ad un epoca (e precisamente l’anno 1934) in cui “l’attività dello Psicologo era ai primordi e, possiamo dire, sconosciuta al legislatore”. Il fatto, invece, che il Codice Deontologico imponga esplicitamente allo Psicologo italiano il Segreto professionale ed il Divieto di testimonianza fa ricadere tali imposizioni nell’ambito di vere e proprie “norme giuridiche professionali”, in quanto la loro mancata osservanza esporrebbe lo Psicologo stesso – a meno che egli non disponga di un “consenso informato” di una terza persona idonea a fornirlo - a concreti rischi di sanzioni disciplinari da parte del proprio Ordine professionale.
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2) Varie altre norme giuridiche successive hanno comunque chiaramente caratterizzato in senso sanitario sia le attività specialistiche dello Psicoterapeuta e dello Psicologo Clinico (ad es. il Decreto 21 Gennaio 1994 “Prestazioni sanitarie rese da professionisti esenti dall’Imposta sul Valore Aggiunto”, pubblicato sulla G.U. del 2 Febbraio 1994, n.26) sia quella dello Psicologo genericamente definito come tale in varie normative riguardanti le figure professionali operanti all’interno del Servizio Sanitario Nazionale (ad es. il D.P.R. n. 761 del 20/12/1979).
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3) La stessa Legge alla base di ogni altra norma giuridica dello Stato italiano, vale a dire la Costituzione della Repubblica, pone con il proprio art. 32 la salute come “fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività”, e di questo principio non solo lo Psicologo, ma anche lo stesso Giudice o Presidente del Tribunale deve tener conto nell’esercizio della propria attività professionale Pertanto, se anche la Costituzione stessa (e non solo il proprio Codice Deontologico) impone allo Psicologo di tener conto della tutela della salute dei cittadini, anche il Giudice nell’esercizio della sua funzione non può prescindere dal fatto che il diritto alla salute va tutelato almeno in misura equivalente al principio della corretta amministrazione della giustizia, e che nel procedimento penale in corso ambedue i suddetti principi devono concorrere in modo che la tutela della salute dei soggetti coinvolti non venga in alcun modo esposta ad alcun tipo di rischio.
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Un simile ragionamento complessivo, in genere, non viene completamente trascurato dal Giudice.
Esso costituisce pertanto una delle più concrete ed efficaci possibilità attraverso cui lo Psicologo-Psicoterapeuta che, in ambito penale, ritenga in coscienza di non dover rendere testimonianza, può effettivamente raggiungere tale obiettivo, oltretutto senza incorrere, a propria volta, in rischi di sanzioni né penali né deontologiche.
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GLI PSICOLOGI E L’OBBLIGO DI TESTIMONIANZA NEL PROCESSO PENALE
Vediamo ora di offrire, attraverso l’analisi dell’impianto normativo e degli obblighi giuridici che da esso derivano, indicazioni agli psicologi circa le linee di comportamento da adottare in caso di convocazione quali testimoni avanti all’Autorità Giudiziaria in materia penale.
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Tale interpretazione è errata.
Gli artt. 11, 12, 13 e 15 del nostro Codice Deontologico potrebbero erroneamente portare a dedurre che lo psicologo sia comunque tenuto al segreto professionale e che possa derogarvi solo in presenza di valido consenso del destinatario della sua prestazione o qualora si prospettino gravi pericoli per la vita o per la salute psicofisica del soggetto e/o di terzi. Tale interpretazione è errata.
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Bisogna tener presente che il Codice Deontologico non è l’unica fonte normativa alla quale riferirsi, né la più “forte”. Esso infatti è manifestazione dell’autonomia privata demandata agli Ordini professionali, autonomia che, secondo il principio della “gerarchia delle fonti del diritto”, soccombe rispetto a fonti normative di grado superiore quali, ad esempio, il codice penale e il codice di procedura penale, aventi forza di legge ordinaria.
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Diventa quindi indispensabile analizzare ciò che il Codice penale e il Codice di procedura penale prevedono al riguardo; l’esame comparato dei predetti Codici con il Codice Deontologico rivela un parziale contrasto, determinato, dalle diversità dei valori che le une e le altre mirano a tutelare: Le norme deontologiche sono rivolte a garantire soprattutto il rapporto di fiducia instaurata tra cliente e Psicologo; Le norme statali sono, invece, protese a reprimere i reati, e ciò anche con la collaborazione necessaria dei cittadini che abbiano notizia di questi, anche nello svolgimento della propria professione.
