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UMANESIMO E RINASCIMENTO

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Presentazione sul tema: "UMANESIMO E RINASCIMENTO"— Transcript della presentazione:

1 UMANESIMO E RINASCIMENTO
A cura della Prof.ssa Maria Isaura Piredda UMANESIMO E RINASCIMENTO

2 Nel corso del Quattrocento e nei primi anni del Cinquecento in Italia si verificò una vera e propria svolta della civiltà. Ebbe inizio una nuova era, chiamata Rinascimento.

3 Il Rinascimento si suddivide in due fasi:
la prima fase coincide all’incirca con il Quattrocento, è nota come Umanesimo ed è caratterizzata dalla rinascita dell’interesse per l’antichità e dalla riscoperta dei classici, la seconda fase occupa i primi decenni del Cinquecento ed è l’età propriamente definita Rinascimento caratterizzata dal trionfo della cultura cortigiana.

4 Il contesto storico

5 Fra la fine del Quattrocento e i primi del Cinquecento vi furono eventi storici importantissimi:
la perdita dell’indipendenza degli Stati italiani le scoperte geografiche l’affermarsi delle armi da fuoco la nascita e la diffusione della stampa la Riforma protestante

6 In Italia nel primo Quattrocento si erano affermate le Signorie col passaggio del potere cittadino nelle mani di un individuo che poi lo trasmette ereditariamente ai discendenti. Il potere dei signori veniva poi legittimato dall’imperatore o dal pontefice tanto che la signoria si trasformò in Principato

7 Il signore si circondava di persone a lui fedeli e decideva la politica interna ed estera.
Attorno a lui si creò la corte, costituita non solo da personale politico ma anche da intellettuali ed artisti perché il signore amava proteggere la cultura e le arti per ricavarne prestigio presso gli altri Stati e per conquistare consenso tra i sudditi (mecenatismo).

8 Le Signorie divennero così centri di cultura, in cui si coltivano la letteratura, la filosofia, la scienza, le arti. I signori investivano enormi somme per costruire palazzi e ville, per ornali con affreschi e statue o per far decorare cappelle a loro intitolate nelle chiese

9 I cittadini furono trasformati in sudditi (non partecipavano più alla vita politica ma si uniformavano alla volontà del signore). Spesso le Signorie diventavano stati di dimensioni regionali perché si espandevano a spese delle città vicine, perciò tra le varie città c’erano guerre continue e feroci.

10 Solo la pace di Lodi del 1454 aveva portato un certo equilibrio fra gli stati italiani che favorì uno sviluppo economico notevole ed una grande fioritura artistica ma impedì il formarsi di un’unità statale in Italia (che fu la causa della debolezza degli stati italiani rispetto agli altri Stati europei).

11 Rispetto alla crisi del Trecento dunque, nel Quattrocento ci fu una netta seppur graduale ripresa con un ritorno alla terra da parte dei contadini ma anche da parte della borghesia cittadina che preferiva investire in agricoltura piuttosto che nel commercio perché la rendita terriera risultava più sicura di quella mercantile.

12 Nacque un’elite cittadina che possedeva grandi ricchezze che poteva spendere in generi di lusso oppure nella costruzione di palazzi e ville, nella committenza di affreschi o statue ai più prestigiosi artisti del momento. Quest’elite viveva in ambienti splendidi e trascorreva il tempo in feste, spettacoli e banchetti e realizzava quell’ideale di eleganza e raffinatezza che caratterizzava quest’epoca.

13 Si accentuò il divario fra quest’elite (poche persone benestanti) e i ceti popolari (soprattutto i contadini) che vedevano peggiorare le loro condizioni e continuavano a vivere e a pensare come nel Medioevo.

14 L’intellettuale e la corte nel Quattrocento

15 Gli intellettuali in questo periodo erano coloro che con le loro opere avevano il compito di elaborare ed esprimere gli ideali dell’elite colta che si raccoglieva nella corte. La corte era il luogo dove si produceva cultura ma al tempo stesso la si consumava: il pubblico a cui lo scrittore si rivolgeva era composto da cortigiani (la povera gente non aveva accesso alla cultura).

