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PubblicatoOnorato Di Gregorio Modificato 5 anni fa
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PROMESSI SPOSI F. Gonin, Lodovico uccide il nobile CAPITOLO IV
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Il paese di Renzo e Lucia, Pescarenico, la città di Lodovico
Persoaggi: Luoghi: Tempo: Temi: Trama: Padre Cristoforo, Lucia, Agnese (nel flashback: Lodovico, suo padre, il servo Cristoforo, il nobile ucciso, suo fratello) Il paese di Renzo e Lucia, Pescarenico, la città di Lodovico 9 novembre 1628, al mattino (nel flashback: un arco di tempo assai ampio, circa trent'anni prima) La giustizia, Nobiltà e potere, Chiesa e religione Padre Cristoforo lascia il convento e si reca alla casa di Agnese e Lucia. Durante il tragitto, vede i segni della carestia che affligge il paese. Con un flashback, viene raccontata la sua storia: Lodovico, figlio di un ricco mercante, uccide in un duello un nobile e si rifugia in un convento, dove matura la decisione di farsi frate. Chiede e ottiene il perdono del fratello dell'ucciso, che gli dona un pezzo di pane come pegno dell'avvenuta riconciliazione.
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Padre Cristoforo lascia il convento
B. Bezzi, Veduta di Pescarenico Alle prime luci dell'alba padre Cristoforo lascia il convento di Pescarenico (un piccolo paese sulle rive del lago, non lontano dal ponte di Lecco e abitato per lo più da pescatori) per recarsi alla casa di Agnese e Lucia. Il cielo è sereno e il sole illumina il paesaggio, in cui si vedono le foglie di gelso che cadono a terra e quelle della vite ancora rosseggianti, mentre nei campi biancheggiano le stoppie dopo la mietitura. Lo spettacolo sembra lieto, ma in realtà è rattristato dalla presenza di mendicanti lungo la strada che riveriscono il frate, mentre i contadini spargono i semi nei campi con parsimonia e lavorano svogliatamente con la zappa, e una ragazza conduce al pascolo una vacca macilenta raccogliendo erbe che possono nutrire la sua famiglia (tutto ciò rammenta che è periodo di carestia). Ma per quale motivo il frate cappuccino ha risposto con tanta sollecitudine alla chiamata di Agnese e Lucia? E, soprattutto, chi è padre Cristoforo? Si tratta di un uomo di circa sessant'anni, che conserva ancora un atteggiamento fiero e inquieto nonostante l'abitudine all'umiltà; ha una lunga barba bianca che incornicia un volto scavato dall'astinenza, che per questo ha acquistato gravità, con due occhi che spesso sono chinati a terra ma talvolta si levano con improvvisa vivacità, simili a due cavalli domati dal cocchiere che, a volte, non rinunciano a tentare di ribellarsi ai suoi comandi.
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Il passato di Cristoforo: Lodovico
F. Gonin, Il giovane Lodovico L'autore apre a questo punto un ampio flashback in cui racconta il passato di padre Cristoforo, che prima di diventare frate si chiamava Lodovico (il nome della città in cui è nato non viene menzionato). Lodovico è figlio di un ricco mercante, che alla fine della sua vita lascia gli affari e inizia a vivere come un nobile, vergognandosi delle proprie origini che tenta in ogni modo di celare: al punto che un giorno, durante un banchetto, un commensale dice senza malizia che fa "orecchio da mercante", il che è sufficiente a fare incupire il padrone di casa e a spegnere l'allegria della brigata (da quel giorno l'incauto ospite non verrà più invitato). Lodovico viene educato come un aristocratico e acquista abitudini signorili, trovandosi assai ricco alla morte del padre, ma quando tenta di mescolarsi agli altri nobili della sua città viene trattato con disprezzo e si allontana da loro indispettito. In seguito tenta di competere con loro in sfarzo e spese futili, attirandosi inimicizie e critiche, per poi diventare una specie di difensore dei deboli e degli oppressi che subiscono angherie proprio da parte di quei nobili con cui ha avuto di che ridire. La sua indole è onesta ma incline alla violenza, per cui Lodovico si circonda di sgherri e bravi ed è spesso costretto a compiere atti moralmente discutibili per amore della giustizia, il che gli provoca rimorsi di coscienza (tanto che, a volte, è tentato dall'idea di abbandonare il mondo e farsi frate).