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Per il professionista diviene fondamentale comprendere la distinzione delle tutele operate dalle varie norme, e quindi per sapere operare una lettura comparata delle fonti normative, ciò non soltanto nello specifico caso che stiamo trattando; nel caso di dubbi è bene rivolgersi a un avvocato di fiducia, o richiedere all’Ordine una consulenza legale. Dal Codice di Procedura Penale (CPP) emerge che il Legislatore ha una generale tendenza a prevedere come eccezionali le ipotesi d’incompatibilità assoluta a testimoniare, considerato il preminente interesse pubblico all’accertamento dei reati.
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Tutto ciò si deduce dal fatto che le ipotesi d’astensione dall’obbligo di testimonianza, indicate nell’art. 200 CPP, sono tassative, ovvero non passibili di interpretazione estensiva. Le categorie professionali tutelate dall’art 200 CPP sono: gli avvocati, i procuratori legali, i consulenti tecnici, i notai, i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria, gli esercenti altri uffici o professioni “ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale”.
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Lo Psicologo non è previsto fra queste e non lo si può, nemmeno, far rientrare, sic et simpliciter, tra gli “esercenti una professione sanitaria” in quanto, semplicemente, la professione di Psicologo non è citata nell’art. 99 del Testo Unico delle Professioni Sanitarie. Sembra, poi, piuttosto azzardato procedere a un’interpretazione estensiva dell’art. 32 della Costituzione relativo al diritto della salute, per dedurre l’importanza della segretezza delle informazioni note allo Psicologo e la conseguente facoltà d’astenersi alla testimonianza.
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Occorre fin da ora dire che tale interpretazione dell’art
Occorre fin da ora dire che tale interpretazione dell’art. 200 CPP, del tutto restrittiva, è possibile opporne un’altra, per quanto non altrettanto fondata: in particolare si può sostenere con qualche argomento la collocabilità dello Psicologo nel novero delle professioni alle quali “la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale” e ciò in virtù dell’espressa estensione dell’art. 622 del Codice Penale (CP) (che prevede l’obbligo di segreto professionale) alla professione di psicologo, estensione operata dall’art. 4 della legge 56/89.
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Nondimeno, la debolezza della tesi sta nel fatto che la legge 56/89, all’art 4, riconosce l’obbligo dello Psicologo al segreto professionale in quanto impone di rivelarlo soltanto per giusta causa ma non riconosce anche la facoltà di astensione dalla testimonianza che da questo potrebbe derivare se fosse esplicitamente applicabile anche l’art 200 CPP. Pertanto, essendo le due discipline (art. 622 CP e art. 200 CPP) non del tutto coincidenti, si può ritenere che l’essere soggetti all’art. 622 CP non coincida con l’essere esentati dall’obbligo di testimoniare.
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Atteso che le ipotesi di incompatibilità a testimoniare sono , come si è appena visto, eccezionali, bisogna sottolineare, inoltre, che il fatto di rendere testimonianza può esporre lo Psicologo fondamentalmente a un solo rischio, costituito dall’incorrere nel reato di “rilevazione di segreto professionale” di cui all’art. 622 CP, articolo che merita un attento esame che costituirà il fondamento dell’analisi a seguire. Il reato di rivelazione di segreto professionale si configura soltanto se il segreto viene rivelato “senza giusta causa” e se dalla rivelazione “può derivare nocumento”.
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A questo proposito, va ricordato che il concetto di nocumento, per il diritto, non coincide con quello di danno, ma richiede altresì il diverso e ulteriore requisito dell’ingiustizia del danno predetto, in mancanza della quale il danno non è ingiusto, e pertanto non è nemmeno nocumento. Come si può dedurre, vi è una stretta correlazione, in questo reato, tra la “giusta causa” della rivelazione del segreto e la possibilità del “nocumento”: quando sussiste la giusta causa della rivelazione, il danno non è ingiusto, e quindi non è nocumento in senso giuridico e, viceversa ogni volta che il danno non è ingiusto vi è giusta causa della rivelazione.