16 L’intellettuale (scrittore o artista) a corte aveva anche il compito di intrattenere i cortigiani nelle continue feste o decorare i saloni o le cappelle con affreschi. Egli a corte trovava le condizioni ottimali per la sua attività perché viveva nella tranquillità economica, poteva dedicarsi allo studio e alla scrittura senza essere costretto ad altre incombenze; godeva inoltre della considerazione sociale vivendo in un ambiente colto e raffinato.

17 Queste condizioni ideali sono alla base della straordinaria fioritura della letteratura del secondo Quattrocento e del Cinquecento, il periodo forse più splendido e ricco della nostra letteratura. L’intellettuale però viveva staccato dalla realtà, rivolto solo a persone della sua cultura e in condizione subalterna nei confronti del signore a cui era legato da un rapporto di servilismo e adulazione.

18 Le mansioni degli intellettuale erano molteplici.
Essi a corte svolgevano l’attività di poeti e studiosi incarichi diplomatici o politici funzioni di segretari e cancellieri la funzione di bibliotecari o pedagoghi che dovevano educare i figli del signore.

19 L’unica alternativa che si offriva all’intellettuale che non voleva entrare alle dipendenze dei principi era la condizione clericale che offriva anche notevoli vantaggi materiali. Essa consisteva: o nel semplice godimento dei benefici ecclesiastici e non esigeva gli ordini sacerdotali (ma solo quelli minori con l’obbligo del celibato) o nel rivestire importanti cariche religiose, ma in realtà anche vescovi e cardinali erano simili ai laici per lo stile di vita fastosa e raffinata che conducevano. Gli intellettuali spesso si spostavano da una corte all’altra favorendo la circolazione e lo scambio culturale tra i vari centri.

20 Il pubblico del Quattrocento

21 Il pubblico del Quattrocento era strettamente elitario sia per il ritorno all’uso del latino che divenne nuovamente la lingua esclusiva dell’alta cultura, sia perché gli intellettuali scrivevano essenzialmente per altri intellettuali. E la situazione non cambiò nemmeno col ritorno al volgare nella seconda metà del Quattrocento.

22 Il panorama cominciò a cambiare con l’introduzione della stampa che favorì maggiore alfabetizzazione e diffusione della cultura.

23 Nascita di nuove istituzioni culturali

24 Nacquero in questo periodo nuove istituzioni culturali:
l’accademia che era un’istituzione nuova, tipica del Quattrocento. Essa era una sorta di cenacolo dove i dotti si incontravano per conversare, discutere e scambiarsi conoscenze. Nell’accademia i più giovani imparavano dai più saggi, ma non era una scuola. Le riunioni avvenivano nei palazzi o nelle ville dei nobili mecenati o nelle corti stesse. Nel secolo successivo le accademie divennero istituzioni ufficiali;

25 le università (a cui poteva accedere solo una ristretta cerchia di persone) che esistevano già da prima ma che in questo periodo si specializzano nelle discipline “umanistiche”; le botteghe di artisti (pittori e scultori) e stampatori. Gli artisti godevano di un grande prestigio e considerazione tanto da essere ammessi a corte ed erano spesso anche forniti di buona cultura. Con la diffusione della stampa (nata in Germania nella metà del Quattrocento ad opera di Gutenberg), alla fine del secolo nacque la bottega dello stampatore dove si riunivano letterati e filosofi per discutere;

26 le biblioteche. Mentre fino al Medio Evo le biblioteche erano istituzioni private, di proprietà di signori o vescovadi, quindi inaccessibili, in questo periodo nacquero le biblioteche pubbliche che facevano circolare i libri nelle mani dei lettori (sia pure in una cerchia ristretta di studiosi). In queste biblioteche venivano conservati anche importanti manoscritti.

27 Le idee e le visioni del mondo nel Quattrocento

28 Tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento si diffonde fra gli uomini di cultura italiani il mito di una “rinascita” della civiltà classica, nella letteratura, nel pensiero, nelle arti figurative, nella vita civile e politica. Nasce cioè la consapevolezza che il Medioevo era finito e che una civiltà era nata. Il Medioevo aveva una concezione del mondo di tipo teocentrico: Dio era al centro dell’universo come motore di tutta la realtà e autore della storia.

