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Paolucci, Signorini La storia in tasca
Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento Volume 4 11. La seconda rivoluzione industriale 12. I progressi della scienza e della tecnica 13. Fra democrazia e nazionalismo 14. Le grandi potenze si spartiscono il mondo Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013
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Capitolo 13 Fra democrazia e nazionalismo
Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013
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Progressi della democrazia
All’inizio del XX secolo in Europa non c’erano più monarchie assolute. Tra la metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento il suffragio universale maschile era stato introdotto in molti Stati: Francia, Danimarca, Grecia, Germania, Bulgaria, Spagna, Belgio, Norvegia e Austria. Fuori d’Europa era in vigore negli Stati Uniti, nell’Australia e nella Nuova Zelanda. Nel 1912 fu introdotto anche in Italia e in Argentina. In Inghilterra nel 1918. - I governi, temendo che le masse popolari, una volta preso il controllo dello Stato per mezzo della maggioranza parlamentare, togliessero alle antiche classi dirigenti potere e privilegi cercarono con vari sistemi di limitare l’ingresso nei parlamenti dei rappresentanti delle classi sociali più umili. Ad esempio, esclusero dal diritto di voto i più giovani, in qualche caso addirittura fino ai trent’anni. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013
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I primi movimenti femminili e il welfare state
Le donne non potevano votare e, quindi, iniziarono a lottare per ottenere parità di diritti con gli uomini: movimenti femministi sorsero fin dalla seconda metà del XIX secolo. Dopo le leggi sociali approvate in Germania tra il 1883 e il 1889 anche i governi liberali inglesi del , posero le basi dello Stato assistenziale (o Welfare State) moderno, uno Stato cioè che si assume il compito di assicurare ai cittadini protezione e benessere e di pagare le spese che ciò comporta. - Nel 1903 Emmeline Pankhurst fondò in Inghilterra un’organizzazione (l’Unione sociale e politica delle donne), il cui obiettivo politico principale era il riconoscimento del diritto di suffragio femminile. La lotta delle donne, tuttavia, era ancora agli inizi. Il loro diritto di voto fu riconosciuto quasi dappertutto più tardi di quello degli uomini. In alcuni paesi esse ottennero la parità dei diritti a Novecento inoltrato: in Inghilterra nel (e solo se avevano trent’anni compiuti); in Italia nel 1945; in Svizzera soltanto nel - Il cancelliere Otto von Bismarck aveva fatto approvare dal parlamento tedesco leggi sociali che proteggevano i lavoratori contro i rischi di malattie, infortuni, invalidità e vecchiaia. - Furono assegnate pensioni statali ai lavoratori anziani; fu organizzato un sistema previdenziale che comprendeva l’assicurazione contro le malattie e la disoccupazione; furono istituiti uffici statali di collocamento; si introdusse il salario minimo; fu ridotta a otto ore la giornata lavorativa dei minatori. In Italia una decisa politica di riforme fu attuata da Giovanni Giolitti nell’età detta appunto giolittiana. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013
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L’età giolittiana Dopo la morte di Umberto I, il nuovo sovrano fu Vittorio Emanuele III, re d’Italia dal 1900 al Egli affidò l’incarico di presidente del Consiglio dei ministri a un piemontese di orientamento liberal-democratico, Giovanni Giolitti, che ricoprì l’incarico quasi senza interruzione dal 1903 al 1913, decennio che gli storici chiamano «età giolittiana». - Contrario alla linea repressiva praticata dai ministri che lo avevano preceduto, per far fronte alle proteste sociali Giolitti fece valere una linea più moderata, appoggiandosi al codice Zanardelli. Il nuovo codice penale, promulgato durante il governo Crispi, conteneva infatti innovazioni di grande valore civile, come il diritto di sciopero. - Giolitti affermava che, dal momento che