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Ogni volta che lo Psicologo rivela quanto da lui conosciuto per giusta causa sarà esente da responsabilità penale, anche se ciò che lui conosce costituisce segreto professionale e anche se tale rivelazione ha prodotto un danno al paziente. Es.: la Corte di Cassazione ha affermato che non risponde del reato di cui l’art. 622 CP il medico che riferisce ad una società d’assicurazione l’esistenza in persona assicurata di una malattia che egli ha precedentemente accertata come medico privato e di fiducia, in questo modo impedendo a quest’ultima di percepire un indennizzo non dovuto (Cass., II, , n.542).
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Non è quindi punibile un medico che chiamato a testimoniare, riveli fatti privati di un suo paziente che, taciuti, potrebbero determinare una truffa, cioè un nocumento in senso giuridico. Ne discende, da ciò, che nel procedimento penale manca il fondamento normativo per suggerire allo psicologo che venga a trovarsi dinanzi a una convocazione a scopo testimoniale, di rifiutare al solo fine di non infrangere il rapporto di fiducia che lo lega al proprio paziente. Consigliamo di sottolineare il proprio peculiare status, cioè di essere soggetto al rispetto dell’art. 622 CP, ma non espressamente al 200 CPP, al giudicante, eventualmente sollecitandolo a motivare specificamente la necessità di tale testimonianza, in modo di veder espressamente riconosciuta la giusta causa sottesa alla rivelazione di quelle informazioni.
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Come abbiamo già evidenziato, la disciplina appena esposta subisce una rilevante eccezione, relativa al procedimento penale a carico di un soggetto tossicodipendente. La normativa (art. 120 D.P.R. n. 309 del 9/10/1990) riconosce allo Psicologo così come a tutti gli altri operatori dei Servizi pubblici per le tossicodipendenze, il totale diritto di astenersi dal rendere testimonianza (di fatto estendendo a tale categoria gli effetti dell’art. 200CPP) su quanto hanno conosciuto durante l’attività professionale, privilegiando, quindi, la necessità terapeutica rispetto a quella giudiziaria.
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La stessa cosa vale anche per gli Psicologi che operano presso Enti, Centri, Associazioni o Gruppi del Volontariato e del Privato Sociale per le tossicodipendenze, a condizione che tali centri o Gruppi siano convenzionati con il Servizio pubblico. Permane in ogni caso l’obbligo, in capo ai predetti professionisti, di comunicare all’autorità competente le violazioni al programma terapeutico commesse dalla persona sottoposta al programma stesso.
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NORME DI RIFERIMENTO Dalla Costituzione Italiana
Art. 32 – La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario e se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
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Dal Codice Penale Art. 622 – Rivelazione di segreto professionale Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire sessantamila a un milione (326). Il delitto è punibile a querela della persona offesa ( 120; 336 CPP).
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Dal Codice di Procedura Penale:
Art. 194 – Oggetto e limiti della testimonianza Il testimone è esaminato sui fatti che costituiscono oggetto di prova (187). Non può deporre sulla moralità dell’imputato (234-3), salvo che si tratti di fatti specifici, idonei a qualificarne la personalità (133 CP) in relazione al reato e alla pericolosità sociale (203 CP). L’esame può estendersi anche ai rapporti di parentela e di interesse che intercorrono tra il testimone e le parti o altri testimoni nonché alle circostanza il cui accertamento è necessario per valutarne la credibilità. La deposizione sui fatti che servono a definire la personalità della persona dal reato (90) è ammessa solo quando il fatto dell’imputato deve essere valutato in relazione al comportamento di quella persona. Il testimone è esaminato su fatti determinati (499). Non può deporre sulle voci correnti nel pubblico né esprimere apprezzamenti personali salvo che sia impossibile scinderli dalla deposizione sui fatti.
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Art. 198- Obblighi del testimoni
Il testimone ha l’obbligo di presentarsi (205, 206, 502) al giudice e di attenersi alle prescrizioni date dal medesimo per le esigenze processuali e di rispondere secondo verità (497) alle domande che gli sono rivolte (207, 497, 366, 372 CP). 2. Il testimone non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale (63; 384CP).