29 Ora invece si afferma una visione antropocentrica, in cui l’uomo pone se stesso al centro della realtà come protagonista e autore della propria storia. Nel Medioevo l’uomo era visto come una creatura fragile e contaminata dal peccato originale, continuamente tormentata dalle miserie del corpo e insidiata dalle tentazioni della carne. La sua vita sulla terra era solo un transito temporaneo in attesa della vera patria in cielo.

30 Ora si afferma una visione ottimistica dell’uomo che appare sicuro e ricco di forze, capace di incidere con la propria forza e la propria intelligenza anche nella costruzione del proprio destino. Il corpo non è più condannato ma celebrato nella sua bellezza. Questa concezione laica non implica affatto il rifiuto del sentimento religioso cristiano. Anzi, questa è un’età profondamente religiosa che mira al ritorno ad una purezza originaria del messaggio cristiano.

31 La riscoperta dei classici e della lingua latina

32 Gli uomini prodotti da questa civiltà sono affascinati dal mondo classico perché in esso ritrovano una visione della realtà affine alla propria. Infatti anche la cultura antica si incentrava sulla vita attiva all’interno delle strutture civili, sulla dignità dell’uomo e sulla sua capacità di farsi artefice del proprio destino. Si afferma così il principio dell’imitazione: se gli antichi hanno raggiunto un culmine insuperabile di perfezione, è necessario imitarli in ogni campo (letteratura, filosofia, diritto, arti figurative, etc…)

33 Non si tratta però di un’imitazione passiva ma attiva, dinamica, creativa. I classici sono modelli a cui tendere, ma ciò che conta è costruire il proprio mondo in obbedienza alle esigenze del presente. Il principio di imitazione esige che si conoscano gli autori antichi. Cominciò così una ricerca febbrile dei manoscritti antichi che giacevano ignorati nelle biblioteche di tutta Europa.

34 Si rende necessario anche conoscere la lingua latina nel suo preciso uso antico (infatti nel Medioevo il latino, seppur lingua di cultura, era stato profondamente modificato rispetto al latino usato da Cicerone e Virgilio). Inoltre nel Medioevo si erano accumulati nei manoscritti errori di trascrizione da parte dei copisti amanuensi perciò, per ristabilire la lezione corretta, occorreva un accurato studio e confronto tra le copie a disposizione. Nasce una nuova scienza, la filologia.

35 Il ritorno al volgare

36 Verso la metà del Quattrocento si ha una nuova inversione di tendenza: il volgare comincia a riprendere piede come lingua di cultura. Il volgare che viene adottato è sostanzialmente quello fiorentino, ormai consacrato come lingua dal prestigio dei tre grandi scrittori del Trecento. Ma non è un modello rigidamente codificato e riprodotto da tutti con scrupolosa fedeltà: la letteratura volgare del Quattrocento è caratterizzata da una grande libertà e varietà linguistica.

37 I linguaggi usati dai vari scrittori talvolta conservano caratteristiche locali nella fonetica, nella morfologia, nella sintassi. Comunque nel Quattrocento si verifica l’affermazione definitiva di una lingua nazionale che viene ad identificarsi con il fiorentino. Ma è solo una lingua letteraria, impiegata da una ristretta minoranza colta, e solo per determinati usi culturali.

38 Una lingua d’uso comune che sia omogenea in tutti i ceti sociali in tutti i centri della penisola non esiste ancora. Le lingue parlate sono i dialetti. Questa situazione linguistica è la conseguenza della frammentazione politica dell’Italia, in cui non si è creato uno stato nazionale.

39 Si ha perciò una frattura netta tra una lingua letteraria, estremamente raffinata, che è impiegata da pochi e solo per usi particolari, e la lingua effettivamente parlata dalla maggioranza della popolazione. Ciò determina il perdurare per secoli del carattere aristocratico della letteratura italiana.


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