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Lodovico uccide un nobile in un duello
F. Gonin, Lodovico e il nobile Un giorno Lodovico cammina per strada insieme a due bravi e un fedele servitore di nome Cristoforo, già dipendente del padre e ora suo maestro di casa, un uomo di cinquant'anni con una numerosa famiglia. Il giovane incontra un nobile della sua città, noto per la sua arroganza, che procede circondato anch'egli da quattro bravi: entrambi camminano rasente un muro, e poiché Lodovico lo sfiora con il fianco destro avrebbe diritto che l'altro gli cedesse il passo, mentre il nobile potrebbe esigere la stessa cosa in quanto aristocratico (dunque entrambi, stando ai codici cavallereschi del tempo, avrebbero ragione). Quando i due si trovano di fronte, il nobile intima imperiosamente a Lodovico di farlo passare e il giovane rifiuta in modo sdegnoso; segue un breve scambio di battute in cui i contendenti si scambiano tipici insulti cavallereschi (il nobile dà a Lodovico del "meccanico" e gli rinfaccia le sue origini borghesi, l'altro lo accusa di viltà), poi nasce un duello cui prendono parte anche i bravi di entrambe le parti. Lo scontro è molto violento e Lodovico viene ferito, quando il suo avversario gli piomba addosso con la spada: il servo Cristoforo protegge il suo padrone e viene colpito a morte, quindi Lodovico uccide a sua volta il nobile trafiggendolo con la sua lama. A questo punto i bravi di entrambi si danno alla fuga, mentre Lodovico rimane steso in strada, malconcio, accanto ai corpi di Cristoforo e del suo rivale.
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Lodovico si rifugia in convento
F. Gonin, Lodovico ferito Attorno ai tre uomini si raccoglie una piccola folla di spettatori, i quali conoscono Lodovico come giovane dabbene e il nobile ucciso come un noto prepotente, per cui non vogliono che il primo finisca nelle mani della giustizia o dei parenti del morto: lo conducono allora a un vicino convento di cappuccini, dove potrà essere curato e sarà al riparo da possibili ritorsioni (i luoghi sacri offrono asilo a chi vi si rifugia). Lodovico è rimasto profondamente turbato dalla morte di Cristoforo che si è sacrificato per lui, e soprattutto dalla vista dell'uomo che lui stesso ha assassinato; più tardi un padre del convento gli riferisce che il nobile, prima di spirare, lo ha perdonato e ha chiesto a sua volta perdono per il male commesso, il che accresce il suo scoramento e il rimorso per quanto ha fatto. Frattanto i parenti del nobile ucciso, armati di tutto punto, giungono nei pressi del convento per reclamare la consegna di Lodovico, cosa che non possono ottenere poiché quello è un luogo sacro e inviolabile. Il giovane prega i cappuccini di riferire alla vedova di Cristoforo che provvederà lui alle necessità della famiglia, quindi matura la decisione di indossare la tonaca come espiazione del male commesso: annuncia la sua decisione al padre guardiano, il quale lo ammonisce dal prendere risoluzioni affrettate ma si dichiara disposto ad accoglierlo. Lodovico in seguito fa donazione di tutti i suoi averi alla vedova di Cristoforo, mentre la sua scelta di farsi frate toglie i cappuccini dall'imbarazzo di decidere cosa fare di lui, poiché la famiglia dell'uomo ucciso pretende vendetta e i frati non possono certo consegnar loro Lodovico senza rinunciare ai loro privilegi: tuttavia la monacazione del giovane può sembrare un'espiazione sufficiente per l'omicidio commesso, dunque la cosa potrà soddisfare i parenti del nobile ucciso (che, del resto, non piangono la sua morte ma si sentono offesi nell'onore nobiliare).
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Lodovico diventa fra Cristoforo
Il padre guardiano si reca dal fratello dell'ucciso e gli comunica la decisione di Lodovico, indicando la monacazione del giovane come risarcimento sufficiente per l'onore della famiglia, al che il gentiluomo protesta il proprio sdegno ma, alla fine, pone come unica condizione che il novizio lasci immediatamente la città. Il padre acconsente e lascia credere che si tratti di un gesto d'obbedienza (in realtà ha già preso questa decisione), per cui la questione viene risolta con soddisfazione di tutti, specie di Lodovico che in tal modo potrà iniziare una vita di espiazione e penitenza. Ad appena trent'anni diventa dunque frate e assume il nome di Cristoforo, in modo da ricordarsi sempre del male commesso e accrescere così l'espiazione di quella morte causata indirettamente da lui. Fra Cristoforo dovrà compiere il noviziato in un paese a sessanta miglia di distanza, ma il giovane chiede al padre guardiano di potersi prima recare dal fratello dell'ucciso a implorare il suo perdono per il gesto compiuto. Il padre approva l'intenzione e si reca dal gentiluomo a rivolgere tale richiesta, al che il nobile pensa che questa sarà l'occasione di una pubblica soddisfazione della famiglia e risponde che Cristoforo potrà venire il giorno dopo. Il gentiluomo l'indomani fa raccogliere tutti i parenti nel suo palazzo e attende il novizio circondato da aristocratici in abito da cerimonia e le spade al fianco, in uno scenario di pompa e magnificenza tipica dell'aristocrazia di quei tempi.