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Art. 200 – Segreto professionale
1. Non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferire all’autorità giudiziaria (331, 334): I ministri di confessione religiose (8Cost.), i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano; Gli avvocati, i procuratori legali, i consulenti tecnici (222) e i notai; I medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria; Gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale.
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2. Il giudice, se ha motivo di dubitare che la dichiarazione resa da tali persone per esimersi dal deporre sia infondata, provvede agli accertamenti necessari. Se risulta infondata, ordina che il testimone deponga (256). 3. Le disposizioni previste dai commi 1 e 2 si applicano ai giornalisti professionisti iscritti nell’albo professionale, relativamente ai nomi delle persone dalle quali i medesimi hanno avuto notizie di carattere fiduciario nell’esercizio della loro professione. Tuttavia se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l’identificazione della fonte della notizia, il giudice ordina al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni.
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Art. 207 – Testimoni sispettati di falsità o reticenza
Art. 207 – Testimoni sispettati di falsità o reticenza. Testimoni renitenti. 1. Se nel corso dell’esame un testimone rende dichiarazioni contraddittorie, incomplete o contrastanti con le prove già acquisite, il presidente o il giudice glielo fa rivelare rinnovandogli, se del caso, l’avvertimento previsto dall’art. 497 comma 2. Allo stesso avvertimento provvede se un testimone rifiuta di deporre fuori dei casi espressamente previsti dalla legge ( ) e, se il testimone persiste nel rifiuto, dispone l’immediata trasmissione degli atti al pubblico ministero perché ministero perché proceda a norma di legge (476; 366 CP).
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DAL CODICE DI PROCEDURA CIVILE
Art. 256 – Rifiuto di deporre e falsità della testimonianza Se il testimone, presentandosi, rifiuta di giurare (251) o di deporre (249) senza giustificato motivo, o se vi è fondato sospetto che egli non abbia detto la verità o sia stato reticente(372 CP), il giudice istruttore lo denuncia al pubblico ministero, al quale trasmette copia del processo verbale (126). Il giudice può anche ordinare l’arresto del testimone.
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DAL DPR 309/90 – Titolo XI (Interventi preventivi, curativi e riabilitativi)
Art. 120 – Terapia volontaria e anonimato (omissis) 7. Gli operatori del servizio pubblico per le tossicodipendenze e delle strutture private autorizzate ai sensi dell’articolo 116, salvo l’obbligo di segnalare all’autorità competente tutte le violazioni commesse dalla persona sottoposta al programma terapeutico alternativo a sanzioni amministrative o ad esecuzione di pene detentive, non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione della propria professione, né davanti all’autorità giudiziaria né davanti ad altra autorità. Agli stessi si applicano le disposizioni dell’articolo 200 del Codice di Procedura Penale e si estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell’articolo 103 del codice di procedura penale in quanto applicabili. (omissis)
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Dal Codice Deontologico degli Psicologi Italiani
Art.11- Lo psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale. Pertanto non rivela notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale, né informa circa le prestazioni professionali effettuate o programmate, a meno che non ricorrano le ipotesi previste dagli articoli seguenti.
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Art.12 – Lo Psicologo si astiene dal rendere testimonianza su fatti di cui è venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto professionale. Lo psicologo può derogare all’obbligo di mantenere il segreto professionale, anche in caso di testimonianza, esclusivamente in presenza di valido e dimostrabile consenso del destinatario della sua prestazione. Valuta, comunque, l’opportunità di fare uso di tale consenso, considerando preminente la tutela psicologia dello stesso.
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Art. 13 – Nel caso di obbligo di referto o di obbligo di denuncia, lo psicologo limita allo stretto necessario il riferimento di quanto appreso in ragione del proprio rapporto professionale, ai fini della tutela psicologica dello soggetto. Negli altri casi, valuta con attenzione la necessità di derogare totalmente o parzialmente alla propria doverosa risevatezza, qualora si prospettino gravi pericoli per la vita o per la salute psicofisica del soggetto e/o di terzi.
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Art. 15 – Nel caso di collaborazione con altri soggetti parimenti tenuti al segreto professionale, lo Psicologo può condividere soltanto le informazioni strettamente necessarie in relazione al tipo di collaborazione.
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Grazie per l’attenzione.
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