il diritto di sciopero era stato stabilito per legge, lo Stato doveva rimanere neutrale nei conflitti di lavoro. Così cercò di evitare di mandare le forze di polizia contro gli operai e i braccianti che si astenevano dal lavoro per ottenere qualche aumento di salario. - Nel 1902, da ministro degli Interni aveva fatto approvare diverse leggi che migliorarono la legislazione sociale italiana, che allora era una delle più arretrate d’Europa. Fu vietato il lavoro dei bambini di età inferiore a 12 anni (il limite precedente era di 9 anni); 14 anni fu il limite stabilito per il lavoro dei bambini sottoterra in miniera, duro, malsano e pericoloso; le donne ne furono totalmente escluse. L’orario massimo di lavoro per le donne fu limitato a 12 ore al giorno; a 11 per gli adolescenti sotto i 15 anni. - Anche altri provvedimenti presi nel corso del decennio giolittiano furono rivolti a migliorare le condizioni dei lavoratori. Furono applicate leggi che regolavano il lavoro notturno e fissavano limiti per il lavoro nei giorni festivi; alle lavoratrici madri fu concesso un mese di congedo pagato per gravidanza; le Casse di previdenza, gli istituti bancari che pagavano le pensioni e i sussidi di malattia e di invalidità, ebbero maggiore disponibilità di denaro. - L’ultima riforma di Giolitti – politicamente la più importante – fu l’istituzione del suffragio universale maschile (1912) che portava gli elettori da 3 a 8 milioni (il 24,5% della popolazione): per la prima volta potevano votare anche gli analfabeti. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013
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Nascono i partiti di moderni e si diffonde il patriottismo
Negli Stati Uniti, fin dalla metà dell’Ottocento, il sistema politico si è basato sul bipartitismo: due grandi partiti, il repubblicano e il democratico, si combattono e si alternano al governo. Nella maggior parte degli Stati del mondo invece si sono sviluppati molti partiti, di destra, di sinistra e di centro: in questo caso il sistema politico si definisce pluripartitico. In altri paesi c’è un solo partito, quello al potere (monopartitismo). Intanto, i governi, appoggiano la diffusione del nazionalismo. - Quando, con il suffragio universale, tutti o quasi tutti i cittadini maschi poterono votare, il contatto personale non fu più possibile perché gli elettori erano ormai troppo numerosi. Si dovettero allora allestire sedi di partito e preparare funzionari che fossero continuamente a disposizione del pubblico. Fu necessario rivolgersi alle masse con comizi sulle piazze e pubblicare giornali e riviste che descrivessero la situazione politica secondo il punto di vista dei dirigenti del partito. - I socialisti erano divisi in due grandi gruppi: i rivoluzionari (che sostenevano la necessità della lotta per conquistare il potere) e i riformisti (che erano favorevoli a una trasformazione graduale della società per mezzo di riforme politiche). I partiti di ispirazione cristiana, in prevalenza cattolici, non si collocavano né a destra né a sinistra ma al centro degli schieramenti politici. Ben presto appartenere a un partito significò non solo avere interessi in comune ma anche condividere con altre persone una determinata ideologia. - Nei primi decenni del Novecento in tutti i paesi europei l’amor di patria e il sentimento di appartenere ad una comunità nazionale – ideali che in precedenza erano stati limitati a ristretti gruppi di intellettuali e di borghesi liberali – si diffusero ampiamente anche fra i ceti popolari cittadini e nelle campagne. - Gli storici hanno chiamato questo progredire del sentimento di identità nazionale «la nazionalizzazione delle masse». Diverse ne furono le cause. Prima di tutto l’ampliamento del suffragio permise una partecipazione alla vita politica nazionale di masse sempre più numerose. I popoli, che nel corso del secolo precedente avevano visto crollare gli antichi regimi, trovarono nell’amor di patria un modo nuovo di sentirsi affratellati e legati a un destino comune. - L’amore per la patria, in un primo tempo, fu accompagnato da sentimenti di simpatia e di