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Fra Cristoforo ottiene il perdono del fratello dell'ucciso
F Gonin, La scena del perdono Fra Cristoforo giunge al palazzo accompagnato da un altro padre e prova subito un certo imbarazzo al vedere tanti nobili riuniti, ma poi pensa che ciò sarà parte della sua espiazione per il delitto commesso. Attraversa una grande sala piena di gente e si inginocchia ai piedi del fratello del nobile ucciso, che lo guarda dall'alto con aria altera e sdegnata: il frate parla con voce sincera e chiede con contrizione perdono per il male commesso, suscitando un mormorio di approvazione da parte di tutti i presenti. Anche il gentiluomo padrone di casa è toccato e invita Cristoforo ad alzarsi, aggiungendo parole di conforto e riconoscendo i torti del fratello defunto; quindi concede il proprio perdono al frate, che si dice contento di ciò (anche se, ovviamente, ciò non cancella il male compiuto ai danni dell'uomo ucciso). Tutti si felicitano con il novizio, al quale i servitori di casa offrono delicate vivande; il frate rifiuta con cortesia, limitandosi a chiedere solo un pezzo di pane con cui potrà rifocillarsi durante il viaggio che lo attende. Il padrone di casa lo accontenta e un cameriere gli porge su un piatto d'argento un pane, che il novizio mette nella sporta e di cui conserverà un pezzo come ricordo di quel memorabile giorno (il cosiddetto "pane del perdono"). Fra Cristoforo lascia il palazzo riverito da tutti, mentre il fratello del morto è stupito della sua benevolenza e da quel giorno diventa un po' più affabile e meno altero, mentre tutta la sua famiglia ricorderà questa giornata nel segno del perdono e della riconciliazione.
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Padre Cristoforo giunge a casa di Lucia
L'arrivo di padre Cristoforo (ediz. 1840) L'autore non racconta la vita di padre Cristoforo negli anni seguenti, se non dicendo che il cappuccino esegue con obbedienza i doveri che gli sono imposti, cioè di predicare e assistere i moribondi, anche se non rinuncia quando si presenta l'occasione a prendere le difese dei deboli contro le ingiustizie degli oppressori: l'uomo conserva ancora un barlume dell'antica fierezza e dell'indole animosa, per cui il suo contegno, abitualmente umile e posato, può diventare impetuoso e sdegnato quando assiste a qualche intollerabile ingiustizia. Ciò spiega la sua sollecitudine nel rispondere alla chiamata di Lucia, che il padre conosce come una giovane innocente e vittima di un'infame persecuzione da parte di don Rodrigo: in ansia per lei e per quanto può esserle accaduto, giunge infine alla casa della giovane e della madre Agnese, le quali accolgono il cappuccino con una benedizione.
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Temi principali e collegamenti
Protagonista assoluto del capitolo è ovviamente padre Cristoforo, di cui l'autore racconta la storia passata che spiega l'indole e l'atteggiamento del personaggio attuale: la sua è la vicenda di un uomo che in gioventù lottava contro il male con le armi e la violenza, ha commesso un omicidio, si è pentito e ha scelto di espiare il delitto indossando la tonaca e votandosi a una vita di umiliazione, penitenza e servizio al prossimo. La sua storia prefigura in parte quella dell'innominato, destinato anch'egli a pentirsi dei suoi peccati e a convertirsi in modo clamoroso, benché lui non scelga di farsi frate ma di mettersi al servizio degli altri senza più portare armi o usare la violenza. L'esempio di Lodovico è significativo anche in quanto l'autore lascia intendere che chi è nobile difficilmente può sottrarsi a una logica di violenza e sopraffazione, a meno di uscire in modo definitivo dalla sua classe sociale con una diversa scelta di vita (è quanto non saprà fare Gertrude, che si sottomette al volere del padre e indossa il velo contro la sua volontà). Manzoni, attraverso il personaggio del padre di Lodovico, critica l'aristocrazia che per i suoi pregiudizi disprezza la classe borghese e i mercanti, vivendo per parte sua in modo ozioso e improduttivo: così fa anche il mercante citato, che lascia gli affari e tenta di trasformarsi in aristocratico, facendo dimenticare la sua precedente attività di cui si vergogna. L'autore ritiene che l'aristocrazia debba rendersi utile alla propria nazione impegnandosi in attività produttive, allineandosi in ciò alla critica che già la letteratura dell'Illuminismo rivolgeva alla vecchia nobiltà di sangue (cfr. Parini e il "giovin signore" del Giorno). La scena in cui il giovane fra Cristoforo chiede perdono al fratello dell'uomo che ha ucciso è costruita con arte raffinata: Manzoni tratteggia un quadro impietoso della vuota vanagloria della nobiltà secentesca, che trasforma un momento toccante di contrizione in un'occasione per sfoggiare pompa e magnificenza, che possa diventare "una bella pagina nella storia della famiglia" (dunque una sorta di pubblica cerimonia, in cui il perdono concesso a Cristoforo si tramuti in un gesto solenne con cui riaffermare la propria superiorità sociale). L'autore sottolinea il fatto che il fratello dell'ucciso agisce non per affetto verso il defunto, bensì per difendere l'onore del casato che sente offeso dal gesto di Lodovico, dunque con un atteggiamento di orgoglio nobiliare non diverso da quello del conte zio che interviene per "salvare l'onore di Rodrigo" su suggerimento del conte Attilio (cap. XVIII). Il "pane del perdono" verrà donato da padre Cristoforo a Renzo e Lucia nel lazzaretto (cap. XXXVI), come ricordo della sua persona e della terribile esperienza vissuta.
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