fratellanza verso le altre nazioni. In breve, però, esso si trasformò nell’animo di molti europei in esaltazione della superiorità della propria patria sulle altre. Si diffusero atteggiamenti di rancore nei confronti delle altre nazioni, accusate di complottare ai danni della propria, e si accompagnarono a propositi di rivincita. Spesso questi sentimenti nascevano in seguito a sconfitte militari, che avevano ferito l’orgoglio nazionale di un popolo. - Questo attaccamento alla propria nazione, orgoglioso e carico di aggressività verso i «nemici» veri o supposti, prese il nome di «nazionalismo». - Il nazionalismo delle masse fu favorito dai governi. Esso era, infatti, un’arma potente, capace di indirizzare sui candidati governativi molti voti popolari. - Inoltre i sentimenti diffusi di orgoglio nazionale rendevano più facile fare accettare all’opinione pubblica le guerre, nelle quali si mandavano i soldati, arruolati con la coscrizione obbligatoria, a rischiare la vita per la patria. La nazione, infatti, era un concetto nuovo ed estraneo alla maggior parte dei cittadini: chi parlava di «patria», pensava di solito al suo villaggio, alla sua città o, al massimo, alla regione della quale parlava il dialetto. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013
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Darwinismo sociale e razzismo
Nel 1859 fu pubblicato in Inghilterra un libro di fondamentale importanza per la conoscenza dell’evoluzione degli esseri viventi: L’origine delle specie di Charles Darwin. D’altra parte le teorie biologiche di Darwin vennero applicate anche ai fenomeni sociali dando origine al darwinismo sociale, ovvero, alla convinzione che le disuguaglianza sociali erano naturali e inevitabili. La superiorità della razza bianca fu considerata una verità scientificamente dimostrata. - Per Darwin gli esseri viventi si evolvono nel tempo, cioè sono soggetti a cambiamenti: un’intera specie può modificarsi, alcune specie possono scomparire, delle nuove possono sorgere. Questo processo è l’evoluzione delle specie. In conseguenza dell’evoluzione le piante e gli animali che ora popolano il nostro pianeta non sono uguali alle prime piante e ai primi animali comparsi sulla Terra; anzi, molte delle piante e degli animali che sono vissuti in passato ora non esistono più. - Darwin pensava che a causare i cambiamenti e a renderli duraturi nel tempo fosse una lotta per la sopravvivenza, cioè una competizione fra i membri di una specie per la conquista del cibo, della luce, dell’acqua, del posto in cui vivere e di ogni altra cosa necessaria. In questa lotta gli individui dotati di alcune caratteristiche favorevoli sopravvivono più facilmente di quelli che ne sono privi. I caratteri adatti alla sopravvivenza si trasmettono da una generazione all’altra e ad ogni generazione aumenta il numero degli individui che ne sono dotati. Gli altri invece, che ne sono privi, diminuiscono di numero e infine si estinguono. - Secondo i sostenitori del darwinismo sociale anche nella società umana vi è una selezione naturale, che distingue gli individui e i popoli destinati a dominare da quelli destinati ad essere oppressi. Il darwinismo sociale in questo modo: a) stabiliva che all’interno dei singoli Stati i ricchi e i potenti, quando sfruttavano i poveri e i deboli, non facevano altro che seguire una legge di natura. In tal modo le disuguaglianze sociali venivano presentate come necessità naturali e inevitabili; b) nei rapporti internazionali giustificava il dominio degli Stati più forti ed economicamente più progrediti sugli altri. - In realtà, le teorie razziste, che sostenevano l’esistenza, nella specie umana, di razze superiori e di razze inferiori, non avevano nessuna validità scientifica; esse, tuttavia, si diffusero e si radicarono, a sostegno dell’espansione coloniale europea e come giustificazione dello sfruttamento di altri popoli da parte dei bianchi. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013
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Paolucci, Signorini La storia in tasca
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